Gli effetti benefici dell'immigrazione

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Anche in Italia - come altrove in Europa e, da sempre, negli USA - l'arrivo di milioni di immigrati che cercano lavoro a salari di mercato anziché quelli contrattuali, non solo fa crescere l'economia, ma fa crescere anche l'occupazione degli "indigeni". Mostrando, ancora una volta, la natura idiotesca del modello "superfisso" secondo cui i posti di lavoro sono, appunto, fissi e vanno difesi con le lotte invece che lavorando.

La notizia, l'ennesima, che motiva il commento la trovate qui, quo e qua. I dati, specialmente quelli riportati dalla Stampa, sono abbastanza completi quindi non ne aggiungo altri. Solo tre sottolineature.

1) Il fenomeno si era già verificato in Spagna a partire dalla seconda metà degli anni '90 e poi, in modo eclatante, durante questo secolo. L'occupazione spagnola è cresciuta, in 14 anni, del 70%, pari a 9 milioni di occupati addizionali. In Spagna hanno giocato un ruolo anche altri fattori: un tenue ma progressivo processo di liberalizzazione del mercato del lavoro, una politica fiscale e di spesa pubblica decenti, ed una serie di altri fattori politico-sociali che hanno favorito l'integrazione lavorativa dell'immigrante. Ma l'effetto immigrazione è innegabile; in misura molto minore ma comunque sostanziale sta avvenendo anche in Italia, nonostante i malgoverni ed i sindacati abbiano fatto tutto il possible per impedirlo. Lo stesso vale per la Francia, mentre non conosco la situazione tedesca.

2) L'offerta di lavoro da parte degli immigrati, disposti a svolgere lavori manuali a salari di mercato, ovvero più bassi di quelli stabiliti dai mille accordi sindacali, non solo crea occupazione ma permette di mantenere attive o creare imprese che altrimenti, a causa dell'eccessivo costo del lavoro, dovrebbero chiudere o non verrebbero create. Questo genera investimenti, profitti, occupazione e di conseguenza reddito. Esattamente come il modello "liberista" predice, questo processo di allargamento dell'occupazione a immigrati che accettano salari di mercato induce opportunità di lavoro anche per gli italiani, persino per coloro i quali godono di privilegi sindacali. Basta che il contenuto di lavoro immigrante nel prodotto finale sia alto abbastanza e l'immigrante sia pagato sufficientemente poco in relazione al contenuto di lavoro "protetto". La morale economica è che mercati e incentivi, almeno a questo livello molto basilare, funzionano; e funzionano esattamente nella maniera in cui gli "ultra-liberisti" ed "ultra-meritocratici" (ossia, dei fanatici) come il sottoscritto sostengono funzionino. Per quanto ne so, la persona che meglio di tutti e più approfonditamente ha studiato questo fenomeno con riferimento agli USA (ma credo stia cominciando ora a guardare anche dati europei) è Giovanni Peri, che sta a UC Davis (tanto per cambiare) e che sull'argomento ha scritto svariati papers, tutti molto ben fatti (un paio dei quali sono scritti in collaborazione con Gianmarco Ottaviano, che per una volta sta a Bologna). The Most Healthy Food.

3) Ovviamente questo tipo di dati dimostra ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, l'inanità del modello ricardian-sindacal-giornalistico a fronte dei fenomeni economici che avvengono attorno a noi. Questo è palese. Meno palese mi sembra un aspetto morale della questione, che è un'implicazione ovvia del punto 2: gli immigrati sono utili e generano posti di lavoro addizionali, oltre a quelli per loro, perché fanno lavori umili a salari che gli indigeni non accetterebbero mai. Questo permette agli indigeni di mantenere i propri salari alti lavorando meno di quanto le forze di mercato li costringerebbero a fare. Ora, facciamo l'ipotesi che la morale sindacal-comunista secondo cui la logica del mercato è ingiusta e va rifiutata sia la morale corretta. Alla gente, chiunque essa sia suppongo, non è giusto pagare il salario di mercato ma occorre invece pagare un salario "adeguato". Facciamo finta di essere tutti d'accordo su cosa voglia dire "adeguato", suppongo voglia dire almeno uguale a quello tipico dell'indigeno italiano medio per unità di lavoro corrisposta. Perché allora agli immigrati paghiamo il salario di mercato e agli indigeni protetti quello "giusto'? Non dovremmo imporre che si paghi a tutti il salario "giusto"?

