Esegesi del pensiero di un Professore Ordinario della Sapienza in Pensione

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Il professor Giorgio Rodano ha ritenuto di doversi esprimere in merito alla vicenda della copiatura della tesi di dottorato della Ministra Madia. Sfortunatamente ha inconsciamente utilizzato un linguaggio accademico, le cui sfumature sono difficili da comprendere da parte di soggetti esterni al mondo universitario italiano. Questo pezzo cerca di fornire una lettura semplificata al pensiero del professore.

EDIT: il professor Rodano è stato indicato scorrettamente come relatore della tesi, quando invece ne era il supervisore. Me ne scuso con l'interessato.

L'originale è disponibile qui.

 

“Continuano a chiedermi cosa penso della tesi di dottorato di Marianna Madia.”

 

Continuano a rompermi i maroni con questa tesi di dottorato della Madia, come se io me la dovessi essere letta e ne fossi responsabile. Voglio dire, sono un Professore Ordinario della Sapienza in Pensione (POSP), mica vi aspetterete che io mi legga tutte le tesi di dottorato di cui sono il relatore supervisore? E men che meno che ne risponda?

 

A caldo sarei stato tentato di rispondere citando una frase di Jules Michelet, il grande storico francese dell’Ottocento.

 

A caldo vi direi che mi godo la pensione da professore mentre continuo a fare i miei comodi all’Università, ma siccome dice che fa brutto, butto giù una frase a casaccio che non c’entra nulla.

 

“Mi sembra di ricordare che nell’introduzione alla sua Storia della Rivoluzione francese riporti di aver chiesto a un membro della Convenzione, ormai molto vecchio, cosa ne pensasse di quei tempi. Il Convenzionale rispose che era passato troppo tempo e che non ricordava nulla. Anzi ricordava una cosa soltanto: che era bello! (c’était beau!).”

 

Siccome ho gli studenti di dottorato tutti fuori a farmi le fotocopie e sistemarmi la pagina su Wikipedia, non posso controllare la citazione, ma io sono un POSP, quindi la citazione sarà giusta per forza.

 

“Dato che la Madia è accusata di non mettere le virgolette, ho deciso anch’io di non metterle, tanto più che non sono neanche sicuro della correttezza della citazione. Cito a memoria e, ormai, per rubare la parola a un poeta, la mia memoria è stancata (lascio l’identificazione di quale poeta si tratti a chi si diletta di identificare plagi).”

 

Lo so benissimo che non è questo il punto dell’articolo - che fingo di non aver letto - ma devo fare caciara per evitare di rispondere al problema.

 

“La mia risposta a caldo sarebbe stata appunto questa: sono vecchio; è passato parecchio tempo e ricordo ben poco. Ma anche io, come il Convenzionale di Michelet, una cosa me la ricordo: la tesi della Madia mi pareva buona (e in questo, di nuovo come il Convenzionale, non credo di sbagliarmi).”

 

La mia risposta a caldo sarebbe che io sono un POSP e voi non siete un xxxxx. E buona o cattiva che fosse la tesi della Madia, tanto a me non cambia niente.

 

“Sempre a proposito di Michelet, mi torna in mente un’altra citazione (sempre a memoria e sempre senza virgolette, e forse anche apocrifa). Per giustificare di non aver messo una bibliografia che riportasse le fonti del proprio lavoro, Michelet ricorse alla seguente analogia: quando invito un ospite a cena “

 

quando invito a cena un POSP

 

“non lo porto in cucina a fargli vedere le pentole sporche che sono state usate per prepararla;”

 

in cucina a spignattare ci vanno i servi e i dottorandi, mica noi POSP.

 

“il convitato deve giudicare la qualità dei piatti, e possibilmente apprezzarli; non deve preoccuparsi di come sono stati preparati.”

 

mentre il POSP ospite si limita a giudicare se la tesi è copiata bene, che diamine!

 

“La questione delle virgolette e del loro uso, o meglio della loro assenza, per giustificare l’esistenza di un plagio è un argomento scivoloso: ci porta a pattinare dove il ghiaccio è più sottile (di chi è questa citazione?).”

 

Non lo so e fingo di saperlo. Il dottorando che sa usare google è fuori a fare la spesa.

