Il federalismo non s’ha da fare

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Dei dieci punti di FiD non condivido l'ultimo. Un vero federalismo è una riforma strutturale valida, ma proporre l'obiettivo non basta se manca il percorso fattibile per ottenerlo. Ritengo che questo tipo di riforme siano impossibili da ottenere tramite il parlamento italiano.

In questi mesi di profonda recessione è comprensibile se tutta l’attenzione si focalizza su come uscire nell’immediato dalla crisi. Quale politica fiscale e quale politica monetaria bisogna adottare? Additare l’euro sta diventando un po’ la caccia alle streghe della politica monetaria, come già accennato. Mentre per la politica fiscale il rimedio delineato da Fermare il Declino (meno tasse per stimolare la crescita, finanziate da meno spesa pubblica) dovrebbe essere condiviso anche da chi non ne capisce i meccanismi. Questo per il semplice fatto che è l’opposto della spirale di più tasse e più spesa pubblica che ha gradualmente soffocato la crescita e che ha portato l’Italia al capolinea dell’indebitamento.

Queste soluzioni sono però delle ricette temporanee che non tengono conto del problema di fondo che ha spinto lo stato italiano ad essere all’ultimo posto al mondo in crescita economica. E’ come un colpo di reni in una gara di ciclismo, che ti permette al massimo di fare uno sprint, ma non di mantenere un passo sostenuto. In sostanza non basta proporre una programma adeguato, e nemmeno cambiare la classe politica, perché se non riformi la struttura di uno stato mancheranno sempre gli incentivi per effettivamente cambiare l’attuale meccanismo politico. Si può anche riempire il parlamento di grillini, come vent’anni fa lo si è riempito di leghisti, sempre per mandare a casa la classe politica precedente, per cambiare tutto e non cambiare nulla, ma si manterrà lo stesso una traiettoria in graduale decadenza.

Il problema strutturale è noto. L’Italia è un paese che gestisce una realtà molto eterogenea in maniera centralista. Da una parte ci sono delle regioni che danno molto di più di quanto ricevono, e sono quindi oberate da una pressione fiscale al netto eccessiva che le rende poco competitive e perdenti nel mercato globale. Dall’altra parte ci sono regioni che ricevono cronicamente più di quanto danno alimentando un sistema clientelare che incrementa il loro sottosviluppo.

Fermare il Declino ha incorporato nel suo programma una proposta di riforma strutturale con effetti di lungo termine: l’introduzione del “vero” federalismo. Questo è l’unico punto che mi trova fondamentalmente contrario. Non metto in dubbio che un vero federalismo potrebbe in teoria fare funzionare lo stato italiano. Introdurrebbe quel minimo di efficienza stimolando la crescita sia nelle regioni settentrionali che in quelle meriodionali, se solo fosse possibile attuarlo. La ragione per cui sono contrario a questo punto, non è l’obiettivo per se, ma l’impossibilità matematica di ottenere il consenso politico necessario per approvarlo. E se manca un’analisi su come sia possibile raggiungere un obiettivo, questo diventa una vuota promessa elettorale.

Ecco perché ritengo impossibile che uno stato cristallizzato in un centralismo cronico venga riformato dall’alto.

Semplifichiamo al massimo il ruolo dello stato come ente pubblico che prende (tasse) e da (spesa pubblica). Quanto viene prelevato e elargito dipende da chi viene eletto, e viene eletto chi soddisfa la maggioranza degli elettori. Guardiamo quindi cosa interessa all’elettore: il nostro cittadino, i, trae beneficio (utilità, ☺) dal bene pubblico, g, che viene finanziato con delle tasse, t, che però a loro volta svantaggiano il nostro signor i perché riducono il suo consumo privato, c:

 

i = ci + ge siccome ci = (1 - t)yiallora ☺i = (1 - t)yi + g

 

Pensiamo ad una città-stato dove il bene pubblico, g, è un ospedale che porta un beneficio standard a tutti i cittadini (e quindi non è indicizzato con i), e per finanziarlo ogni cittadino paga una tassa in percentuale fissa, t, sul proprio reddito, yi. Naturalmente, ogni cittadino ha un reddito diverso e quindi pagherà un livello di tasse diverso per poi avere tutti il medesimo bene pubblico. Per questo ognuno ha un’idea diversa di quale sia la politica fiscale ottimale, perché ognuno avrà delle faccine,☺i, diverse a seconda del reddito e della politica fiscale adottata.

