Complottismo e…cultura

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Il complottismo è un elemento immancabile del populismo. Una nota che tenta di individuare  e riconoscere il populismo. Ecco allora un tentativo di fenomenologia della mente complottista. Che cos’è il complottismo e come si distingue dal complotto? Il complottismo è circoscritto ai margini della cultura oppure l’ha più o meno infiltrata? Qualche pagina in più del normale (per nFA) per provare a mostrare che il complottismo ha una struttura riconoscibile e verificabile, e che ha trovato ospitalità nella cultura di massa.

Contrariamente a quanto si potrebbe credere (tra i più ottimisti) le teorie cospirative non sono un fenomeno circoscritto entro i limiti di una subcultura che rumoreggia lontana dal mondo accademico e dalla “cultura alta”. La struttura portante delle teorie cospirative si ritrova pressoché immutata anche in non poca letteratura filosofica, economica e sociologica, relativamente influente. Per fare solo un (facile) esempio, il plot complottista è non piccola parte dei libri di Michel Foucault editi da Gallimard; ed è sterminata la letteratura “di sinistra” (non solo “di destra”) che si fonda, quando si va stringere, su un plot complottista.

In una pagina del libretto di Raymond Boudon Perché gli intellettualinon amano il liberalismo, la connessione tra antiliberalismo, complottismo e “plot colto” è richiamata con due riferimenti convergenti: uno a von Hayek, il quale osservò che per un anti-liberale è più facile accettare un ordinamento costruito rispetto a un ordinamento economico spontaneo e l’altro a Herbert Spencer, per il quale all’anti-liberale appare più sensato un ordinamento militare che uno economico[i]. Senza dubbio nella mente complottista “l’ordinamento spontaneo” non ha udienza: il caso, l’errore, la natura umana, la politica (con i suoi compromessi) non ci sono.

Per tentare di mettere insieme una fenomenologia della “mente complottista” c’è un primo passo da compiere.  Occorre togliere subito di mezzo un equivoco: con la critica del complottismo non s’intende affatto negare l’esistenza dei complotti. Per riprendere l’esempio di Umberto Eco, che al tema ha dedicato una certa attenzione, nessuno nega che Giulio Cesare sia stato ucciso in seguito ad un complotto. I complotti sono un fatto innegabile. Il complotto-complottista è semplicemente un’altra cosa: è un plot che non ha niente a che fare con i complotti. È un fenomeno legato alla secolarizzazione, alla cultura di massa, che riprende, però, una narrativa basata su  formule archetipiche, comuni alle mitologie antiche e alle narrative religiose.

La spersonalizzazione

Il primo aspetto ricorrente delle teorie complottiste è la spersonalizzazione del soggetto (o dei soggetti) del complotto. A cospirare non sono persone a cui possono essere attributi predicati reali: sono personaggi caricaturali. I membri di un complotto non si tradiscono, vanno sempre d’accordo, seguono il loro scopo senza ripensamenti; a volte, nelle versioni più deliranti, passano il testimone a più generazioni nel corso di decenni, se non di secoli. Nell’agire dei cospiranti scompaiono i conflitti, le lotte per il potere, le invidie, i pentimenti; soprattutto scompaiono gli errori, le incoerenze, scompare l’opera del caso. Il complottismo -  che è interno al populismo -, rappresenta un potere nemico spersonalizzato, si tratti di un “establishment” naturalmente “lontano”, di una classe politica “autoreferenziale”, di una classe di “burocrati non eletti”.  I banchieri, gli ebrei, gli eurocrati eccitano la fantasia complottista come i templari o gli illuminati. La spersonalizzazione e il relativo irrealismo ispirano naturalmente anche i moventi del complotto: il dominio del mondo, la soddisfazione di un’insensata avidità di denaro, la volontà di trasformazione biologica del genere umano.

È importante notare che in questo schema narrativo non c’è posto né per il caso né per l’errore. Le tesi complottiste sono soddisfatte in modo autoreferenziale, mostrando un’incomprensione elementare dei processi politici. Il realismo politico di Machiavelli è il contrario esatto del complottismo. Nonostante questo, o forse proprio per questo, il complottista può essere carismatico: può avere una grande presa sulle masse. La ragione è evidente: viene dalla stessa pasta.

Il fenomeno della de-personificazione spiega anche perché nelle teorie complottiste possano personalizzarsi eventi che hanno una natura oggettiva, fattuale. Il complottista tende a credere, ad esempio, che la tal crisi economica mondiale sia stata voluta e organizzata nei minimi dettagli da un gruppo ristretto di persone, di famiglie, da una élite di finanzieri ecc. Ma appunto la personificazione di eventi storici o naturali funziona solo a partire dall’assunzione di attori spersonalizzati dotati di un potere enorme e irrealistico. Un fenomeno, questo, che si riscontra nelle religioni, dove i fenomeni naturali o storici sono attribuiti a un autore divino, dotato di un potere infinito, dunque spersonalizzato. Il complottismo non è politica, ma una sorta di teologia secolarizzata. È una variante della metafisica, una metafisica negativa, come quella gnostica.

Il fine del complotto

Un altro aspetto centrale della fenomenologia complottista riguarda il fine del complotto. Anche qui troviamo una forma ricorrente comune ai miti e alle religioni. Il complotto-complottista è eversivo. Ma è eversivo rispetto a che cosa? Il complotto-complottista è eversivo rispetto ad un Ordine inteso come un valore ontologicamente assoluto: la natura, la tradizione, la patria, la biologia, la morale comunitaria, la religione ecc.