 

“Per esempio, Il nome della rosa del compianto e rimpianto Umberto Eco gronda in quasi ogni pagina di un florilegio di citazioni, tutte, naturalmente, senza virgolette. Ma son convinto che neanche la nostra zelante giornalista autrice del brillante scoop sulla tesi di Marianna Madia si sentirebbe di accusare Umberto Eco di aver plagiato il suo romanzo (o no?).”

 

Proviamo a buttarla in vacca usando Eco, evitando di parlare del lavoro di Eco che sarebbe rilevante - come si scrive una tesi - e invece usando un romanzo, che notoriamente è equivalente ai lavori scientifici e alle tesi di dottorato di cui io sono relatore supervisore.

 

“Ho presente l’obiezione. Qui si sta parlando di un lavoro scientifico, non di un romanzo. E i lavori scientifici hanno regole diverse. Dato che ho passato una vita a scrivere di argomenti scientifici, a sottoporli al vaglio di altri studiosi e anche a verificare, per valutarne la pubblicabilità, i lavori di altri, quelle regole credo di conoscerle bene.”

 

Ho presente l’obiezione, ma io sono un POSP e voi non siete un …., e vediamo se cogliete la citazione.

 

“Quindi, premesso che qui parliamo di una tesi di dottorato e non di un articolo scientifico (che sono cose un po’ diverse), proverò a entrare nel merito.”

 

Siccome sono un POSP a questo punto dovreste già tacere stupidi dalla profondità delle mie citazioni a memoria - e senza far usare google ai miei dottorandi. Ma siccome siete in malafede, dopo aver blaterato di cose a caso provo ad entrare in argomento.

 

“Osservo preliminarmente (non lo sapevo, ora lo so) che la tesi di dottorato di Marianna Madia è disponibile sul web. Un segnale che l’autrice, forse a torto, riteneva di non aver nulla da nascondere. Ma non è questo che qui ci deve interessare.”

 

Non mi interessava la tesi quando la Madia l’ha scritta, figuriamoci ora. Comunque è stupefacente che nel 2017 una tesi di dottorato sia disponibile su Web.

 

“La domanda giusta, quella veramente importante, è la seguente: cosa chiediamo a una tesi di dottorato? La risposta la conosciamo: visto che la tesi di dottorato è per molti giovani studiosi (non per la Madia che aveva già deciso di incamminarsi su un’altra strada) la porta di ingresso per una futura carriera scientifica, chiediamo alla tesi di mostrare che chi l’ha scritta sarà in grado, in futuro, di fare bene lo studioso, ossia, nel caso specifico (nel presente), di produrre un lavoro originale.

Ma cosa dobbiamo intendere per “originale”? (mi sono scappate le virgolette!) La risposta non è, come spesso si tende a credere, che quel lavoro sia tutto farina del sacco dell’autore.”

 

Pensavate volesse dire che il lavoro fosse farina del sacco dell’autore. Se aveste lavorato nell’accademia italiana, sapreste che vuol dire invece “copiaincollato in modo originale”. Vi devo proprio imparare tutto.

 

“Questo è ovviamente impossibile: neanche i tre magistrali lavori del 1905 dell’allora giovane Albert Einstein (Einstein!) erano tutti farina del suo sacco, e non solo nel senso che avevano usufruito del fattivo contributo, purtroppo non riconosciuto, della prima moglie Mileva Maric.”

 

Siccome sono un POSP, capisco che mi sto arrampicando sugli specchi, quindi mi gioco la reductio ad Einstein.

 

“Non sarebbe stato possibile perché Einstein, come tutti gli studiosi, non partiva da zero: lavorava partendo dalle ricerche di altri.”

 

Ecco, visto? Come dicevo, mica Einstein ha inventato le tabelline e poi è arrivato a fare le sue ricerche. E’ normale scopiazzare. Se poi qualcuno inventa qualcosa di originale è solo un incidente di percorso.

 

“Questo valeva per il suo lavoro sul moto browniano (su cui le ricerche risalivano agli inizi dell’Ottocento), per quello sull’effetto fotoelettrico (un fenomeno ben noto di cui Einstein propone una luminosa spiegazione) e perfino per quello, il più famoso, in cui introduce la teoria della relatività,”

 

che ovviamente io non so che è solo la relatività ristretta, non la relatività generale. I miei dottorati mica sono fisici, mica possono dirmele queste cose.