Nella nostra città-stato vige la democrazia e i politici si candidano a governare proponendo una determinata politica fiscale. Supponiamo che il pareggio di bilancio sia obbligatorio (non ci si può indebitare), quindi i due candidati propongono una spesa pubblica, g, che automaticamente corrisponderà ad una tassa, t, che servirà a finanziare questo bene pubblico:

 

Pareggio di Bilancio (T=G): Totale Entrate Fiscali, T, è uguale a tot spesa pubblica, G

 

Dove le entrate fiscali sono la somma delle tasse su ogni individuo: T = ∑i t*yi

Dove i bene pubblico gustato dal singolo, g, equivale alla spesa pubblica totale, G, divisa per il numero di abitanti, I: g = G/I

Ora, in questa città-stato c’è chi è più ricco e chi è più povero. Il povero ci guadagna (☺) da questo bene pubblico, perché paga meno tasse di quanto usufruisce di questo bene pubblico. Mentre il ricco ci perde (☹) perché paga in tasse di più di quanto beneficio gli porta il bene pubblico. Più povero sei, più bene pubblico e più tasse vuoi. Invece più ricco sei meno bene pubblico e meno tasse vuoi.

In un confronto elettorale vincerà il candidato con in programma una spesa pubblica che soddisfa il 51% dei cittadini, e cioè che soddisfa marginalmente quell’elettore mediano che si trova nel bel mezzo della distribuzione di reddito. Più povero sei rispetto al elettore mediano, più ci guadagni dalla politica fiscale vincente, più ricco sei di quel elettore mediano, più ci perdi.

[NOTA TECNICA: Da come è impostato il problema si avrà una corner solution con tasse al 100%. Basta supporre un’utilità semi lineare, ☺i = ci + H(g) , dove H(∙) è una funzione concava, per avere un risultato più realistico con tasse tra lo 0% e il 100% ]

Può piacere o no, ma questo è quanto succede in democrazia con un bene pubblico finanziato da tasse: esiste una redistribuzione di risorse dettate dalla maggioranza. Chi sta in mezzo è indifferente, chi è povero ci guadagna dallo stato sociale, e più uno è ricco più si sente fregato.

Ora, invece di una città-stato consideriamo un paese di 60 milioni di abitanti. Non la Francia dove non ci sono forti discrepanze di reddito tra regioni, ma l’Italia dove questa eterogeneità di reddito è distribuita anche geograficamente. Questa è una differenza importante perché in un paese geograficamente omogeneo come la Francia, anche se esiste una eterogeneità di reddito in ogni regione, i parlamentari che vengono eletti da ogni regione cercano di soddisfare i loro rispettivi elettori mediani (che garantiscono il 51%, e cioè la vittoria elettorale), e quindi si assomiglieranno per quanto riguarda la politica fiscale. In Italia invece, per vincere in Veneto devi essere per meno tasse, mentre per vincere in Calabria devi essere a favore di più fondi pubblici.

Riprendo la distribuzione di tasse e di spesa pubblica per regione, calcolata dai Conti Pubblici Territoriali.

Si può notare come la distribuzione delle entrate fiscali per regione è molto diversa e combacia con un eterogeneità dei redditi medi regionali. La distribuzione di spesa pubblica non è piatta, ma è molto più omogenea. Questo produce i noti residui fiscali che sono preoccupanti solo per 5 regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana). In queste 5 regioni vivono 27 milioni e mezzo di abitanti, e quindi anche se un partito territoriale prendesse il 100% in queste regioni (e 0% nelle altre) sarebbe comunque in minoranza in parlamento.

Quando si parla di vero federalismo si intende sicuramente qualcosa che dia un alto grado di autonomia fiscale ad ogni regione, magari addirittura la possibilità di abbassare l’IVA a piacimento, come negli stati d’America. Questo è naturalmente impossibile in Italia, a meno che non introduci una riforma costituzionale, che richiede i due terzi del parlamento. Allora il nostro elettore decisivo non è più al 51%, ma al 67%.

