Dove va la riforma elettorale? Un esercizio di teoria dei giochi.

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Si è ri-ri-ri-cominciato a parlare di riforma elettorale. Che tipo di riforma elettorale ci sarà, e se ci sarà, dipende dalle carte che i diversi partiti hanno in mano. In questo post cerco di usare i concetti della teoria dei giochi per chiarire meglio quali sono tali carte, e cosa possiamo aspettarci succeda nei prossimi mesi.

Come era facile prevedere, solo la possibilità concreta dello svolgersi dei referendum ha rimesso in moto le discussioni sulla riforma elettorale. La Corte Costituzionale deciderà tra pochi giorni se dichiarare o meno ammissibili i quesiti referendari. Un parere favorevole della Corte è assai probabile, e a quel punto le danze si apriranno sul serio.

Cosa dobbiamo aspettarci nei mesi a venire? In questo post cercherò di usare alcuni strumenti di base della teoria dei giochi per rispondere a queste domande. A mio avviso la situazione si presta bene a un'analisi game-theoretic. Gli interessi delle forze in campo (i gruppi di comando dei partiti) sono infatti abbastanza chiari e ciascuna forza politica si sente libera di perseguire esclusivamente il proprio interesse senza temere negative ricadute elettorali. Il tema è infatti abbastanza tecnico e non ha mai suscitato grandi passioni ideologiche nell'elettorato (se non ne siete convinti provate a rispondere alla seguente domanda: conoscete qualche elettore che ha deciso di cambiare il proprio voto a seguito dell'approvazione del porcellum?). Le mosse a disposizione sono anch'esse abbastanza chiare, così come chiare sono le scadenze temporali. Raramente le situazioni del mondo reale sono favorevoli all'applicazione di un'analisi game-theoretic come in questo caso.

Voglio sottolineare che questo post è un puro esercizio previsivo. Non cerco in alcun modo di

analizzare la bontà dei diversi sistemi elettorali, nell'improbabile caso vi interessino i miei pensieri sull'argomento li trovate qui. Nemmeno suggerisco nulla riguardo a cosa dovremmo fare come cittadini per avere un sistema elettorale migliore nell'Italia del 2009; ci sarà tempo per questo, ma consiglio a tutti quelli a cui la cosa interessa di mettere un bel bookmark al blog del comitato referendario. Chiarito questo, passiamo all'analisi.


Osservazioni preliminari


Inizio con due osservazioni preliminari. La prima è che la logica dell'interazione strategica vuole che, se una riforma ci sarà, questa sarà fatta all'ultimo momento disponibile, probabilmente a campagna referendaria già in corso. La ragione è che le forze che preferiscono lo status quo non hanno alcun interesse ad accettare un compromesso prima di aver 'visto' qual è la minaccia effettiva posta dal referendum. Se scenderanno a patti, tali forze lo faranno solo quando diventerà chiaro che il referendum ha un'alta probabilità di vittoria. Dato che l'elettorato non presterà attenzione alla questione almeno fino a quando i referendum non saranno indetti, informazione affidabile al riguardo sarà disponibile solo a partire da poche settimane (tre o quattro) prima del voto.

La seconda osservazione è che, quando si guarda agli interessi delle forze in campo, la variabile cruciale non è il numero di seggi che si riescono a ottenere con un dato sistema elettorale, ma la probabilità di essere determinanti alle elezioni o in Parlamento. Per i partiti grandi le due cose sostanzialmente coincidono, ma per quelli piccoli no. Per fare un semplice esempio, Mastella sta molto meglio con 3 senatori nella situazione attuale piuttosto che con 10 senatori in un parlamento in cui si possono formare maggioranze che prescindono da lui.

L'analisi deve partire dall'ultimo stadio del gioco, ossia il probabile risultato del refendum, per poi procedere a ritroso. Cominiciamo quindi vedendo i tempi. Lo svolgimento dei referendum abrogativi è trattato dalla legge 352 del 1970, che al primo comma dell'art. 34 stabilisce che il governo, dopo la decisione della Corte Costituzionale, fissi la data in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. Quest'anno il 15 giugno cade di domenica, ed è probabile che questa sia la data scelta.

Dato che il referendum è l'unica ragione per cui si sta parlando di riforma elettorale, possiamo aspettarci che la discussione vada avanti solo se esiste una probabilità non trascurabile che il quorum venga effettivamente raggiunto. Senza tale possibilità non è possibile alcuna riforma, dato che multiple forze con interessi contrastanti possono esercitare potere di veto. La prima domanda da farsi è: quanto è seria la minaccia del referendum? In un post di circa un anno fa avevo provato a fare due conti e avevo raggiunto la conclusione che se l'interesse per il referendum sarà simile o poco

superiore a quello del referendum costituzionale del giugno

2006 non c'è alcuna speranza per il SI, mentre se l'interesse sarà maggiore allora il risultato sarà determinato

dalla scelta di Forza Italia (o come si chiama adesso).

Direi che c'è poco da aggiungere a quella conclusione, che credo resti valida. Vi è un crescente grado di disaffezione dell'elettorato verso il complesso delle forze politiche, che potrebbe portare a un aumento della partecipazione al voto referendario come protesta contro l'attuale situazione di stallo. Anche così, resterebbe vero che la defezione di uno qualunque dei partiti maggiori (Partito Democratico, Forza Italia e Alleanza Nazionale) garantirebbe la sconfitta del referendum. Se PD, FI e AN si impegneranno sul serio e con forza nella campagna elettorale il quorum verrà probabilmente raggiunto, anche se la cosa non è scontata. La minaccia è dunque seria e le acque probabilmente si smuoveranno.