Questo, però, conduce ad un dilemma irrisolvibile: se a tutti gli immigrati che vengono a lavorare in Italia imponiamo che si paghi il salario che l'indigeno medio considera adeguato, non vi sarà nessuna ragione per assumerli e rimarranno a casa, dove vivono ancora peggio, o sulle nostre strade dove delinquono e soffrono. Non solo, se gli immigrati smettono di lavorare a bassi salari questo ci farà perdere i bei posti di lavoro per indigeni che la presenza dell'immigrato a paga bassa genera (per esempio, valanghe di ristoranti e bar chiudono, o il padrone indigeno si adegua a lavorare lui per molto meno). Non solo, ci farà anche perdere badanti, domestiche, autisti, giardinieri, baristi e camerieri, spazzini, uomini di fatica, e via dicendo: tutti immigrati che permettono al paese di tirare avanti e, probabilmente, anche a qualche sindacalista d'aver la casa pulita e la colazione servita. Come la mettiamo? Stiamo o non stiamo importando "lavoro schiavizzato"? E questo lavoro schiavizzato che stiamo importando, è o non è una conseguenza del, oltre che una necessità per il, mantenimento nel nostro paese di vaste aree di lavoro super-protetto, inefficiente, parassitico?

Detto altrimenti, qualcuno si è reso conto che il lavoro umile e mal pagato degli immigrati è la versione dieci volte peggiore di quella del ventenne precario a mille euro al mese? Qualcuno si è reso conto che questa "ingiustizia" è l'ovvia ed inevitabile conseguenza dei privilegi sindacali dei protetti, dall'Alitalia alle FF.SS.?

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Commenti

Ci sono 15 commenti

il ventenne precario vota, l'immigrato mal pagato no.

 

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Ottima analisi, Michele.

Se posso permettermi però, pecca di eccessiva semplificazione, nel senso che le cose sono un po' più complesse, in senso positivo una volta tanto.

E' vero che gli immigarti occupano spesso la fascia bassa del mercato del lavoro, ma non sono tutti badanti, lavapiatti, camerieri e giardinieri: molti di loro sono parte integrante della "classe operaia" e godono quindi degli stessi benefici di protezione degli "indigeni" ed hanno un reddito certo  e non precario, sufficiente per accedere al credito bancario e comprarsi casa.

Molti poi, come è economicamente naturale, appena possono fanno il salto di qualità e migliorano le proprie condizioni di lavoro, diventando piccoli imprenditori o  commercianti.

Molti ancora sono poi talmente stabilizzati che diventano cittadini italiani.

Qualche aneddoto professionale dell'ultima settimana:

- società in nome collettivo costituita tra quattro cittadini del Bangla Desh per aprire un negozio di piccolo commercio

-  cittadina rumena (cameriera) che ha acquistato casa per €. 150.000,00 grazie a un mutuo per €. 130.000,00

- cittadino pakistano (operaio) che ha acquistato casa per €. 80.000,00 finanziata per €. 80.000,00

- tre fratelli albanesi che fanno i piastrellisti hanno costiuito una srl

- ex-tunisino (operaio) che ha rinegoziato un mutuo per €. 100.000,00 e che da quest'anno è cittadino italiano, i cui due figli frequentano l'uno ragioneria e l'altra un istituto per disegno industriale

Aggiungo pure che in molti di questi immigrati vedo voglia di fare e fiducia per il futuro: è la nuova Italia che sta nascendo sotto i nosti occhi e che molti non vogliono vedere, inseguendo la mistica del sangue e della purezza culturale o razziale.

