Alleanze terapeutiche

/ Articolo / Alleanze terapeutiche
  • Condividi

Il 21 febbraio prossimo sarà discusso il cosiddetto DDL Calabrò (dal nome del relatore della proposta di legge), già approvato dalla Camera dei Deputati e che reca la seguente intestazione “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Il testo integrale della norma si può trovare qui.

Come è ragionevole attendersi il tema si presta a suscitare discussioni particolarmente accese, motivate dalla delicatezza oggettiva dei temi trattati ma anche dall'atteggiamento ideologico con il quale da più parti ci si accosta alla riflessione sui temi della bioetica.

Per quanto si identifichi il provvedimento in esame con il cosiddetto “testamento biologico” si dovrebbe precisare che la legge in realtà copre alcuni problemi di bioetica che sopravanzano il tema specifico del testamento biologico in senso stretto: infatti la legge si occupa anche del ruolo del medico e del paziente in tutto il processo terapeutico e regolamenta il cosiddetto consenso informato.

Almeno per ora vorrei evitare la discussione bioetica/filosofica. Vorrei solo evidenziare quegli aspetti della norma che a molti, e anche a me, paiono controversi. La mia speranza è che nella discussione successiva siano avanzate, qualora ci siano, le motivazioni che hanno condotto all’estensione della legge nella sua forma attuale.

I preliminari

Il cappello introduttivo della legge si avvale di una terminologia che appare da subito interna alla controversia che intende dirimere con l’introduzione della norma.

 

Art. 1. (Tutela della vita e della salute)

1. La presente legge, tenendo conto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione:

a) riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge;

b) riconosce e garantisce la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza;

c) riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato nei termini di cui all’articolo 2, fermo il principio per cui la salute deve essere tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana;

d) impone l'obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 4, riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, che acquista peculiare valore proprio nella fase di fine vita;

e) vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l’attività medica nonché di assistenza alle persone esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute nonchè all’alleviamento della sofferenza;

f) garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura.

2. La presente legge garantisce politiche sociali ed economiche volte alla presa in carico del paziente, in particolare dei soggetti incapaci di intendere e di volere e della loro famiglia.

 

E’ sufficiente scorrere le parole evidenziate per comprendere come la legge sottoscriva una impostazione di fondo dove la vita è “inviolabile e indisponibile”. I termini di tale inviolabilità e indisponibilità sono poi considerati prioritari al pur dichiarato diritto riconosciuto in capo ai pazienti a non essere sottoposti a trattamenti sanitari forzosi, o almeno questo si desume nel passo in cui si scrive nel comma “c”: “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Nel comma “d” si riconosce poi priorità a quella che è definita “alleanza terapeutica tra medico e paziente” che parrebbe implicare la subordinazione all’assenso del medico dell’autonomia decisionale del paziente in merito alle terapie alle quali sottoporsi volontariamente. Per questa legge il processo di scelta e discernimento dei mezzi di cura più idonei (che riguardano il paziente) sembra porre sullo stesso piano il paziente e il medico.

Il comma “e” ribadisce poi ancora una volta il valore prioritario che la legge assegna alla tutela della dignità della vita; questa volta però essa implica non una precisazione dei limiti entro i quali può svolgersi l’attività di giudizio autonomo del paziente, piuttosto la riaffermazione del principio della indisponibilità della vita definisce i contorni deontologici e addirittura ii contenuto della pratica medica: sembra si voglia definire per legge cosa deve fare un medico e come lo deve fare.

La legge è stata concepita nel clamore conseguente ad un caso di cronaca assurto a modello aneddottico dei problemi derivanti dalla manifestazione delle volontà del paziente, dal loro pieno accertamento e dalla loro eventuale esecuzione. Era troppo chiedere che in condizioni di disaccordo morale e politico così accese si impostasse la legge in maniera più imparziale e consapevole delle condizioni di disaccordo esistenti fra i cittadini?

La Legge

 

Art. 3. (Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento)

1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere. Nel caso in cui il paziente abbia sottoscritto una dichiarazione anticipata di trattamento, è esclusa la possibilità per qualsiasi persona terza, ad esclusione dell’eventuale fiduciario, di provvedere alle funzioni di cui all’articolo 6.

2. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, purchè in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal codice di deontologia medica.

3. soppresso.

4. Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato, o sperimentale.

5. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice penale.

6. Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.