A chi conviene il referendum

Per capire come agiranno le forze politiche bisogna prima capire chi guadagna e chi perde da una vittoria del referendum. La cosa più importante che accadrà se i referendum passano è che il premio di maggioranza nazionale alla camera e i premi di maggioranza regionale al senato verranno assegnati al partito che consegue il maggior numero di voti, anziché alla coalizione. A mio avviso chi guadagna chiaramente da tale modificazione sono PD e Rifondazione sul lato sinistro e Forza Italia, AN e UDC sul lato destro. I chiari perdenti saranno i partiti minori del centrosinistra (verdi, dilibertiani, mussiani, dipietristi, mastelliani e reduci socialisti in salsa varia) e del centrodestra (rotondiani, fascisti e altreschegge). Gli effetti saranno invece ambigui, ma tendenzialmente negativi, per la Lega Nord.

Questa valutazione, in particolare il fatto che Rifondazione e UDC siano favorite dal referendum, può risultare sorprendente ed è sicuramente poco convenzionale, ma credo che un'analisi attenta del sistema che uscirebbe dal referendum non possa che portare a questa conclusione. Il punto cruciale è che, in caso di vittoria del referendum, ci saranno aggregazioni elettorali. Per usare un termine tecnico, non è un equilibrio di Nash che i partiti si presentino separatamente: gli unici equilibri possibili, in caso di passaggio del referendum, saranno quelli in cui si presentano liste che includono almeno i partiti maggiori.

Questo, a prima vista, sembra implicare che il referendum non cambierà nulla, dato che porterà nuovamente alla competizione tra due blocchi eterogenei; l'unica differenza sarebbe che i due blocchi, anziché presentarsi come coalizioni di partiti, si presenterebbero formalmente come singole liste. Se si riflette un po' però si vedrà che le differenze ci sono. L'attuale sistema garantisce il massimo di visibilità ai partitini, che possono conservare il proprio marchio nelle competizioni elettorali e al tempo stesso beneficiare dei premi di maggioranza dati alle coalizioni vincenti. L'obbligo di correre sotto un unico simbolo ridurrebbe necessariamente la visibilità dei partitini. Quando sentiamo parlare di "Unione" pensiamo al PD e a Rifondazione, non a Boselli e Diliberto, e quando sentiamo parlare di "Casa delle Libertà" i nomi di Gianfranco Rotondi e Alessandra Mussolini non sono certo i primi che vengono alla mente. Un altro fattore è che l'obbligo di correre sotto un unico simbolo diminuisce il controllo che i capi dei partitini hanno sui loro affiliati. Nelle ultime elezioni, per esempio, Diliberto risultò eletto in quasi tutte le circoscrizioni in cui il suo partito ottenne seggi e decise ex post chi dei suoi potesse andare in parlamento. Con una lista unica (e l'eliminazione delle candidature multiple, obiettivo di un altro referendum) questo tipo di manovre diventerebbe impossibile. È assai probabile che la riduzione del controllo sui militanti e la ridotta visibilità portino all'implosione della maggior parte dei partitini. D'altra parte, si può applicare un semplice argomento di preferenze rivelate: se il referendum fosse irrilevante, di riforme elettorali non parlerebbe nessuno.

Sul lato sinistro, questo significa che (dovesse passare il referendum) ci sarebbe poi un accordo elettorale tra PD e Rifondazione, che farebbero la parte del leone. I partiti più piccoli sarebbero costretti a subire l'accordo, pena l'esclusione dal Parlamento. Perderebbero visibilità e sarebbero probabilmente assorbiti nelle due forze principali, accelerando la formazione della "Cosa Rossa" e costringendo riottosi vari (Dini, Di Pietro, socialisti) a entrare nel PD. Quest'alleanza PD-Rifondazione sembra inevitabile, alla faccia delle dichiarazioni di Veltroni secondo cui il PD alle elezioni ci va da solo, e tutto il resto.

Sul lato destro, le cose sono più complicate. Ovviamente nessuna coalizione potrebbe prescindere da Forza Italia, che avrebbe quindi un forte potere di negoziazione. AN sarebbe abbastanza al sicuro, difficile che il centrodestra possa vincere senza i suoi voti. Ed è chiaro che per i partiti più piccoli il discorso è identico a quello fatto per il centrosinistra, questi sono chiari perdenti. Per Lega Nord e UDC il discorso è più complesso. A livello nazionale UDC e Lega hanno preso rispettivamente il 6,76% e il 4,58% alla Camera nel 2006. Se centrodestra e centrosinistra restano a simili livelli entrambi i partiti risulteranno determinanti alle prossime elezioni, ma se (come appare probabile) il centrodestra aumentarà i suoi consensi allora è possibile che la Lega non sia più determinante.

La Lega è inoltre particolarmente sfavorita dalla distribuzione dei voti a livello regionale. Il suo problema è che risulta forte dove il centrodestra è forte, e quindi in grado di vincere senza di essa. Guardando i dati del Senato 2006 si vede che Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia sarebbero andati al centrodestra anche senza la Lega. Solo nel Piemonte, che il centrodestra ha vinto di strettissima misura, la Lega (come, in verità, qualunque altro dei partiti e partitini della CdL) è stata determinante. Questo ne indebolisce parecchio la posizione negoziale, e la mette in prima battuta tra i perdenti del referendum.

