Debito pubblico: lasciatelo stare!

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Non è utile e nemmeno necessario alzare le tasse per ridurre lo stock di debito pubblico. Occorre tagliare spese e tasse in parallelo, lasciando il debito dov'è.

Chiarimento preliminare. Vorrei evitare d'essere preso per un aderente in ritardo al confuso ed incoerente appello di economisti "marxisto-sraffian-keynesiani"  - ossia, "seguaci del barone-guru Luigi Pasinetti" - che gira da tempo per l'Italia. Gli allegri signori che hanno steso e firmato il suddetto appello sostengono, ad essere cortesi, che il debito va lasciato lì dove si trova non perchè s'hanno da ridurre le tasse ma perchè, al contrario, tutto quanto si possa ricavare dalla tassazione va assolutamente ed immediatamente speso, pena la caduta della famosa domanda effettiva. Se, scialando spesa pubblica a destra ed a manca, s'arriva a spender più di quanto VV tassi (per incredibile che possa sembrare, con certa gente è possibile pure questo) non preoccupiamoci. Per i pubblici intellettuali (nel senso di pubblicamente stipendiati a base di tasse pagate dai lavoratori del privato) che hanno firmato il suddetto appello, un bel deficit di bilancio non è mai stato né mai sarà una cosa grave. Come credo risulterà chiaro da quanto segue, nulla mi risulta più alieno della finta analisi economica che costoro predicano. Il fatto che, su uno specificissimo punto di politica economica, si possa arrivare alle medesime, anche se contingenti, conclusioni è dovuto a pura casualità.

L'argomento che vorrei svolgere consiste di tre parti. La prima si riferisce alla politica economica più immediata e spiega perchè non è una buona idea (per il cittadino italiano medio) che si cerchi di ridurre lo stock del debito pubblico esistente oggi in Italia. La seconda pate e' leggermente più generale: sostengo che la religione di Maastricht secondo cui qualsiasi rapporto debito/PIL superiore al 60% è un "male" mi risulta infondata e che, più in generale, non è possibile stabilire a-priori (ossia astraendo da situazioni concrete) quale debba essere il rapporto debito/PIL ideale. Nella terza parte, ancor più generale, indico quali siano i criteri da adottarsi per decidere, in ogni data situazione concreta, se vale la pena aumentare, ridurre o lasciare inalterato lo stock di debito pubblico.

Parte 1. L'analogia più semplice mi sembra quella del "buon" padre (madre) di famiglia. Quando conviene indebitarsi per investire o consumare? Conviene indebitarsi per investire o consumare quando il rendimento atteso dell'investimento (o del consumo, dove il rendimento del secondo va misurato in termini di utilità da esso prodotta) è superiore (o uguale, per i pignoli) al costo atteso del servizio del debito - dove per "servizio del debito" intendo i pagamenti di interessi e capitale richiesti sino alla scadenza del contratto di prestito. Si tende in genere ad aggiungere una seconda condizione alla precedente: che il debito così generato sia "sostenibile" - ossia che la famiglia in questione sia in grado, nel futuro, di "servirlo" in modo consistente con gli altri flussi di reddito e spesa programmati o attesi. Ma questa seconda condizione è, in realtà, una condizione imposta dal mercato, ossia dai creditori: i creditori si rifiuteranno di concedere prestiti qualora ritengano che il nuovo debito non sia compatibile con il vincolo di bilancio della famiglia, ossia non sia servibile. Quando tale evento si verifica, ossia quando il mercato ritiene che il debitore non sia in grado di servire il debito che richiede, si alzeranno i tassi d'interesse praticati allo stesso in misura proporzionale al rischio di non pagamento che si viene così a creare. Tecnicamente noi parliamo di "no Ponzi games" (NPG): il mercato si rifiuterà (e tale rifiuto si tradurrà in variazioni dei prezzi, ossia dei tassi d'interesse praticati) di concedere prestiti ad una famiglia che usi nuovo debito per servire il precedente e che non sia in grado, nell'orizzonte di tempo considerato, di servire il proprio stock di debito attraverso il reddito da essa generato. Quindi la prima condizione è l'unica che un buon padre di famiglia, e quindi un "buon governo" nel senso Einaudiano del termine, dovrebbe seguire nella gestione dello stock ESISTENTE di debito pubblico.

Nota tecnica: molte persone fanno confusione su questo punto - è stato fatto persino su nFA! - menzionando anche la cosidetta "condizione di trasversalità" (TC), la quale c'entra come i cavoli a merenda. La TC è una condizione (sufficiente di solito come provato da Mangasarian (1966), sotto certe ipotesi necessaria) per l'ottimalità di piani intertemporali di consumo-risparmio. Essa è banale con orizzonte finito e meno banale con orizzonte infinito, ma la TC impone che "al limite dell'orizzonte temporale" il soggetto massimizzante non detenga troppo capitale, non troppo debito! Insomma, la TC è esattamente l'opposto di quanto molti tendono a farle dire: qualsiasi consumatore razionale sarebbe felicissimo d'avere una quantità crescente con il tempo (e tendente all'infinito) di debito perchè così facendo potrebbe consumare a piacimento. Ciò che un consumatore razionale vuole evitare, invece, è di avere troppi risparmi inutilizzati nel punto limite del suo orizzonte temporale. E' dunque la condizione NPG che impedisce di accumulare troppo debito e, ripeto, la NPG la impone il mercato attraverso i prezzi (o, al più negando il debito tout court) non serve se la imponga il consumatore da solo. A meno che non sia masochista.

Chiarito questo punto, veniamo al presente. Lo stato italiano paga un premio al rischio sul proprio debito pubblico rispetto ad altri paesi, come per esempio la Germania o la Spagna, che hanno rapporti debito/PIL minori? L'evidenza dice persistentemente di no, come abbiamo chiarito, nel dibattito che trovate qui, Enzo Michelangeli ed il sottoscritto. Proprio non paghiamo nessun premio al rischio, quindi ridurre il rapporto debito/PIL dal 107% odierno al, per esempio, 37% della Spagna non ci farebbe risparmiare nulla da questo lato. Diranno alcuni: ma in questa maniera risparmiamo gli interessi! Sbagliato, perchè per risparmiare gli interessi occorre ripagare il capitale ed il valore del medesimo è esattamente uguale al valore presente atteso (scontato al tasso d'interesse di mercato) dei pagamenti d'interesse che così si risparmierebbero. Se pagando un po' di debito calano gli interessi perchè si riduce il premio al rischio potrebbe essere conveniente, ma nella situazione concreta questo caso non si dà. Le due quantità sono identiche proprio in forza del fatto che non stiamo pagando un premio al rischio! La riduzione del debito, dunque, non genera alcun vantaggio monetario e la prossima volta che qualcuno se ne esce a cena con la storia degli interessi che sono uguali a quello che il paese spende in educazione spiegategli/le che non ha capito nulla. Anche questo punto, alquanto banale invero, è stato chiarito nella discussione fra Enzo ed il sottoscritto indicata poc'anzi.

Aggiungerei un ulteriore fattore: per pagare 4 Euro di interessi occorre tassare il reddito o il consumo degli italiani per 4 Euro, mentre per pagare il capitale che genera quegli interessi occorre tassare il reddito degli italiani per 100 Euro. Nella misura in cui le tasse sono distorcenti, esse lo sono proporzionalmente di più all'aumentare del livello di tassazione per unità di tempo. Insomma, tassare 100 di un solo colpo fa un danno maggiore che non tassare 4 per 25 anni di seguito. Detto altrimenti: la funzione di perdita associata alla tassazione non è solo crescente, è anche convessa: quindi meglio pagare per sempre interessi con le tasse che non tassare per pagare immediatamente il capitale. Gli inglesi dei bei tempi andati, che gonzi non erano, questo fatto l'avevano capito molto bene: per questo amavano emettere "console debt" o "consols", che pagano interessi ma non si redimono mai. 

