La città dove la morte è rosa

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Lo Stato finanzia lo sviluppo locale della siderurgia a Taranto da anni. Questo articolo vuole giudicare l’operato del Governo nella gestione della questione ILVA. Le domande che questo articolo vuole porsi sono:  (i) ha senso continuare a finanziare indirettamente l’industrializzazione di specifici località, come quella Tarantina? (ii) ha ragione il Governo che attacca nel merito scientifico i risultati della perizia sull’inquinamento di Taranto e le competenze della magistratura?  

Noisefromamerika si era già occupata delle pesanti esternalità dell’inquinamento a Taranto, che non entrano in nessun computo costi-benefici diretto, ma che gravano pesantamente sui malati e sui contribuenti regionali che pagano le cure per le malattie causate dall’ILVA di Taranto. 

La questione inquinamento-ILVA è di primo piano a Taranto almeno dalla prima sentenza del Tribunale di Taranto al riguardo, nel 1982. Da allora, una numerosa serie di processi, associati a fallimenti politico-istituzionali. Per quanto riguarda i processi, tra i più recenti ricordiamo quello sull’abbattimento dei capi di bestiame contaminati dalla diossina, oppure gli esposti recenti dell’ARPA (1), oppure le condanne inflitte dal giudice Rosati ai vertici ILVA nel 2007 (2). L’elenco dei fallimenti politico-istituzionali sarebbe troppo lungo: basti ricordare la tardiva attivazione del registro dei tumori jonico salentino, che ha impedito analisi statistica rigorosa durante i precedenti processi. Basti citare cosa si scrive in una relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti commentando una situazione al Settembre del 2010: "solo di recente è stato istituito nella provincia di Taranto un registro dei tumori, benché si tratti di un territorio particolarmente a rischio proprio per l'elevato carico inquinante concentrato nella zona”. Non è ancora chiaro cosa abbia causato ritardo. Di certo non sono mancate le richieste di tali dati da parte di ricercatori ed ambientalisti negli ultimi decenni, né le interazioni tra politici locali e vertici ILVA. Basti ricordare i famigerati atti d’intesa firmati da Ilva, Regione Puglia, Provincia, Comune di Taranto e sindacati, tramite i quali si ritirava la parte civile di Comune e Provincia nel 2005 dal processo che portò alla condanna dell’azienda da parte della Cassazione a Settembre dello stesso anno. Questi atti sono commentati così dal gip: "Nel corso degli anni e fino alla data odierna nessuna misura idonea è stata mai sostanzialmente adottata, sicché le polveri, unitamente a fumi e gas, continuano a diffondersi nell'ambiente circostante. E cioè nonostante i diversi atti di intesa (...) risalenti al gennaio 2009, febbraio 2004, dicembre 2004 e ottobre 2006 (..) Nulla è cambiato sino ad oggi nonostante la farsa degli atti di intesa".

Cosa hanno prodotto questi famosi atti di intesa è poco chiaro. Evidenza aneddotica documentata da giornali vuole che in seguito a uno di questi atti di intesa l’ILVA abbia pagato  le fontanelle del cimitero di Taranto (costo:150 mila euro): unico cimitero "tinteggiato" di un singolare color rosa, scelto per la buona compatibilità con il colore delle polveri provenienti dal parco minerale ILVA.  L’inaugurazione delle fontanelle ha visto la presenza dell’attuale sindaco di Taranto Stefano e dei vertici ILVA. Inoltre, durante una intervista a La7, i vertici del comune di Statte hanno dichiarato che l’ILVA aveva donato al Comune di Statte, a seguito di una intesa, un terreno di 13mila metri quadri da essere destinato ad un parco per bambini. A seguito di analisi dell’ARPA il Comune di Statte è stato costretto a rifiutare la donazione perché il terreno era inquinato da berillio. Probabilmente questi non sono gli unici risultati ottenuti da questi atti di intesa politica-ILVA, ma questi sforzi non hanno evitato che i tecnici rilevassero attività irregolari successive agli accordi.

Ma la vera svolta è arrivata dalla recente attivazione del registro dei  tumori jonico salentino e dalla c.d. “maxi perizia” richiesta dal gip Patrizia Todisco. In breve, utilizzando metodi epidemiologici sui recenti dati, la maxi perizia ha riscontrato un legame tra emissioni ILVA e determinati tipi di malattie connesse alle fonti inquinanti emesse. Successivamente ed a seguito di questi risultati, la magistratura ha sottoposto agli arresti domiciliari alcuni dei vertici dell’ILVA e decretato il sequestro di alcune delle aree più inquinanti dello stabilimento. A questo punto la questione è diventata di rilevanza nazionale, considerati i numerosi posti di lavoro a rischio, stimati in circa 15mila.