Intanto per  mio figlio il suo è solo un compagno di banco, non un cinese.

 

Caro Michele,

concordo pienamente con l'analisi che hai fatto. E mi pare che la cosa sia molto simile al dibattito sull'inquinamento o l'uso dell'energia: noi occidentali inquiniamo 10 volte tanto i cinesi, ma vorremmo che loro impostassero un modello di sviluppo meno inquinante o meno energivoro perchè "non ce n'è per tutti".  Il problema sta nel come convincerci (e convincere gran parte degli italiani, ma penso anche gran parte degli europei)  che dobbiamo passare da un reddito di 100 ad uno di 80, e che l'unica speranza che abbiamo di scendere meno (ma non certo di salire, almeno nel medio periodo) stia nel fatto di poter crescere a tassi ben superiori all'attuale 1,5-2% del PIL.

Parlando con un vecchio compagno di 84 anni (che ha fatto la guerra, che è stato in campo di concentramento in Germania, che ha lavorato in fonderia nel dopoguerra, che ha fatto gli scioperi negli anni '60 per ottenere condizioni salariali e di lavoro meno indecenti) questi raccontava come, con il suo unico stipendio, riuscisse a mantenere moglie e due figli. Difficile dire che oggi si è "oggettivamente" più poveri del compagno Italo negli anni '60, ma, almeno per molti, si è "soggettivamente" molto più poveri. E guarda caso a percepire questa maggior povertà sono gli strati sociali culturalmente più emarginati: si sente molto più "ricco" un professore di scuola a 1.300 euro al mese che un giovane operaio dequalificato che magari ne guadagna, con straordinari e indennità, 1.400, e che soffre se non ha il videotelefonino, l'auto di 2.000 cc di cilindrata, la serata in discoteca e magari anche una sniffatina di coca.

Le forze politiche devono lavorare molto su istruzione, informazione, cultura, ma anche su solidarietà e accoglienza: non vedo altre strade per tenere unito il Paese. Da questo punto di vista mi pare che i partiti di centro sinistra possano offrire qualche chance in più rispetto a Berlusconi, Fini e Bossi.

Buon Natale a tutti.

 

Aggiungerei una piccola considerazione, frutto della mia esperienza personale: sono figlio di un Italiano che emigrò, a suo tempo, in Argentina.

L'emigrato che trova lavoro, anche se retribuito meno dell'indigeno, si sente, nondimeno, "arrivato".

Perché proviene da quella tragica realtà che l'ha spinto a emigrare e che è ben presente alla sua memoria. E dunque lavora, risparmia, salda i debiti contratti per emigrare, si ricongiunge con la famiglia (chiamando a sé moglie e figli), compra un pezzetto di terra, ci costruisce sopra personalmente mattone dopo mattone la casa, manda a scuola i figli, magari fino alla laurea (il mio caso)...

Ma... C'è non uno,  ma diversi ma...

Ma occorre che la quota di immigrati abbia una qualche relazione con le possibilità di impiego, condannarli a fare i lavavetri ai crocicchi o le puttane lungo i viali bui serve a poco, sia all'immigrato/a che all'indigeno... 

Ma occorre un filtro ragionevolmente efficace per evitare di importare delinquenti...

Ma occorre che l'immigrato si adegui alle leggi, a tutte e non solo a quelle che gli fanno comodo, degli indigeni, e non viceversa...

Ma occorre che l'immigrato, infine, impari un po' della lingua del posto ed i suoi figli, se ne ha, la imparino bene...

 

 

Ma... C'è non uno, ma diversi ma...