Rimane quindi un'ultima possibilità, la seguente: gli italiani che pagano le tasse sono dei gonzi. Mi spiego. Questa ipotesi dice che, con i soldi che gli italiani ora tengono in tasca propria ed investono/consumano e che si vorrebbe prelevare per pagare il debito in essere, con questi soldi dicevo gli italiani ci guadagnano meno del 4% circa che il debito pubblico paga come tasso d'interesse. Detto altrimenti: il rendimento atteso degli investimenti/consumi degli italiani è inferiore al costo del debito pubblico. Se questo è il caso allora, effettivamente, un governo benevolente vorrebbe "prendere a prestito" (via tassazione) quei soldi per "investirli" ripagando il debito pubblico. Attendo evidenza empirica che renda credibile tale ipotesi. Sono anche disposto a scommettere cifre con vari zeri che tale evidenza empirica non esista e non sia producibile. Nel frattempo continuo a ritenere un'inutile follia voler ripagare il debito in essere. Questo NON vuol dire farne di addizionale, che è tutto un altro discorso (vedi sotto, Parte 3). Sto solo sostenendo che l'ossessione TPS-Prodi-VV (alimentata dai confusi signori che governano da Bruxelles, Almunia poverino in testa) di ridurre il debito, ridurre il debito, ridurre il debito ... costituisce un'ossessione perniciosa per gli italiani. Tralascio l'ovvio aspetto polemico, ossia il fatto che l'enorme aumento di carico fiscale (40 miliardi secondo l'ottimo editoriale di Francesco) generato dalla Banda Bassotti appostata a via XX Settembre non è servito per ridurre il debito ma solo per regalare soldi alle lobbies che sostengono i partiti per cui i finti economisti dell'appello menzionato all'inizio votano e lavorano. Tout se tient.

Parte 2. Qui andiamo leggermente in un terreno tecnico, quindi provo a formulare la mia tesi in modo attento.

'<h' . (('5') + 1) . '>'Sostengo che, se al tempo t esiste uno stock di debito X(t), a meno di circostanze particolari (vedi sotto) la politica fiscale ottima per il cittadino medio sia quella che lascia quel debito intatto, ossia tale che il processo stocastico del debito (condizionale su X(t) e l'informazione disponibile a t) è un cammino aleatorio. '</h' . (('5') + 1) . '>'

Per i pignoli, il camino aleatorio fa E[X(t+1)|I(t)] = X(t), dove E[.|I(t)] è l'operatore valore atteso condizionato dall'informazione I disponibile a t. La ragione è quella esposta nella Parte 1, solo formulata in modo leggermente più generale.

Il debito pre-esistente è, appunto, pre-esistente. In principio esso non influenza la politica fiscale e di spesa corrente né da un lato né dall'altro, a meno che non ci si trovi in uno di quei complicati mondi studiati (fra gli altri) da Lucas&Stokey, Persson&Svensson, eccetera, in cui il super-benevolente governo gioca dei giochi veramente complicati sia con i suoi concittadini che con se stesso per forzarsi a fare le cose ottime. Ma anche in questi mondi - al lato pratico, a mio avviso, del tutto irrilevanti: quasi tutta la letteratura su politiche fiscali ottime post-1980 mi sembra una gigantesca perdita di tempo, ma lasciamo stare altrimenti non finisco mai il post - il problema non si pone: poichè l'onniscente governo ha disposto la struttura a termine e la composizione del debito in maniera tale che solo la variazione ottima (ex ante) del medesimo risulta conveniente, non vi è nulla da temere, e nemmeno da scegliere e discutere. Tirem innanz ... Poichè il debito pre-esistente è quello che è, l'unica ragione per tassare il settore privato al fine di ridurlo dev'essere una di convenienza futura per i cittadini stessi. Ossia, i cittadini del paese in questione devono essere in una situazione tale per cui tassarsi oggi per pagare il debito li porta a condizioni economiche che sono migliori domani. Non solo sono migliori (questo sembra facile: non hanno più alcun debito da servire) ma sono tanto migliori da compensare per lo sforzo fatto per pagarlo il giorno precedente e la disutilità che ad esso consegue. 

Invito il lettore a soffermarsi per due attimi sull'affermazione precedente, la quale sembra (e forse è) alquanto banale ma contiene il principio base della gestione ottima del debito pubblico (e privato!) in essere.  Questa considerazione implica che conviene tassarsi oggi per pagare il debito se e solo se si verifica almeno una delle seguenti situazioni:

(a) il rendimento atteso degli investimenti/consumi privati è inferiore al costo del debito (la qual cosa richiede che una parte sostanziale del debito sia detenuta da cittadini di altri paesi, altrimenti il debito nazionale fa parte degli investimenti a disposizione dei cittadini);

(b) esiste un contratto intergenerazionale secondo cui parte del debito in essere, essendo stato speso per soddisfare consumi dei cittadini oggi in vita e che domani moriranno, non deve essere pagato dalle generazioni future ma da quelle che di tale debito si sono avvantaggiate. Questo potrebbe valere, sotto opportune ipotesi, per il debito implicito nel sistema di pensioni Pay-as-You-Go, e questo è forse il caso in Italia. Ma non è del debito pensionistico che oggi si discute, bensì del debito pubblico esplicito. Sulla questione debito pubblico da pensioni ritorneremo un'altra volta. Quindi occorre chiedersi se questo contratto intergenerazionale esiste, e cosa implichi. Fatto questo occorre anche rendersi conto che il dibattito si sposta dal terreno dell'efficienza economica a quello dell'equità intergenerazionale, che è cosa alquanto più complessa: richiede, fra l'altro, accordarsi su un criterio di giustizia intergenerazionale. Rawls, come ho dato a capire altrove, porta a soluzioni assurde mentre altri lo ritengono adeguato, vedasi qui. L'utilitarismo  diciamo "standard" e con generazioni "pesate uniformemente" elimina il problema (almeno quando vi sono trasferimenti privati positivi da generazioni vive alle future) in base al ragionamento di Ricardo, noto come "ricardian equivalence" dopo il lavoro di Barro del 1974. In ogni caso, trattasi di problema diverso da quello originale. 

(c) oscillazioni cicliche di natura stocastica possono giustificare ampliamenti/riduzioni del debito in essere. In generale (ma i casi speciali abbondano) sembra essere saggio tassare un pochino sopra la media nei periodi buoni e sotto la media in quelli cattivi, facendo l'opposto con la spesa. Nei periodi in cui le cose vanno bene e si tassa di più della media, spendendo sotto la stessa, il debito cala. Ma notate che questo non implica aumentare le tasse (men che meno permanentemente!); implica solo oscillazioni ciclicamente ottime della spesa e delle tasse. Per applicare tale criterio all'Italia del 2007 sarebbe necessario provare che in tali circostanze ci troviamo, il che non sembra visto che la Banda Bassotti aumenta la spesa molto allegramente ed in modo duraturo. Quindi, inferisco, dev'essere che le cose vanno male, quindi occorre ridurre anche le tasse e lasciar crecere il debito. La moglie ubriaca e la botte piena, nei ragionamenti coerenti, normalmente non si riesce ad averle. Peccato.

(d) situazioni di restrizione creditizia, ossia il mercato si rifiuta di prestare o anche solo di mantenere il livello esistente del debito. In questo caso, che si riduce alla questione del premio al rischio discussa nella Parte 1, risulta senza dubbio appropriato ridurre lo stock del debito. 