Il Governo ha reagito con forza solo al sequestro degli impianti, organizzando incontri con i vertici locali e  l'ILVA.  Il presidente ILVA Ferrante in una intervista successiva all’incontro istituzionale con il Ministro dell’Ambiente Clini del 2 Agosto ha dichiarato testualmente, riguardo la possibilità della riduzione dell’impatto ambientale dell’ILVA: “Bisogna poi ragionare sulle ricadute finanziarie di alcune iniziative.” Questa frase sembra volere indicare che l’ILVA chiede aiuti statali per la messa in regola dello stabilimento.  Poco dopo quella serie di incontri, il Governo ha cominciato ad attuare la sua strategia: (i) stanziando una cifra considerevole (si è letto intorno ai 300 milioni di euro) per la bonifica della zona, ed (ii) attaccando le conclusioni della perizia scientifica che secondo il ministro Clini si basa su studi che riflettono inquinanti di decenni precedenti.  Secondo chi scrive entrambe le proposte rischiano di non essere risolutive.

Prima di tutto, continuare a stanziare ingenti somme di denaro per la bonifica della zona beneficerà chi nella zona ha investito pesantemente, piuttosto che chi nella zona ci vive e paga i costi indiretti dell’inquinamento, e chi pagherebbe con il posto di lavoro in caso di una eventuale chiusura dell’impianto se fosse dichiarato fuorilegge.  È, in salsa diversa, il solito argomento che alcuni economisti, principalmente quelli di economia urbana, fanno per evitare aiuti locali allo sviluppo. Un intervento di questo tipo beneficerebbe in particolare l’ILVA, senza alcuna garanzia che questi aiuti sarebbero sufficienti a risolvere il problema ed evitare che i posti di lavoro vadano comunque a rischio. Se possibile, la storia in Italia ha insegnato che gli aiuti alle imprese, diretti o indiretti che siano, servono solo a prolungare l’agonia di imprese non più competitive piuttosto che risolverne i problemi. Sbaglia chi oggi crede che la Magistratura voglia prevaricare il Governo e dettare la politica industriale del Paese. I reati contestati alla proprietà ILVA sono precisi. La logica interna dell’impianto accusatorio è stata confermata anche dal Tribunale del Riesame, che ha successivamente confermato il sequestro degli impianti disposto dal gip. Bisognerebbe chiedersi se l’ILVA può essere competitiva rispettando le normative vigenti, e possibilmente risarcendo i danni provocati da presunte inadempienze passate, se queste venissero provate, piuttosto che discutere sulle competenze dei magistrati. È fondamentale che si indirizzino i soldi verso le persone piuttosto che verso le località, soprattutto quando le località in questo caso sono dominate da imprese che in passato hanno dimostrato di non sapere operare operare  nel rispetto della legge, o per mancanza di competitività oppure per la volontà di estrarre rendite. Inoltre, appare poco chiaro perché lo Stato debba farsi carico di bonifiche nel caso il processo provasse che l’inquinamento è stato causato da attività illegali dell’ILVA. La bonifica è necessaria, ma è anche necessario che chi operi al di fuori delle regole paghi le conseguenze economiche dei suoi errori, se davvero venisse accertato l’operato illegale. Quando il Ministro Clini parla delle difficoltà ad attrarre investitori esteri se il Paese lanciasse il segnale di lasciare la politica industriale alla Magistratura (3), sarebbe bene che ricordasse la vasta letteratura economica secondo la quale regole del gioco chiare e sistema legale che punisca chi opera al di fuori delle regole, anche con richieste di risarcimento, sono fattori fondamentali per attrarre investimenti esteri. O forse gli investitori esteri non avrebbero problemi a vedere una grossa impresa domestica sostenuta dallo Stato dopo essere stata accusata di avere violato numerose leggi? Speriamo non si siano assuefatti allo spettacolo…