7. La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui è accertato che il soggetto in stato vegetativo non è più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze e per questo motivo non può assumere decisioni che lo riguardano. La valutazione dello stato clinico è formulata da un collegio medico formato da un medico legale un anestesista-rianimatore ed un neurologo, sentiti il medico curante e il medico specialista della patologia.Tali medici, ad eccezione del medico curante, sono designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria locale di competenza.

 

Anche a questo proposito sorgono alcune domande. Il comma “1” dell’art. 3 chiarisce che un congiunto (sposa, marito, genitore) non può intervenire a modificare gli effetti della dichiarazione anticipata di trattamento. Non sembra essere prevista nessuna eccezione. Infatti il quadro clinico di un parente può compromettersi fino a condizioni neanche immaginate dall’estensore della originaria dichiarazione di trattamento e ciononostante i parenti più prossimi non possono modificare quella scelta. Perché lo stato decide di intromettersi così pesantemente nel nucleo di rapporti definiti in altre circostanze “naturali” e considerati alla base della società come la famiglia? Era necessario prevedere una limitazione tanto drastica?

E ancora. Il comma “6” assimila alimentazione e idratazione a forme di sostegno vitale e pertanto sulla loro interruzione non è possibile decidere in alcun modo. In base a quali ragioni si restringe lo spettro delle decisioni disponibili per il paziente? Specie se si considera che in merito non c’è accordo unanime fra i cittadini e i medici: per alcuni idratazione e alimentazione sono cure, per altri appunto sostegni vitali. Perché allora decidere univocamente con un atto legislativo la natura dei mezzi di intervento sui pazienti?

Infine. Perché la scelta dei medici che forniscono la valutazione dello stato clinico deve essere affidata alle direzioni sanitarie delle strutture che in genere sono di nomina politica? Perché non prevedere che il paziente indichi i medici ai quali doversi rivolgere in futuro o perché non procedere per la scelta dei terapeuti ad un sorteggio fra i medici in forza nell'organico della struttura dove il paziente è in cura? La scelta delle direzioni sanitarie, rispetto ai medici ai queli affidare la valutazione dello stato clinico, potrebbe essere oggetto di pressioni o considerazioni di natura squisitamente politica, perché non tutelare i cittadini da rischi di questo tipo?

 

Art. 4. (Forma e durata della dichiarazione anticipata di trattamento)

3. Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la dichiarazione anticipata di trattamento ha validità per cinque anni, che decorrono dalla redazione dell'atto ai sensi del comma 1, termine oltre il quale perde ogni efficacia La dichiarazione anticipata di trattamento può essere rinnovata più volte, con la forma e le modalità prescritte dai commi 1 e 2.

 

Stabilito che le dichiarazioni anticipate decadono immediatamente qualora il paziente ne esprima di nuove, così come previsto dalla stessa legge in discussione, perché il legislatore non si preoccupa di dare l’impressione di opporre vincoli di natura burocratica all’esercizio di una forma di autonomia di giudizio da parte del paziente, appunto richiedendo la presentazione delle dichiarazioni del paziente ogni cinque anni?

 

Art. 7. (Ruolo del medico)

2. Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i princìpi di precauzione, proporzionalità e prudenza.

5. Nel caso di controversia tra il fiduciario ed il medico curante, la questione è sottoposta alla valutazione di un collegio di medici composto da un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, sentiti il medico curante e il medico specialista della patologia. Tali medici sono designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria locale di competenza regionale.

 

Nell’articolo sopra riportato si afferma in maniera esplicita che ancora una volta le limitazioni all’esercizio del principio di libertà di cura da parte del paziente sono vincolate non solo alle norme giuridiche esistenti (ovviamente) ma anche alla stessa deontologia medica, evidentemente equiparata a legge dello stato. Ma anche nel caso questo primo vincolo sia del tutto rispettato, rimane che nel caso in cui sorgano delle controversie fra il fiduciario nominato dal paziente e i medici a decidere saranno comunque altri medici (anche in spregio alle volontà del paziente) nominati (ancora una volta) dalla direzione dell’ospedale, con i rischi dei quali ho parlato già sopra, ovvero decisioni volte a blandire finanziatori delle strutture private o referenti politici delle strutture pubbliche che al momento sono alla guida delle stesse. Ovviamente non credo che tutti i medici siano sensibili a tali pressioni, ma dal momento che il rischio esiste, perché correrlo? Il legislatore non ci ha pensato? Come mai?