Il linguaggio è indicativo. Il plot registra un doloroso “sradicamento”, una “separazione” da un Ordine fondante. Entra in scena una figura ricorrente e molto fortunata: la scissione. Il vocabolario di ogni rivoluzionario, di ogni populista, di ogni reazionario, di ogni leader religioso, è sempre percorso dal bisogno di porre rimedio a scissioni, separazioni, alienazioni, cadute, sradicamenti. La scissione è una formula ricorrente delle mitologie e delle religioni per spiegare l’origine del Male: c’è un’Unità originaria che viene  scissa da una volontà maligna, che ha la stessa parte in commedia che ha il serpente nell’allontanare l’uomo dal paradiso terrestre e consegnarlo alla storia (la storia: il regno della scissione, della finitezza, del lavoro, della morte ecc.). Al lessico della crisi come “separazione” va aggiunta l’ultima novità lessicale: la “liquidità”, la “società liquida” di Zygmunt Bauman. Sull’altro lato, si trova il corrispettivo bisogno di recuperare un’identità,  una tradizione, un insieme di valori comunitari. Un certo tipo di ideologie rivoluzionarie tendono spesso a vedere nella rivoluzione non tanto un futuro, quanto il ripristino nel futuro di una realtà violata nel passato. Questo spiega perché, generalmente, il complottista/populista inventi un passato deculturalizzato, privo di realtà storica (l’ampolla del Po’ della Lega, la razza ariana dei nazisti, la Roma dei fascisti, l’Islam immaginario dei fondamentalisti ecc.) che qualcosa (la modernità, il neoliberismo, le plutocrazie ecc.) ha mandato in frantumi. Questo tipo di retorica costituisce una radice comune di molte ideologie di destra e di sinistra.

Una forma ricorrente dell’alterazione dell’ordine si esprime nella tante idee di avvelenamento, simbolico o reale, che popolano la fantasia complottista. C’è un’interessante tesi storiografica che individua la scintilla della Rivoluzione francese   nella convinzione, diffusasi nelle campagne, che fosse stato ordito un complotto a Parigi, nella città, per avvelenare i contadini delle campagne.  L’aristocrazia parigina, ovvero il gruppo di potere identificato come compatto e dotato di un potere soverchiante, si sarebbe proposto lo scopo disumano (e insensato) di avvelenare i contadini[ii].

Il plot dell’avvelenamento può variare per grado di concretezza. Nei complotti più grossolani l’avvelenamento non ha niente di metaforico. Un esempio è la paura delle cosiddette “scie chimiche”. Esiste un piano (conosciuto dal solito ristretto, lontano, spersonalizzato, gruppo di persone) per irrorare i cieli di una sostanza chimica con lo scopo nascosto, senza che nulla trapeli (nonostante si presupponga l’impiego di ingenti mezzi, decine e decine di aerei e di piloti), di avvelenare (contaminare, ecc.) la popolazione, e questo allo scopo di realizzare  una manipolazione biologica dell’uomo. Si noti: la manipolazione biologica è una costante che si ritrova a livelli insospettabili di elaborazione “dottrinale”.

Nel caso degli OGM troviamo il solito ristretto gruppo di persone, a capo delle multinazionali, che persegue un programma alimentare contro natura, ma che è a tal punto assetato di profitto, che finge di ignorarne le conseguenze apocalittiche. Altro esempio: gli ulivi del Salento, che sarebbero stati deliberatamente “avvelenati” perché fossero tagliati e sostituiti con un prodotto di laboratorio dalle multinazionali. Di nuovo un potere irrealistico, capace di ordire piani su larga scala, che coinvolgono centinaia e centinaia di persone, ingannando (oppure utilizzando) giornali, istituzioni, amministratori. Lo stesso scenario si trova nella paura dei vaccini: le “grandi multinazionali del farmaco” opererebbero per il “male”, ma in silenzio. L’Aids? Un prodotto di laboratorio, creato dalla “tecnica”. Per capire quanto seduttiva sia la sirena complottista, va ricordato che fu la rivista Lancet a pubblicare i primi articoli sul complotto dei vaccini, per poi doversi scusare. In generale, i farmaci sarebbero quasi sempre inutili dal punto di vista terapeutico e anzi dannosi per la vita; dovremmo invece tornare, secondo il plot, a curarci con i “rimedi naturali”, tornare a una “tradizione perduta”, ovvero a un’unità felice che è stata distrutta dal progresso, dalla mercificazione, dal denaro.

La metafora dell’avvelenamento ha però anche una tessitura più astratta. Il mondo moderno avvelenerebbe con false credenze la nostra mente, creando dei bisogni che non ci appartengono, ma a cui ci induce la società dei consumi. Il plot ci dice che crediamo di essere liberi, mentre in realtà non è così, il Capitale ci induce al consumo. Ma c’è il viaggio purificatore: occorre partire per posare il piede in terre vergini e incontaminate, e soprattutto povere, con la promessa che ritroveremo noi stessi per rimediare alla deviazione. Insieme alla felicità, ci verrà restituito tutto, la naturale tendenza a una vita lunga, che la modernità liquida avrebbe distrutto, dividendoci da noi stessi.

Tra le ossessioni ricorrenti un posto particolare lo occupa il denaro: “mercifica” e corrompe. Massimo Fini, una vera miniera di mitologie antimoderne, scrive che il denaro dovrebbe essere sostituito, recuperando quella che gli sembra la nobile comunità del baratto. In genere, i complotti hanno tre protagonisti principali, che sembrano toccare nel profondo le ansie delle persone: il denaro (la finanza, le banche, le lobby); l’avvelenamento (mutazione biologica o morale, avvelenamento del cibo, inquinamento dell’aria, disgregazione dei Valori); la sostituzione della realtà con la finzione attraverso una disinformazione organizzata su vasta scala.

Attenzione, nessuno nega il vino al metanolo, l’inquinamento atmosferico… Ma, appunto, il complottismo non è interessato a casi concreti o se li incontra è sempre dentro una narrazione più generale, rivolta a distruggere il Vecchio e a creare il Nuovo. Nel complottismo non esiste il caso, non esiste l’errore, non esiste la banale truffa. Non esiste neanche la difficoltà politica o d’azione: l’inquinamento atmosferico non si spiega con un’incapacità politica di risolvere un problema, ma con la volontà precisa di creare questo stesso problema.

Bisogna tenere presente che lo schema è spesso ripreso anche da personalità influenti (intellettuali, politici, opinionisti) legate a una qualche forma di cultura di massa o di ideologia. Basti ricordare a quanto si è farneticato, ad esempio, di una Grecia che sarebbe stata la cavia di un’operazione del grande capitale, il quale, nelle segrete stanze, per i suoi disegni occulti, avrebbe messo in scena la “prova generale” della “distruzione della democrazia”. Il Nord Europa avrebbe dichiarato una guerra (una guerra di ultimo tipo, non con le armi, ma economica) alla povera Grecia. Così, tra vari isterismi, la Grecia è stata raffigurata come l’ultima trincea dei valori della libertà insidiati dalla volontà di manipolazione della finanza e delle élite lontane e non elette, con lo scopo di avviare la mutazione della democrazia, inclusa la distruzione del welfare (che, però, piccolo dettaglio, la Grecia non ha mai avuto).