L’ILVA attuale inquina? È vero che i dati attuali riflettono la situazione di decenni fa (della vecchia Italsider, insomma), e non delle emissioni più recenti come il Ministro Clini sostiene?  Quanto sono rigorosi questi studi? Chi scrive non è un avvocato né un epidemiologo.  Tuttavia, agli atti del processo vi sono filmati che documentano durante la notte plurime ed imponenti emissioni di fumi che dalle aree basse dello stabilimento, che non sono mai state censite in orari notturni. Inoltre, agli atti vi sono numerosi dati epidemiologici su eccessi di mortalità per tumore ed eccessi di incidenza di malattie respiratorie. I consulenti nominati dal Comune di Taranto fanno giustamente notare qui come la perizia anlizza non solo effetti di lungo periodo dell’inquinamento, ma anche effetti di breve periodo ascrivibili in maniera inequivocabile alla proprietà corrente dell’ILVA. Mi pare di capire che le metodologie degli studi che usano l’eccesso di mortalità non sarebbero sufficientemente rigorose da provare la causalità scientifica: per esempio, gli standard scientifici contemporanei imporrebbero di prendere in considerazione la possibilità che lo stile di vita dei Tarantini che vivono nel rione Tamburi (quello adiacente all’ILVA) sia diverso da quello del resto delle aree piu’ lontane dalle emissioni. Se questo fosse vero, perché per esempio persone più propense a fumare scelgono di vivere piu’ vicino ad impianti industriali, uno potrebbe osservare una correlazione tra impianti industriali e alcuni tipi di malattie senza che questo implichi necessariamente un nesso di causa tra industrie ed eccesso di mortalità. In statistica questo problema si chiama “selection”, ed in questo caso è l’idea che persone con abitudini diverse possano scegliere di vivere in quartieri diversi della stessa città, e che quindi persone più propense ad ammalarsi scelgano di vivere più vicine agli impianti. Con i dati attuali non è possibile dire quanto questa auto-selezione può essere un problema, e l’unica soluzione sarebbe realizzare un esperimento assegnando persone simili a quartieri diversi. Un esperimento del genere è di difficile realizzazione, anche se non del tutto infattibile, come Moving To Opportunity in America dimostra. Quindi non è chiaro cosa sarebbe successo agli abitanti del quartiere Tamburi se l’ILVA non avesse mai  inquinato. Tuttavia, la difficoltà di stabilire un rapporto di causa scientifico non deve fare abbandonare l’analisi del problema. Non sempre si hanno a disposizione i risultati di un esperimento a prova di qualunque obiezione statistica e che prova la causalità scientifica, e spesso i giudici sono chiamati a pronunciarsi su questioni dove un esperimento controllato non è fattibile in tempi brevi. L’indicatore di eccesso di mortalità di una data malattia in una data area in seguito ad emissioni è di solito considerato sufficiente per stabilire la causalità giuridica tra inquinamento e malattie. Questo è vero anche perché la perizia ha trovato emissioni al di sopra dei limiti legali in tempi molto recenti (e successivi a tutti gli atti di intesa) e ricoveri ospedalieri per malattie (ad esempio respiratorie) il cui periodo di latenza è relativamente breve. Questa evidenza assume maggiore rilievo soprattutto quando le ricerche mediche corroborano il legame tra il tipo di emissioni ed il tipo di malattie in seguito osservate, come succede per il caso in esame.  

 In conclusione, il governo dei tecnici sembra avere opinioni in linea più con i loro non-tecnici predecessori, ad esempio PD e PDL, che sostengono questo Governo in Parlamento, piuttosto che con la gran parte dei tecnici veri, sia giuridici che epidemiologi. È fondamentale che il Governo prenda seriamente le indagini della magistratura e le perizie scientifiche ed eviti di ripetere errori passati mascherando aiuti alle imprese e pagamento pubblico di danni privati altrui come sostegno al territorio.

Note:

(1) "La magistratura è intervenuta perché è fallita la politica", Associazione PeaceLink, 26 Luglio 2012 
(2) "Inquinamento, condanne all'ILVA", La Repubblica, 13 Febbraio 2007 
(3) "Governo e magistratura: "Non confondere i ruoli" ", La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 Agosto 2012

 

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Commenti

Ci sono 42 commenti

Io non ho capito una cosa: si', il sito e' impestato da decenni di malagestione (criminale, direi) che ne ha provocate di cotte e di crude. Ma ora, allo stato attuale, con gli impianti di adesso, sono risultate misure al di fuori dai limiti consentiti dalle leggi o no? C'e' una qualche cifra in proposito? Per me tutta la questione si risolve in questo ed e' di una semplicita' disarmante. Se le misure fuori dai limiti ci sono, non si capisce perche' dovrebbero essere tollerate. Se le misure che sforano non ci sono, di cosa stiamo parlando? Delle responsabilita' passate? Ottimo, si mettano in galera i responsabili senza tante storie, buttando via la chiave. Ma perche' chiedere di arrestare la produzione, se non ci sono dati misurati che gli impianti attuali sono fuori norma?