L'UDC ha un simile problema solo in Sicilia, dove è forte ma non determinante, ma è risultata determinante, oltre che in Piemonte, nel Lazio e in Puglia. Anche in Campania, che andò di strettissima misura al centrosinistra, è impensabile che il centrodestra possa prescindere dall'UDC. Quindi, mi pare, l'UDC potrebbe contrattare l'assegnazione dei seggi in un'unica lista del centrodestra con una certa tranquillità.

Sia l'UDC sia la Lega potrebbero ovviamente aumentare il proprio potere negoziale minacciando di allearsi al centrosinistra. Per esempio, se la Lega potesse portare il suo 11,11% di voti in Lombardia al centrosinistra cambierebbe il risultato delle elezioni in quella regione, e lo stesso vale per l'UDC in Sicilia. Credo però che sia assai più facile per l'UDC che per la Lega convincere i propri elettori a seguire il partito in un cambio di coalizione. Questo quindi conferma le considerazioni precedenti.

L'ultimo stadio del gioco: il mese prima del referendum

Cosa succede se si arriva a un mese dal voto, diciamo intorno alla metà

di maggio, senza che sia stata approvata alcuna riforma? Come spiegherò più in dettaglio più avanti, a questo punto i partitini, in particolare quelli del centrosinistra, non potranno più minacciare lo scioglimento del parlamento al fine di rinviare il referendum. Tutto dipenderà quindi dalle aspettative sull'esito del referendum. Ci sono tre scenari.

1) Diventa chiaro che vincerà il SI. Sarà allora facile per PD e Rifondazione, che guadagnerebbero dal referendum, costringere gli altri partiti del centrosinistra a una soluzione di loro gradimento. A quel punto passerà qualcosa di simile alla bozza Vassallo che favorisce soprattutto il PD ma, con opportuna scelta della dimensione delle circoscrizioni e delle soglie di sbarramento, aiuta anche Rifondazione; questo articolo de La Voce fornisce un'analisi preliminare della faccenda. In particolare, il gruppo dirigente di Rifondazione aumenterebbe considerevolmente il proprio potere di negoziazione verso gli altri partecipanti alla "Cosa Rossa". Il vero problema per Rifondazione è che un simile sistema elettorale probabilmente favorirebbe la creazione di una forza di centro in grado di formare un'alleanza alternativa a Rifondazione con il PD. D'altra parte, questo rischio si presenterebbe, anche se in misura diversa, con qualunque sistema elettorale. Sul lato destro FI è in posizione simmetrica a quella del PD, e sarebbe quindi favorevole. Per l'UDC sarebbe cruciale la dimensione delle circoscrizioni, ma i suoi interessi sono allineati a quelli di Rifondazione e verrebbero probabilmente salvaguardati. La Lega sarebbe sfavorita. Data la concentrazione dei suoi voti sarebbe favorita da circoscrizioni piccole e bassa soglia di sbarramento nazionale, l'esatto contrario di quello che conviene a UDC e Rifondazione. Infine, anche AN, come Rifondazione, rischierebbe l'emarginazione nel caso della formazione di un forte blocco di centro in grado di scegliere tra i due schieramenti. Ma, come Rifondazione, questo è un pericolo che non può evitare. Gli incoerenti balbettii di Fini sulla 'indicazione previa delle alleanze' sono un sintomo di questi timori, che si cerca di esorcizzare con rimedi tanto fantasiosi quanto inefficaci.

2) Diventa chiaro che il referendum fallirà. Qui l'analisi è facile. Il capitolo della riforma elettorale si chiude e le prossime elezioni si fanno con il porcellum.

3) Resta l'incertezza sull'esito del referendum. In tal caso qualunque riforma dovrà accomodare in misura consistente i partitini del centrosinistra, probabilmente un Vassallo con circoscrizioni molto ampie e bassa soglia a livello nazionale; in altre parole, cambierebbe poco o nulla. Credo che a quel punto il PD preferirebbe andare al referendum e vedere cosa succede.

Il penultimo stadio del gioco: il periodo marzo-aprile

In questo periodo la grossa differenza rispetto a maggio-giugno è che partitini, soprattutto nel centrosinistra, hanno un'opzione addizionale: impedire la celebrazione del referendum forzando lo scioglimento delle camere. Al secondo e terzo comma dell'art. 34, legge 352/1970, infatti si afferma

 

34.

- ....

Nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale

del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi

elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse.

I termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data della elezione.

 

Quindi, se capisco bene, qualora i partitini decidessero di far cadere il governo e riuscissero a ottenere lo scioglimento anticipato delle camere, il referendum verrebbe ritardato di un paio d'anni, fino al periodo tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2010. Le prossime elezioni si svolgerebbero con il porcellum.

