Al fuoco, al fuoco!

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Una pillola di saggezza dai Mari del Sud

La Russia è devastata dagli incendi. Questa è una notizia vera e drammatica. Secondo i giornalisti economici che scrivono in Italia numerosi altri incendi si aggirano per l'Europa.

Così il Corriere della Sera (che sembra raccontare di un party da sballo):

Europa, 103 miliardi di euro in fumo

Così la Repubblica (che sembra raccontare di un rito satanico contro la tecnofinanza, celebrato da Voltremont):

In Europa bruciati 103 miliardi in una seduta

Così la Stampa (che sembra raccontare l'ultimo espediente per riscaldarsi nel rigido inverno post conflitto nucleare):

L'Europa brucia 103 miliardi di euro

E non poteva mancare il Sole 24 Ore:

L'Europa manda in fumo 103 miliardi di capitalizzazione

Titoli come questi (miliardi, dico miliardi di euro, mica noccioline: questa si che è una notizia!) appaiono ogni volta che i prezzi delle attività finanziarie diminuiscono di qualche punto percentuale.

Che è successo stavolta? È successo che la Fed ha fatto capire che le cose non stanno andando così bene come si credeva: l'economia americana è ancora fiacca e bisognerà ancora attendere per vedere una chiara ripresa, più di quanto previsto fino a l'altro ieri.

Chi aveva acquistato titoli facendone aumentare il prezzo di parecchio nei mesi scorsi (cliccare qui e selezionare "3 mesi" per vedere cosa è successo a Milano) in previsione di una imminente ripresa e di un rinnovato ottimismo che avrebbe continuato a far salire i prezzi ha dovuto rivedere le proprie aspettative. Molti si sono ritirati dal mercato azionario e hanno riaperto il materasso.

Quei 103 miliardi non sono mai esistiti. Perciò l'unica cosa che sta andando in fumo qui è il buon senso. L'unica cosa che sta bruciando, ad opera di chi dovrebbe informare, è l'aritmetica. Ce lo spiega Charles Kindleberger, citando uno sfortunato (ma razionale, evidentemente) investitore nella South Sea Company:

The additional rise above the true capital will only be imaginary: one added to one, by any stretch of vulgar arithmetic will never make three and a half, consequently all fictitious value must be a loss to some person or other first or last.

Che in italiano suona così:

L'aumento al di sopra del vero capitale sarà solo immaginario: uno più uno, con ogni sforzo di volgare aritmetica, non farà mai tre e mezzo, di conseguenza tutto il valore fittizio deve essere una perdita per qualcuno o per qualcun altro prima o poi.

A volte si finisce a fare gli esterofili senza alcuna intenzione (Marco Boninu ce lo spiega bene nel suo post). Ecco come titolava la stessa notizia il New York Times:

Wall Streat Retreats in the Face of a Slowdown

Chiaro, no? Nulla brucia, nulla va in fumo: le cose si mettono male e la gente si ritira alla posizione precedente. Qualcuno ha guadagnato meno del previsto. Qualcun altro c'ha perso soldi. È la volgare aritmetica. I volgarotti la capiscono e la sanno spiegare anche solo nei titoli.

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Commenti

Ci sono 23 commenti

uhm, ho il sospetto che anche omero sonnecchi, ogni tanto.

L'aumento al di sopra del vero capitale sarà solo immaginario: uno più uno, con ogni sforzo di volgare aritmetica, non farà mai tre e mezzo, di conseguenza tutto il valore fittizio deve essere una perdita per qualcuno o per qualcun altro prima o poi.

quale sarebbe il VERO capitale, se non quello misurato dal suo prezzo marginale? è vero che così cambia continuamente, compravendita per compravendita, ma tutti gli altri sistemi di valutazione sono risultati peggiori.si vorrà mica commissionare una perizia giurata sul vero valore?

in questo senso, anche senza fiamme e fumo, è vero che vengono bruciati miliardi di capitalizzazione complessiva, come vengono creati nei rialzi.

certo, è uno stile un po' triviale...

quale sarebbe il VERO capitale, se non quello misurato dal suo prezzo marginale? [...] si vorrà mica commissionare una perizia giurata sul vero valore? in questo senso, anche senza fiamme e fumo, è vero che vengono bruciati miliardi di capitalizzazione complessiva, come vengono creati nei rialzi.