 

Se non ci sono misure sulle emissioni, mi chiedo che diavolo di perizia sia stata fatta. Un'acciaieria non puo' fermarsi per evitare un controllo, ne' puo' decidere di emettere solo quando nessuno controlla (la storia delle emissioni solo notturne mi sembra molto strana). Anche perche' esiste la maniera di fare controlli sulle emissioni in continuo per piu' giorni di fila. Se non sono state fatte queste misure, che ragionamento ha fatto quello che ha ordinato l'esecuzione delle perizie? E che cosa pensa di avere dimostrato?

Ciao Gilberto. Parte dei dati e' qui: http://affaritaliani.libero.it/static/upload/edc_/edc_dnws2402.pdf . La questione e' piu' complicata di quello che dici, perche' non tutte le aree dell'ILVA sono state censite (vedi documento). Inoltre, il tuo ragionamento assume che l'unico reato che una impresa inquinante puo' compiere e' di superare i limiti di emissioni. Questo non e' necessariamente vero. Non sono un legale, ma per quel ho capito generare pericolo per la pubblica incolumita' e' gia' di per se' un reato (e per valutare questo reato, piu' che le emissioni da sole, servono i dati epidemiologici).

Due parole riguardo le emissioni notturne: si, e' possibile. I filtri sono impianti molto costosi e molte acciaierie (potrei pubblicare una lista) li spengono di notte poiche' e' piu' difficile vedere ad occhio nudo le emissioni dei camini, e nessuno va a controllare di notte.

E' facile accorgersene il mattino successivo, dal sottilissimo strato di polvere che si accumula sull'ambiente circostante. E poi mi vengono subito attacchi d'asma.

 

L'inquinamento di una accaieria e' quindi peggiore di notte per questo motivo. A meno che, ovviamente, non ci si trovi in alcune localita' dell'estremo oriente, dove non si fa nemmeno finta di avere i filtri. Basta secretare i dati sull'inquinamento.

Purtroppo in molte localita' (anche qui la tentazione di fare la lista e' grande) l'inquinamento e' arrivato ad un punto che non e' possibile materialmente lavorare negli impianti senza star male dopo qualche minuto. In quei giorni la produzione viene fermata, procurando un gravissimo danno economico (si misura in migliaia di euro per minuto, per singolo impianto - chissa' quanto stara' perdendo il Sig.Riva) che renderebbe conveniente avere i filtri e tenerli sempre accesi.

 

A proposito: e' nota l'obiezione che gli avvocati difensori dicono sempre sulla correlazione fra i casi di tumore e l'inquinamento, cioe' che non ci sono dati scientificamente confermati, e via dicendo.

 

La domanda che viene spontanea, dunque, e': nei casi in cui gli operai si sentono male dopo qualche minuto (facciamo dopo qualche ora, va!) dall'inizio del loro turno di 12 ore, si puo' ancora pensare che non ci sia nessuna correlazione, oppure e' gente che naturalmente si sente male dopo pochi minuti dall'inizio del turno?

Ed e' normale che escano dall'impianto cosi' neri che, se chiudono gli occhi, non si capisca da quale parte sono girati?

 

E' normale invece che nelle acciaierie in Amerika, patria del capitalismo, i controlli siano severissimi, il rischio di chiusura reale, gli incidenti sul lavoro ridotti quasi a zero e l'impianto non venga mai fermato? E che gli operai escano puliti come sono entrati, e che non si accumuli nessuna polvere intorno agli impianti, sebbene vengano costruiti piuttosto distanti dai centri abitati?

 

NOTA - questi dati non hanno valore statistico ma sono frutto della semplice esperienza. Pero' c'e' da aggiungere che di impianti cosi' non ce ne sono molti, nel mondo, ed un semplice tecnicaccio come il sottoscritto puo' averli visti quasi tutti....

L'articolo inizia con una serie di domande. Vorrei aggingere le mie e comincio con questa:

ma chi diavolo ha mai deciso di costruire un'acciaieria in mezzo ad una città, vicino alle case? Oppure, ma non cambia molto, chi diavolo ha permesso la costruzione di case, interi quartieri, vicino ad una acciaieria di quelle dimensioni?