Quanto è efficace la minaccia dello scioglimento? Secondo me non molto, e sono cosciente di andare anche qui controcorrente. Se Diliberto e Pecoraro Scanio fanno sciogliere il parlamento allora è molto probabile che si presentaranno soli, ossia senza gli altri partiti del centrosinistra, alle prossime elezioni che avverrebbero entro l'estate. Per i partiti non collegati a coalizioni la soglia prevista dalla legge attuale è del 4%. Nel 2006 Diliberto prese il 2,32%, i verdi il 2,06%. Anche assieme è improbabile che raggiungano il 4% nel 2008: se fanno cadere il governo di sinistra, i loro elettori li puniranno. I secessionisti DS non sanno quanto valgono elettoralmente, probabilmente si rifugerebbero nel PD o in Rifondazione. In altre parole, far cadere il governo e sciogliere il parlamento risulterebbe, per Pecoraro Scanio o Diliberto, nell'esclusione dal prossimo parlamento. Come minimo, si tratta di una mossa molto rischiosa. Vale lo stesso ragionamento per Di Pietro, che prese il 2,3%, e per la Rosa nel Pugno (o quello che c'è ora al suo posto) che prese il 2,6%. Anche nel loro caso se agissero per lo scioglimento delle camere tali partiti sarebbero costretti a presentarsi da soli alle prossime elezioni e verrebbero quasi sicuramente esclusi dal prossimo parlamento.

In teoria la carta migliore l'ha in mano Mastella, che potrebbe causare lo scioglimento delle camere e poi allearsi al centrodestra. Ma anche in questo caso si tratta di una manovra molto rischiosa. Il centrodestra al momento attuale non ha bisogno di Mastella per vincere, quindi potrebbe lasciarlo al freddo dopo che le camere si sono sciolte. In tal caso il buon Clem si troverebbe fuori dal parlamento pure lui, oltre che dal governo, una botta da cui si riprenderebbe a fatica.

La mia conclusione è che la tattica di forzare lo scioglimento del parlamento verrà usata dai partitini solo se questi si vedranno veramente disperati ed a rischio di decimazione; per esempio: se il PD ed il centrodestra cercano di accordarsi per il doppio turno alla francese. Non mi pare che questo sia molto probabile, quindi non ritengo molto probabile che si arrivi allo scioglimento del parlamento.

Che succederà dunque in questo periodo? Probabilmente nulla. Se la percezione sarà che la probabilità di successo del referendum è intermedia o bassa (diciamo meno di un mezzo) allora i partitini difficilmente accetterano accordi che li penalizzino. Nel qual caso, perso per perso, il PD preferirà probabilmente aspettare il referendum. Se invece si pensa che la probabilità di successo del referendum sia alta allora sarà il PD a rifiutare compromessi con i partitini. La verità è che, come osservato precedentemente, qualunque informazione disponibile in questo periodo sarà estremamente poco affidabile, per cui i partiti preferiranno aspettare.

Conclusione

Visto che mi sono scioccamente messo nella posizione di fare predizioni che possono facilmente rivelarsi errate (il prossimo post su questo tema probabilmente inizierà con 'in effetti non avevo tenuto conto del fatto che...'), tanto vale che vada fino in fondo e faccia previsioni anche sulle variabili esogene, oltre che su quelle endogene. In questo caso esogeno è il grado di ricezione che il messaggio referendario avrà tra la popolazione, mentre endogena è la risposta dei partiti.

La mia previsione, che ammetto contenere una buona dose di ottimismo della volontà, è che la probabilità di successo del referendum sia alta. Le tematiche elettorali sono complesse, ma il messaggio di base che il sistema attuale genera instabilità credo sia stato capito da molti. Mi aspetto quindi di vedere approvata verso maggio una riforma elettorale sulle linee del Vassallum.

 

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Commenti

Ci sono 16 commenti

Io mi azzardo a dire che c'è un elemento mancante nell'analisi: la variabile Grillo. Non ho controllato come Grillo si sia esposto sinora sulla questione referendum, ma

oso prevedere che lo interpreterà come una misura anti-establishment e

comincerà a fare campagna non solo per il si, ma anche e soprattutto

perché i partiti non facciano nessuna legge cosicche' il referendum si possa svolgere.

In dicembre i grillo ed blog hanno fatto cambiare una legge nel giro di

un giorno (quella sulla registrazione dei blog in tribunale), quindi io

mi sentirei ottimista, e non sarebbe una cattiva idea creare un

coordinamento fra blog .

 

Grazie per il divertissement, Sandro. Non so quanto sara' profetico ma sicuramente e' stato divertente da leggere. E' un po' triste pensare che qualsiasi decisione sul sistema elettorale andra' presa semplicemente sulla base degli interessi dei singoli partiti ma mi sembra corretto da assumere. (Anzi sembra addiritura che se l'interesse non sara' diretto, allora si cogliera' quello tangenziale!)

A dire il vero io non ho molta fiducia nel fatto che cambiare gli sbarramenti possa influire sulla governabilita'. In fondo se ci pensi chi passa agli altri schieramenti spesso non e' legato ad un proprio partito ma lo fa per interesse personale magari per beccarsi la poltroncina in commissione Difesa. Inoltre faccio ancora difficolta a capire come queste elezioni sarebbero state piu' vincenti se non ci fosse stato il porcellum.

Io ho come l'impressione che l'unica riforma che possa veramente aiutarci a generare un ricambio all'interno della casta sia quella in cui vengono ridimensionate le camere. Dimezzare (almeno) il numero di parlamentari dovrebbe aumentare la competitivita' per le sedie e sperabilmente introdurre un po' di merito nelle candidature.