(e) minacce esterne come per esempio il rischio di una svalutazione della moneta. Ma abbiamo l'Euro, che non si svaluta a causa del debito italiano, sembra. Oppure situazioni stile Sargent&Wallace (1981) nelle quali lo stock di debito pubblico in essere è tanto alto da convincere i mercati che delle due almeno una: il governo si rifiuterà di servire il debito in un qualche periodo futuro con conseguente crescita del premio al rischio in questo periodo ed in tutti gli intermedi, oppure il governo inflazionerà eliminando il debito attraverso una crescita generalizzata del livello dei prezzi. Di nuovo, lascio ad altri l'onere di argomentare che tali circostanze si adattano all'Italia del 2007.

Altre ragioni non ne vedo, ma essendo notte tardi non escludo che la concentrazioni mi stia facendo qualche brutto scherzo. Se mi son sbagliato, mi sbeffeggerete!

Parte 3. Si fa tardi, e ci si fa anche sempre di più astratti, ma anche in questo caso il ragionamento può essere semplificato alquanto usando buon senso ed intuizione. A cosa serve il debito pubblico? Fondamentalmente dovrebbe servire, notate il "dovrebbe", a due cose se il governo fosse un governo che fa l'interesse dei cittadini: ad attenuare gli shocks ed a finanziare investimenti in conto capitale. Ci ritorno fra un attimo, prima consideriamo cosa succede se togliamo il "dovrebbe".

Siccome in genere i governi fanno gli interessi propri il debito serve anche e soprattutto per comprare voti spendendo oggi senza dover pagare, rinviando il pagamento a domani quando governa un altro o quando proprio non si può fare a meno di pagare. Ma questo problema - drammatico - ed ovviamente IL Problema di cui gli studiosi di finanza pubblica dovrebbero occuparsi invece di fare Ramsey Policies con tutte le varianti d'informazione incompleta ed asimmetrica che riescono ad inventarsi - non si risolve pagando il debito in essere! Questo problema si risolve solo con restrizioni costituzionali che impediscano l'uso del debito per comprare voti. Discussioni sopra il tipo di restrizioni costituzionali che potrebbero raggiungere l'obiettivo se ne sono fatte a palate, ed il risultato teorico è chiaro. Altrettanto chiaro il risultato empirico: in nessun paese europeo, o non che io sappia, esse sono state adottate. Personalmente non vedo altra soluzione credibile e sostenibile, quindi credo sia il caso di continuare a predicare nel deserto, sperando che un giorno cominci a fiorire e si comincino ad introdurre nella carta costituzionale restrizioni semplici e stringenti ai criteri di emissione del debito pubblico. Nel frattempo sono a favore di lasciare tutti i debiti in essere dove sono. Abbassarli vuol dire solo offrire ulteriore spazio ai governi non benevolenti, ossia a tutti i governi, per spendere ancor di più ed allegramente, facendo crescere il debito oggi e le tasse domani. Lasciando lo stock di debito dove sta, ossia opponendosi a qualsiasi incremento dell'imposizione fiscale che venga giustificato con l'obiettivo della riduzione del debito, si lascia ai governi male-olenti un'alternativa leggermente meno allegra. Se vogliono spendere devono tassare, e la gente se ne accorge. Oppure possono creare spazio per spese future solo riducendo le presenti, che è meglio d'uno sputo in un occhio. Quindi, fatte salve le circostanze eccezionali elencate nella Parte 2, a fronte di governi che fanno i loro interessi insistere perchè non si tassi il settore privato con la scusa di ridurre il debito pubblico mi sembra la politica più ragionevole.

Torniamo, in conclusione, al "dovrebbe", ossia alla domanda se vale la pena avere del debito pubblico. La risposta facile la sappiamo tutti e già l'ho menzionata: a fronte di shocks temporanei ed inattesi vale la pena usare il debito. Ma se usassimo il debito solo per queste ragioni, credo non avremmo mai un rapporto debito/PIL superiore al 10, forse 15 per cento. Non ho fatto i conti esatti, ma son certo che il 15% basta ed avanza anche per la grande depressione del 1930-39. Poi ci sono gli investimenti nei beni capitali pubblici. Qui, ovviamente, si apre un dibattito infinito perchè ognuno di noi ha un'opinione, ed una teoria, personali su cosa sia e cosa non sia un bene pubblico. Qualcuno vuole i ponti e le autostrade, altri i parchi ed i porti, alcuni i restauri degli edifici antichi ed i musei ben tenuti, altri l'ambiente e le coste, a qualcuno piace l'esercito, altri preferiscono le chiese da restaurare o l'educazione della gioventù. Non mi ci metto, ma sottolineo l'aspetto altamente intergenerazionale della faccenda: quasi tutti i beni capitali pubblici sono investimenti per il futuro, per le generazioni giovani o addirittura a venire. Questo implica che, o ben si riesce a provare che i beni pubblici e gli investimenti pubblici non esistono / non servono / possono essere tutti finanziati privatamente in modo efficiente, oppure occorre riconoscere ed accettare come 'efficiente' uno stock positivo di debito pubblico ed un rapporto debito/PIL anche sostanziale.

Personalmente propendo per un approccio empirico, ossia caso per caso. Il che implica anche "ear marked" taxation ed emissioni di debito "vincolate", ossia vincolate al finanziamento di questo o quell'altro bene pubblico durevole. La qual cosa, messa in una carta costituzionale, sarebbe un primo passo verso quella riforma che menzionavo poco sopra. Ma questo post è già lungo abbastanza.

Riassumendo: la prossima volta che un qualche primo ministro vi racconta che occorre alzare le tasse per ridurre il debito, spernacchiatelo tranquillamente. Sta quasi certamente raccontandovi una grande balla. 

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Commenti

Ci sono 45 commenti

...la tua ipotesi non e' realista. Dici bene all'inizio parte 3:

"A cosa serve il debito pubblico? Fondamentalmente dovrebbe servire, notate il "dovrebbe", a due cose se il governo fosse un governo che fa l'interesse dei cittadini..."

Il governo non fa l'interesse dei cittadini. Specialmente in Italia. Di qualunque colore sia. Non ho evidenze empiriche finali e incontrovertibili al riguardo ma credo che la lettura quotidiana dei giornali spinga verso un'ipotesi piu' realista: cioe' che il governo si faccia gli interessi suoi, no?

Allora meglio non pensare a un governo che fa il padre di famiglia ma a uno che vuole essere ri-eletto o appropriarsi di alcune rendite per capire come il governo si comporta nei confronti del debito pubblico come in questo bel paper (anche se e' una lettura tecnica e un po piu' per gli addetti ai lavori).

conviene tassarsi oggi per pagare il debito se e solo se si verifica almeno una delle seguenti situazioni...

(d) situazioni di restrizione creditizia, ossia il mercato si rifiuta di prestare o anche solo di mantenere il livello esistente del debito. In questo caso, che si riduce alla questione del premio al rischio discussa nella Parte 1, risulta senza dubbio appropriato ridurre lo stock del debito. 

(e) minacce esterne come per esempio il rischio di una svalutazione della moneta. Ma abbiamo l'Euro, che non si svaluta a causa del debito italiano, sembra.

Senza voler entrare in questioni tecniche, per le quali non ho competenza, ma solo facendo appello alla mia memoria (storica), mi pare che al tempo della lira e per l'esattezza al tempo dell'uscita dell'Italia dallo SME il differenziale dei BTP sui bund tedeschi - da sempre termine di paragone del premio di rischio del nostro debito - era crescente, con concreto timore di rifiuto del mercato all'acquisto dei Titoli di Stato (ricordo che negli stessi giorni Bossi invitava effettivamente al boicottaggio dei BOT). In parallelo c'era il concreto pericolo della svalutazione, poi effettivamente e ripetutamente verificatasi.

In quella situazione storica c'è stato l'inzio delle politiche di lacrime, sangue e tassazione per la riduzione del deficit/debito, cosa che ha poi consentito all'Italia di entrare nell'euro e quindi di trovarci nella situazione più tranquilla che tu descrivi.