Come detto, ho cercato di evitare valutazioni della legge, né mi sono lanciato in anatemi incendiari contro i contenuti della legge come tipicamente farebbero, secondo alcuni, i laici furiosi e in quanto tali perdenti (per la cronaca: non sono d'accordo con quella definizione di Bosetti). Ho solo letto la proposta di legge e ne ho enfatizzato gli aspetti controversi. Siccome non capisco perché gli elementi che ho evidenziato siano stati inseriti nella norma, aspetto che qualcuno mi porti argomenti o fatti che rispondano alla domanda seguente: "cosa intende tutelare una norma congegnata in questo modo?".

Indietro

Commenti

Ci sono 42 commenti

Caro Marco,

intervento molto articolato, il tuo, e molto complesso sia per l'argomento in sé che per il barocco testo legislativo su cui necessariamente si sviluppa. Mi riservo di leggerlo con calma e presentare delle osservazioni ponderate.

Una sola tua domanda, ovviamente retorica, si presta ad una risposta sintetica

"cosa intende tutelare una norma congegnata in questo modo?"

Semplicemente la benevolenza elettorale di una certa parte in causa...

[per ironia, il Vangelo di domenica prossima (Mt 5,37) recita: Sia il vostro parlare: "Sì, si", "No,no" -  esattamente come il testo della legge :-) ]

"cosa intende tutelare una norma congegnata in questo modo?".

Vado senza tanti complimenti e senza troppo pensare a più complesse osservazioni indignato da questa mercanzia para-talebana. Il combinato disposto dell'art. 3 punto 6 su idratazione ed alimentazione ed il continuo richiamo ad equipe mediche nominate dalla direzione sanitaria degli istituti, sono la risposta: una marchetta volgare di marca papista. Ci si può attendere infatti che alla stregua di quel che accade per l'aborto con intere province in cui i medisi sono tutti obiettori, i nominati politici direttori sanitari, si adegueranno constantemente su come butta il vento. Burocrazia, violazione di privacy, invasione di sfere familiari ed affettive, la prevalenza del ruolo del medico, sono l'inaccettabile corollario di una norma che nega libertà di scelta all'individuo.

Marco poni delle domande giuste, però non si può non entrare nel merito "etico" di questa legge, se la vedi da quel punto di vista, di una legge con intenti morali (qualunque sia la definizione di morale) le tue sono domande retoriche (e lo sai-)),e la risposta è: la vita è un dono di Dio, e non è nella disposizione degli esseri umani, qualunque libera scelta in tal senso deve essere negata, lo Stato non è il regolatore dei conflitti, ma l'organizzazione umana che si deve conformare al volere divino (Il papa è il sole, l'imperatore la luna), e via smenando.

Potrei continuare sul fatto che questo zerbinamento su posizioni di mille anni fa (o sul tipo di certe notti in Arcore di qualche mese fa) è frutto delle vicende politiche interne, e nulla hanno a che vedere con la morale, ma mi fermo qui.

Marco,

hai ragione: io la penso in un certo modo e sai benissimo come...ma il punto è un altro. Inizialmente pensavo di accompagnare le mie righe ad una riflessione bioetica ma alla fine ho pensato che sarebbe più interessante capire cosa pensano quanti sostengono la bontà di questa legge e perché intendono rendere vincolanti per tutti le loro scelte.

Io aspetto gli argomenti dei favorevoli alla legge. 

 

cosa intende tutelare una norma congegnata in questo modo?

 

Taluni principi morali che l'ordinamento giuridico fa propri e che intende tutelare anche a scapito dei diritti del singolo cittadino. Lo Stato decide ciò che è buono per il cittadino e ciò che non lo è. Si chiama Stato Etico, e non si trova solo in Italia (si veda anche USA - con buona pace di nFA - Iran e molti altri paesi islamici). Casomai, ciò che è abbastanza curioso è il ruolo importantissimo che viene attribuito alla "deontologia medica", dalla quale il legislatore-moralizzatore potrebbe avere, nel futuro, qualche sorpresa.

Circa il ruolo di alimentazione e idratazione, nulla di sorprendente: tra scuole di pensiero diverse, il legislatore sceglie quella che le non le considera trattamenti terapeutici, pertanto non disponibili. Certo che è una scelta di campo, ma il punto è lo Stato che si fa etico, non le singole scelte di dettaglio.

Sicuramente si tratta di una marchetta pro-Vaticano; tuttavia gli italiani, che nei sondaggi si dichiarano in ampia maggioranza a favore dell'eutanasia, ritengono queste normative di principio accettabili fastidi in cambio dei vantaggi illusionistici che questo governo assicura loro. Anche perché, all'atto pratico, un medico amico disposto a staccare la spina nel silenzio più assoluto si trova. E l'etica è salva. Chi si aspetta coerenza tra voto e posizioni etiche, o leggi che contemperino posizioni distanti in contesti eticamente sensibili, stia lontano dall'Italia, patria della doppiezza morale di massa.