Perché a ben vedere questa situazione è fortemente indicativa di un enorme disastro pubblico, della scelta pubblica. Prima del 1995 l'ILVA era ITALSIDER ed era un'acciaieria di Stato. Inquinava molto di piu' (ho letto di stime di 900 gr di diossina all'anno contro i 3 attuali, pur facendola tara al discorso dei fumi notturni). E la decisione di "ospitare" un'acciaieria in città, vicino al porto (scelta motivata da considerazioni economiche relative ai costi di trasporto) è una decisione pubblica. I piani regolatori sono comunali, sicuramente approvati anche da livelli superiori di controllo. Non mi interessa il colore politico delle giunte di allora e dei governi nazionali. Mi preme segnalare a chi ritiene che le scelte di un "illuminato pianificatore pubblico" siano migliori delle scelte di ottusi ed egoisti capitalisti privati che forse è il caso di rivedere simili certezze. Il settore pubblico, per interessi personali, politico, sindacali, sa fare anche di peggio. E non mi interessa nememno conoscere il colore politico di certi giudici ma solo rilevare che l'obbligo dell'azione penale (se reato esiste) valeva anche negli anni 60, 70, 80 e 90. Perché si svegliano solo adesso e perché non indagano anche su chi ha permesso la coabitazione di abitazioni e fabbrica (ma vieta il pascolo nelle vicinanze?)

Mi fermo qui, consapevole che le domanda sono decisamente retoriche e "risposta non c'è".

Più in là farò ulteriori considerazioni ed una proposta.

 

Mi preme segnalare a chi ritiene che le scelte di un "illuminato pianificatore pubblico" siano migliori delle scelte di ottusi ed egoisti capitalisti privati che forse è il caso di rivedere simili certezze. Il settore pubblico, per interessi personali, politico, sindacali, sa fare anche di peggio. E non mi interessa nememno conoscere il colore politico di certi giudici ma solo rilevare che l'obbligo dell'azione penale (se reato esiste) valeva anche negli anni 60, 70, 80 e 90

 

Bravo, bravissimo! Spendo l'ultimo commento per farti i complimenti!

Saranno anche "domande retoriche" ma troppo poche persone se le pongono in Italia. Soprattutto la segnalazione sull' "illuminato pianificatore pubblico" andrebbe inserita nei programmi scolastici a partire dalle medie. 

la scelta di Taranto come sede del quarto centro siderurgico (dopo Cornigliano, Piombino e bagnoli) fu fatta all'inizio degli anni Sessanta e fu puramente politica. I vertici dell'Italsider volevano espandere l'impianto di Piombino. I politici vollero un nuovo stabilimento e scelsero Taranto per favorire l'industrializzazione del Sud e sostituirono i vertici Italsider che si opponevano (uno dei primi casi di palese ingerenza in una decisione puramente manageriale

La storia è raccontata in un libro-intervista di Osti, il manager sostituto 

 

Osti, G.L. (1993), L’industria di stato dall’ascesa al degrado(Bologna)

Non so se allora l'acciaieria fosse in città. Penso di no . Probabile che la città si sia espansa e l'abbia inglobata. Lo stesso è successo a Bagnoli

 

Ci sono diversi motivi per cui in anni passati si sono costruite fabbriche in posti che adesso consideriamo inadatti e con tecnologie che adesso consideriamo molto inquinanti.Il primo e forse piu' importante è che nel momento in cui si costruisce non si sa che l'attivita' genera anche prodotti tossici o non si ha il quadro completo della situazione(caso amianto,cvm a portomarghera e tanti altri).

Il caso ilva potrebbe essere un altro esempio di cio',essendo stato costruito all'inizio degli anni 60,quando la coscienza ecologica e le conoscenze riguardo alla tossicita' di certe lavorazioni erano agli albori.

(edit)guardate cosa commercializzavano a inizio 1900 oggi lo troveremo agghiacciante

Comunque siano andate le cose in questi decenni ormai la frittata è fatta e la prima domanda posta nell'articolo andrebbe cosi' riformulata: "ha senso continuare a produrre acciaio in Italia?". In caso positivo ha senso continuare, altrimenti che si chiuda tutto.

Ora si dà il caso che il mercato, pur in calo, esiste. Se ILVA dovesse chiudere non verrebbe solo a mancare, come alcuni riportano, "10 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, il 30% circa dell’intero fabbisogno italiano, il 6% di quello europeo". Non è solo quello. Il problema è che ILVA produce un tipo di acciao (lamiere, nastri) che pochi producono in europa e che se venisse a mancare provocherebbe un forte incremento dei prezzi. Mi dicevano che la quantità annua di quel tipo di acciao sarebbe a fatica sopperibile con tutto l'export russo.