Figurati se volevo proporre commissioni e perizie! In linguaggio moderno la citazione vuol dire che il prezzo di un titolo oscilla attorno al valore "fondamentale", e che anche quando se ne discosta alla grande (come durante una bolla) prima o poi ci torna.

Il valore "fondamentale" nessuno lo osserva, e solo ex-post possiamo dire se c'era una bolla o no (se no sarebbe facilissimo evitare molte crisi finanziarie) e se certi aumenti di valore erano reali o fittizi. Ma per lo meno a quel punto non diciamo scemenze come "miliardi (di valore reale) bruciati e andati in fumo."

 

 

Beh sì, sarebbe necessario calcolare la somma algebrica delle perdite dei singoli trader, che non necessariamente risulterà inferiore a zero, se tutti coloro che hanno venduto comprarono ad un prezzo medio superiore. C'è da dire che ci sarà sicuramente una quantità N di soggetti che si troverà una perdita (probabilmente unrealized - spero per loro), sommando le quali si dovrà per forza ottenere un capitale "bruciato" pari a 103 miliardi - "non disponibile" per i precedenti detentori, che giocoforza dovranno avere un potere d'acquisto minore. Chiaro che se poi domani si sale del 3%, tutte le perdite che erano unrealized possono essere recuperate e il capitale "bruciato" può risorgere dalle sue ceneri. 

 

quantità N di soggetti che si troverà una perdita (probabilmente unrealized - spero per loro)

 

in realta' e' proprio il fatto che la realizzano la perdita a spingere giu' il mercato. Il meccanismo e' quello ovvio: ci sono cattive notizie di qualche genere, la gente entra momentaneamente nel panico e inizia a vendere. Dopodiche' c'e' un circolo vizioso: la gente corre verso l'uscita aumentando l'offerta ed il prezzo precipita. Quando le acque si calmano, il prezzo smette di muoversi (cosa che e' successa anche ieri, peraltro). Il giorno dopo, magari il tutto risale. I fondamentali con tutta probabilita' sono rimasti gli stessi o sono cambiati molto poco - solo una notizia di dimensioni colossali (tipo Lehman) modifica i fondamentali.

Questo e' il tipico rischio del mark-to-market: il fatto che ci sia liquidita' altissima nei mercati fa si' che gli investitori abbiano la possibilita' di uscire dal mercato non appena le acque sembrano agitarsi, ma quasi sempre interpretando un'ondicella come fosse un maremoto. (Il rischio opposto, quello dell'assenza di mark-to-market, tipico del private equity o degli hedge funds, comporta problemi diversi, non meno difficili da risolvere).

perfetto. cioè, quasi:

il fatto che ci sia liquidita' altissima nei mercati fa si' che gli investitori abbiano la possibilita' di uscire dal mercato non appena le acque sembrano agitarsi, ma quasi sempre interpretando un'ondicella come fosse un maremoto.

in realtà si è sempre pensato che un mercato liquido, con amplissimi volumi, fosse meno manipolabile e forse MENO volatile. empiricamente, la volatilità pareva piu come congenita al titolo e anche al mercato specifico, data quasi per sempre. gli opzionisti ne sanno qualcosa. la crisi ha mutato tutto: un elefante come unicredit è diventato una falena impazzita e aveva volumi sia prima che dopo.

però il sugo è nel caso opposto, che tu giustamente ricordi: la compravendita di un'azienda non quotata, cioè la stima del suo valore fondamentale, è assai più faticosa e incerta (da cui lo spazio che si offre al private equity), umorale addirittura anche quando sono aziende dello stesso settore.

se poi le trattative si prolungano in due diligence, clausole di revoca eccecc, cose cioè perfettamente razionali sulla carta, è MENO probabile concludere!

 

 

 

 

 

in realtà si è sempre pensato che un mercato liquido, con amplissimi volumi, fosse meno manipolabile e forse MENO volatile

 

Non prorpio. Se si vuol vedere la volatilita' come funzione della liquidita', e' chiaro che per bassi volumi c'e' una relazione inversa. Cioe' se c'e' poca liquidita', si osserva una diminuzione della volatilita' al crescere della liquidita'. Tuttavia questa relazione fallisce quando la liquidita' sale.

Per essere piu' precisi, se scrivo s=s(L) dove s e' la volatilita' ed L e' la liquidita', avro' s'<0 (s' e' la derivata) per valori relativamente piccoli di L. Alche' s(L) raggiunge un minimo e da li' in poi non e' piu' una funzione deterministica. Vale a dire che la relazione tra s ed L c'e' ma non e' neanche lontanamente precisa. Genericamente, e' una funzione crescente, vale a dire che con moltissima liquidita' si tende ad osservare maggiore volatilita', ma solo in media.