 

 

 

 

 

 

6. Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.

 

Non mi è chiaro quale sia la portata di questo comma. L'articolo si riferisce a quello che si può faro o meno esclusivamente nella dichiarazione anticipata. Ma allora che significa: se dico a parole al medico che non voglio più il sondino nasogastrico allora lui è obbligato a toglierlo (perché in quel caso è un trattamento sanitario), mentre invece se il medico viene a saperlo dal mio testamento biologico allora invece è obbligato a tenerlo? Mi sembra assurdo...

Forse dovrei interpretare il comma in senso più generale, cioè che sempre, in qualsiasi caso, l'alimentazione e l'idratazione sono da considerarsi sostegni vitali (e non trattamenti sanitari) e non solo quando il medico deve fare i conti con un testamento biologico. Mi sembra una bella differenza... quale delle due è giusta?

 

La seconda che hai detto, credo

In realtà, come sempre, stiamo parlando del sesso degli angeli. Come ha giustamente scritto Marcelloby, se uno vuole e lo lascia scritto si spera che abbia dei parenti abbastanza sani di mente da rispettare le sue volontà, l'importante è che non lo si dica ad alta voce altrimenti qualcuno si arrabbia (insomma, come cantava il quartetto cetra tanti anni fa, si fa ma non si dice ... e viva l'ipocrisia tutta italiana).

D'altronde perchè scandalizzarsi? ci sono coppie omosessuali in cui il più anziano adotta il più giovane per definire un asse erdeitario che altrimenti non sarebbe possibile stabilire (e ci sono esempi famosi ... ma non si può dire), ci sono coppie che per aggirare la legge che vieta la fecondazione eterologa vanno all'estero, ci sono coppie gay che ricorrono alla maternità surrogata all'estero visto che in italia non si può adottare, ecc. Questa legge è inutile, serve solo a vanificare lo sforzi del povero signor Englaro che voleva dare un senso al destino della figlia, ma tutto continuerà come adesso. Per fortuna

Una cosa non mi è chiara, la legge dice : "La presente legge garantisce politiche sociali ed economiche volte alla presa in carico del paziente, in particolare dei soggetti incapaci di intendere e di volere e della loro famiglia.".

Gradirei un parere tecnico sulla questione dell'alimentazione forzata, da quello che ho capito richiede un ambiente adeguato e assistenza continua, insomma ha un costo non indifferente,  mi piacerebbe capire se esiste una valutazione quantitativa dei casi in cui la legge avrebbe una sua applicazione concreta.

Fondamentalmente, se dovesse succedere a me di essere in uno stato vegetativo permanente la cosa che mi preoccuperebbe di più sarebbe non pesare economicamente sulla mia famiglia, considerando che:

Sarei a tutti gli effetti un morto tenuto in piedi artificialmente e potrei essere cosiderato tale anche dai miei famigliari, una volta che, invece di essere un pasto per bigattini, fossi un divertimento per qualche bigotto che si masturba intellettualmente vedendo un vegetale che viene riempito di pappetta sintetica con una pompa, per me non cambierebbe granchè, se poi la cosa viene effettuata a spese del contribuente la cosa peserebbe poco sui miei.

Detto questo il mio sospetto e che dato che le risorse effettivamente a disposizione per la sanitò ( escluse quelle per dar da mangiare a parenti e amici di qualche politico ) sono limitate, non è che il letto occupato da un vegetale in nutrizione forzata sia un letto in meno a disposizione di chi ne ha bisogno per trattamenti che potrebbero avere un efficacia molto maggiore?

Insomma che i difensori della vita alla fine sacrifichino molte piu vite di quelle che salvano?

Mi ricordo che quando si parlava di chiudere l'inutile Ospedale di Cittiglio, dato che il sig Bossi era stato lì ricoverato dopo l'ischemia cerebrale di qualche anno fa si preferì sacrificare altre spese ( si dice di soldi destinati all'ampliamento della cardiochirurgia di Varese ) per tenere in piedi cotanto sacro luogo.

 

Vi posso portare un esempio concreto, per non apparire solo teorico per la parte spese e costi puramente economici.

Un paziente di 50 anni viene ricoverato in una RSA (casa di riposo): Arresto cardiaco, con la "sfortuna" di essere rianimato a lungo e riportato in una condizione di vita vegetatica permanente.