Si potrebbe convincere i rappresentanti politici eletti in quelle regioni intermedie (Marche, Trentino, Friuli, Liguria, Umbria, Abruzzo) che i loro residui fiscali persi nel breve termine sono modesti, e che nel lungo termine ci guadagnerebbero da un sistema federale. Volendo magari sarebbero favorevoli anche Valdostani e Sardi che pur perdendo notevoli residui fiscali, magari appoggiano un sistema federale per ragioni culturali. Aggiungendo anche il 100% dei voti in queste ulteriori regioni arriviamo ad una popolazione di 37 milioni di abitanti, che è meno del 67% del totale.

Perché mai 5,8 milioni di campani, 5,7 milioni di laziali, 5 milioni di siciliani, 4 milioni di pugliesi, 2 milioni di calabresi, 500 mila lucani, e 300 mila molisani dovrebbero rinunciare a decine di miliardi di euro all’anno? Ci sono sicuramente diversi meridionali che pagano molte tasse e i soldi pubblici non li vedono neanche con il binocolo, ma sono una minoranza. L’elettore mediano in una regione del Sud decisamente ci perde, e nessun parlamentare verrebbe mai eletto in Sicilia con l’intento di attuare una vera riforma federale che eliminerebbe fondi che ammontano al 20-30% del Pil siciliano.

Questi sono calcoli semplificati, ma il punto è il seguente. Si può argomentare che nel lungo termine un sistema federale gioverebbe a tutti. Però nel breve termine è un gioco a somma zero, e il guadagno per l’elettore mediano veneto è una perdita per l’elettore mediano siciliano. Nel parlamento italiano non ci sarà mai una super maggioranza per questo tipo di riforma. Ne sa qualcosa la Lega Nord, che ha tentato di salvare la faccia proponendo un federalismo solo di nome. Un vero federalismo non lo potevano passare perché totalmente contro gli interessi dei loro stessi alleati del Pdl Sicilia. Per questa ragione è impossibile che qualsiasi maggioranza democraticamente eletta nel parlamento italiano abbia gli incentivi necessari per attuare una vera riforma dello stato italiano.

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Commenti

Ci sono 149 commenti

La conclusione è esatta, ma non condivido il percorso logico.

 Prima di tutto, perché tutti i partiti, da 30 anni, promettono invece la stessa cosa: meno tasse e meno spesa pubblica. Tanto anche se ci provano (pensiamo al quell'invasato antistatalista di Brunetta) non ci riescono, in quanto la spesa cresce da sola automaticamente senza possibilità di frenarla.

Secondo, perché alla classe politica importa un baffo del consenso. Neanche di fronte a milioni di firme la ns. classe politica fa una piega. Neanche se il 90 % dei votanti gli abolisce la proporzionale o il finanziamento dei partiti muovono un dito contro se stessi.

Maddài. O li prendi alla sprovvista con un sotterfugio, come fece Cossiga quando approvò all'ultimo minuto il referendum Segni (e gliela fecero pagare). Oppure gli basta un semplice "no". Anzi, neanche quello. De miminis non curant.
Per questo io credo che invece, la chiave di volta potrebbe proprio venire dal locale, da una regioncina che dia il buon esempio e si stacchi. 

Quale? Secondo me, da quella che meno di tutti è sotto il controllo della classe politica. Quella che più di tutti necessita di cambiamenti.  Quella che è già a statuto speciale ma non gli basta. Quella che "altro che consenso": i propri concittadini delle altre regioni li chiama ancora "i piemontesi". Quella che allo Stato converrebbe non farsi dare una lira di imposte, se potesse rinunciare a sovvenzionarla.

Sì, sì, proprio quella li che non vuole nessuno. Forse le permetterebbero uno statuto specialissimo, ovvero una costituzione vera e propria che l'Italia non ha, ade esempio con diritti inalienabili (anche fiscali), con forme di democrazia diretta da spazzare via ogni traccia di partitocrazia, con vincoli di competenza degli amministratori (anche del potere legislativo ed esecutivo) e di buonafede per le cariche elettive (ex: remunerazioni compensanti solo il reddito perso).

E allora sì, che converrebbe attuare un processo di annessione federale.