Ora una considerazione economica che dovrebbe essere chiara a chi segue nFA è che una fabbrica che non puo' produrre, non puo' fatturare e quindi non puo' guadagnare ed investire per bonifiche e miglioramenti tecnologici. È quindi chiaro che chi ha deciso la chiusura della produzione non ha la minima razionalità per gestire in modo positivo il problema. Se qualche dirigente (o tutti) dell'ILVA ha comesso reati, che si arrestino, si processino  e si condannino ma fermare la produzione di 10 milioni di tonnellate è un'altra cosa e non ha senso. La produzione deve continuare per poter alimentare reddito, utili, investimenti ecologici.  Se si ferma la produzione abbiamo un molteplice danno all'erario perché:

a) una fabbrica che non ha utili, non paga imposte. E sono tempi in cui non si puo' certo andare per il sottile per un buco di centinaia di milioni di euro.

b) in caso di ristrutturazione, la CIGS è a carico del ministero del welfare. Quanto costa, tra lavoratori ed indotto?

c) il calo del redditi (lavoratori e commercianti) a Taranto influirà sui consumi e sul gettito nazionale e locale.

d) poiché la situazione sanitaria è frutto di decenni di inquinamento, non è nemmeno garantita una rapida diminuzione dei casi clinici.

Io quindi considero del tutto ovvio che la fabbrica debba continuare a produrre (chi ha il potere esecutivo ha tutti gli strumenti per stabilire il "come") e che si mettano importanti paletti per le bonifiche e per il miglioramento della situazione ambientale in tempi certi e sotto controllo stretto.

Si discute se sia il caso che lo Stato contribuisca economicamente. Io sono nettamente contrario di principio ma bisogna ammettere che lo Stato ha le sue colpe passate e quindi non è del tutto immotivato ritenere debba metterci anche qualche cosa di suo. Chiaro che se ILVA portasse al massimo le spese per le bonifiche e per l'innovazione tecnologica tesa ad abbattere l'inquinamento, la fabbrica potrebbe avere per vari anni spese pari alle entrate e non produrre utili. Lo stato e gli azionisti rimarrebbero con il becco asciutto (niente tasse, niente dividendi) quindi in questo caso già lo stato finirebbe per rimetterci. ma non i lavoratori ed il tessuto economico cittadino. In alternativa se il gruppo producesse ancora utili si potrebbe garantire un'esenzione dalle tasse degli utili reinvestiti in investimenti ecologici. Questo con una legge valida per tutte le imprese inquinanti (non si creda che il problema sia solo l'ILVA).

 

Ciao Francesco. Grazie per il commento. Qualche domanda.

 

1) Mi pare che nella parte iniziale del tuo commento tu assuma che la risposta al quesito  "Ha senso continuare a produrre acciaio in Italia?" sia esclusivamente dipendente dalla domanda di questo acciaio. Puoi articolare meglio perche' non tieni conto di altri fattori che in generale potrebbero influenzare la risposta? Il welfare, la produttivita' sociale di una data azione, non dipende solo se vi e' una domanda per un dato prodotto.  Il fatto che vi sia una domanda per un prodotto non implica che vi sia convenienza per un imprenditore ad iniziare una attivita'. Ad esempio: costi? Esternalita'? Premesso che ho dubbi sul fatto che sia possibile imporre industrializzazione dall'alto, e uno degli errori e' stato fatto con l'idea che lo Stato puo' imporre l'industrializzazione al meridione stile piani sovietici. Ma poniamo il caso che stiamo cercando di dare una risposta alla tua domanda. Un social planner che dovesse decidere se ha senso o meno produrre acciaio, non dovrebbe guardare solo all'esistenza o meno di una domanda per l'acciaio per rispondere si' a tale domanda. Dovrebbe guardare la somma delle utilita' di tutti gli agenti coinvolti. Puoi pesare in modo diverso queste varie utilita'  (seguendo una logica simile, ma non analoga, a quella di Diamond (1975) ,ovvero dando pesi diversi alle singole utility functions ), oppure puoi pesarle in maniera uguale, ma credo sia arbitrario pesare solo i fattori dipendenti dalla domanda di un prodotto. Attualmente, nemmeno un social planner avrebbe le informazioni per rispondere a tale domanda. Proprio perche' l'ILVA sembra che non abbia mai autorizzato la creazione di un dataset completo sulle emissioni. Inoltre, da un lato ti chiedi la domanda  "ha senso continuare a produrre acciaio in Italia?", dall'altro lato assumi che questo vada fatto con l'ILVA, qualche rigo dopo. Come e' stato detto in altri commenti, la posizione dell'ILVA di Taranto e' paurosamente vicina ai centri abitati, e questo aumenta certamente le esternalita' dell'impresa. Una possibile risposta, tra le tante, e' che potrebbe avere senso, ma in loco diverso. Le risposte alle domande:  "ha senso continuare a produrre acciaio in Italia?" e  "ha senso continuare a produrre acciaio a Taranto?" non e' detto che siano analoghe. 