Senza entrare in altri particolare il paziente è alimentato tramite sonda gastrostomica (tubo infilato direttamente nello stomaco dalla parete addominale). Le condizioni cardiache e respiratorie sono stabili e buone. Speranza di vita anche 30\40 anni.

La moglie deve contribuire con il pagamento della retta alberghiera (43,00 €\die). Il costo per la collettività è rappresenta dalla retta sanitaria (80,00 €\die) che si somma alla precedente. Il paziente costa quindi circa 123,00\die attualmente.

La beffa per quella moglie è rappresentata dall'indeducibilità fiscale della retta albergheria richiamata. (Infatti non si possono dedurre le spese alberghiere a meno che non siano intese come spese per l'attività d'impresa, professionale)

Certo. Una volta creato il bisogno, inizia il circuito virtuoso servizio-convenzioni-mazzette. La sanità privata italiana è potentissima.

 

Sarei a tutti gli effetti un morto tenuto in piedi artificialmente e potrei essere cosiderato tale anche dai miei famigliari, una volta che, invece di essere un pasto per bigattini, fossi un divertimento per qualche bigotto che si masturba intellettualmente vedendo un vegetale che viene riempito di pappetta sintetica con una pompa

 

Ma scherzi? Già dimenticata la lettera del Capo del Governo alle suore che accudivano la Englaro?

Questo tipo di cure è quello che deve fare da esempio a chi ci governa.

 

Morire e' un evento naturale; focalizzarsi sulle tecniche mediche al fine vita e' solo un modo per non parlare di morte. E' cosi' brutto morire? Magari si ma tutti ci arriveremo prima o poi. Per i cattolici poi dovrebbe essere meno drammatico che per chi non crede. Ma in Italia la logica e' ancella della ideologia e delle varie consorterie di potere.

Chiunque ha diritto di decidere come e dove morire. E anche ha il diritto di sciegliere come curarsi.Questi sono principi che sono anche definiti e riconosciuti dagli esperti di medicina palliativa. Ho discusso della faccenda con il responsabile del centro di medicina palliativa di Monaco di Baviera Giandomenico Borasio.

In Germania c'e' il testamento biologico che consente al paziente di rifiutare qualsiasi terapia in qualsiasi momento.Il testamento era stato proposto addirittura prima della legge dalla conferenza episcopale tedesca e da quella evangelica.

 

Parlo da medico (alle prime armi, ma in quanto specializzando in un reparto medico continuamente a contatto con problemi potenzialmente inerenti alla legge in esame), e faccio due considerazioni spero abbastanza rapide:

1) l'art. 1, nella sostanza, non dice nulla che non sia già contenuto nell'articolo 32 della Costituzione, nell'art. 5 del codice civile, nel codice penale e nel codice deontologico dell'ordine dei medici. Parlando della forma invece degni di nota sono il comma 1b che nella lettera è condivisibile, nella pratica esprime un sospetto del pensiero conservatore (vedi anche i Tea Parties e la paranoia dei "panel of death") nei confronti delle varie forme di eutanasia legalizzata, e cioè l'idea di uno stato che decide chi vive e che muore, e che nulla  a che fare con la prassi vigente in paesi come la Svizzera, il Belgio, l'Olanda, l'Oregon ecc. ecc.; e naturalmente il comma 1a, che non si discosta poi tanto da quanto deriva dall'art. 5 del codice civile (nel nostro ordinamento, come in nessun ordinamento al mondo, l'individuo non ha piena disponibilità del proprio corpo; ad esempio è proibita la compravendita di reni, l'uso di sostanze stupefacenti illegali, ecc. ecc.) ma lo subordina a un'idea di fondo che a me pare francamente religiosa.

2) la seconda considerazione è più pratica. Tutti noi pensiamo ai casi di Eluana Englaro, o di Terri Schiavo, cioè lo stato vegetativo persistente in pazienti giovani, vittime di eventi acuti, o stati di assoluta incapacità a coscienza conservata (SLA, tetraparesi...). Le ricadute pratiche più rilevanti di questa legge invece potrebbero avvenire su casi estremamente più frequenti, cioè gli stadi avanzati delle malattie degenerative dell'anziano (Alzheimer, Parkinson, demenza arteriosclerotica, ictus recidivanti...). Sono pazienti che, alla fine del decorso, sono allettati, completamente incoscienti, e hanno crescenti difficoltà all'alimentazione naturale per perdita del riflesso della deglutizione. Cosa si fa di questi pazienti? Continuare a dare cibo per bocca, seppur con varie precauzioni, porta in ultima analisi all'aspirazione di contenuto alimentare a polmonite ab ingestis. Non parlo di casi rari: in due anni di specializzazione ne ho visti letteralmente a decine. La nutrizione può essere somministrata solo tramite sondino naso-gastrico, o PEG (Percutaneous endoscopic gastrostomy: praticamente, un tramite che permette di inserire cibo direttamente nello stomaco). La seconda in particolare può essere tenuta a lungo termine; se il paziente non ha altre grosse magagne può durare così dei mesi, anche più di un anno nei pazienti relativamente giovani.