Ricordo però che l'ingresso nell'euro non fu automatico, ma negoziato, proprio a causa dello stock di debito esistente - fuori dei famosi parametri - sicchè l'Italia si dovette impegnare alla sua riduzione e conseguentemente a perseguire le politiche di riduzione che tu critichi. Mi sa che ci troviamo in una situazione di pacta servanda..

Vero è che la riduzione può avvenire per via fiscale (più tasse) o vendendosi l'argenteria, cosa in parte, ma non  sufficientemente  già fatta, come dimostra lo smantellamento delle partecipazioni sociali,  o riducendo le spese - cosa evidentemente non fatta a sufficienza.

C'e' un aspetto ulteriore su cui forse vale la pena soffermarsi: nella misura in cui il debito pubblico e' detenuto dai cittadini, da una parte e' ancora meno problematico tenerselo (quello che il governo prende con una mano, elargisce con l'altra sotto forma di interessi), dall'altra ha implicazioni redistributive che potrebbero essere indesiderate. Se qualcuno avesse qualche riferimento, sarebbe interessante conoscere entrambi i dati: la percentuale di debito detenuta internamente, e la sua distribuzione al variare del reddito dei detentori.

Anche in un mondo con agenti eterogenei, trovo difficile provare a fare predizioni sul fatto che il debito (al contrario di che cosa? Le tasse? Quali?) abbia effetti redistributivi da un lato o dall'altro. Da un punto di vista positivo ha ovviamente effetti redistributivi, via spesa pubblica, a favore dei gruppi d'interesse che i politici vogliono foraggiare ed alimentare. Ma in generale, il debito per-se, perche' mai dovrebbe redistribuire?

Il puro fatto - meglio ipotesi perche' magari A, B e C sono la stessa persona - che A possa ricevere il bene pubblico, B detenga il debito per finanziarlo e riceva interessi, e che C paghi le tasse con cui si finanziano gli interessi sul debito, non vuol dire molto. Tieni conto che B, di per se', se i soldi da investire ce li ha (che ce li ha anche senza debito pubblico) puo' sempre comprarsi un altro titolo finanziario, con lo stesso rischio e lo stesso rendimento, o almeno con lo stesso Sharpe ratio. Quindi, a lui ke ie frega del debito? Mica ci guadagna nulla! In assenza del debito investe da un altro lato, e fine della storia. Insomma, in principio il detentore di debito e' indifferente al fatto che il bene pubblico si finanzi con debito o con tasse.

Anche se lui fosse C (ossia, se B=C="ricchi", mentre A="poveri" come nella balla nazionale che VV&TPS&Prodi raccontani ai loro elettori beoti) ed il sistema di tassazione fosse "progressivo", ossia con tassa media una funzione convessa del reddito, di nuovo non fa molta differenza. Se il bene lo finanziano direttamente con le tasse, queste le paga B (ossia C) in proporzione maggiore che A. Se lo finanziano con debito, il servizio del debito lo pagano lo stesso B (ossia C) in proporzione maggiore di A. Stessa cosa. La questione redistributiva, al piu', e' fra A che riceve la spesa e C che paga le tasse, che e' cosa vecchia e nella quale il debito non c'entra.

Bottom line, prima di guardare i dati per capire se il debito redistribuisce, bisognerebbe avere qualche ipotesi riguardo al meccanismo redistributivo che il debito alimenta, ed io a priori non lo vedo proprio.

 

Un aspetto positivo dei parametri di Maastricht e' quello di fornire un vincolo para-costituzionale alle restrizioni all'emissione del debito che Michele vorrebbe fossero messe nella costituzione. Non voglio nemmeno iniziare a discutere sulla capacita' della particolare scelta effettuata a garantire gli esiti desiderati. L'effetto-vincolo pero' sembra esserci. E non vale dire che il vincolo e' meno efficace di un emendamento costituzionale perche' l'adesione all'UE si puo' revocare: anche le costituzioni si possono cambiare, il punto e' qual e' il costo che si sopporta nel farlo. Mi pare che a suo tempo fosse piuttosto esplicito l'intento di aderire al trattato proprio per fornire un vincolo alle spese allegre dei governi italiani.

Interessante comunque notare come spesso decisioni di rilevanza costituzionale vengono prese dai governi in via extra-parlamentare.

 

 

Oggi io ed Andrea non riusciamo a pensare una per andare d'accordo! A volte ci son giorni come questi, che ci possiamo fare? Discutiamo allora ...

La differenza fra Maastricht e quanto ho in mente io e' fondamentale.

Maastricht mette un numero a caso che, per quanto ne so, potrebbe essere troppo piccolo (magari se facciamo tantissimi investimenti in educazione, salute ed ambiente e' una buona idea avere un debito uguale al 150% del PIL) o che forse e' troppo grande (magari non facciamo investimenti pubblici e le oscillazioni da shock son sparite) ma che, per il puro fatto di esistere, funziona da punto di riferimento per i politici spendaccioni, i quali quindi spendono piu' del dovuto perche' tanto "siamo sotto il 60%".

La proposta che io ho in mente - che e' cosa vecchia per non dire vecchissima, roba austriaca di prima della guerra o public choice poco dopo, ma che segue banalmente estendendo l'argomento di Tiebout a un mondo con una location ma molti beni pubblici eterogenei (lui ha molte locations eterogenee ma un unico bene pubblico) - dice invece che per emettere debito deve esserci, a fronte, una spesa in conto capitale o una variazione ciclica del PIL, propriamente definita. Questa seconda parte, in effetti, in Maastricht ci sarebbe. Infatti il 3% di deficit non e' permesso tutti gli anni, ma solo quando va male ... anche se in Europa sembra andar male un anno si' e l'altro ancora ... Comunque, almeno teoricamente questa parte Maastricht la cattura. Visto? Abbiamo trovato una cosa su cui Andrea ed io siamo d'accordo! Ora basta perche' qualcuno mi ha appena detto che sembro in cocaina, e non e' bello sembrare in cocaina se non te la sei neanche fatta!

 

 

Caro Michele visto che oggi sei felice per il Nobel ai tuoi amici, sperando in una maggiore comprensione per eventuali nonsense, ti ripropongo dei quesiti ai quali mi hanno già risposto Michelangeli e Format: 1) considerare solo il debito pubblico di una nazione e non il suo debito totale dato dalla somma di quello pubblico e di quello privato è sensato o no; 2) ha senso rapportare uno stock: il debito ad un flusso: il Pil; 3) ha senso calcolare il debito pubblico procapite di una nazione includendo nel calcolo lo stock di titoli detenuto dai residenti visto che Melon diceva che il debito interno di una nazione è il debito che la mano destra deve alla sinistra. E poi avrei bisogno di qualche esempio sui casi nei quali viene usata a sproposito la condizione di trasversalità. M 

Il ragionamento di Michele Boldrin sul debito e' perfettamente

sensato da un punto di vista economico finanziario. E' chiaro che in

una logica attuariale e finanziaria non c'e' molto da aggiungere: c'e'

un debito su cui paghi un premio al rischio zero? ottimo. mantienilo

cosi e forget about the past.

Il ragionamento potrebbe finire qua

tra economisti. Anzi. dovrebbe finire qua. Le questioni redistributive,

infatti, non esistono. e anche se il debito avesse proprieta'

redistributive in casi ad hoc, non credo proprio che non esista un

sistema piu' efficiente di lump sum transfers e tasse per realizzare la

stessa redistribuzione con costi minori.

Se si vuole continuare la discussione bisogna ragionare su altri aspetti.