 

“per scrivere il quale Einstein sfruttò a piene mani le ricerche e le formule di un importante fisico olandese, Hendrik Lorentz.”

 

Anche Einstein mica si è reinvetato i numeri, ha usato il lavoro fatto da altri, e mica ha messo fra virgolette tutti i numeri che ha usato. E’ ovviamente un plagiaro, ma siccome era ebreo e parte del complotto plutogiudomassonico nessuo gli dice niente.

 

“Da qui ad affermare che Einstein fosse un plagiario ce ne corre. Fatto sta che quel terzo lavoro, in cui vengono poste le basi di una delle più grandi rivoluzioni scientifiche della storia dell’umanità, non era messo molto bene se lo giudichiamo con i criteri attuali della correttezza accademica.”

 

E vi dovete fidare di me che sono un POSP. Mica vorrete che prenda l’articolo in questione e vi faccia vedere la parti che non sono messe molto bene secondo i criteri attuali della correttezza accademica, eh? Anche perchè i miei dottorandi non me lo saprebbero fare perchè non sono fisici teorici.

 

“Del resto, anche allora, la società scientifica non nascose le sue riserve (forse, proprio per questo, quando anni dopo Einstein fu insignito del Nobel, non lo prese per la teoria della relatività ma per un altro degli articoli del 1905, quello sull’effetto fotoelettrico).”

 

E se poi non è vero mi posso giustificare dicendo “Ho detto forse”..

 

“Mi si dirà che sto esagerando. Che il confronto tra Einstein e Madia è improponibile.”

 

Lo so che la Madia è femmina e Einstein è maschio.

 

“È un insulto al primo e anche alla seconda. Convengo. Ma l’esempio di Einstein mi serve per mettere a fuoco la questione dell’originalità e, di conseguenza, quella del plagio.”

 

L’esempio di Einstein mi serve per mettere a fuoco che un POSP può usare esempi a caso e sostentere che dimostrino la propria tesi.

 

“Originalità significa appunto esser capaci di proporre alla comunità degli studiosi un risultato nuovo, magari un piccolo passo avanti rispetto a dove si era arrivati fino a quel momento, ma che appunto non c’era prima.

Per questo, nelle tesi di dottorato (di solito, anche se non sempre, articolate in tre capitoli)”

 

può succedere che qualcuno dei miei dottorandi sbagli a fare copia e incolla ed escano quattro capitoli invece che tre. So’ quattro capitoli professo’, che faccio, lascio?

 

“una parte, il primo capitolo, è dedicata a una rassegna bibliografica, ossia a una illustrazione di ciò che gli altri studiosi hanno scritto sull’argomento. Non ricordo bene, e non ho né la voglia né il tempo di andarmi a rileggere la tesi della Madia (sono pensionato e preferisco fare il nonno).”

 

Figurarsi se mi rileggo ora la tesi della Madia, non l’ho letta la prima volta e non me la leggo certamente ora. E comunque faccio il nonno a contratto presso l’Università della Sapienza.

 

“Mi pare però che il primo capitolo della sua tesi fosse appunto una rassegna bibliografica, il cui scopo, lo ripeto, non è quello di essere originali ma appunto di riferire con scrupolo e correttezza (senza travisarne il pensiero e i risultati) quel che han detto gli altri.”

 

Siccome ho i dottorandi a potare la siepe e io non sono capace di usare google, scaricarmi la tesi e stamparmela devo andare a memoria, quindi dico un paio di cose generiche che vanno bene sempre.

 

“Sempre scavando nella mia memoria (stancata!) mi sembra di ricordare che la novità contenuta nella tesi di Marianna Madia fosse di carattere empirico, ossia fosse un’applicazione con nuovi dati di una metodologia statistico-econometrica utilizzata in precedenza da altri. La maggioranza delle tesi di dottorato fa cose del genere.”

 

Io i dottorandi me li scelgo come persone capaci di prendere una tabellina di numeri e applicarci sopra una funzione in Excel, e poi scrivere il risultato giusto.

 

“Vengono cioè utilizzati un modello e una metodologia in precedenza proposti in altri lavori. Anche in questo caso deve essere uno scrupolo dello studioso esporre correttamente questo modello e questa metodologia.”

 

Il bravo dottorando è in grado di leggere un articolo ed applicare il modello contenuto nell’articolo. Prima di accettare un dottorando gli faccio montare un armadio IKEA, voglio essere sicuro che sappia leggere le istruzioni.