Impossibile anche questo? Allora ci rimane solo una cosa: un processo di evoluzione culturale dei cittadini, un neo-illuminismo che spazzi via tutti i retaggi demagogici, cosicché quando tra un paio d'anni diranno agli statali che a fine mese non si paga lo stipendio, la gente saprà dove mirare.

Perché adesso, nessuno lo sa.

Siamo come nel seicento con le teocrazie. Lo status quo è un dato di fatto. L'idea è che "tanto, è così dappertutto".

Sarebbe necessario un "neo illuminismo" liberale, con unitarietà e solidarietà ideologica e di intenti.  Una nuova "Alleanza Costituzionale", come quella di Giuseppe Maranini (che nel '48, all'indomani della pubblicazione della nostra  orrenda ed inutile costituzione, coniò il termine "partitocrazia").

Ma chi potrebbe farlo passa invece il tempo ad insultare il collega o a fare la bella statuina. Anche in questo blog. Come diceva Ricossa, i liberali in Italia sono come mosche bianche, che si pasciono edonisticamente della loro originalità e solitudine.

Peccato.

La modifica della Cost. non necessita forzatamente della maggioranza dei 2/3 e doppia lettura ma si puo' avere la maggioranza semplice e ricorrere al referendum, dove ricordo non c'è neppure il quorum. Quindi il percorso è politicamente fattibile.

Poi è chiaro che si puo' avere un programma e cercare di portarlo avanti ma se un referendum boccia il federalismo non è che si possa dire che non sono state mantenute le "promesse". Tutto dipenderà da quale federalismo verrà proposto, da come se ne discuterà nel paese. Mettere il carro davanti ai buoi dicendo fin dall'inizio "bello ma non ce la faremo" mi pare una delle classiche forme di "resistenza al cambiamento" che si studiano anche in azienda, nell'ambito del change management. Ecco le principali:


1) Disaccordo sul problema  (.... il problema non esiste...)
2) Disaccordo sulla direzione della soluzione  (..... non è questo il problema ...)  
3) Disaccordo sul fatto che la soluzione apporterà tutti i benefici che sostiene di fornire (... così non risolviamo nulla ...)
4) Esprimere preoccupazioni riguardo a ramificazioni negative (implicazioni negative sulle persone) derivanti da una riuscita implementazione del cambiamento(... "si, ma ..." ..." si, ma cosi' per me sarà peggio...")
5) Esprimere preoccupazioni riguardo agli ostacoli che impediscono di fare della soluzione una parte della realtà comune. (... si vedono ostacoli ma in realtà vengono messi di proposito ...)
6) Sollevare dubbi riguardo alla propria o altrui capacità di eseguire i compiti associati al cambiamento, cioè di portare a termine l’implementazione della soluzione (... non ce la faremo mai ... non siamo capaci ... mancherà la collaborazione...) o peggio non sollevarli affatto.


Mi pare che l'articolo di Lodovico sua basato sul quinto livello. Gli ostacoli indicati sono artificiali e sono messi per indicare la necessità di una resa prima del tempo.
male che vada, mi appellerei al pessimismo della ragione ed all'ottimismo della volontà.

L'articolo di Lodovico è basato sull'assunto che dato che non si può fare niente all'interno del quadro costituzionale, il problema va risolto per via extra-costituzionale.

 

Referendum. Al tempo ero all'estero ma mi sembra che il referendum sulla devolution dimostri il mio punto (Lombardia e Veneto votano a favore, tutti gli altri votano contro). Poi magari guardando nei dettagli quello non era il "vero" federalismo, ma credo che perlomeno dimostri che un elettore, per via diretta o per via rappresentativa, voti a seconda del proprio vantaggio/svantaggio a breve termine

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_costituzionale_del_2006_in_Italia

 

quinto livello. Riguardo la tua classificazione di change management, si se devi catalogarlo ricade sul punto 5. Pero' qui non stiamo parlando di una novita' proposta. E' da vent'anni che sentiamo parlare di federalismo, ed e' troppo riduttivo dire che non e' passato perche' chi lo proponeva era scemo. Il mio articolo vuole argomentare che il problema non e' chi propone la riforma, ma manca il meccanismo di incentivi per approvarlo. Quindi, la tua critica potrebbe andare bene per un percorso mai provato, ma qui stiamo parlando di perseverare su qualcosa che non e' funzionato in passato. Bisognera' pure fare un'analisi sul perche' nessuno e' mai riuscito a passare un "vero" federalismo.