L’avvelenamento metaforico ha un’altra figura classica: la disinformazione dell’opinione pubblica. L’attentato dell’11/9 è stato presentato come un evento deliberatamente manipolatorio indirizzato ad imporre all’opinione pubblica un’alterazione dello stato di diritto e l’instaurazione dello “stato d’eccezione”. Naturalmente, le teorie complottiste della disinformazione, che non hanno un’idea politica della politica, non sembrano avere la minima idea di che cosa sia la disinformazione, e non fanno alcuna distinzione tra paesi democratici e dittature. La disinformazione è vista come la manipolazione totale dell’opinione pubblica, che consisterebbe letteralmente nella sostituzione della realtà con una finzione della realtà. E la prima finzione è la stessa democrazia. Poco conta che, ironia della sorte, a dimostrare il contrario sia proprio il successo del populismo.

 

Il complotto senza soggetto e il Potere

La parte più “intellettuale” del complottismo arriva con una mutazione del plot complottista. Da un certo punto in poi, si produce una nuova letteratura nella quale resta il complotto, ma scompare il soggetto del complotto: non c’è più un attore antropomorfo, anche se resta l’intenzione della trasformazione radicale. Il complottismo compie un salto di qualità. “Dietro” i fatti sociali e politici non c’è più un gruppo di attori umani, ma un paradigma. La disumanizzazione, che prima si rappresentava nel  divino ora si rappresenta nel “paradigma”. Il “paradigma” funziona come una struttura spersonalizzata che mantiene però una direzione di volontà, una volontà di potenza.

Gli esempi di questo plot sono molteplici. Il modello più influente è probabilmente quello marxista, dove interviene il fenomeno della ripetizione strumentale da parte di un esercito di epigoni. Ma il plot si coniuga in vari modi: è estremamente creativo. Prendiamo la disinformazione intesa come sostituzione della realtà con una finzione. Nel suo celebre libro “La società dello spettacolo”, il filosofo francese Guy Debord ha sostenuto che la realtà sarebbe stata, ad un certo punto, sostituita da un grande spettacolo espressione del Potere. Ora, un Potere che è capace di sostituire la realtà con la finzione, è un Potere del tutto irrealistico, un potere infinito. È il Potere, con la “p” maiuscola. Non c’è più la politica, ma una teologia secolarizzata. Nella “società dello spettacolo” scompare il vecchio gruppo di persone che operava in segreto, al suo posto c’è l’accadere di un Paradigma: c’è un mutamento epocale che opera trascendendo la volontà individuale inglobandola. In questa letteratura, gli attori del complotto sono essi stessi asserviti al modello di società che propongono: sono espressioni del Paradigma: sono dei burattini, coltivano, per dirla con il modello principale del complottismo senza soggetto -  appunto il buon Karl Marx -  una “cattiva coscienza”.

Il rovesciamento marxista della dialettica di Hegel potrebbe essere preso idealmente come uno spartiacque tra un’idea teologica della storia e un’idea secolarizzata, “materialistica”, della storia.  Salvo tenere presente che la storia materialistica conserva del tutto le caratteristiche di una realtà metafisica. L’impianto interpretativo del marxismo, dove la struttura economica determina la sovrastruttura ideologica, si è esteso (e volgarizzato), assumendo sempre più i tratti di un complotto. Quello che in Marx è un pensiero vivo che, con alti e bassi, si è messo alla scoperta di un nuovo territorio, si irrigidisce fino a diventare, negli epigoni, una parodia. La struttura ci muove a nostra insaputa, ci manipola, ci fa diversi da come saremmo, induce in noi un bisogno di consumi che non appartengono alla nostra vera e autentica natura. La struttura ci inganna. Ha alterato la purezza della vita, ci avvelena: i mercanti sono entrati nel tempio. Lo schema si ripete. Dalle enclosures in poi, l’Unità dei “beni comuni” è andata in pezzi, generando milioni di proletari sradicati.  La struttura, sempre lei, ci offre un feticcio (di merci) da adorare ed assume il senso di una sorta di impersonale “volontà di potenza”. Lo “smascheramento” del Paradigma va di pari passo con lo svelamento della “realtà vera” dietro la finzione orchestrata dal Potere, con la conseguente liberazione. Ne viene l’investitura di un nuovo ceto di sacerdoti-intellettuali il cui compito è salvare il mondo dalla scissione, “smascherando” senza posa.

Già Raymond Boudon aveva messo in evidenza che la “lotta di classe”, volgarizzata, era diventata la matrice generativa di infiniti racconti complottisti.Il rapporto tra l’analisi e la sua volgarizzazione richiederebbe un lungo discorso. In breve, si può dire questo: come il complottismo non contempla il caso o l’errore, così non lascia le categorie empiriche che ordinano l’esperienza (ad esempio le categorie storiografiche) nella loro funzione empirica: le trascende, spesso le personalizza. In modo più raffinato questo avviene anche in certe teorie del diritto positivo che fanno dell’ordinamento positivo un assoluto (una metafisica).

 

Ripetizioni

È utile sottolineare che il plot complottista con o senza soggetto è un fatto, qualcosa di rilevabile obiettivamente nei testi. Ci sono due figure: 1. Un potere infinito e 2. L’alterazione di un valore. Naturalmente, può variare la centralità del plot rispetto al contesto concettuale. Nel complotto senza soggetto, il Potere è insieme spersonalizzato (non ci sono dei gruppi che agiscono in autonomia) e personalizzato. Il potere non è empirico e politico: è appunto un Potere. Tra le molteplici ripetizioni di questo tipo di complotto senza soggetto un buon esempio è la “biopolitica” di Michel Foucault. Gli elementi della trama si ritrovano tutti. Ad un certo punto, secondo Foucault, sarebbe emerso un nuovo Paradigma, quello della manipolazione biologica. Il Nuovo Paradigma è la “biopolitica”, ovvero una “Nuova Forma di Potere” diversa da tutte le altre forme di potere: un Potere che agisce sul “bios”, sulla vita, anzi sulla “nuda vita” e la manipola, la altera.  