Ora ci troviamo di fronte a Mario, 78 anni, Alzheimer diagnosticato da 10: è costretto a letto, anchilosato, non ha nessun'interazione con il mondo esterno, al massimo si lamenta per il dolore. Viene ricoverato nel mio reparto per una polmonite ab ingestis. Una rapida valutazione dimostra che il riflesso della deglutizione non è conservato. Cosa posso fare io? La cosa umana è dargli gli antibiotici, rimandarlo in casa di riposo e di dire ai parenti che gli diano con molta attenzione delle pappine, aspettando che la natura faccia il suo corso, pur sapendo che non sarò mai in grado di dargli un apporto nutritivo adeguato e che in ultima analisi morirà o di polmonite, o di inedia. La legge ora dice, esplicitamente, che idratazione e alimentazione "sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita". Se nego al paziente la PEG, sono imputabile di sottrargli un sostegno che gli è dovuto, o addirittura un "diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere" (art. 1, comma 1a). Evidentemente ai sensi di questa legge la PEG o il SNG, pur essendo manovre invasive, non possono essere considerati "trattamenti straordinari non proporzionati" nonostante pazienti di questo tipo vadano considerati a pieno titolo come terminali, esattamente come se avessero un cancro agli ultimi stadi (questo concetto, cristallino negli USA, tra i medici italiani non è ancora ben compreso). Sinceramente, non penso che io o qualche mio collega verrà arrestato per non aver infilato un sondino nel naso di un paziente come quello del mio esempio (spero almeno!). Il problema è un altro, e cioè che il paziente non sarà difeso in nessun modo dalla volontà di un medico o dei parenti di mantenerlo in vita indeterminatamente con manovre invasive, a scapito della propria dignità, visto che la legge esplicitamente sottrae queste "forme di sostegno vitale" alla pertinenza delle dichiarazioni anticipate! Questa è una cosa che riguarda potenzialmente tutti, non solo pochi casi sfortunati e famosi. Proprio ieri sera un mio collega ha detto che si farà tatuare una mano che esibisce il dito medio all'altezza dello stomaco, giusto per far capire in maniera esplicita quanto gradirebbe avere un tubo infilato nella pancia.

Scusate la prolissità ma mi paiono considerazioni importanti. Nel complesso, rispondendo al quesito dell'autore e sperando di non aver tracimato nella bioetica, questa legge risponde a un particolare caso di cronaca, ma va a influire indebitamente in una vasta zona grigia della prassi medica.

Caro collega,

Hai centrato l'argomento. Ti posso correggere, ma solo perchè probabilemente ho pratica professionale alle spalle più lunga della tua, che con la PEG ho visto pazienti vivere ancora più di cinque anni.

Se poi ci aggiungi il Pace Maker, e un medico che si accorge subito degli ab ingestis, si creano quelli che un nostro collega definisce gli immortali.

Ci sono poi tra i famigliari sempre qualcuno che desidera la vita sempre, in ogni caso per il proprio congiunto (dare anni alla vita , non vita agli anni) e quindi minaccia di denuncia il medico che lascia morire di fame se non usa il sondino naso gastrico o la PEG, anche se tutti gli altri congiunti non sono dello stesso parere. Esperienza personale non sporadica e che fa si che per pararsi il posteriore........

 

Il comma 1f non dovrebbe impedire un caso del genere?

 

                                                                        In Italia non esiste la pena di morte (dal 2007, non da tanto)...

 

Mi scusi, Sig. Fulcanelli, ma non è esattamente così.

Spero di non sembrarle l'Azzeccagarbugli di manzoniana memoria, ma mi permetto qualche precisazione.

In Italia, la Pena di morte prevista dal Codice Penale di Diritto comune, è stata abrogata dall'art. 1, commi I e II, Decreto Legislativo Luogotenenziale (D. Lgs. Lgt.) 10 Agosto 1944, nr. 2241.

Mentre, la Pena di morte prevista dal Codice Penale Militare di guerra, nonché dalle Leggi militari di guerra, è stata abrogata dall'art. 1, comma ILegge 13 Ottobre 1994, nr. 589.