1)

Il problema non e' attuariale-finanziario. Semmai dobbiamo entrare

nella political economy (extended). Quando studiavo economia 101, anche

io ritenevo la regola del 60% una follia. perche' lo e' da un punto di

vista economico. nonsense. Lo scrive anche De Grauwe nel suo libro del

1993. Ma la regola e' politica. L'idea e': devo costringere alcuni

paesi che entreranno nell'euro a dimenticare le politiche spendaccione

e irresponsabili degli anni 80. Il modo piu' facile e diretto e'

togliere loro un grado di liberta'. Fai quello che vuoi con tasse e

spesa, ma il saldo (deficit e debito) deve restare basso o si deve

ridurre. Come ogni regola (anche costituzionale) si puo' indebolire. Ma

va valutata per quello che e' nata per fare: aumentare la disciplina

fiscale. Indipendentemente dagli incentive constraints che introduce o

non introduce, lo ha fatto? Presto per dirlo. Ma negli ultimi dieci

anni non ho visto provvedimenti che introducevano le baby pensioni

(cosa che negli anni 70 ha avviato la spirale del debito). Ripeto,

serviva una regola semplice, immediata, diretta con cui poter fare SOME

MORAL SUASION su governi lassisti. Venne scelta la regola del 60% che

qualcuno ha perfino cercato di giustificare economicamente.

Economicamente non-sense. Politicamente? Forse il meglio che si poteva

fare all'indomani delle tempeste del 1992/93.

2) Lasciando il

campo politico e tornando a quello strettamente economico mi chiedo: ma

davvero il debito pubblico e' una variabile cosi rilevante da

giustificare una diatriba tra economisti su come e' meglio gestirlo?

secondo me no. it's out of focus. Anzitutto, il debito esplicito conta

davvero poco in termini assoluti. Cio' che e' piu' preoccupante e'

quello implicito. Esempio facile facile: se qualcuno di questo blog mi

dice che devo ridurre il debito pubblico io posso fare una operazione

straordinaria: aumento di 10 punti i contributi previdenziali. forse me

la vendo anche in campagna elettorale perche' dico a tutti che e' per

dare loro pensioni piu' alte domani. con questo enorme extra-gettito il

deficit va giu' e in qualche anno anche il debito va giu'. QUELLO

ESPLICITO! Nel frattempo accumulo un debito implicito enorme.

Conclusione:

il debito pubblico e' un concetto assolutamente non definibile (in

maniera seria) e non vale la pena studiare teorie su optimal public

debt. il requisito di Maastricht e' un tentativo POLITICO di dare ai

Governi incentivi (vs elettorato) e ai controllori armi da moral

suasion. se funziona, se determina un po' di disciplina fiscale bene.

altrimenti da economista non me ne preoccupo (semmai passo le nottate a

cercare di calcolare quello implicito in un sistema previdenziale da

incubo).

Pietro

regola (di massima) vuole che le agenzie di rating non assegnino al

debito di imprese nazionali un rating superiore a quello del paese in

cui queste hanno sede. In tal caso, se l'Italia come paese non paga

alcuno spread rispetto alla Germania e' probabile che molte imprese

nazionali debbano finanziarsi a tassi superiori,  ceteris paribus.

 

Inoltre, forse bisognerebbe pensare al general

equilibrium sul premium al rischio (debtio area euro), piuttosto che ad

un partial equilibrium (debito italia). Siamo sicuri che una riduzione

del debito italiano non riduca lo spread dell'intera area euro? In

questo caso forse il problema e' che nella funzione di utilita' di

molti economisti italiani non entra il beneficio (sociale) che la

riduzione del debito italiano apporterebbe all'area Euro ..

In verità nessuna delle due ragioni mi pare molto forte.

Se non c'è premio al rischio sul debito pubblico significa che il rischio paese non c'è. Non vi è quindi molto altro che si possa fare per ridurre il costo di finanziamento delle imprese nazionali. Se queste pagano un premio al rischio  è dovuto al tipo di attività d'impresa che svolgono, non al paese in cui hanno la sede (un discorso a parte meriterebbe la credibilità delle agenzie di rating, che al momento non è molto alta, e la ragionevolezza di assegnare a un'impresa un rating minore o uguale del paese che la ospita).

Per quanto riguarda gli effetti di equilibrio generale, sono ovviamente complicati ma in principio non mi è chiaro perché un aumento del premio al rischio sul debito pubblico italiano debba comportare un aumento del premio al rischio sui bund o sui titoli francesi, per dire, anche se sono denominati nella stessa valuta. Il premio al rischio valuta il rischio di insolvenza del debitore; se l'Italia aumenta tale rischio ma la Spagna continua a essere virtuosa non c'è nessuna ragione per cui la Spagna debba pagare un interesse più alto solo perché usa la stessa divisa dell'Italia.  Ai tempi della lira l'Argentina ha emesso debito denominato nella valuta nazionale italiana, senza che ovviamente questo avesse alcun effetto sul rating dell'Italia. Emissioni in dollari USA da parte di molti paesi sono anche comuni, senza che questo intacchi il rating del debito USA.

Concordo con Calvin. Il motivo di fondo che giustifica l'introduzione del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) è garantire un certo grado di coordinamento delle politiche fiscali da parte dei paesi appartenenti all'aerea dell'euro e  impedire il moral hazard da parte dei paesi più indebitati. Infatti, in un contesto di premio al rischio calante, paesi maggiormente indebitati avrebbero avuto incentivi crescenti a finanziare le proprie politiche fiscali in deficit (e quindi aumentando il debito). In caso di default, tali paesi avrebbero potuto usufruire di una implicita clausola di salvataggio non da parte degli altri paesi dell'unione ma, eventualmente, da parte della BCE. il patto di stabilità, percio', serve  a garantire il coordinamento delle 13 (a partire dal 2007, 15) politiche fiscali dei paesi dell'area dell'euro e a preservare l'indipendenza della politica monetaria della BCE.

Riguardo alla regola del 3% di deficit/PIL e 60% di debito/PIL, occorre fare alcune distinzioni.

Primo, il vero focus del patto di stabilità è il raggiungimento del pareggio di bilancio (o medium term objective - MTO, secondo la nuova formulazione del PSC riformato nel 2005). Paesi che presentano deficit corretti per l'effetto del ciclo economico in pareggio (o al MTO) possono lasciare i loro stabilizzatori automatici liberi di operare secondo le dinamiche contingenti del ciclo economico. Percio', il deficit nominale crescerà (al di sotto del 3%) in periodi di recessione e si ridurrà automaticamente in periodi di espansione.

Secondo, il numeretto 3% deficit/PIL è, appunto, solo un numero. Serve a discriminare tra la parte propositiva del PSC (quella descritta al punto Primo) e la parte punitiva. Paesi che, ingiustificatamente, superano il 3% del deficit/PIL incorrono nelle procedure di Deficit eccessivo. Un complesso sistema di peer pressure esercitato dai governi degli altri paesi membri dell'area dell'euro e da parte della commissione europea, spinge i paesi in deficit eccessivo a dichiarare preventivamente e ad impegnarsi per applicare le politiche fiscali da adottare per riportare il paese al di sotto del 3% e convergere al MTO (o al pareggio di bilancio) entro un certo numero di anni. Se il governo del paese in deficit eccessivo non corregge scattano delle multe abbastanza pesanti. il 3% del deficit/PIL, percio', è in pratica equivalente a un limite di velocità sulle autostrade.

Riguardo al debito, il PSC richiede solamente che questo converga al 60% per i paesi che intendono entrare a far parte dell'area dell'euro. Per paesi che fanno già parte dell'area dell'euro, la riduzione del debito dovrebbe essere automatica in funzione del fatto che il PSC richiede il raggiungimento del pareggio di bilancio.

altro discorso, è poi quello degli effetti dell'invecchiamento della popolazione sulla sostenibilità di lungo periodo del debito pubblico e della politica fiscale.