 

 

 

Se è vero quello che c'è scritto in questo articolo  la riforma elettorale è già saltata oggi.

 

Non che mancassero ma questa, da sola, mi sembra sufficiente.

Leggo sul Corriere che

 

Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, che rispondendo

durante la trasmissione 'In 1/2 ora' a Lucia Annunziata aveva detto: "Se si vuole l'accordo con l'opposizione sulla legge elettorale, non si

può al contempo volerne colpire il leader."

 

Esatto. La soluzione, quindi, e' che la destra italiana si scelga urgentemente un altro leader. Cosi' potremmo "colpire" i duopolisti MediaSet e Rai, e fare anche una qualche riforma elettorale. Due piccioni con una fava.

Anzi tre: la destra finalmente avrebbe mezza chance di scegliersi un leader politico, e non un padrone che usa la politica per far soldi e per non finire in galera nonostante le continue malefatte.

 

Complimenti sinceri per il post. Posso provare a buttarmi in qualche commento?

Se

il referendum si farà, sarà decisiva la posizione di FI: gli elettori

del PD voteranno, parte degli elettori della sinistra radicale pure

(più che altro per abitudine a votare, anche contro gli interessi dei

loro partiti..è irrazionale, certo, ma parliamo di elettori di

Rif.Com.&Co., quindi l'irrazionalità è una assunzione "debole"),

Leghisti probabilmente no (elettori fedeli ad indicazione di astensione

da parte del partito), An pare di si, UDC vedrà l'evoluzione del

dibattito prima di decidere. Su Grillo pro-referendum, è probabile un

suo assenso, ma non è scontato: come giustamente rilevato nel post, Di

Pietro e Pecoraro Scanio ci rimetterebbero, e Grillo è abbastanza

sensibile ai due, specialmente al secondo. Chi è pro-Grillo (per

interesse alla cosa pubblica maggiore della media, o almeno per

destabilizzare la situazione politica attuale), è presumibile vada al

voto anche senza spinta dello stesso; paradossalmente avrebbe più peso

un Grillo anti referendum, che fermerebbe molti pro-voto. Considerando

che le ultime esperienze di referendum hanno evidenziato un tasso di

assenteismo superiore alle elezioni politiche, FI non può non essere

decisiva,considerando quanto i suoi elettori siano fedeli al leader.

Solo un "SI" deciso di Berlusconi darà speranze al referendum.

Un

aspetto del post non mi convince appieno: sia col referendum, che

col Vassallum, posto che si vada ad elezioni in tempi abbastanza brevi

(questa o la prossima primavera), trovo improbabile che il PD (che

potrebbe, invece, assorbire Socialisti, Di Pietro e altri) si allei (si

fondi in una lista col referendum?) con Rif Com.; se passasse il Referendum e si

votasse la primavera successiva, il PD saprebbe di avere ben poche possibilità di vittoria, anche se alleato alla Cosa Rossa (o cosa ne verrà fuori), perchè in tal modo non avrà la minima speranza di attrarre parte dell'elettorato moderato in cerca del "meno peggio". Da solo, invece, risucchierebbe i minipartitini tipo di Pietro, RNP, forse Dini e potrebbe sperare in qualche elettore del CentroDestra,esausto di SB. VW non ha fretta, in Italia una seconda opportunità al politicante sconfitto non la si nega mai (è per questo che non mi convince l'idea della lista unica PD+RIFCOM): libero dall'estrema sx, cercherebbe (e dovrebbe farcela, anche con margine) d'essere il primo partito italiano (non la prima lista, che sarebbe il centrodestra, se si unissero le varie anime), mostrando """""coraggio""""" e attendendo in grazia altri 5 anni di autodistruzione berlusconiana (VW all'opposizione dovrebbe esprimere, pacatamente, solo opinioni a vanvera, senza decidere mai: successo garantito).

In ultimo, non credo che la riforma Gentiloni avrà peso nella discussione sulla legge elettorale, semplicemente perchè il governo sa che tale riforma non ha i numeri, poichè nè Mastella, nè Dini e relativi cagnolini hanno interesse a farla passare (sarebbe il solo affronto che SB non perdonerebbe ad essi, e che impedirebbe ai transfughi del centrosinistra un approdo sulla nave dei vincitori del centrodestra). 

Ah, un quesito: il referendum affronta il caso in cui un parlamentare(o un gruppo), eletto/i in una lista, si sposti in un altro gruppo? Sarebbe ancora consentito (a quel punto la differenza tra lista e coalizione è poca cosa, o sbaglio), o uscendo dalla lista, perderebbe il diritto a sedere in parlamento?

Scusate la lunghezza del commento..Rinnovo i complimenti al Vs Blog. 

 

 

Grazie a tutti per i commenti, provo a dire come la vedo.

1) Avevo parlato di sbieco del fenomeno Grillo senza nominarlo, dicendo che la disaffezione dell'elettorato verso i partiti è aumentata e che questo accresce la probabilità di successo del referendum. Quanti voti possa effettivamente controllare Grillo non lo so, e non sarei così ottimista. Il successo nel far cambiare la legge sui blog va messo in contesto. Ex post, si è rilevato che il governo non aveva realmente intenti censori ma era solo inetto e incompetente; quando l'incompetenza è stata pointed out, si sono corretti. Un caso di trasmissione benefica dell'informazione, piuttosto che di conflitto tra punti di vista politici. Nel caso dell'indulto, quando le forze politiche avevano invece un interesse nel fare la porcata, proteste assai più forti ed estese di quella della legge sui blog non hanno avuto alcun effetto. In buona sostanza il punto è che per vincere il referendum bisogna portare 25 milioni di persone a votare. Non posso credere che Grillo possa influenzare più di un milione di persone, e mi pare anzi una notevole sovrastima. Quindi, Grillo o non Grillo, o si impegnano con forza tutti e tre i partiti maggiori (PD, FI e AN) o il referendum fallisce.