Invece, la Legge costituzionale 2 Ottobre 2007, nr. 1, da lei linkata nel suo commento, ha soltanto soppresso le seguenti parole, presenti nella formulazione dell'art. 27, comma IV, Costituzione:

 

                                                                         [ se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra]. 

 

 

 

_______________________

1 Per queste notizie, può confrontare, se vuole, Marinucci - Dolcini, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Milano, Giuffrè, 2006, pag. 120.

  Inoltre, Codice Penale e Normativa Complementare, a cura di Carlo Enrico Paliero, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2008, art. 17, Notanr. 3.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ha perfettamente ragione. Concordo sulle date e le citazioni di leggi e decreti. Grazie per la bibliografia, che purtroppo esula dalla mia modesta libreria (chiamarla biblioteca sarebbe presunzione).

Devo alla mia ignoranza giuridica aver considerato così importante quella Legge Costituzionale che

...ha soltanto soppresso le seguenti parole… 

 

 [il grassetto nella citazione è mio] permanendo le quali ritenevo che la Costituzione consentisse di reintrodurre la pena di morte nel Codice Penale Militare di guerra, magari con una legge a maggioranza semplice. Quanto alla legge abrogata nel 1994, è stato talmente tanto tempo fa… si figuri che c'era già Berlusconi!

Grazie per avermi reso edotto

Tranquillo, Sig. Fulcanelli! Semmai lei avesse commesso un peccato, per dir così, si tratterebbe certo di un peccato veniale...!!!  :)  :)

Per completezza, e nel caso lei fosse interessato, le notizie di cui si parlava ieri può trovarle nella maggior parte dei Codici Penali in commercio, edizioni cartacee, oppure on line.

Queste edizioni del Codice Penale di Diritto comune  - cioè, non quello Militare! -, agli articoli 17, o anche 21, riporteranno, in Nota, le notizie di cui parlavamo ieri.

 

Vorrei poter dar conto di un'esperienza personale, perché, credo, possa essere utile a porre una questione più generale.

Nelle ultime settimane, presso lo Studio notarile, abbiamo ricevuto diverse Dichiarazioni anticipate di trattamento(Dat). I dichiaranti, tra le altre cose, hanno sottoscritto che, in caso di malattia o evento traumatico cerebrale, invalidante e irreversibile, a causa dei quali fossero impossibilitati, in futuro, a manifestare liberamente il loro consenso alle cure mediche, intendono rinunciare, oltre che a trattamenti sanitari, anche ad alimentazione, idratazione e ventilazione, forzate e artificiali.

Tra i dichiaranti, c'è stato chi si è rivolto allo Studio notarile, dopo che, qualche Notaio1, si sarebbe detto non disponibile, a loro dire, per ragioni etico-religiose, a ricevere le Dat con, all'interno, anche la rinuncia ad alimentazione, idratazione e ventilazione artificiali.

Personalmente, e molto sommessamente, trovo che, la scelta di qualche Notaio di non ricevere, se richiesto, le Dat, sia una scelta rispettabilissima. Ma, può dirsi, una scelta anche condivisibile? Mi permetto di dubitarne, con due argomenti.

Prima di passare agli argomenti, mi sembra corretto premettere che, anch'io, sono tra quelli che hanno lasciato Dichiarazioni anticipate di trattamento, con designazione dell'Amministratore di sostegno, ai sensi dell'art. 408, comma IICodice Civile. 

Gli argomenti di cui dicevo sono questi.

1. Il primo, è di tipo normativo. L'art. 27, comma I, Legge 16 Febbraio 1913, nr. 89 (cd. Legge notarile), prevede che

 

                                                      Il notaro è obbligato a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto.

 

L'art. 28, comma I, aggiunge che

 

 

                                     Il notaro non può ricevere atti:

                                     se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico (...).

 

 

Credo di poter dire che, la stragrande maggioranza dei Notai, sia perfettamente disponibile a ricevere, e autenticare, allo stato attuale, le Dat.Pour cause, direi. Poiché, allo stato attuale, non c'è alcuna disposizione di Legge che vieti, al Notaio-Pubblico ufficiale, di ricevere tali Atti.

Già il Consiglio Nazionale del Notariato, con Delibera 23 Giugno 2006, si era espresso in tal senso, ritenendo che il Notaio possa, e non debba, ricevere i cd. Testamenti di vita, proposti dalla Fondazione Veronesi.