Ma occorre che la quota di immigrati abbia una qualche relazione con le

possibilità di impiego, condannarli a fare i lavavetri ai crocicchi o

le puttane lungo i viali bui serve a poco, sia all'immigrato/a che

all'indigeno...

 

Le possibilita' di impiego dipendono dalle dimensioni dell'economia, che a loro volta aumentano con l'arrivo di immigrati (i quali sono anche consumatori). Mica vorremo credere al modello superfisso?

 

Ma occorre un filtro ragionevolmente efficace per evitare di importare delinquenti...

 

Boh, non e' che all'estero la percentuale di delinquenti sia poi piu' alta che da noi... Semmai la cosa da fare sarebbe far rispettare la legge, da tutti (immigrazione o no).

 

Ma occorre che l'immigrato si adegui alle leggi, a tutte e non solo a

quelle che gli fanno comodo, degli indigeni, e non viceversa...

 

Ne' piu' ne' meno degli indigeni stessi...

 

Ma occorre che l'immigrato, infine, impari un po' della lingua del posto ed i suoi figli, se ne ha, la imparino bene...

 

Questo, nei limiti dell'umanamente possibile, accade sempre: e' nell'interesse degli immigranti stessi.

 

 

 

Lavavetri e vuccumpra', se non impongono l'acquisto dei loro servizi con la forza (e questa e' una faccenda di competenza dello stato: polizia e magistratura), svolgono un ruolo utile: competono con gli altri venditori di servizi e merci e abbassano il livello dei prezzi.

D'accordo. A condizione che la concorrenza sia leale. Ma il vuccumprà stende il telo per terra e apre il negozio. Incassa e va via. Livello di evasione tasse prossimo al 100%. L'indigeno ci mette 6 mesi ad aprire il negozio. E spende bei soldini: nel mio caso, circa 90 000 euro solo per adeguare il locale (40 mq) alla attuale normativa. Esperienza diretta, e neanche tanto vecchia: nel 2001 ho finanziato mio fratello per aprire il primo dei suoi 6 negozi.

Ricorda chi ha inventato la mafia...E' ovvio che chi e' appena arrivato, specie se con scarse qualifiche e possibilita' di lavoro legale, e' piu' soggetto alla tentazione di svolgere attivita' illegali: succede un po' dappertutto

La mafia è solo una categoria, la delinquenza è universale. Ma la mia critica era di tenore diverso: siamo sicuri di non spingerli a delinquere, se li accogliamo senza che ci siano reali sbocchi per un lavoro onesto e dignitoso, per tutti quelli che accogliamo? Ha senso avere un laureato dello Sri Lanka che lava i vetri all'incrocio fra Via Stefano Gradi - Via di Vigna Murata o ha più senso aiutare a creare lavoro adeguato alla sua laurea a casa sua? In questo, le dinamiche intrinsiche dell'economia (non sono un economista, e dunque passami la cretinata, se di ciò si tratta) ci aiutano: non a caso ci sono fenomeni che vanno sotto il nome di delocalizzazione e di globalizzazione.

Il fatto che altrove (e poi, dipende da dove: a me non e' successo affatto) si pretenda una cosa da te non significa di per se' che cio' sia una cosa sensata... L'ostilita' verso chi e' diverso e' radicata negli esseri umani come conseguenza dell'istinto di protezione verso chi ha geni similari ai propri, ed e' di natura evoluzionistica. Cio' non implica che debba avere senso economico, ne' che conduca a societa' piu' produttive e innovative: le civilta' che hanno avuto piu' successo nella storia sono semmai state quelle che hanno integrato culture di popoli diversi.  