Trascrivo l'art. 138 Cost.

"Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

"Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla data di pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei votanti.

"Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti".

 

Ma con tutte le cose importanti che stanno succedendo in Italia una fra tutte capire se sto benedetto FilD sta fuori dentro insieme a IF ci mettiamo a vivisezionare il punto 10 il federalismo? dopo una settimana in cui su nFA non si pubblica nulla di nuovo devo scocciarmi a leggere una cosa astrusa come questa? Per favore a parte Bossi chi sarebbero i nuovi nella seconda repubblica? Ma se sono tutti matusalemme riciclati che si stanno riciclando sotto i nostri occhi e rubando a manbassa pezzi dal manifesto FilD? Qualcuno mi dica se vi sono chiare le vere priorita' , che francamente il federalismo mi sembra all'ultimo posto (non per nulla e' il punto 10) scusate eh

Scusa Giuliana ma la tua "intromissione" pur legittima è secondo me da rigettare. Nella democrazia di uno spazio aperto, pur regolato, di discussione, ogni tema è leggittimo e chiunque è libero di leggere, intervenire oppure no. Lodovico è libero di pubblicare le sue idee e di attendersi un dibattito su quanto ha scritto.  Il dibattito che chiedi mi pare si stia sviluppando piu' che altro sul sito di fermare il declino.  A te il federalismo sembrerà l'ultimo dei problemi ma in democrazia siamo milioni e forse qualcuno vede priorità diverse. L'ultimo punto è, per così dire, "last but non least". E forse è il piu' complesso e difficile. Anche per questo è bene scavare a fondo per capirlo e quindi ringrazio Lodovico per aver sollevato le sue perplessità.

Se il surplus di tanti decenni le regioni lo avessero speso per opere pubbliche e infrastrutture, probabilmente ora avrebbero raggiunto le altre e non avrebbero più alcun surplus.

Purtroppo lo hanno speso per assunzioni inutili, per duemila dirigenti, per baby pensioni, per clientelismo insomma.

Quindi la responsabilità complessiva, di tutto il paese, non è quella di aver permesso il surplus, ma di aver permesso che andasse sprecato così.

Penso che di fronte ad una richiesta di migliore utilizzo dei fondi, alla fine, si sarebbe trovata una risposta positiva anche dalle regioni più favorite dai trasferimenti.

Se invece vengono messe di fronte all'alternativa di perdere completamente il vantaggio esistente, evidente che non ci sarà da parte di queste alcuna collaborazione.

Egregio Pigi, lei ripete un concetto che effettivamente ho sentito esprimere da Giannino varie volte.

Obietto che:

- anche se da domani i treni raddoppiassero ed arrivassero tutti in orario;

- anche se la posta diventasse affidabilissima;

- anche se al pronto soccorso non fosse più necessario portarsi i panini;

- anche se tutti gli altri i servizi pubblici diventassero efficentissimi, ma la spesa pubblica e quindi la pressione fiscale rimanesse tale, le aziende continuerebbero a morire come mosche.

La vera sfida, che ha visto sconfitti gli intenti di tutti i governi degli ultimi trent'anni, è la riduzione della spesa pubblica.

Il mostro che aumenta di volume in modo incontrollabile, incurante di qualunque legge od azione di governo.

E che trascina con sé, nel suo aumento, anche la pressione fiscale, di cui è madre e figlia al tempo stesso.

 

Da una parte ci sono delle regioni che danno molto di più di quanto ricevono, e sono quindi oberate da una pressione fiscale al netto eccessiva che le rende poco competitive e perdenti nel mercato globale. Dall’altra parte ci sono regioni che ricevono cronicamente più di quanto danno alimentando un sistema clientelare che incrementa il loro sottosviluppo.

 

Secondo me se non si capisce questo non si potra' invertire il declino italiano.  Anche un governo tecnico sostanzialmente onesto, ma che si limiti come il governo Monti ad amministrare il sistema centralista esistente accettandone per inerzia l'eccessiva tassazione e spesa pubblica storicamente causata dall'acquisto del consenso con la spesa pubblica nelle regioni sottosviluppate, non potra' che prolungare il declino economico e civile dell'Italia.