 

2. Il secondo argomento, lo sintetizzerei in una domanda. E' lecito che, il Notaio-Pubblico ufficiale, richiesto il suo intervento, faccia prevalere la sua pur rispettabilissima coscienza privata, rispetto alla  - pubblica - funzione notarile ?

Assai modestamente, a me sembra che, nel decidere di ricevere oppure no le Dat, la funzione notarile, debba essere anteposta alle pur rispettabilissime ragioni etico-religiose o filosofiche, del singolo Notaio.

________________________

1   E' appena il caso di ricordare che, per lasciare delle Dat, l'intervento del Notaio, come di ogni altro Pubblico ufficiale, allo stato attuale, non è affatto necessario. Tuttavia, l'intervento del Pubblico ufficiale, può rivelarsi assai utile, al fine di evitare contese tra, poniamo, il Rappresentante fiduciario, nominato nel Documento, e i medici, responsabili delle cure mediche. Contese che potrebbero sorgere, verosimilmente, in merito a dubbi circa la paternità del Documento - ad esempio, una Scrittura privata! -, nel quale siano state versate le proprie volontà. 

 

Come riporta marco boninu nel post, l'art. 1, comma 1, lett. a), di questo Progetto di Legge, prevede che

 

 

                                                  La presente legge (...) riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile e indisponibile (...).


 

 

Avrei una domanda, non retorica. Ma la vita umana, nell'Ordinamento giuridico italiano, è, già oggi, un bene indisponibile? Oppure lo diventerebbe, nel caso questo Progetto di Legge diventasse Legge dello Stato?

Perché faccio questa domanda? Perché, francamente, c'è qualcosa che mi sfugge. La cosa che mi sfugge, mi viene presentata in questa notizia di cronaca.

In uno dei due casi di cronaca riportati in questa notizia, Maria Grazia Pavin, 41 anni, a causa di un incidente, riporta ustioni sull'80% del corpo. I medici, in Ospedale, comunicano ai genitori che, nel tentativo di salvarle la vita, si rende necessario amputare, alla povera donna, un piede e una mano. La donna, con un filo di voce, rifiuta, legittimamente, le due amputazioni, e muore dopo 19 giorni trascorsi in Rianimazione.

Mi chiedo: Ma se la vita umana è, per davvero, un bene indisponibile, e perciò non negoziabile, non avrebbero dovuto considerare, le Autorità, il consenso della donna, giuridicamente irrilevante, e quindi obbligarla a subire le due amputazioni? Se la vita umana è indisponibile, vorrà dire, oppure no, che, la donna stessa, non può validamente disporne?

Un'ultima considerazione. La nostra Costituzione, all'art. 32, comma II, prevede che

 

 

                                         Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (...).

 

Il grassetto è mio! 

 

 

Se questo Progetto di Legge  - si può dire, miope e confessionale? -, dovesse diventare Legge, sarà proprio la << disposizione di legge >>, di cui parla l'art. 32, comma II, Costituzione ?

 

 

 

 

 

 

 

Ancora una notizia di cronaca, ad insinuare, a parer mio, sempre lo stesso dubbio: Ma la vita umana, in Italia, è un bene indisponibile, o disponibile ?

Anche in questo caso di cronaca, sembrerebbe che, la vita umana, sia un bene disponibile. La povera donna, infatti, volontariamente e coscientemente, ha deciso di rifiutare le cure mediche, avendo ben chiaro quale destino l'avrebbe attesa.

Ma, una parte importante della Politica italiana, appena qualche anno fa, sosteneva che

 

                                            (...) la vita è un bene indisponibile e come tale va tutelato dal concepimento fino alla morte naturale (...).

 

Lo stesso concetto è ribadito nel Progetto di Legge, che si commenta in questo post.

Boh! Io continuo a non capire!

 

Dicono che nel caso la signora si sia avvalsa dell'art.32, è un po' come se la signora si fosse rifiutata di fare una chemio o di farsi amputare un braccio. Come questo si concili con le dichiarazioni dei nostri politicanti e con l'atteggiamento tenuto nei casi Welby/Englaro rimane misterioso anche per me.

Corrado, ciò che volevo sottolineare ieri, era proprio questo. Sostenere che, la vita umana, sia un bene di cui noi stessi non possiamo disporre, è un'opinione rispettabilissima. Anche se, dal mio punto di vista, non condivisibile.

Però, di fronte ai casi di cronaca linkati, mi chiedo: Chi, soprattutto in Politica, sostiene la tesi della vita come bene non disponibile, non ha nulla da dire, rispetto a questi casi di cronaca?

Come mai non ha fatto sentire la propria voce?