2) Fracohen solleva un punto importante sui possibili scenari in caso di elezioni anticipate. Se capisco bene la sua tesi è che, in caso di vittoria certa della destra, il PD potrebbe avere interesse a correre da solo. Non sono convinto per due ragioni. Primo, in Italia comunque è difficile spostare voti. Anche se al momento attuale i sondaggi danno i consensi del governo a livelli molto bassi, ho qualche dubbio che questo si tramuterà in un forte aumento di consensi per il centrodestra. Le elezioni, dal 1994 ad oggi, sono sempre state abbastanza vicine. Nel 2001 il centrodestra conseguì un congruo numero di seggi, ma solo per la decisione di Rifondazione di presentarsi da sola al Senato (ricordate l'invettiva di Moretti, che disse che Berlusconi poteva risparmiarsi di ringraziare gli italiani e limitarsi a ringraziare Bertinotti). Il 2006 è fresco e tutti ci ricordiamo com'è andata. Le prossime elezioni saranno molto probabilmente vinte dal centrodestra, ma dubito che il margine sarà così schiacciante da far abbandonare al centrosinistra qualunque speranza previa. La ragione più importante è però la seconda, ed ha a che fare con il voto al senato. Mentre alla camera il premio di maggioranza è nazionale e quindi se il PD fosse convinto di perdere comunque non avrebbe nulla da guadagnare ad allearsi con Rifondazione, al senato il premio è su base regionale. Se il PD si presentasse da solo, rischierebbe di perdere contro una destra coalizzata perfino in Emilia-Romagna. In altre parole, anche in caso di sconfitta sicura il PD avrebbe interesse a coalizzarsi con Rifondazione per aumentare sensibilmente il numero di seggi al senato. Credo che a quel punto Rifondazione pretenderebbe liste uniche anche alla camera, non perché convenga dal punto di vista elettorale (se non si becca il premio è più o meno lo stesso presentarsi soli o in coalizione, per Rifo) ma come segnale politico da parte del PD. Lo scenario che tu dipingi, con una scelta coraggiosa che potrebbe premiare il PD nel lungo periodo, mi sembra un po' troppo aleatoria e un po' troppo, appunto, di lungo periodo per essere seriamente considerata dai nostri politici, che hanno normalmente un orizzonte abbastanza corto.

3) Riguardo all'articolo indicato sia da Giorgio sia da Fausto (Berlusconi che cerca di usare la legge elettorale per bloccare la legge sulle televisioni), è stato ovviamente già superato dagli eventi. Segnala però una debolezza della mia analisi. Io sono partito dall'ipotesi che le scelte verranno fatte da ristretti gruppi dirigenti dei partiti nel loro esclusivo interesse. Credo questa sia un'ipotesi accurata per tutti i partiti a eccezione di Forza Italia, dove il gruppo dirigente si riduce de facto a una singola persona che ha forti interessi extrapolitici. La posizione ondivaga e irresoluta di Forza Italia sulle questioni elettorali (e su molto altro) è palesemente dovuta al fatto che a Berlusconi interessa più usare la discussione delle riforme elettorali per ottenere vantaggi personali che per massimizzare il potere degli altri politici di FI. Credo lo stesso che le conclusioni della mia analisi siano corrette, per la semplice ragione che in questa fase i partiti di destra sono attori comprimari con scarsissimo peso decisionale. Le decisioni verranno prese all'interno del centrosinistra da partiti ai quali possiamo applicare tranquillamente l'ipotesi tradizionale di massimizzazione del potere politico.

4) Le vicende degli ultimi giorni (ondeggiamenti berlusconiani, vertici di maggioranza falliti etc.) dovrebbero a mio avviso convincere tutti quanti sono interessati alle riforme elettorali a prendere un lungo respiro, prepararsi un buon drink e sedersi in una comoda poltrona per i prossimi due mesi.

Il mondo dei giornalisti e dei politici romani tende ad andare in iperventilazione per un qualsiasi rutto di un deputato minore, figuriamoci poi se il rumore è prodotto da un pezzenovanta come il berlusca. Ma la verità pura e semplice è che non succederà nulla, e non è pensabile che succeda nulla, per un bel po'. Tutte le minacciose dichiarazioni di questi gioni da parte dei partitini, tutte le analisi su presunti conflitti tra Prodi, D'Alema e Veltroni, tutte le dichiarazioni d'intenti sull'imprtanza del dialogo tra destra e sinistra che si uniscono per salvare il paese (guardate per esempio il patetico editoriale de Il Giornale di oggi, manco sull'Izvestia si leccava il deretano al padrone in questo modo) sono essenzialmente baggianate. L'unica cosa che conta sono i voti in parlamento e l'interesse dei gruppi dirigenti dei partiti (che è distinto da quello degli elettori e dei militanti, altrimenti per esempio la Cosa Rossa sarebbe già stata creata da un paio d'anni). La bottom line è che non si farà nulla di serio finché non diventa chiaro quale è la probabilità che il referendum vinca. A quel punto o non si farà nulla, se ci si aspetta che il referendum fallisca, o si farà di corsa e male, perché ci sarà poco tempo, una legge che piace a chi uscirebbe favorito dal referendum, ossia il PD e in misura minore Rifondazione. FI, AN e UDC avranno ben poco da dire e decidere, a dispetto di quello che cercheranno di far credere. Magari finiranno per votare a favore, ma solo perché i loro interessi coincidono con quelli di PD e Rifo.