La politica è assente. Di Machiavelli non c’è traccia. Come dice lo stesso Foucault, il potere è diventato impersonale:

 

 

"E, se è vero che Machiavelli fu uno dei pochi — ed era questo probabilmente lo scandalo del suo ‘cinismo’ — a pensare il potere del Principe in termini di rapporti di forza, bisogna forse fare ancora un passo, rinunciare al personaggio del Principe e decifrare i meccanismi di potere a partire da una strategia immanente ai rapporti di forza".

 

 

Seguendo lo schema, il plot rivela la sua ispirazione anti-moderna e anti-liberale: il Potere è la modernità. Il liberalismo, il capitalismo distruggono l’unità salvifica:

  

 

"Questo biopotere, scrive Foucault, è stato, senza dubbio, uno degli elementi indispensabili allo sviluppo del capitalismo (…) lo sviluppo dei grandi apparati di Stato, come istituzioni di potere, ha assicurato il mantenimento dei rapporti di produzione, i rudimenti di anatomia e di bio-politica, inventati nel XVIII secolo come tecniche di potere presenti a tutti i livelli del corpo sociale ed usati da istituzioni molto diverse".

 

Paranoia, sì, ma eine weltgeschichtliche Paranoia. La medicina diventa una “tecnica di potere”. Il liberalismo, poi, gioca sempre un ruolo preciso: è ciò che divide, frammenta, distrugge. Smantella. Al liberalismo è attribuita una furia distruttiva che è rivolta contro la “vita sociale”, rappresentata, a seconda dei casi, da varie controfigure: le “forme di vita”, “la comunità”, i “rapporti umani”, le “economie locali”, la “identità” (quest’ultima cara in particolare, ma non solo, alla destra). Si può suppore che tutto questo sia il rancore per la perdita di una rendita di posizione di vario tipo, economica o politica. In questa letteratura sta bene far cadere sempre un riferimento alla “Grande trasformazione” di Polanyi, perché tutto è intonato a partire dal plot della modernizzazione che rende la vita “astratta”, che “mercifica” quello che era integro e unitario. Il Potere è responsabile della disumanizzazione dell’uomo. Dopo gli attentati dell’11/9, il filosofo Giorgio Agamben, in altri casi molto più interessante, ha individuato un senso destinale nelle misure di controllo antiterrorismo negli aeroporti. In un articolo che leggo su Le Monde questi controlli sarebbero proprio l’espressione del nuovo biopotere, il cui scopo è “une animalisation progressive de l'homme mise en œuvre à travers les techniques les plus sophistiquées”.

Il famoso articolo di Pasolini La scomparsa delle lucciole è una festa di complottismo senza soggetto[iii]. Il Pasolini regista mi piace molto. Ma è difficile non rilevare un fatto. Tutto ha inizio con una scissione…   

 

 

"Nessuno poteva (…) identificare quello che allora si chiamava ‘benessere’ con lo ‘sviluppo’ che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di cui nel ‘Manifesto’ parlava Marx".

 

 

Che cosa è successo? “La classe dominante ha scisso nettamente ‘progresso’ e ‘sviluppo’”[1]. Dunque, “progresso” e “sviluppo” sarebbero stati uniti, ma la classe dominante, naturalmente, li ha scissi.  Una classe dominante che ha un Potere infinito, e che ha pensato bene di separare lo sviluppo dal progresso. Da qui nascerebbero tutti i nostri guai. Il consumismo appare a Pasolini esattamente come un potere spersonificato e irresistibile (più forte, dice esplicitamente, del fascismo, che ancora avrebbe conservato, nell’idea di Pasolini, qualcosa di umano). Il Nuovo Potere sarebbe riuscito dove il fascismo aveva fallito: ha realizzato una catastrofe inaudita, la “mutazione antropologia degli italiani”. Sempre in La scomparsa delle lucciole, Pasolini afferma che “l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una ‘mutazione’ decisiva”, stermina le lucciole come distrugge l’italiano “paleocontadino”. Chi è l’autore di questo disastro?  Un Potere impersonale: “non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé”. Un non-potere che però è un nuovo potere, che è talmente sovversivo, che ha sovvertito lo stesso potere. A questo punto i “potenti” diventano, scrive testualmente Pasolini, burattini nella mani del paradigma: “i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro”.  Non è un potere umano: “di tale ‘potere reale’   noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali ‘forme’ esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice ‘modernizzazione’ di tecniche”.

 

Pervasività dello schema

Benché qui non ci sia Dio, perché c’è il Paradigma, ci sono comunque dei sacerdoti, che auscultano il Paradigma, ne indovinano i percorsi, le trasformazioni (ad esempio, “del capitale”), le intenzioni, gli effetti su di noi. Fermano “momenti” e “trasformazioni”. È tutto un fiorire di “nuove fasi”, di nuovi “livelli dello scontro”.  Salta fuori che R>G, e quello che interessa è che, pur senza le cognizione economiche per verificare una tale formula, la presa sul pubblico è assicurata, ma solo perché, finalmente, sembra si sia scoperta la Struttura dell’ingiustizia e il suo colpevole.

Qui, sia chiaro, interessa solo la pervasività del racconto, la sua forza persuasiva, dovunque essa si dispieghi. La matrice ideologica dell’origine della ricchezza e della diseguaglianza ripete, se si guarda con un certo disincanto, la struttura del complotto. La ricchezza è vista come una sorta di dato di fatto: una torta già pronta. Poi però qualcuno, ad un certo puto, si è preso la parte più grande della torta. La diseguaglianza diventa la divisione iniqua di un intero già dato, un diseguagliare quello che, all’origine, è percepito idealmente come eguale. Se c’è diseguaglianza, è in ragione di un contratto sociale rovesciato o negativo: in altre parole, di un inganno che viene perpetuato a danno dei poveri. Di conseguenza, il problema della povertà si risolverebbe d’un colpo semplicemente con la politica, ripristinando l’ordine e la giustizia, ovvero togliendo a chi si è preso di più. Sfugge l’idea che la ricchezza sia il prodotto di un sistema economico complesso, per niente scontato e già dato, nel quale gli incentivi e la relativa diseguaglianza hanno un ruolo fondamentale (un’eguaglianza immodificabile sarebbe altrettanto distruttiva di un’immodificabile diseguaglianza). Sfugge l’idea che, se la torta cresce, cresce il dividendo di tutti, e che non c’è una scorciatoia per la crescita. Applicando lo schema, il Terzo Mondo appare povero in ragione dello sfruttamento capitalistico e imperialista: non è povero perché le economie del Terzo Mondo non funzionano.