 

“Di nuovo nulla di originale. Il compito di questa parte del lavoro è quello di renderlo replicabile, di consentire a chiunque (purché attrezzato) di controllare che i dati siano veri e siano stati utilizzati correttamente, e che i risultati ottenuti siano rilevanti.”

 

Noi POSP siamo gente seria, perbacco! Non la possono fare così sporca da inventarsi di sana pianta i risultati, anche perchè c’è questa cosa che le ricerche sono peer reviewed.

 

“È ovvio che si devono usare le formule utilizzate dagli altri.”

 

Mica pretenderete che i nostri dottorandi inventino anche le formule? E’ già tanto che sanno usare Excel.

 

“Del resto anche Einstein aveva utilizzato le eccellenti formule di Lorentz, e aveva fatto benissimo.”

 

E siccome sono un POSP, se io vi dico che Einstein ha “utilizzato” le formule di Lorentz, vi dovete fidare. Praticamente ha fatto come la Madia, ha utilizzato un modello inventato da altri. E se ha inventato qualche formula saranno un paio di addizioni qui e la.

 

“Se ora andiamo a guardare l’articolo della nostra cacciatrice di plagi (onestamente non ci ho sprecato troppo tempo, e magari ho letto male), e in particolare ci concentriamo sui due esempi proposti per documentare la tesi (dell’articolo, non della Madia!), troviamo che il primo fa parte della rassegna bibliografica. Probabilmente la Madia ha esagerato a non cercare di esporre, come si dice, con parole sue il pensiero degli autori che sta sottoponendo a rassegna.”

 

Probabilmente la Madia aveva fretta di iniziare la sua carriera politica e non aveva nessuna voglia di spendere tempo a fare bene la tesi di dottorato, per cui ha fatto copia e incolla. E comunque io non ho letto l’articolo ma ho il diritto di commentare in ogni caso.

 

“Probabilmente aveva fretta, e la fretta è cattiva consigliera. Ma l’elaborazione di una tesi di dottorato (contrariamente a quella di un articolo scientifico) è sottoposta a stringenti vincoli di tempo che, saggiamente, negli ultimi anni sono stati un po’ allentati. Inoltre – lo so per essere stato supervisor (non relatore) di parecchie tesi di dottorato – i dottorandi sono, come è giusto, concentrati sulla parte originale del loro lavoro (si preoccupano che i risultati riescano a quagliare) è perciò tendono a essere più sbrigativi (talvolta un po’ sciatti), sulle parti più espositive (dati i vincoli di tempo di cui ho detto prima, si può capire).”

 

Ma lo sapete quanto tempo ci vuole a mettere una siepe a pari? Dopo che mi hanno rassettato tutto il giardino gli dovevo pure fare le pulci su come facevano la tesi? Mica è un lavoro scientifico rilevante, lo sappiamo che qui si fa carriera per altri motivi.

 

“Comunque è indiscutibile che l’esempio della tesi della Madia riportato dalla giornalista mostra che il pensiero degli studiosi che la dottoranda stava esponendo non è stato assolutamente travisato, che è appunto quel che veniva richiesto.”

 

E comunque ha fatto copia e incolla ed è riuscita perfino a capire le parole che aveva copiato. Obiettivamente non si può chiedere di più a uno studente di dottorato.

 

“Nel secondo esempio il preteso plagio riguarda – mi sembra – niente di meno che il modello e le formule. Dato che la parte originale del lavoro si basa su un'applicazione di quel modello, e se vogliamo che il confronto sia possibile, quali altre formule avrebbe dovuto usare?”

 

Ve lo sto dicendo dall’inizio: lo volete capire o no che questo è il modo di fare le tesi di dottorato? SI copia e si incolla in 35 pagine su 94. E se ve lo dico io.. buona tesi di dottorato a tutti!

 

“Prima di chiudere, un’altra piccola annotazione. La nostra scrupolosa e puntigliosa cacciatrice di plagi (ovviamente perpetrati da un ministro della repubblica, da una persona importante, non da uno studioso qualsiasi)”

 

Cara cacciatrice di plagi, fatti dare un consiglio da un vecchio POSP: gioca coi fanti e lascia stare i santi, che non si sa mai cosa può succedere...