5) Un ultimo punto e poi smetto. Io e molti altri riteniamo che il doppio turno sarebbe una soluzione assai migliore per il paese. È bene capire perché questa soluzione è impossibile.

Con il doppio turno avremmo un parlamento con due partiti, PD e FI. Se guardate alla distribuzione regionale dei voti vedrete che FI non solo è ovunque il primo partito del centrodestra, ma i suoi voti sono quasi ovunque superiori alla somma del secondo e terzo partito (Lega e An oppure UDC e AN a seconda delle regioni). Anche se a livello di collegi per la camera c'è un po' più di eterogeneità, è evidente che con questa distribuzione dei voti al ballottaggio per la destra andrebbe quasi esclusivamente il candidato di FI. Ragionamento molto simile vale per il PD sul centrosinistra. L'unica speranza per il doppio turno è pertanto che PD e FI si mettano d'accordo contro tutti gli altri. Lo scenario è improbabile per ragioni politiche, ma anche per la semplice e durissima verità che PD e FI hanno la maggioranza alla Camera ma non al Senato. Dopo le defezioni dei mussiani, la somma PD+FI alla camera è di 329 seggi, ma al senato è solo 156. Per vincere dovrebbero affidarsi a senatori a vita e transfughi, oltre a dichiarare guerra aperta agli attuali alleati. Troppo rischioso, per cui sicuramente non accadrà.

 

 

Per il doppio turno non sono del tutto d'accordo.

La posizione di FI è meno forte di quanto sembra a causa della scarsa qualità dei candidati, che quando è possibile scindere il voto personale da quello partitico (es. alle comunali) fanno regolarmente peggio del partito, a volte di molto.

Credo che il vero motivo per cui nessun partito vuole veramente il doppio turno è appunto l' importanza che concede ai singoli candidati, che non piace ai dirigenti di partito.Non credo che a Berlusconi (o Veltroni) interesserebbe molto la maggioranza assoluta se composta da persone indipendenti capaci eventualmente di mandarlo in pensione.

Per BS e WV è molto meglio il porcellum, con sia gli eletti che i cespugli vassalli del signore.Il costo dei vassalli è un problema dei cittadini, non dei leaders.

 

Gentile Prof. Brusco, sul suo punto 2 mi permetto un sono parzialmente d'accordo. Condivido il fatto che in Italia vi sia un relativo immobilismo dei voti (soprattutto tra i due schieramenti, più che intra-gruppo), come concordo sui suoi ragionamenti sul rischio per il Pd nel presentarsi da solo (io per solo intendo senza RifCom+Comunisti vari, ma con diPietro ed altri del centrosinistra che finirebbero per annettersi al PD), dato il premio regionale per il senato.

Il "parzialmente" deriva da due fattori:

1)come lei ha già affermato proprio nel punto 2, già nel 2001 il centrosinistra si presentò con un po' di comunisti al suo interno (Pdci e Verdi), ma senza lo zoccolo duro di RifCom, pur essendo conscio di perdere (oltretutto il sistema elettorale di allora era ben premiante per i vincitori, se non erro). O erano completamente illusi/scemi allora (speravano davvero che grazie a Rutelli avrebbero conquistato l'elettorato incerto di centro+ le desperate housewives, così da recuperare i voti persi da Rifo??), o temevano di subire una punizione ancora più severa dal loro elettorato meno fedele, qualora si fossero rialleati con chi aveva poco prima fatto cadere il governo..

Se la motivazione fosse data dall'illusione di attrarre indecisi o delusi del centrodestra, beh, è forse più comprensibile oggi di allora, poichè è certo che l'appeal sulla massa di VW è superiore a quello del signor Palombelli e la qualità di SB (ovviamente non lei, ma quello immortale, per parola del suo medico) come governante ora è nota (e non è stata apprezzata, avendo nel 2006 perso da incumbent), nel 2001 molto meno. Se, al contrario, fosse stato il timor di bastonate da parte dei delusi del centrosinistra di fronte ad un "riallearsi" con Rifo a far propendere per la scelta fatta nel 2001, beh il timore dovrebbe esistere anche oggi.

 

Lo scenario che tu dipingi, con una scelta coraggiosa che potrebbe

premiare il PD nel lungo periodo, mi sembra un po' troppo aleatoria e

un po' troppo, appunto, di lungo periodo per essere seriamente

considerata dai nostri politici, che hanno normalmente un orizzonte

abbastanza corto.