Anche il senso e l’origine del welfare possono suggerire la trama del complotto-complottista. Secondo lo storico Derek Fraser, effettivamente, nella ricostruzione storiografica dell’origine del welfare, “the cospirational model has been widely utilised”. I protagonisti infatti ci sono tutti: “Welfare is (…) characterised as one of the means by which order and authority are preserved, social revolution avoided, and political stability maintaned” [iv]. Il welfare sarebbe una strategia del capitalismo per disinnescare la seduzione dell’Unione Sovietica presso il proletariato occidentale. – Come, si chiederà? Ospedali, pensioni, scuole pubbliche…tutto questo sarebbe solo la conseguenza di una tattica? Sì. Un potere infinito, segretamente, ha organizzato su scala internazionale un gigantesco inganno. E si noti che, stando a questa tesi, il Welfare State ne esce senza autonomia, né politica né storica né morale. I paesi che l’hanno sviluppato, seguivano  altre ragioni, ovviamente inconfessabili. Del resto, non è forse il welfare il risultato tangibile dell’ignobile compromesso socialdemocratico con il capitalismo? Ovvio che sia “colpevole”. I vecchi operaisti (Asor-Rosa, Negri, Panzieri, Tronti e soci) parlavano, non a caso di “Piano del Capitale” ed intendevano “Complotto del Capitale”.

Senonché, tutto questo è ovviamente irrealistico. Eppure Derek Fraser ha ragione. Nel libro Attacco al welfare del sociologo Luciano Gallino, ad un certo punto, a proposito della nascita del modello di welfare di Beveridge, si legge: “È forse superfluo aggiungere che né Beveridge né Churchill erano mossi solamente da intenti umanitari. Intendevano contrastare l’influenza ideologica e politica dell’Unione Sovietica”[v]. L’assunto è tutt’altro che privo di intenzione ideologica: il potere, l’economia liberale, l’Europa, sarebbero intrinsecamente ostili alla “giustizia sociale”: mai e poi mai avrebbero percorso la strada del welfare, se non ci fosse stata la spinta della sinistra rivoluzionaria. Il welfare è, dunque, un figlio non voluto: “resta il fatto – scrive sempre Gallino – che in seguito al piano concepito da un liberale fu sviluppato nel Regno Unito quello che venne considerato per vari decenni il più avanzato ed esteso stato sociale del mondo”.  Ma ecco che appena l’Unione Sovietica cade (intanto, si noti, sono passati vari decenni dal 1942, anno di pubblicazione del Report di Beveridge) gli “interessi economici” (da immaginare chiusi nei loro salotti, non hanno neanche un nome, sono anonimi e impersonali)  fanno prontamente un passo indietro: puntuale arriva l’attacco al welfare, che -  è sempre Gallino -  si “configura piuttosto come il compimento di un progetto politico ed economico a un tempo: riportare nello spazio del mercato tutto quanto era stato sottratto ad esso dallo sviluppo dello stato sociale”. Il “progetto politico”, portato avanti dall’inizio alla fine con lucida coerenza, allude anche qui a un’intenzione contro-natura che attacca un valore “sociale”. Il Potere smantella oggi quello che, con tattica astuta, aveva costruito nientemeno che nel 1942. Il nemico è disumano e cinico, dunque degno di odio. Immancabile il riferimento a Karl Polanyi: si assiste alla “mercificazione di terra, lavoro, e denaro compiuta dalle politiche liberali”. La “mercificazione” separa l’umano, la comunità, avvelena i “beni comuni”: “la mercificazione per mezzo della privatizzazione di beni pubblici essenziali quali la previdenza, la sanità, il sostegno al reddito” è anche un attacco alla democrazia: l’attacco al welfare “costituisce, insieme con lo svuotamento del modello sociale europeo, uno svuotamento del processo democratico della Ue”[vi]. Un complotto a tutto tondo.

Il rapporto con la realtà empirica è talmente assente da trascurare che il welfare nord-europeo, ben lungi dall’essere stato azzerato, smantellato, annientato, resta ben solido, ed è di gran lunga superiore a quello italiano. Ma probabilmente (anzi, senza probabilmente) molti degli autori che ne scrivono neanche hanno un’idea precisa di che cosa sia il welfare nord-europeo.  Ma nella cultura di massa la realtà empirica non interessa, interessa affermare un’idea salvifica. Una certa letteratura non è affatto “critica”: non è diversa dalla cultura di massa da cui nasce e a cui è rivolta. Derek Fraser mette dalla parte “complottista” anche l’idea del welfare che propone Foucault, per il quale esso non sarebbe che un “dispositivo di controllo”. Ma gli esempi di questo schema narrativo, che si prende a prestito con troppa disinvoltura, sono innumerevoli. Così scrive il brillante filologo e storico Luciano Canfora:

 

 

"Lo ‘Stato sociale’ – nelle sue varie forme – fu in Occidente il risultato imprevisto, tra l’altro, della rivoluzione sovietica e dello Stato sociale autoritario da essa creato e durato settant’anni. Oggi la posta in gioco è lo smantellamento dello Stato sociale. Non solo non c’è l’alternativa di sistema, ma il potere di ricatto dei detentori di ricchezza è diventato quasi irresistibile"[vii].

 

 

Di nuovo si tratta di verificare un fatto: la presenza di un plot, di uno schema narrativo. Lo smantellamento del welfare sarebbe opera  del “potere di ricatto dei detentori di ricchezza” (da identificare con chi? Niente, non hanno nome); e questo potere è diventato “quasi irresistibile” (da quando?). I “detentori di ricchezza”, da parte loro, non hanno di meglio da fare che “smantellare il welfare”. Perché? Non si capisce. Il lettore è portato a credere che agiscano per un odio insanabile e disumano verso i poveri, oppure che siano spinti dalla forza spersonalizzante dell’appartenenza di classe. Lo scopo dei poteri irresistibili è comunque quello di diventare ancora più ricchi, nonostante il fatto che siano già talmente ricchi che il loro potere è, come leggiamo, “quasi” irresistibile. Ma perché, poi, “quasi”? Non si sa. Si noti, da ultimo, che i “detentori di ricchezza”, che complottano lungo i decenni contro il welfare, opererebbero su scala globale: sono un’associazione supernazionale, che agisce oggi secondo un piano uguale e contrario a quello che li ha portati a creare il welfare.