La ragione dell'alta volatilita' quando c'e' poca liquidita' e' ovvia: basta un trade a spostare il mercato. La ragione della indeterminatezza di s(L) per valori alti di L e' che la liquidita' puo' essere data da uno spettro di situazioni: ad un'estremita' c'e' una miriade di trade indipendenti che si annullano a vicenda (domanda e offerta sono sostanzialmente uguali), per cui il prezzo non si muove; all'altra estremita' c'e', ad esempio, il panico: un grande investitore puo' decidere di uscire dal mercato vendendo tutte le sue azioni di Unicredit, a quel punto tutti vedono tutti osservano grandi movimenti sul lato offerta e si affrettano all'uscita. Ed allora i volumi aumentano ed in presenza di alta liquidita' (che nel caso significa gente disposta a comprare) i prezzi scendono ancor piu', per cui si ha alta volatilita'.

 

la crisi ha mutato tutto

 

no, non ha mutato molto. Diciamo che l'esempio che fai e' buono, nel senso che le banche hanno visto un salto nella volatilita' del prezzo delle proprie azioni. Ma non e' cambiato il meccanismo, solo il fatto che un settore classicamente piu' difensivo ha preso caratteristiche (numeriche) piu' simili a roba hi-tech.

 lo sapevo che bisogna frequentare le buone compagnie :)

 

se scrivo s=s(L) dove s e' la volatilita' ed L e' la liquidita', avro' s'<0 (s' e' la derivata) per valori relativamente piccoli di L. Alche' s(L) raggiunge un minimo e da li' in poi non e' piu' una funzione deterministica. Vale a dire che la relazione tra s ed L c'e' ma non e' neanche lontanamente precisa. Genericamente, e' una funzione crescente, vale a dire che con moltissima liquidita' si tende ad osservare maggiore volatilita', ma solo in media.

 

è un risultato notevole anche se diventa non deterministica. trovare una dimensione di mercato (la liquidità L) per cui s'(L)=0 dovrebbe interessare molto i pubblici normatori, oltre che i gestori.

qualitativamente, il fenomeno dell'operatore "grande" in assoluto che in presenza di un mercato liquido, si lascia prendere dal panico trasmettendo quindi un segnale importante, come invece non avrebbe fatto in un mercato più piccolo, pare confermato dall'esperienza degli ultimi due anni.certo che il periodo precedente 2003-2007 è stato invece caratterizzato da vix calanti e bassi, molto sotto certe medie storiche e anche lì i mercati erano liquidi.

cmq, assunto che sia molto difficile ridurre adesso le dimensioni dei mercati (il genio è uscito dalla bottiglia) ed essendo controproducente, secondo le tue osservazioni, augurarsi una crescita dimensionale degli istituzionali, se ne dovrebbe dedurre una crescita "di fondo" della volatilità.

vado ad allargare gli strike.

La difficolta', in tutto cio', e' fare un buon modello di impatto sul mercato. Ed il problema e' condiviso tra regolatori (che, come dici, dovrebbero essere molto interessati ad averlo) e investitori/banche/fondi. Io conosco un solo fondo che ha un modello del genere e che non sia del tipo "non voglio essere piu' del 2% del mercato".

della stesso tipo il comunicato della Banca d'Italia

13 ago. - Il debito pubblico italiano a giugno e' sceso a 1.821,982 miliardi di euro dal livello record di 1.827,105 miliardi che era stato toccato a maggio. E' quanto riporta il supplemento del Bollettino statistico della Banca d'Italia dedicato alla finanza pubblica.

ma non dice che mentre le spese sono sensibilmente lineari le entrate hanno proprio un picco a giugno ( autotassazione e primo acconto )

Per esempio nel 2009 a giugno le entrate erariali sono state 46,4 miliardi contro una media dei primi cinque mesi di soli 27,9 miliardi ( nel 2010 42,4 vs 27,6 )

peraltro la differenza 2010 vs 2009 mostra che il gettito tiene per i soggetti a ritenuta alla fonte , crolla per gli altri ( nonostante il recupero del 20% dell'acconto di novembre allora posticipato )

Giugno 2010 vs Giugno 2009 -8,6% ma se consideriamo la base costante -20,0%

qui

pronti alla nuova manovra?