 

2) E' indubbiamente vero che i nostri politici mostrino di avere un orizzonte temporale ridotto nelle loro scelte, ma questo mi pare molto più condivisibile quando si parla di "scelte di governo". Essi, al contrario, si mostrano ben più pazienti quando devono attendere il proprio turno per sedere nelle sedie che contano, consci che le barrire all'entrata sono tali, che il rischio di essere sorpassati da un giovane capace ,quando è il loro turno, è minimo. Si vedano, ad esempio, Fini e Casini (rispettivamente classi '52 e '55): da 13 anni attendono di potersi insediare alla Presidenza del Consiglio, contando unicamente sul fatto d'essere relativamente più giovani di Berlusconi ('36!) e per questo suoi naturali successori.

Lo stesso VW, classe '55,  può ritenersi quindi giovane (Prodi è del '39!) e quindi pazientare un turno, giocandosi tutto alle successive elezioni, col vantaggio che il centrodestra avrebbe governato per qualche anno (e visto i risultati del 2001-2006...).

Ovviamente tutti questi ragionamenti saltano di fronte alla genialità della mossa Mastelliana (http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/politica/dimissioni-mastella/dimissioni-mastella/dimissioni-mastella.html)...

posso chiederle una ulteriore previsione, visto che Mastella pare riuscire a far cadere il governo,  passando pure per vittima (qualora la mozione unitaria non passasse, vd. DiPietro), evitare il referendum senza modifica della legge elettorale, giustificare un passaggio al centrodestra, potendo anche chieder loro un dividendo pesante per la caduta di Prodi?

ps: Davvero grandi complimenti a lei, Boldrin e agli altri redattori del blog..

 

 

Nell'intervento viene indicata come possibile una riforma elettorale basata sulla proposta Vassallo. Tra le soluzioni proposte recentemente mi sembra quella migliore, tuttavia probabilmente anche per questo non mi sembra che abbia reali prospettive.  In Parlamento si discutera' piuttosto della bozza Bianco, una legge proporzionale modellata sul sistema tedesco, che immagino verra' opportunamente congegnata per consentire candidature multiple e coalizioni elettorali di comodo per eludere lo sbarramento del 5%, e non verra' completata con la sfiducia costruttiva.

 

Io non presterei troppa attenzione alla bozza Bianco e alle varie proposte e discussioni che emergeranno nei prossimi giorni. La situazione è di stallo e tutti stanno aspettando di capire meglio le probabilità che ha il referendum di vincere (tra l'altro il referendum può fallire perché il parlamento viene sciolto per ragioni esogene, come l'arresto di Sandra Mastella o il successo di Berlusconi nel trovare il prezzo giusto per qualche senatore). Non si raggiungerà quindi tanto presto un accordo, ed è difficile dire che tipo di accordo si farà. Quello che a me pare si possa dire è che l'accordo si farà solo se i piccoli dell'Unione avranno una gran paura che il referendum passi. A quel punto, la legge elettorale favorirà Rifo e il PD. La bozza vassallo raggiungeva questo compromesso:

1) la parte 'spagnola', ripartizione proporzionale ma in collegi piccoli e con il sistema d'Hondt, favorisce il PD perché sovrastima la rappresentanza dei partiti grandi. Al tempo stesso non sfavorisce troppo Rifo, come farebbe un sistema maggioritario puro (one seat per district);

2) Lo sbarramento al 4% o al 5% favorisce Rifo, che può contrattare l'unificazione con verdi, dilibertiani e altre schegge da posizione di forza; in altre parole, mantenendo la stragrande maggioranza delle poltrone parlamentari e le posizioni principali negli organi dirigenti del nuovo partito nelle mani dell'attuale gruppo dirigente di Rifo.

Abbastanza per caso, il primo punto favorisce anche Forza Italia, mentre il punto 2 favorisce anche l'UDC, che potrà costringere all'unificazione le formazioni minori di centro (UDEUR, rotondiani e altre schegge).

Devo dire che, tra le soluzioni di ispirazione proporzionalista, anche secondo me la bozza Vassallo è la migliore finora presentata. Ovviamente i dettagli sono fondamentali. Una cosa sono collegi da 5 candidati, in cui de facto la soglia a livello di collegio è del 20%, ben altra sono collegi da 15 o 20 candidati, come piacerebbe a UDC e Rifondazione. Vedremo cosa combinano.

 

La Consulta ha appena ammesso i referendum sulla legge elettorale.

 

Come previsto. La giurisprudenza consolidata è che le leggi elettorali possono essere oggetto di referendum. In passato la consulta non ha ammesso solo i quesiti referendari che, in caso di vittoria, avrebbero richiesto un ulteriore intervento legislativo per garantire una legge elettorale coerente. Per questa ragione Guzzetta e gli altri del comitato referendario hanno lavorato di fino cancellando parole e frasi dall'attuale legge fino a farne risultare una "cosa" immediatamente utilizzabile in caso di vittoria. Se la consulta avesse negato la legittimità della consultazione avrebbe rovesciato completamente le proprie decisioni precedenti; sarebbe stato un atto molto inusuale.

 

 

Dice Sandro:

L'analisi deve partire dall'ultimo stadio del gioco, ossia il probabile risultato del refendum, per poi procedere a ritroso.

Non sono tanto convinto che l'ultimo stadio del gioco sia il risultato del referendum. Mi pare che l'ultimo stadio sia  marzo del 2010, ovvero poco prima della scadenza naturale della legislatura (ammesso che ci si arrivi). Non mi stupirei affatto che, anche dopo una vittoria del SI al referendum, i partiti non decidano di rimodificare, anche radicalmente, la legge elettorale risultante dal referendum.