2) Potresti indicarmi un modo attuabile concretamente (dove concretamente intendo: con le regole attuali) per affrontare la situazione, assumendo che, come si e' detto, l'ILVA non aveva autorizzato l'installazione di centraline di controllo? E' possibile che vi siano soluzioni legali non perseguite in passato e che avrebbero potuto evitare il sequestro, ma finora i commenti che hanno criticato questa misura legale, non ne hanno fornita un'altra concretamente attuabile. Non credo sia legale per le autorita' di controllo presentarsi in uno stabilimento privato ed installare centraline di controllo senza autorizzazione. Si e' gia' scritto che l'ILVA non autorizzava l'installazione delle centraline. Hai altre idee? 


3) Il punto sulla tassazione e' plausibile. Va certamente tenuto conto che, se il legame tra malattie-morti ed inquinamento ILVA venisse provato, questo sostanzialmente implicherebbe che lo Stato (tramite costi delle vite umane, cure, ec.ec.) abbia gia' contribuito notevolmente a pagere i costi dell'inquinamento. E va anche tenuto conto quanto siano un pericolo reale le emissioni prodotte oggi. Mi pare che su questi punti non vi sia un consenso chiaro, senza i dati completi che non sono mai stati prodotti. E non necessariamente queste considerazioni muovono l'ago della bilancia in una direzione, senza dati chiari sulle emissioni attuali.  

Letto l'articolo ed i commenti, mi sono reso conto che mancano informazioni fondamentali per capire cosa stia accadendo.

Il G.I.P. ha utilizzato uno strumento processuale proprio del processo penale, pertanto non previsto dai codici civile e di procedura civile: si tratta di un sequestro preventivo, diretto ad impedire che - nel tempo necessario per accertare il reato e punirlo - gli imputati possano perseverare nel comportamento delittuoso o trarne profitto.

Nella specie, se non ho male compreso quanto riferito dalla stampa (non ho letto le ordinanze del G.I.P.), si procede per delitti molto gravi conseguenti alle emissioni di inquinanti: l'ulteriore emissione sarebbe origine di ulteriori delitti della stessa specie. Il sequestro, pertanto, mirerebbe alla cessazione di tali emissioni: vale a dire, alla cessazione di quell'attività industriale che le causa. A dispetto di certe affermazioni ad colorandum, che sarebbero contenute nelle ordinanze del G.I.P., sembra verosimile che la dott. Todisco non avesse alternative.

Naturalmente, appare del tutto sconcertante che una situazione del genere si sia potuta produrre e che le amministrazioni pubbliche competenti non abbiano tenuto sotto controllo le emissioni di inquinanti. Ancora più inquietante sarebbe l'ipotesi che Ilva abbia rispettato i limiti di legge. In tale caso, mi pare che non si possa uscire dal dilemma: (i) i limiti di legge sono sbagliati; (ii) i periti della procura hanno fornito dati ingiustificati.

Ciao Luciano! Grazie mille davvero per avere chiarito la questione, era di certo atteso un intervento da un giurista che potesse chiarire meglio se la dott. Todisco avesse reali alternative per fare passi in avanti (rispetto ai precedenti 30 anni) per la risoluzione del problema. Alternative con questo sistema legale, ed escludendo strade gia' provate in passato, ovviamente.  Due punti veloci sul tuo intervento: 

 

1)  Molto utile il chiarimento del sequestro come reato penale. Svista mia in un commento avere parlato di codice civile, in effetti l'articolo in questione era sul codice penale, grazie per averlo fatto notare. 