 

“non può fare a meno di ricordare che tutti, dicesi tutti, gli autori dei cui lavori Marianna Madia si sarebbe impropriamente servita sono senza eccezione citati in bibliografia (al contrario di Michelet, Marianna ha invitato i suoi ospiti a visitare la cucina, perché adesso si fa così),”

 

eh una volta non c’erano questi maledetti computer che ti sgamavano subito se scopiazzavi, maledetto progresso!

 

“e gli autori sono in genere citati, ovviamente, nei punti del testo in cui si parla di loro, purtroppo senza virgolette; il che è, chiaramente, un peccato mortale. Per averlo commesso si sta proponendo da tante parti di sottoporre la Madia alla gogna e di mandarla all’inferno. Su quest’ultimo punto, a titolo di parziale consolazione, osserverei che almeno, stando al nostro Dante, all’inferno si incontra tanta gente interessante (spesso assai più interessante di tanti giornalisti e tanti accademici che corrono dietro alle virgolette).”

 

Caro giornalista, ricordati che un favore prima o poi serve a tutti, e mettersi contro un POSP o un ministro della repubblica non è mai una buona idea.

 

“PS. Se a qualcuno interessa potrei spiegare, in un eventuale futuro post, perché, a mio avviso l’applicazione dei software antiplagio ai lavori scientifici e alle tesi di dottorato (per lo meno a quelle di argomento scientifico) non possa dare risultati convincenti.”

 

E comunque secondo me i software anticopiatura sono inutili. E io sono un POSP.

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Complimenti, forse vale la pena di vedere anche il sequel del POSP, che riesce a leggere l'articolo di Perotti come una difesa a spada tratta di ministra e relatore (quando si dice aver perso il contatto con la realta!)

Da Facebook (https://www.facebook.com/giorgio.rodano.7)

 

Qualche giorno fa, forse lo stesso in cui il Fatto quotidiano aveva iniziato il suo can-can sul presunto plagio della tesi di Dottorato di Marianna Madia, Roberto Perotti aveva scritto, per Repubblica, un articolo duramente critico sulle scelte del ministero da lei guidato. Quell’articolo poteva essere condiviso oppure no, ma era certamente argomentato. Meritava una risposta dalla ministra (forse l’ha avuta, non so). Oggi Perotti ha scritto, sempre per Repubblica, un altro articolo, sempre riguardante la ministra, in cui si occupa della sua tesi di dottorato. Premette di non essere un ammiratore di Madia e di non credere che sia una buona ministra (un’opinione del tutto legittima, che non condivido). Ma trova che la storia del plagio sia (qui non cito Perotti ma il vecchio Mark Twain) un tantino esagerata. Al riguardo Perotti si è documentato e conclude che sull’argomento sono state dette molte inesattezze e che, per quanto la tesi pecchi di qualche leggerezza, le accuse di plagio sono sostanzialmente infondate. Altro discorso, ma appunto di tutt’altra natura, riguarderebbe la qualità della tesi, che secondo Perotti non è un capolavoro scientifico, ma – come aggiunge subito – questo giudizio vale per decine di altre tesi in tutte le università italiane. Sul tema delle tesi di dottorato e della tesi di Madia in particolare nell’articolo c’è anche altro (non posso fare altro che rinviare alla lettura). Sempre nell’articolo, Perotti si occupa di un’altra questione. Perché tanta acredine e tanto accanimento? Di nuovo, si può essere d’accordo o no con quel che dice Perotti al riguardo, ma per lo meno si propongono riflessioni e ragionamenti, con un imparagonabile passo avanti rispetto alle invettive e alle richieste di dimissioni.

Il testo del prof. (POSP) Rodano è talmente surreale che è davvero difficile fare un commento all'altezza. Mi sono molto divertito a leggere... però per dire che Einstein avrebbe plagiato i lavori sull'effetto fotoelettrico e sulla relatività speciale ci vuole un fegato da campioni. Che vergogna per la categoria dei P.

L'autore di questa impeccabile traduzione converrà che, nel finale, la corretta traduzione del dire del professore riconferma quanto già espresso prima con sufficiente chiarezza, e quindi non è solo:

“E io sono un POSP”,

è invece:

“Ah! Mi dispiace..... Ma io sono un POSP, e voi non siete un c....”

è lasciato al lettore. Il POSP si è espresso già due volte.