Nello stesso modo un banale e noioso documento interno della JP Morgan, che di fatto scopiazza quello che è stato dettoe ripetuto in centinaia di pagine di giornale a proposito della timidezza della Costituzione italiana “senza scettro”, viene adombrato come la prova di un complotto delle banche per far saltare la Costituzione italiana. A dirlo non sono degli sprovveduti poco scolarizzati, ma personalità della cultura italiana, direttori di università, di riviste...

In conclusione, lo schema narrativo complottista può avere diversi contenuti, anche opposti tra loro. Può accadere che venga utilizzato in un contesto non complottista; ma se si strizza l’occhio a un certo pubblico, si favorisce la demagogia. Il plot complottista strutturale nei radicalismi e dei populisti di destra e di sinistra. C’è una vasta produzione letteraria e intellettuale di massa che non ha contribuito affatto al “pensiero critico”, e che, anzi, è largamente venata di  complottismo. Da questo punto bisogna partire per cambiare registro.



 

[1] Convegno del 1975

 



 

[i] Raymond Boudon, Perché gli intellettualinon amano il liberalismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.

 

 

[ii]Alan Forrest, La Rivoluzione francese, Il Mulino, Bologna, 1999.

 

 

[iv] D. Fraser, The Evolution Of The British Welfare State: A History Of Social Policy Since The Industrial Revolution, Palgrave Macmillan, 1973; 4.ed. 2009, pp. 7-8.

 

 

[v] L. Gallino, Attacco al welfare, Laterza, Roma, 2013.

 

 

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Ci sono 58 commenti

Articolo molto interessante, complimenti Giovanni!

Due domande:

1. Come pensi si possa contrastare il complottismo  quando si manifesta?

2. Come pensi si possa prevenire il complottismo? Questo lo chiedo anche alla luce del fatto che anche diversi intellettuali e persone studiate vi contribuiscono, per cui mi l'education potrebbe non sempre essere una risposta.

 

2. Come pensi si possa prevenire il complottismo? Questo lo chiedo anche alla luce del fatto che anche diversi intellettuali e persone studiate vi contribuiscono, per cui mi l'education potrebbe non sempre essere una risposta.

 

il capitano cook per prevenire lo scobuto che decimava gli equipaggi nelle lunghe navigazioni,, introdusse i crauti nella dieta e questo avrebbe poi funzionato, senonchè i marinai all'inizio non ne volevano sapere di mangiare cavoli fermentati sotto sale, teemndo anzi l'avvelenamento. pur disponendo di un potere di enforcement molto alto (gatto a nove code, nodo scorsoio dai pennoni etc.) il comandante risolse molto meglio riservando all'inizio il nuovo cibo agli ufficiali, che se ne dovevano mostrare entusiasti, e severamente vietandolo agli altri.

il complottismo dilaga quando la classe dirigente, intesa in senso lato, continua invece a dare pessimo esempio, rifuggendo da ogni responsabilità con le scuse più assurde e innescando infinite spirali al ribasso in qualunque atto pubblico, fosse anche una dichiarazione al bar del molto rispettato avvocato anziano del paese. spiegare il ruolo delle vitamine e i gap logici del complottismo, serve a poco. bisogna dare il buon esempio.

 

Grazie Michele. Provo a rispondere alle tue difficili domande. Ho provato a individuare una forma letteraria, un plot ricorrente, del complottismo, che possa essere riconosciuto nei testi, nelle parole, nel modo di articolare gli argomenti. La possibilità di riconoscere una formula oggettiva del racconto complottista potrebbe aiutare - questa la mia idea -  a prendere le distanze da questa insidia.  Può accadere che autori non complottisti (in linea di principio) usino delle formule complottiste che non riconoscono come tali. L’educazione potrebbe, come giustamente segnali, non riuscire a rispondere contingentemente al problema,  visto e considerato che non  sono pochi gli intellettuali che avvalorano le analisi complottiste. L'educazione non è al di fuori della mischia, a volte non è pari al suo compito e invece di educare diseduca. Vero. Si tratta di fare una battaglia culturale, come se ne sono fatte tante, per creare una sensibilità più avvertita. Si scoprirebbe presto che non è facile per niente, perché si va toccare un punto critico, essenziale, di una serie di credi ideologi.    

....

...articolo, complimenti.

Vorrei tuttavia notare che se si fa una teoria di un processo sociale inevitabilmente si fa qualche assunzione che semplifica e "spersonalizza" i fattori in gioco. Mi sembrerebbe quindi utile distinguere più esplicitamente fra teorie sociali non-complottiste versus pseudo-teorie complottiste.

Una differenza abbastanza ovvia è che le (pseudo)teorie complottiste evitano la verifica empirica, ma credo ci siano altre differenze nel modo di costruire la teoria. Mi pare che Perazzoli accenni al problema quando distingue fra modello marxista originario (teoria di per sé non tanto complottista, che si prestava a essere confutata empiricamente come in effetti è avvenuto) e sue versioni volgari (complottiste e formulate in termini così vaghi da essere difficilmente confutabili). Il rischio altrimenti, mi sembra, è di intendere qualsiasi macro-teoria del funzionamento sociale come in qualche modo complottista.

Non riesco a dirlo meglio, ci vorrebbe qualcuno più bravo di me e più competente sulle macro teorie socio-politiche o socio-economiche, o simili.