 

2) Non credo che le due opzioni che scrivi alla fine del tuo intervento siano esaustive. Vi e' una terza ipotesi, poiche' che l'ILVA sembra non avere cooperato con i rilevamenti ambientali, almeno sino ad ora, la procedura dei controlli puo' non essere stata del tutto trasparente e vi puo' essere un gap tra emissioni registrate ed emissioni effettivamente "emesse". Ed e' tra le possibilita' di cuisi parla, anche nelle ordinanze legali. Ad esempio, il procuratore generale di Lecce Vignola al riguardo ha dichiarato: "L'Ilva mentre di giorno rispettava le prescrizioni imposte, di notte le violava e questo è confermato da rilievi fotografici eseguiti per 40 giorni nel corso dell'inchiesta." . Ricordo che, come da intercettazioni (*), l'ILVA non aveva intenzione di autorizzare i rilevamenti in continuo. Una quarta ipotesi e' che ci siano non-linearities tra emissioni inquinanti. Ovvero diossina da sola fa male oltre ad una certa soglia, ma abbinata ad altri inquinanti puo' fare male a dosaggi minori. Ma francamente la terza ipotesi mi sembra da investigare...

 

(*) "[...] Nella stessa telefonata si discute anche della possibilità di piazzare le centraline di controllo dentro l'Ilva: «Figuriamoci se facciamo mettere le centraline all'interno!» commenta sicuro Capogrosso con Archinà. [...]" 

A quanto già osservato vorrei aggiungere che il provvedimento del G.I.P. ha natura cautelare: vale a dire, mira ad evitare che - nelle more del processo penale diretto all'accertamento dei fatti, alla loro valutazione giuridica, all'individuazione delle responsabilità ed alla determinazione delle sanzioni - si producano ulteriori conseguenze del reato per cui si procede: reato che, per definizione, non è ancora accertato.

Come ho detto, il G.I.P. verosimilmente non aveva scelta quanto all'applicazione della misura cautelare, una volta stabilito che la Procura aveva fornito sufficienti indizi del reato.

Non intendo dire, però, che la scelta di fermare la produzione e avviare lo spegnimento degli altoforni fosse necessitata, tanto più di fronte all'impegno del Governo di sostenere la messa in sicurezza degli impianti. Questo punto è tutto da verificare, ed è opportuno attendere il deposito dell'ordinanza del tribunale del riesame prima di proporre ulteriori riflessioni.

 

Sopra: l'acciaieria Hyundai Steel Corporation in Corea del Sud ha coperto i suoi parchi minerali. Questo perchè durante le fasi di carico e scarico dei minerali avviene la dispersione di polveri e minerali nocivi nell’aria.

 

Sotto: la ILVA di Taranto

 

  Photo: L'acciaieria Hyundai Steel Corporation in Corea del Sud ha coperto i suoi parchi minerali. Questo perchè durante le fasi di carico e scarico dei minerali avviene la dispersione di polveri e minerali nocivi nell’aria. Perchè in Corea del Sud sì e a Taranto no?

Ciao Alberto, 

Si', esattamente, il caso della (non) chiusura dei parchi minerari e' una delle tante assurdita' della gestione ILVA. Da almeno dieci anni e' appurato che in impianti siderurgici internazionali tali parchi vengano di solito chiusi, e come l'impatto ambientale si riduca notevolmente. Di tale chiusura si e' parlato tanto, per almeno 10 anni, ma nulla e' stato fatto.  Nonostante comprendo come un osservatore esterno possa ritenere esagerato il sequestro degli impianti, la gran parte delle persone che questa situazione la ha vissuta da vicino sa che qualunque altro metodo offerto dalle nostre leggi si e' rivelato inefficace nel corso degli ultimi decenni. Felice di essere smentito, ovviamente. Bonelli ha fatto accuse precise dicendo che il Governo sta nascondendo dei dati recenti gia' verificati, e che provano che l'eccesso di mortalita' non e'  inventato dagli ambientalisti. Bonelli fa accuse precise a mezzo stampa, e che sono gravissime, qui  . Ha ragione o ha torto? Perche' se ha torto sarebbe bene Clini e/o Balduzzi lo querelassero. Ma, nel caso avesse ragione, sarebbe la riprova che la politica continua a fallire la gestione del caso ILVA. Non e' nascondendo la verita' e stanziando soldi al territorio che la situazione si risolvera'. Le persone sono mobili, si possono spostare, ed ad un Governo dovrebbe interessare la somma degli individui piuttosto che singoli pezzi di terreno, che si possono benissimo abbandonare qualora non fosse produttivo risanarli.