Concludo con una domanda. Come si fa ad ipotizzare che il processo stocastico che governa l'andamento del debito sia un random walk? In presenza di un avanzo primario nullo e in assenza di privatizzazioni, il livello del debito pubblico al tempo t dipende dal cosiddetto "snow ball effect" esercitato dal debito del tempo t-1. Ossia lo stock di debito/PIL al tempo t è pari allo stock di debito al tempo t-1 diviso per il PIL al tempo t tutto moltiplicato per la differenza tra tasso di interesse e tasso di crescita nominale. In altre parole, il debito al tempo t cala solo se la crescita nominale è superiore al tasso di interesse implicito. Nel caso dell'italia, questa condizione non si è mai realizzata negli ultimi 12 anni. Forse bisognerebbe ipotizzare che lo stock di debito sia almeno un processo autoregressivo di ordine 1.

Saluti

Marco   

Da quando in qua' un Random Walk NON e' un AR(1)? Cosa c'entra il fatto che, per l'Italia, il coefficiente di autocorrelazione sia stato, dal 1995, sempre maggiore ad uno? Io ho fatto un'affermazione NORMATIVA, mica ho descritto le cretinate fatte dai nostri governanti. Mah ...

Sul resto che scrivi, solo una domanda. Tu segui il dibattito che facciamo e cerchi di considerarne gli argomenti, o ti dedichi esclusivamente a fare cut and paste dal manuale della giovane marmotta di Bruxelles? In particolare, ti sei letto il commento di Calvin con il quale dichiari di essere in accordo? Dice il contrario di quanto sostieni, ossia dice che la storia del moral hazard e' incoerente. Incoerente, capisci? Mah ...

Perche' mai bisognerebbe coordinare le politiche fiscali? Forse che in Belgio o in Svizzera le grandi multinazionali li' basate coordinano le loro politiche finanziarie e d'investimento per evitare il moral hazard reciproco? Chi ha detto che se il Belgio o la Slovenia, o anche l'Italia, fanno default la Germania e l'Euro dovrebbero risentirne? Dov'e' l'evidenza storica e teorica a sostegno di questa predizione? Perche' mai la Francia dovrebbe fare il salvataggio del Portogallo? In particolare, a fronte di dozzine di violazioni del cosidetto PSC dal 2000 ad oggi, che conseguenze drammatiche si sono avverate? E che credibilita' ha un patto che tutti violano ogni volta che vogliono? Mah ...

 

Oggi anche Bini Smaghi in un'intervista al Corriere (di cui ancora non trovo il link) dice che ridurre il debito pubblico non è la priorità. Il suo argomento è: con questa tendenza a non ridurre la spesa pubblica, la riduzione del pagamento degli interessi sul debito andrebbe a finanziare nuove spese, spesso inutili.

E bravo Lorenzo, evidentemente studiare bene la macroeconomia a qualcosa serve anche quando si diventa banchieri europei. Me lo ricordo il Bini Smaghi, che finiva il Ph.D. a Chicago quando io ero appena arrivato da Rochester. Evidentemente non sono l'unico a pensare che la religione di Maastricht non serva a nulla, e mi rallegra essere in ottima compagnia.

Il problema di TPS è la presenza nella coalizione che lo sorregge della sinistra radicale che lo condiziona non poco nelle scelte. Poi è pur vero che da quando si è separato da Fiorella le sue analisi a livello macro sono divenute meno rigorose  

Bini Smaghi, Michele e molti di voi che scrivete su nFA, visti i curricula, avreste le carte in regola per ricoprire l'incarico del Ministero di Via XX settembre. Ma il problema è lo scarso potere che ha chi va a ricoprire quell'incarico. Se non si cambia la legge finanziaria il Ministro del Tesoro può fare ben poco per imporre la sua linea. Stando così le cose è il parlamento a menare le danze. Ed è solo alla fine quando andremo a sfogliare la finanziaria pubblicata sulla gazzetta ufficiale che scopriremo per cosa abbiamo pagato e pagheremo le tasse.    

Ringrazio per l'EX-Kathedra, ha chiarito molti punti che mi erano dubbiosi. E per uno che sta studiando, e lo farà per molto, vuol dire avere imparato...e alla svelta!

Ho ancora una questione aperta: Perché in Europa si continua a trattare il problema debito in modo ossessivo? Hanno studiato tutti sul DeGrauwe? Sono tutti più politici (che osservano al problema dell'equità intergenerazionale) che economisti (che osservano il problema in ottica monetarista)? La moral suasion funziona anche perché non crea "dei precedenti" per le future adesioni all'euro oppure ha una sua giustificazione teorica?

Insomma quello che capisco è che la politica la fà sulla teoria economica (meno male) ma che la teoria economica non riesce ad influenzare manco un poco la politica economica (purtroppo!). Meno male che non sono nei panni di TPS. 

condivido pienamente l'analisi sul debito pubblico, ma purtroppo dobbiamo tenere conto che il nostro governo con una miopia politica ha aderito al trattato di maastricht, che con i suoi parametri politici impedisce ai paesi  molto indebitati l'effettuazione di investimenti pubblici, investimenti di cui il nostro paese necessità per colmare  lo squilibrio con gli altri  partner europei. Il governo del nostro paese dovrebbe avere il coraggio di predisporre un piano di investimenti pubblici, si anche riducendo la spesa corrente ma anche forzando il rapporto debito/pil,  perchè sicuramente la crescita del pil italiano conseguente a tali investimenti farà crescere anche il pil europeo, che è il dato importante perchè l'europa possa competere sul mercato mondiale dato il cambio fisso di cui si è dotata, sicuramente in questo momento all'europa non serve un partner  come l'italia  che subirà una forte diminuzione dei redditi interni (conseguenza necessaria per riallineare lo squilibrio della bilancia dei pagamenti in presenza di cambi fissi vista la rigidità dei prezzi al ribasso). Secondo  me i paesi aderenti al trattato dovrebbero sostituire i parametri  politici  ( aventi lo scopo di frenare le politiche di bilancio elettorali), attuali a parametri di natura economica, che condividano come obbiettivo la crescita del pil europeo.

secondo me, meglio sarebbe tagliare seriamente la spesa corrente e utilizzare il ricavato per abbassare le tasse, specialmente quelle che in varie forme disincentivano l'attività d'impresa. nutro forti dubbi sul fatto che i vari governi siano in grado di individuare gli investimenti strategici per la crescita. meglio sarebbe incentivare il project financing per le infrastrutture e lasciare le imprese libere di riprendere i propri investimenti. questo, più che gli investimenti pubblici, potrebbe avere il necessario supply side effect.

Caro Postacchini ti propongo un controfattuale cosa accadrebbe oggi in Italia se non avessimo aderito alla miopia di Maastricht. Oggi ne vediamo gli svantaggi ma ne apprezziamo poco i vantaggi. Nel discussion papers del CEPR di Buiter-Corsetti-Roubini (ed anche nel suo aggiornamento fornito dal solo Buiter) da me citato nei giorni scorsi vengono analizzati con lucidità i sense ed i nonsense dei parametri e tutta la logica e le implicazioni che vi sono dietro. I Paesi del nord europa, con la Germania in testa fissarono quei valori (questo lo penso solo io) convinti che paesi come l'Italia avrebbero fatto saltare il banco non entrando. Facendo ricadere sull'Italia tutte le colpe. Ma l'Italia con "astuzia e virtù" come ben scritto da Spaventa e Chiorazzo è riuscita a rispettare tutte le condizioni per entrare tranne quella dello stock del debito al 60%. Il tosto e lucido paper di Michele Boldrin ci fornisce un'analisi dell'attuale stato dell'arte ad uso di un Ministro del Tesoro con pieni poteri (cosa che in Italia non abbiamo). Condivido l'analisi di Michele che oggi non sarebbe vera se non avessimo aderito a Maastricht. Insomma "la linea guida " di Michele può essere attuata grazie ai risultati che abbiamo conseguito finora. L'adesione all'euro ci fa avere bassi tassi d'interesse ed un premio al rischio quasi nullo con i quali si può finanziare agevolmente il debito. Cosa sarebbe accaduto senza Maastricht, senza euro con l'attuale congiuntura internazionale. Ed ora visto che siamo in argomento vorrei proporre alla vostra attenzione una giustificazione che Cirino Pomicino, più volte ministro fornisce alla politica del debito pubblico attuata in Italia negli anni '80 del secolo scorso in una lettera al quotidiano "La Stampa del 10 ottobre scorso:

"(...)A fare la storia economica di un periodo senza collegarla alla storia politica di quel tempo si fa solo un esercizio accademico che porta tutti fuori strada, autorevoli professori come Tito Boeri e gli studenti serali come il sottoscritto. Alla fine degli Anni 70 e fino all’89 l’Italia aveva tre grandi questioni politiche davanti: l’inflazione a due cifre, il terrorismo che ammazzava in genere i democristiani e la bassa crescita economica. Affrontare quelle tre questioni senza che le prime due si saldassero in una miscela esplosiva era l’impegno delle forze politiche dell’epoca per ridare proprio a quelle giovani generazioni di cui parla Boeri un Paese normale. L’accordo del 1984 e poi il referendum del 1985 sulla scala mobile sconfissero l’inflazione che nel 1988 rientrò al 5 per cento continuando poi la sua discesa. Il terrorismo fu battuto dopo una lunga battaglia (l’ultimo assassinio brigatista fu quello del senatore Ruffilli nel 1988) senza intaccare il tessuto democratico e lo Stato di diritto, mentre la ripresa economica fu tale che nel 1985 l’Italia entrò nel G7. Chi pagò per quelle vittorie fondamentali per il futuro del Paese fu proprio il debito pubblico perché se all’inizio degli Anni 80, dopo il divorzio Tesoro-Banca Italia, Craxi Forlani e Visentini avessero fatto una politica fiscale restrittiva (a quel tempo la pressione fiscale era del 36%) avrebbero messo in corto circuito il terrorismo, una bassa crescita, un’oppressione fiscale e, con l’opposizione del Pci e della Cgil, non avrebbero abbattuto la più odiosa delle tasse, l’inflazione. Questa, in breve sintesi, è la storia di quel periodo che riconsegnò all’Italia un Paese normale e autorevole. Il risanamento dei conti pubblici, come certamente sa il professor Boeri, iniziò nel 1989 e tre anni dopo avemmo il primo avanzo primario per ottomila miliardi e un debito pubblico al 100 per cento del Pil. Senza quella scelta sciagurata, cui partecipò anche Padoa-Schioppa, di portare nel 1990 la lira nella banda stretta dello Sme producendo una politica di alti tassi di interesse e senza l’aggressione a quei partiti di governo che avevano vinto la battaglia della storia, non avremmo avuto questo quindicennio di errori, di omissioni e di dilettantismo che sta davvero, e su questo concordiamo con il professor Boeri, penalizzando le giovani generazioni con la minore crescita, la bassa produttività e l’assenza totale di un progetto politico capace di mobilitare la parte migliore del Paese(...)".

 

Un'analisi simile a questa l'ha fornita al sottoscritto il prof. Paolo Roberti nella prima metà degli anni '90 del secolo scorso. Parlandogli di alcune simulazioni econometriche con le quali si cercava di analizzare quanto sarebbe stato lo stock di debito del periodo se negli anni passati (metà anni settanta ed anni '80) si fosse attuata una politica di riduzione delle spese. Lui mi rispose che se si fossero tagliate le spese negli anni di aspro conflitto sociale questo avrebbe portato ad una instabilità sociale.  

 

 

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non posso sapere cosa sarebe successo se....., ma in ogni caso altri paesi non sono entrati nell'euro ed oggi stanno meglio dell'Italia, ma vi è di più, è naturale che con la moneta unica l'Italia si garantiva la tenuta, ma non per i suoi meriti, secondo me è il contrario di quanto tu affermi, la Germania ha "festeggiato" con l'entrata dell'Italia nell'euro. 

Con l’euro abbiamo accettato il cambio fisso della moneta all’interno dei paesi europei più sviluppati, rinunciando quindi sia alla politica monetaria che al ruolo stabilizzante di un regime a cambi variabili, con grande plauso dei partner europei in primis della Germania che sono stati sempre infastiditi dalle continue svalutazioni della nostra moneta. È chiaro, che il cambio fisso richiede una politica di bilancio condivisa da tutti i paesi partecipanti, ha prevalso la strada di fissare dei parametri da rispettare sia sul debito che sul disavanzo, ciò perché si voleva tutelare la moneta al fine di controllare l’inflazione,  invece che la tutela dell’occupazione e della crescita del pil europeo  (secondo me, in un economia globale dal controllo della quantità di moneta in circolazione si deve passare al controllo dei tassi).