 

Fabrizio Bercelli, grazie  soprattutto dell’osservazione che mi sembra assolutamente pertinente. In effetti,  è un problema che mi sono posto (e che mi è stato posto). Lei guarda alla parte più “ardita” del mio articolo: il “complottismo senza soggetto”. Per non allungare il già troppo lungo intervento mi sono effettivamente limitato ad accennare al problema che lei segnala, con il  riferimento a Marx (come lei giustamente nota) e con il riferimento allo stravolgimento del categorie empiriche della ricerca storica (l’assenza della più elementare verifica empirica). Ora, ci sarebbe forse una risposta più complessa. Però per il complottismo c’è un punto che a me sembra rispondere alla questione (spero): se il complottismo si può davvero circoscrivere dentro una certa forma letteraria, dentro un plot che presenta più o meno sempre gli stessi protagonisti, allora è qui che il complottismo viene distinto dalle assunzioni teoriche non complottiste che per necessità semplificano e generalizzano. Non è la ricerca seria che ha bisogno di essere distinta dal complottismo, ma il contrario, il complottismo che deve essere distinto dalla ricerca scientifica. Individuata una forma complottista,  si potrebbe chiedere all’autore (che poi significa sempre ricercare nel congegno della sua teoria ): come si giustifica questa  o quest’altra assunzione? Ad esempio, come si definisce questo “potere”, chi sono questi attori che non si nominano? C’è una parte della teoria che risponde efficacemente a queste domande? Io vedo il complottismo proprio come una favola ripetitiva, un’inclinazione non libera della fantasia. Talmente diversa dalla teoria che può essere persino una sorta di incrostazione di una teoria non complottista. A volte una teoria non complottista può avere passaggi demagogici. Prendiamo Marx: era un teorico, ma anche un attivista politico: probabilmente in lui, che era anche un grande scrittore, convivevano due anime, quella che sapeva toccare determinati sentimenti e miti (forse perché ne era egli stesso agitato) e quella fredda, lucida, dell’analisi. Si può immaginare anche che nei suoi scritti il bisogno della propaganda politica usasse, più o meno consapevolmente, degli strumenti retorici che non si ritrovano davvero nell’elaborazione teorica (e viceversa). Ma questi due aspetti possono essere distinti se si è avvertiti del problema. Gli epigoni hanno preso un aspetto e lo hanno esasperato e stravolto, rendendolo una parodia.  Spero di aver risposto in parte alla sua questione.

leggiamolo: www.europe-solidarity.eu/documents/ES1_euro-area-adjustment.pdf

 

e premettendo che non trattasi di documento interno (note a piè pdf) qui proprio due "micromega" , uno dell'aprile 2014 ed uno di ieri.

 

temi.repubblica.it/micromega-online/si-scrive-renzi-si-legge-jpmorgan/

 

temi.repubblica.it/micromega-online/la-costituzione-al-servizio-della-finanza/

 

Saluti :=)

 

ps: banale e noioso...a me è preso un 1/2 colpo a leggerlo..

 

 

 

Sig. Ernesto, beh lei mi offre un assist inaspettato e irresistibile. Visto che è un lettore di MicroMega (so anch’io di che cosa si tratta), la rimando alle annate passate della rivista, alle tante discussioni sulle riforme costituzionali (ad esempio 4/1989 oppure 4/90).  Ho scritto che JP Morgan ha scopiazzato pagine di giornali italiani, ma avrei potuto dire che ha scopiazzato MicroMega. E il senso è – banalmente, certo  - questo: che il tema delle riforme costituzionali, in forme persino più spinte di quella di Renzi (una sola camera, 100 parlamentari, doppio turno, separazione netta tra esecutivo e legislativo, incluse forme di presidenzialismo), è sul tavolo da decenni anche  “a sinistra” (con diverse sensibilità). Altro, dunque, che JP Morgan! Beh da decenni…  dall’inizio, proprio dall’inizio, ovvero dai tempi dell’Assemblea Costituente. Come ricorderà, infatti,  il tanto citato (a sproposito) Piero Calamandrei sosteneva che non la Repubblica presidenziale, ma il sistema proporzionale e il parlamentarismo fossero l’anticamera dell’autoritarismo, e ricordava che “in Italia si è veduta sorgere una dittatura [il fascismo] non da un regime presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare, anzi parlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità dei partiti e della impossibilità di avere un governo appoggiato ad una maggioranza solida che gli permettesse di governare” ( 5 settembre 1946). E ancora, nella medesima seduta: “le dittature non sorgono dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare i governi democratici”. E ancora: “ Se un regime democratico non riesce a darsi un governo che governi esso è condannato”. Calamandrei rispondeva, con queste parole, a coloro i quali temevano nel presidenzialismo una “deriva autoritaria”. Ma, come ricorda il documento JP Morgan -  e lo ricorda semplicemente perché  è cosa nota, banale, direbbe lei -  si era nel dopoguerra ed erano forti i sospetti verso forme di accentramento del potere. Ma Calamandrei rovesciava il punto di vista: il potere in un regime democratico non significa dittatura, può significare, al contrario maggiore capacità di resistenza alle derive politiche, clientelari e anche dei poteri forti (se le piace questa espressione). Naturalmente,  Calamandrei credeva che le istituzioni liberali dessero forma ai paesi e non il contrario. Di diverso parere Lussu  -  che era stato davvero un partigiano - il quale all’estero aveva “sentito il bisogno della Repubblica presidenziale”,  ma che rientrato poi in Italia si era accorto che la situazione politica non permetteva questa soluzione istituzionale, soprattutto senza delle vere riforme sociali; e sempre nella seduta del  5 settembre 1946 diceva che  la scelta bipolare “potrebbe comportare il rischio di una situazione molto confusa, forse anche rivoluzionaria”. Insomma,  già allora JP Morgan tramava? Oppure sono problemi seri con i quali  combattiamo da sempre, e di difficile soluzione? Non ci siamo accorti che sono decenni che si parla di riforme costituzionali? Come si può (mi chiedo) dare credito, allora, a questa storia di JP Morgan (che ha tutto il diritto peraltro di fare le considerazioni che vuole, come tanti altri)? Non solo è vero, ma è risaputo, anzi banale (banale non significa falso, anzi risaputo, e dunque non necessariamente  falso), quello che JP Morgan scrive, ovvero che  la costituzione italiana nasce debole perché influenzata dal clima post-fascista di sospetto verso forme politiche forti. Ma una forte democrazia non è una forte dittatura. Del resto, esistono altre costituzioni democratiche in giro per il mondo. Questo è vero indipendentemente da JP Morgan. Ma, come si diceva sopra, occorrerebbe che le classe dirigenti fossero capaci di dare l’esempio: se poi invece sono proprio loro le prime a creare sospetti di tipo polulistico di che cosa ci stupiamo?  Poi, di uno degli autori che lei cita mi sono -  guarda caso -  occupato già per nFA.

http://noisefromamerika.org/articolo/hillary-clinton-isis-bufala-molto-piu

 