Scusa, lasciamo da parte i geni...ed anche i cretini. E lasciamo anche da parte che le cose si giudichino dal "senso economico". O dal "successo". Qui si parla di esseri umani. E, se la mettiamo su questo piano, di esseri umani che accolgono altri esseri umani che vengono da lontano. Allora, siccome nella mia ormai non breve vita ho avuto modo di vedere una settantina di paesi, in maniera approfondita, ti dico: l'ospitante ha diritto di esigere dall'ospite d'esser più lealista del re. Non sarà sensato: ma è umano. Nel senso che io do a questa parola. Naturalmente, non mi passa neppure per la capa che ciò debba trovar d'accordo tutti. E dunque se non sei d'accordo... benissimo. E' solo una differenza d'opinioni.

Il problema principale che io vedo e' che i paesi sviluppati, e soprattutto l'Europa continentale, e in particolar modo l'Italia, hanno disegnato meccanismi che sembrano fatti apposta per scoraggiare l'imprenditorialita' e il lavoro legale, e invece incoraggiare la dipendenza dalle elemosine di stato (alta tassazione, redistribuzione fiscale, assunzioni clientelari nella pubblica amministrazione eccetera). Cosi' come c'e' il detto "se paghi noccioline, finirai con l'assumere solo scimmie", bisognerebbe coniarne uno "se costruisci una societa' sulle elemosine, finirai con l'attrarre solo mendicanti": talento e capitali se ne andranno altrove. E se, in aggiunta, non riesci nemmeno a far rispettare un briciolo di legalita', finirai con l'attrarre solo criminali.

Perfettamente d'accordo. Con un piccolo inciso: se ci fosse un disegno, vorrebbe dire che, constatato il cattivo risultato, il progettista adeguerebbe il progetto. Ma il disegno non c'è: le cose sono lasciate a sè stesse...e un aeroplano senza pilota va, ineluttabilmente, incontro al disastro. Come dicevo in altro post, è un problema culturale. Per il quale, purtroppo, non vedo soluzioni a breve termine.

 

 

 

A fronte di immigrati che più agevolmente si integrano (in cima alla

lista metterei suda-americani, rumeni, albanesi e est europei in

genere) ci sono altri con maggiori difficoltà (cinesi tra tutti), ma il

fenomeno non è italiano, mi sembra piuttosto che rientri nelle

dinamiche dell'immigrazione che segue regole costanti in tutte le

latitudini e longitudini.

 

Soprattutto non mi pare che l'integrazione sia poi la questione prioritaria, dato anche lo stato deplorevole in cui si trova la societa' italiana. Prendi il caso dei cinesi: e' vero che si integrano piu' lentamente, ma questo dipende dal fatto che hanno valori propri e strutture sociali gia' funzionanti (piccole aziende, schemi di micro-credito peer-to-peer disintermediati dal sistema bancario, forme di assistenza sanitaria) che vengono importati assieme agli individui. Paesi meno sviluppati hanno tratto ampio beneficio da questo trapianto di tessuto sociale: come sa chiunque abbia esperienza di prima mano del Sud-Est Asiatico, che la Malaysia se la cavi molto meglio dell'Indonesia, nella relativa parita' di culture native, dipende in larga misura dal fatto che un quarto della popolazione e' etnicamente cinese (e in Singapore la percentuale sale a tre quarti). Forse potremmo pensare a una soluzione del genere per il Mezzogiorno dei cassonetti in fiamme :-)

 

In realtà, parlando di dinamiche migratorie che seguono regole costanti a tutte le latitudini, avevo in mente proprio le comunità cinesi della diaspora, che si mantengono autonome e solo parzialmente integrate anche in realtà che sono a loro culturalmente più vicine (Malaysia, Vietnam - mentre Singapore è un caso a sè, dato che lì i cinesi sono la maggioranza).

D'altre parte non sempre questo rappresenta un vantaggio,  perchè in più occasioni la comunità cinesi proprio perchè viste e sentite come un corpo estreneo, sono state oggetto di (irrazionale e criminale) repressione e pulizia etnica da parte delle popolazioni locali: vedi l'Indonesia a fine anni 90 e lo stesso fenomeno dei boat-people in Vietnam, che riguardò principalmente la popolazione cinese.