16 Aprile a Virginia Tech: quello che ho visto, sentito e pensato in un ufficio di Norris Hall

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Tardi, estremamente tardi, tardissimo. Arrivo davvero tardi a descrivere i fatti di Blacksburg, un post di commenti è già stato scritto, ma mi sembra di capire che si sia allargato a temi socio-economici rispetto i quali avrei poco da dire (vi leggo sempre, ma ho studiato ingegneria meccanica e già quando iniziate a nominare Pareto mi spiazzate :-) ). Spero che la descrizione di chi ha vissuto i fatti da vicino possa essere un po' utile. O almeno non annoiarvi troppo.

Dal Gennaio

2006 sono a Blacksburg, Virginia, a frequentare un dottorato presso il

dipartimento di Engineering Science & Mechanics. Lunedi mattina prima

delle nove ero nel mio ufficio, nella stanza 217 dell'ormai famosa Norris Hall.

Eravamo in quattro,

qualcuno doveva ancora arrivare, un "fortunato" alle nove e qualcosa se ne esce

per andare a lezione e rimaniamo in tre: uno studente americano, uno del

Bangladesh ed io. Attorno alle 9.40 iniziamo a sentire dei forti rumori, che

comunque non riconosciamo come spari (è da settimane che stanno facendo

ristrutturazioni nel palazzo di fronte, e poi chi va a pensare a degli spari?).

Questi rumori durano e si ripetono, io anche commento qualcosa del tipo "cosa è questo casino?", poi ad un tratto l'americano si alza dalla scrivania,

spegne le luci e dice di non fare rumore. Qualche sguardo fuori dalla finestra e

si nota non c'è nessuno in giro, strano per un campus attorno alle dieci del

mattino. Sentiamo ogni

tanto ancora questi rumori, a volte intervallati, a volte abbastanza

ravvicinati, e anche grida. Spari e grida sono davvero vicini, ma dove?

Noi stiamo sempre

in silenzio, cercando di capire cosa stia succedendo. Fortunatamentela porta dell’ufficio è chiusa (a volte la

appoggiamo solo): per entrare serve una combinazione numerica, anche se in

realtà con poco più di un soffio la si potrebbe sfondare, meglio non

pensarci.

L'americano, che

fino a quel momento era stato muto, ci dice che alla mattina presto c'era stata

una sparatoria in un dormitorio e che una persona era morta (capirò poi che

lui è stato il primo di noi tre a leggere l'e-mail che era stata spedita alle

9.26am con questa notizia… e aveva fatto 2+2 con i rumori che sentivamo).

Dalla finestra

riusciamo a vedere gente che dalle porte

del primo piano esce di corsa, con l'aiuto della polizia che intanto è

arrivata. Si, la polizia è intanto tutt'attorno, rivolta verso il nostro

edificio ed a quel punto non c'è più alcun dubbio che il "problema" sia

proprio dentro a Norris Hall. Noi, sempre rimanendo dentro l'ufficio, ci

spostiamo in un'altra stanza; questa ha finestre su due lati dell'edificio e ne

spalanchiamo una, può essere utile per saltare giù, ci convinciamo che se

necessario bisognerà saltare, anche se dal secondo piano. Io, rispetto gli

altri due, sono abbastanza tranquillo: ho fiducia sfacciata nella porticina con

combinazione numerica e con la polizia tutta attorno ho anche un discreto senso

di sicurezza. Troviamo il tempo di telefonare al quarto studente, quello che

alle nove se ne era uscito, e gli diciamo di non tornare. Gli spari sono sempre

meno, ma secondo me durano fino a un po' dopo le dieci (datemi il beneficio di

sbagliarmi sui tempi, però).

Non parliamo né

telefoniamo più, non vogliamo fare alcun rumore, se non quando alle dieci e un

quarto dalla finestra aperta chiediamo alla polizia se dobbiamo saltare o no:

la risposta è che se la stanza è chiusa è meglio stare dentro. Stiamo quasi

tutto il tempo seduti sul pavimento, a pensarci siamo un po' in trappola in

questa stanza, che intanto è diventata freddissima (nevicava, noi eravamo in

felpa), c'è la finestra che al primo rumore proveniente dalla porta dovremo imboccare senza esitazione, però non sappiamo davvero cosa stia succedendo. L’americano

si fa il segno della croce, quello del Bangladesh cerca di fare qualche altra

telefonata senza riuscirci ed io invece mi sono messo in tasca due cacciaviti,

era l'unica cosa presente che avrei potuto usare come arma (lo so non

ha molto senso a pensarci adesso); sinceramente, e non so perché, io ero ancora abbastanza calmo, ricordo anche che pensavo che era freddissimo e che per

il giorno dopo avevo gli homework ancora da fare.

Da quel punto in

poi è stato un continuo sbirciare dalle finestre e

sotto la porta, che ad una distanza di sei-sette metri ci divideva dal

corridoio. Forse alle dieci e tre quarti ci siamo accorti che una

porta-finestra dentro la nostra stanza aveva un foro, cosi come l'armadio

immediatamente dietro. Il buco non c'era il giorno prima, ma se era un

proiettile da dove era entrato? Rapido controllo, sempre standocene seduti per

terra, e trovammo un foro allineato a questi anche sulla porta che dà sul

corridoio. Per qualche secondo ci siamo scambiati delle occhiate indescrivibili. Un proiettile aveva attraversato tutto l'ufficio, fermandosi dentro

un armadio! Deve essere successo nelle prime fasi, probabilmente quando

non pensavamo si trattasse di spari.