Ottimo articolo. Concordo con le riflessioni: occorrerebbe il buon esempio delle classi dirigenti per, molto lentamente, uscirne. Ma come si selezionano in Italia le classi dirigenti ? Ad ogni livello, micro/medio/mega/iper imprenditoriale, politico, e delle professioni liberali è scontata culturalmente la succedibilità dinastica e  l' investitura della burocrazia di controllo: pensare che il sig. X, figlio del farmacista Y, e che, per questo semplice motivo futuro erede della farmacia Z, di 3 vetrine, quindi del valore di € 850.000, possa rinunciare ad un futuro già segnato, è pura utopia, in Italia; in questo modo si "ragiona" per gruppi, o meglio per cosche, e da questo al ragionare da perseguitati il passo è breve. Anche perché il modello del gruppo perseguitato da forze oscure garantisce la leadership e dà importanza agli adepti: siamo così importanti che addirittura forze oscure, fortissime, ci perseguitano: esse hanno così coscienza della nostra forza che si nascondono dietro maschere irriconoscibili. Ha cominciato così il cattolicesimo, che rimane il vero modello (in)culturale che in questo paese permea qualunque aspetto. E proprio il cattolicesimo ha fornito, mi pare, la vera colonna portante alla conservazione: 1) l' individuo è nulla, ci sono solo le fazioni, quelle pro-bene e quelle pro-male; 2) comunque siamo tutti impastati di peccato originale, quindi, anche all' interno delle forze pro-bene, è inutile proporsi come innovazione, tanto si rischia di diventare forza pro-male, e quindi a che pro tentare di innovare e di cambiare la struttura ? E da questo consegue la conservazione più immonda: di occasioni che giustificassero una rivoluzione in Italia ne abbiamo avute mille, tutte sprecate all' insegna di chimmoffafà. Ho orrore di quello che è avvenuto in Spagna dal luglio del '36 all' aprile del '75, ho orrore anche di quello che sarebbe potuto succedere se avessero vinto "los rojos", ma lì i cattolici hanno scelto molto chiaramente un campo, si sono schierati con uno che si credeva diverso e voleva cambiare le cose, forse perché la Chiesa fin dalla reconquista ha scelto un campo culturale molto più chiaro e lineare che in Italia, e non ha (troppo) inquinato i meccanismi politici dei suoi avversari, li ha "semplicemente" messi al rogo. Qui da noi ha stravinto ed ha trasformato questo paese sordo e grigio in una palude fangosa di manipoli, semplicemente eliminando una qualunque spina dorsale agli individui (che si sono fin troppo docilmente fatti piegare, ovvio), e chiamando ciò "duttilità", "intelligenza politica" et similia: proprio il mascellone fu da giovane mangiapreti poi fece i Pazzi Lateranensi, prima neutralista poi interventista, prima monarchico poi repubblicano, prima antipatizzante del nazismo poi amico, prima con un penchant per gl' inglesi, poi avversario, ecc. ecc.. L' ultimo colpo da maestro è stato far incancrenire la situazione fino a renderla modificabile solo, se va bene, con un' azione ininterrotta che duri almeno il triplo di una vita umana longeva: chi oggi si imbarcherebbe nell' impresa di bonificare culturalmente questo paese da quei cancri, sapendo che, anche se tutto va bene, nemmeno i propri nipoti vedranno l' arrivo ? In passato abbiamo cercato il vincolo esterno, cominciando con la CECA e finendo con l' Euro: forse una coscienza del fatto che solo cedendo un pochino di potere decisionale possiamo uscirne vivi. E poi della nostra cialtronaggine abbiamo fatto almeno spunto per opere d' arte immortali: "Il sorpasso", "In nome del popolo italiano" sono anche dei successi psicanalitici: nel momento in cui ci accettiamo per quell' aborto della storia che siamo, ci liberiamo e viviamo al nostro meglio, comunque sereni. Ma Monicelli, Sordi, Gassman, Tognazzi sr., ecc. ecc. sono assenti giustificati: sempre i migliori se ne vanno per primi.

Troppe bugie in giro.

scusate, andava più su, dopo l'intervento di boldrin, ma poco importa...

non sono riuscito a cancellare il mio commento, solo editarlo.

 

i “detentori di ricchezza”, che complottano lungo i decenni contro il welfare, opererebbero su scala globale: sono un’associazione supernazionale, che agisce oggi secondo un piano uguale e contrario a quello che li ha portati a creare il welfare

 

Ecco allora cosa fanno quelli del Bilderberg! E io che me li raffiguravo come nel film Eyes wide shut. . . Il nostro amato onorevole Sibilia l'ha sempre detto, bisogna dargliene atto; e Lei si vergogni. . .

Jokes a part (come dice Renzi), resta intatta la mia difficoltà nel confutare a 4 occhi dette teorie. E' come cercare di afferrare un'anguilla, prima o poi ci rinunci. . .

ottimo articolo.
Aggungo qualche dettaglio che ho notato:

- i significati di "complotto" e "complottismo" mi sembrano diversi anche per il rapporto di forze tra i congiurati e la vittima. Il "complotto" vede tipicamente un gruppo contro un singolo o contro un gruppo molto più debole. Il "complottismo" figura un accordo di tipo diverso, tra i componenti di un gruppo ridotto ai fini di imbrogliare il mondo intero.

- Posso però testimoniare che un certo accordo del secondo tipo esiste, anche se "tacito". Più che con il "complotto", esso si esplica in forma di "omertà". Tralasciando il tradzionale esempio di certa cittadinanza sicula nei confronti dei "piemontesi", sembra più interessante quella all'interno dell'amministrazione pubblica. In cui parlare pubblicamente delle malefatte della dirigenza, tipicamente di nomina politica, è vietato per paura di ritorsioni. Per non parlare delle nomine con contratto a termine,  tipo i dirigenti degli uffici tecnici, che devono stare zittissimi per non svelare l'incompetenza o la parzialità di chi li ha nominati. Ed ovviamente il silenzio è d'obbligo su tutti i privilegi di certi impieghi pubblici.
In questo senso, l'omertà sui propri privilegi di categoria, o sulle malefatte della dirigenza pubblica da cui dipende la propria carriera è effettivamente una sorta di tacito "complotto" di una certa propaggine della classe politica nei confronti di una cittadinanza che paga.

ma l'attacco a saddam fu un complotto o pensarlo e'  complottismo