L’Italia  parti con un debito pubblico di oltre il 100% del pil e con un arretramento di infrastrutture ed opere pubbliche nei confronti degli altri paesi dell’area euro, si era in presenza  di un paese che aveva bisogno di tutto, meno che di avere una moneta forte, forse doveva in modo “spietato” far pagare all’estero i suoi squilibri e poi fare il passo verso la moneta unica (una svalutazione della moneta del 50% avrebbe fatto crescere il pil, avrebbe provocato un aumento generale dei prezzi riducendo quindi il valore reale del debito pubblico, lo stesso debito sarebbe aumentato solo degli interessi, quindi il rapporto D/PIL sarebbe sceso al 70%, naturalmente si poteva rischiare una crisi finanziaria come quella dell’argentina? Ciò però  non avvenne nel 1992 con una svalutazione di oltre il 40%).<o:p></o:p>Il governo ha scelto la via di entrare subito nell’euro e quindi siamo stati costretti a rispettare i parametri obbligatori previsti. Tali parametri sono stati più gravosi per le economie che si sono presentate all’euro con i dati non in ordine e tra queste  l’Italia, che in ogni anno ha attuato politiche di bilancio al fine di rispettare con grande difficoltà il parametro del 3%,  non si poteva pensare che avrebbe ridotto anche l’enorme peso del debito pubblico. Poi anche i tassi, si è detto che con l’entrata nell’euro, il paese avrebbe goduto di tassi più bassi e quindi si avvantaggiava il paese con il debito più alto. Ma anche questa affermazione si è rilevata infondata, in quanto se si vuole creare una moneta forte il suo tasso è più alto delle altre.  In questo scenario il nostro paese con i vincoli dei parametri non ha potuto fare nemmeno le opere pubbliche necessarie per recuperare l’arretramento infrastrutturale nei confronti degli altri paesi europei.<o:p></o:p>Cosa fare quindi?<o:p></o:p>Si sta levando una campagna di scudi contro il dirigismo della Bce che avendo come compito quello di controllare l’inflazione  è contraria ad una politica monetaria espansiva per svalutare l’euro, ciò è possibile in quanto la Bce è  svincolata dai governi dei singoli paesi.<o:p></o:p>Secondo me sposterei il problema alla data dell’ingresso nell’euro, sicuramente è stato un passo affrettato e non si è fatto pesare agli altri partner che era impossibile rispettare i criteri previsti, si doveva subito riallineare le economie in fatto di debito pubblico creando delle obbligazioni europee che  dovevano assorbire i debiti pubblici oltre le soglie del 50/60 %. Tali obbligazioni europee dovevano essere rimborsate da tutti i paesi, in rapporto al pil prodotto da ogni paese, in tale modo tutti partivano con lo stesso debito e quindi la regola del 3% non serviva in quanto si doveva obbligare il pareggio.<o:p></o:p>In alternativa invece di fissare i parametri attuali che non permettono la crescita dell’economie più indebitate si dovevano utilizzare dei parametri che tenevano conto dell’occupazione e del reddito procapite di ogni cittadino e del ritardo delle infrastrutture, in modo tale che si potesse permettere sforamenti al bilancio per investimenti pubblici, o misure di agevolazioni alle imprese per l’incremento dell’occupazione ed infine misure fiscali (ad esempio l’iva sociale con opportune modifiche) destinate alla riduzione dei contributi statali sui dipendenti  che a parità di costo per l’impresa permetta l’aumento del reddito spendibile.   <o:p></o:p>Ciò non è stato fatto ieri, però non è detto che non si possa fare oggi, rimettendo in discussione sia i poteri della Bce che la creazione di queste obbligazioni europee o la fissazione di nuovi parametri. Ma vi è di più la Bce dovrebbe mettere a disposizione di ogni stato membro a cui venga riconosciuta una carenza di infrastrutture, dei prestiti per colmare tale squilibrio. In tale modo la produttività di ogni paese cresce e chi ne guadagna è il sistema Europa che risulterà più competitivo nei confronti del resto del mondo (tale motivazione dovrebbe essere sufficiente a superare il problema che si pone  nel resto dell’Europa, ossia perché pagare i debiti dei paesi più indebitati?). Se l’Europa deve essere unita, non lo può essere solo con la moneta, in tale modo è come mettere la “camicia di forza” all’economia nazionale più debole.<o:p></o:p>Continuare con la politica attuale, l’Italia diventerà in Europa il paese più povero (se c’era il cambio variabile, non vi sarebbero stati squilibri nella bilancia dei pagamenti, invece con il cambio fisso, lo squilibrio deve essere eliminato con la diminuzione dei redditi interni, data la rigidità dei prezzi al ribasso),  le nostre aziende più sane o con più mercato verranno comperate dall’estero e l’Italia sarà in Europa come il mezzogiorno oggi è in Italia, si vivrà di sussidi  da parte dei restanti paesi, è naturale che vi sarà da parte dell’economia più produttiva del nord un tentativo di sganciamento della restante parte dell’Italia.<o:p></o:p>Quindi se lo spirito europeo non prevale su tutti i paesi,  all’Italia non rimane altro che uscire dall’Europa e dall’euro riconquistando quindi tutti i benefici della politica monetaria utilizzando la lira pesante oppure in alternativa unirsi all’America, anche con il cambio fisso con il dollaro o utilizzando il dollaro invece della lira, perché in tale modo anche noi sfrutteremo l’attuale politica americana, che con un dollaro basso sta curando i propri mali.<o:p></o:p>Se invece del cambio fisso euro, all’epoca l’Italia si agganciava al dollaro oggi i nostri prodotti in esportazione costavano il 40% in meno con un notevole incremento del pil.<o:p></o:p>Non riesco a vedere un’altra via di uscita, si parla di crescita del pil dell’Italia, ma ciò è sbagliato si deve parlare di crescita del pil europeo, e l’unico modo per farlo crescere è unire l’economia dell’Europa. <o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p><o:p></o:p>

Io non faccio l'economista come voi, ma credo ci sia un simple rule per la gestione della finanza di un governo:

AUMENTO DELLE TASSE + AUMENTO DELLE SPESE (specie quelle assistenzialistiche) = RECESSIONE 

Ecco, se ce ne fosse stato bisogno, di un ulteriore esempio di qualunquismo imperante nell' intellighenzia italiana: Vittorio Zucconi.

 

ECONOMIA, TUTTE LE PREVISIONI SE LE PORTA VIA


Caro diretur,


mi piacerebbe sapere dove vivono gli economisti che strillano come

vergini violate contro la "mollezza" del governo nella riduzione del

deficit. Lungi da me (per quanta importanza possa avere) minimizzare la

portata del debito pubblico italiano e degli interesi conseguenti o

considerare perfetti gli atti del governo, però mi piacerebbe capire

perché: 1) si spara sull'unico governo che, in tempi recenti, ha dato

massima priorità a questo problema anche con provvedimenti impopolari;

2) si fa mostra di non considerare che ci sono strati sociali che sono

in situazioni di notevole disagio economico e che vanno aiutati

economicamente perché hanno finito i buchi della cintura; 3) si

considerano i problemi economici come una sorta di nodo di Gordio, da

tagliare con un colpo di spada, invece di capire come sciogliere la

matassa gradualmente. Si chiama coerenza o piuttosto gioco delle parti?


con stima


Alberto Dell'Orto

 


Gli

economisti chi? Quelli che sanno dottamente spiegare perché hanno

sbagliato le previsioni economiche? (La battuta non è mia, ma di un

Nobel per l'Economia, Samuelson). Ne vuole un'altra? Se i professori di

economia capissero qualcosa di economia, non dovrebbero insegnare per

campare (JFK).

 

Una cosa che non capisco:  ma la neutralità di un debito pubblico pregresso non è poco credibile nel caso di un aumento dei tassi di interesse? 

Dipende.

Anzitutto, assumo si tratti di aumento dei tassi reali. Poi: 

Aumento atteso o inatteso?

Dovuto a che cosa?

E se al posto dell'aumento dei tassi ci troviamo davanti alla loro caduta, inattesa, dovuta a fattori internazionali? In questo caso la non-neutralita' c'e' ancora, ma rovesciata: vorremmo avere piu' debito!

da ciò segue che i paesi il cui debito si sta riducendo dovrebbero invece tassare meno x mantenerlo costante?

 

a parità di premio x il rischio ovviamente.

 

In prima approssimazione direi di sì.

Se, per esempio, il PP spagnolo l'avesse fatto quando governava (ridusse l'imposizione, ma di valori infinitesimali) invece di prometterlo quasi dieci anni dopo, ora il PSOE non avrebbe le risorse che ha per dedicarsi a pre-elettorali orge di spesa.  

 

ad andrea boldrin, comunicazione informazione: in uno scritto parlava dei tassi di interesse e del loro futuro andamento , sarei interessato ad avere una tua opinione nel merito. Grazie.

(accennavi ad un compenso, eventualmente fammi preventivo.)

 

Questa e', probabilmente, solo una poco gradita provocazione (l'oggetto della quale e' ambiguo: io mi chiamo Michele, ed Andrea si chiama Moro ...). Poco gradita, in ogni caso, perche' anonima. Non scrivo su nFA per cercarmi consulenze, ne' credo lo faccia Andrea. Anche perche' le nostre consulenze professionali ben pochi se le possono permettere, e quei pochi sanno come trovarci.

 

 

 

Questa e', probabilmente, solo una poco gradita provocazione (l'oggetto

della quale e' ambiguo: io mi chiamo Michele, ed Andrea si chiama Moro

...). Poco gradita, in ogni caso, perche' anonima. Non scrivo su nFA

per cercarmi consulenze, ne' credo lo faccia Andrea. Anche perche' le

nostre consulenze professionali ben pochi se le possono permettere, e

quei pochi sanno come trovarci.

 

In alternativa, Gianni puo' limitarsi a vedere che cosa ne pensa il mercato. In assenza di dati sulle futures dei tassi d'interesse, che mi risulta siano disponibili solo a pagamento, puo' scaricare (ad esempio, qui) i tassi interbancari EONIA e EURIBOR del giorno, o, per valute diverse dall'Euro, i tassi LIBOR (p.es. qui, ma sono ritardati di una settimana). Con semplici calcoli basati sui tassi a N e N+1 mesi si puo' poi dedurre la stima del mercato per i tassi a 1 mese tra N mesi (mi sono fatto uno spreadsheet ad-hoc).

Stime aggiornate (e precalcolate) dei tassi interbancari a 3 mesi per l'Euro a intervalli di 4 mesi sono anche disponibili qui e per le principali valute qui.