Poi è stata

lunga attesa, fuori c'era sempre polizia nascosta dietro auto o muretti, tre o

quattro volte il telefono dell'ufficio è squillato ed alla nostra risposta la

linea cadeva, forse è sistema automatico per capire quale stanza ha gente

ancora dentro. Abbiamo intravisto una ambulanza arrivare in un'altra uscita di

Norris Hall e poi ripartire, ad un certo punto è successa cosa stranissima: dalla

finestra abbiamo visto passare tre poliziotti, senza particolari protezioni,

stavano praticamente passeggiando. Dai megafoni però continuavano a dire di

stare dentro le proprie stanze e lontani dalle finestre. Questa non l'ho

proprio capita, a dire il vero, anche dopo questo momento i poliziotti attorno

allo stabile continuavano a rimanere dietro le auto e con le armi in pugno. Nel

corridoio del dipartimento invece non è passato nessuno fino alle undici

emezza almeno.

Sarà stato quasi

mezzogiorno quando le persone che passavano per il corridoio erano

diventatepiù numerose. Sembrava che si sarebbe usciti di li a poco, finché hanno bussato con

decisione. “Is that the police?” è stata la nostra domanda, che non ha

avuto subito risposta. Ad una seconda richiesta c'è stata una loro frase secca del

tipo “Open the door!” che non ho neanche capito bene. Qui io non avrei fatto

niente senza aver prima chiesto altre informazioni, ma l'americano si è precipitato ad aprire.

A porta aperta

ricordo di aver sentito che ci dicevano di mettere le mani sopra la testa e ci

chiedevano quanti eravamo. Erano una decina di poliziotti, i due o tre davanti

erano ovviamente ben attrezzati e ci guardavano dal mirino, ma ci hanno passato

subito a quelli dietro che ci hanno immobilizzati per un attimo, giusto il

tempo di sapere se c'era altra gente dentro. Poi velocemente ci hanno portato

fuori, non dalla parte delle aule ma da quella degli uffici. Mi tenevano

strettissimo da dietro e non riuscivo a muovere la testa, però notavo che

tutti gli uffici erano spalancati, non c'era nessuno dentro e non c'erano scene orribili, questo in

qualche modo mi rassicurava.

Appena fuori ci hanno

messo contro un muro e domandandoci le generalità ci hanno perquisiti per

almeno 5 minuti: hanno rivoltato le tasche, controllato dentro le scarpe, tolto

cinture; io non avevo nessun documento con me ma avevo andora i due cacciaviti in

tasca, non senza un po' di ansietà. Alla fine ci hanno ammanettato e chiesto cosa facevamo dentro Norris Hall. Poi ci hanno portato a una

cinquantina di metri dall'edificio, dove c'erano molti poliziotti che sembravano tiratori

scelti ma che erano tutto sommato in relax.

Li ci hanno

ancora perquisito (volevo fare presente che era la seconda volta, ma ho deciso

di soprassedere, ho fatto bene?) e chiesto se avevamo documenti. In questa confusione un poliziotto mi ha chiesto se avessi bisogno di cure mediche, io ho

solo fatto presente il gran freddo e la mia felpina.

Poi un poliziotto

in borghese all'apparenza importante ci ha interrogati singolarmente (da quando

ci avevano liberati non avevamo più avuto modo di parlare tra noi tre). Ricordo che

questo poliziotto ha esordito dicendo che dovevo essere estremamente sincero,

la qual cosa mi ha colpito, poi ha fatto domande incrociate, anche rispetto gli

altri due. I cacciaviti sono stati l'argomento principe della discussione.

Infine ci hanno

tolto le manette e ridato quanto avevamo in tasca. Mi sono allacciato le scarpe

e messo la cintura utilizzando un solo passante dei jeans, volevo proprio

andarmene; ancora accompagnati fino alla zona transennata,ci hanno infine detto di andare a casa e ci

hanno indicato le uniche strade percorribili. Gli altri due ragazzi abitano da

tutt'altra parte della città, io non ho perso molto tempo, ho a malapena detto

bye e ho preso la mia strada.

Era forse

mezzogiorno e mezzo, a piedi e senza giubbetto ho attraversato il centro,

volevo essere veloce e quasi correvo. Passando di fronte un ristorante ho visto

un'amica e sono entrato, la sensazione era stranissima perché io uscivo da due

ore così e lei aveva un piatto di insalata di pollo davanti; comunque è stata

gentilissima e mi ha spiegato dell’evacuazione di tutto in campus e di qualcuno

che aveva sparato a Norris Hall.

Quando sono

arrivato a casa, dopo un quarto d'ora, non c'era nessuno. La tv dava 20 morti e

lì ho capito che: 1) era stata davvero

una carneficina, 2) l'avrebbero detto anche in Italia. Non avevo né la agenda

con tutti i numeri di telefono, né la scheda per le telefonate internazionali,

quindi non potevo comunicare praticamente con nessuno.

Questo in tutta

sincerità è stato il peggior quarto d'ora della giornata, stare bene e non poterlo comunicare. Per fortuna

un amico dall’Italia ha telefonato dopo avere visto la notizia al televideo,

con il suo aiuto ho avuto la telefonata della mia famiglia prima dei

telegiornali della sera.

Con questo la mia

mattinata del 16 Aprile a Blacksburg era terminata.

 

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