Riguardo la Francia non e' corretto secondo me scrivere che "non ci sono forti discrepanze di reddito tra regioni". In realta' se calcoli un indice complessivo di "disparita' di reddito regionale" come ha fatto in passato Francesco P. Forti nel suo sito sul federalismo, la Francia e' piu' diseguale dell'Italia. Ma la diseguaglianza francese e' diversa da quella italiana: la regione di Parigi, Ile del France, ha un PIL pro-capite nettamente piu' alto della media, tutte le altre regioni hanno un PIL pro-capite nettamente minore ma simile tra loro.  Nel caso francese il centro politico coincide coi vertici del reddito pro-capite. Di fatto la Francia e' stata piu' o meno "conquistata" militarmente dalla regione di Parigi storicamente, ed oggi pur in un sistema democratico la classe dirigente centrata a Parigi mantiene un ascendente che continua a garantirne la supremazia. Nel sistema centralista francese, pur con un'amministrazione  nettamente piu' competente e meno disonesta dell'Italia, le differenze di reddito sono ai vertici mondiali e anche in aumento dal secondo dopoguerra secondo i dati di Francesco. Stati federali come USA, Germania, Svizzera, Australia e Canada hanno distribuzioni di reddito molto piu' eguali, e generalmente con disparita' decrescente nel tempo.

Secondo me e' proprio la natura dei sistemi centralisti a mantenere ed accentuare le differenze di reddito regionali. In un sistema centralista chi sta al governo centrale usa almeno in parte la spesa pubblica per massimizzare l'acquisto di consenso. In presenza di regioni piu' o meno economicamente sviluppate la strategia ottimale per comperare voti consiste nell'aumentare la spesa pubblica nelle regioni sottosviluppate, dove si acqiustano piu' voti con meno soldi, e tassare di piu' le regioni sviluppate, dove a parita' di denaro estratto con le tasse si perdono meno voti.  Questo sistema si sviluppa a livelli tragicomici in Italia dove gli abitanti delle regioni sviluppate hanno una cultura di tipo idealistico prescientifico, credono alle favole raccontate dai politici e nel circo mediatico, non sono capaci (in media) di fare due conti, o qualche confronto sensato con gli altri Paesi, e si lasciano abbindolare da promesse di federalismo che poi non viene attuato se non con modalita' ridicole e insussistenti, oppure ancora peggio aderiscono alle  menate della sinistra post-comunista che persegue l'aumento della spesa pubblica per motivi ideologici, perfino negli ultimi due anni di governo 2006-2007.

Questa politica centralista danneggia le regioni sviluppate, ma danneggia economicamente ancora di piu' le regioni sottosviluppate, dove aumenta la dipendenza di cittadini ed economia dai trasferimenti di reddito centrali, diventa piu' conveniente seguire la carriera statale (con stipendi uguali per legge in tutta la nazione) piuttosto che la carriera privata, diventa piu' conveniente cercare di appropriarsi dei fondi pubblici piuttosto che sviluppare attivita' economiche, che peraltro vengono affossate anche dalla pressione all'equiparazione salariale verso i livelli delle regioni sviluppate, in presenza di forze sindacali populiste e prive di competenze economiche.  C'e' perfino qualche sia pur non significativa che col governo centrale gli stessi indicatori civici del Sud Italia sono peggiorati (studi di Emanuele Felice). Insomma il centralismo tassa e spendi affossa economicamente e corrompe dal punto di vista civico, secondo me. L'Italia e' un esempio da manuale.

Ricordo a memoria qualcosa di scritto da F. Canova e M. Boldrin sulle diseguaglianze regionali. Se l'analisi la fai su NUTS3 (provincie) allora la Francia ha piu' diseguaglianza dell'Italia. Se l'analisi la fai per NUTS1 (macroregioni) o NUTS2 (regioni) allora l'Italia ha piu' diseguaglianze della Francia.

I punto e' che se vai guardare aree territoriali troppo piccole inizi a trovare diseguaglianze tra città e campagna che sono del tutto naturali. Invece se guardi a macroregioni cogli delle realtà economiche complete. Tra Francia del Sud e Francia del Nord non c'è l'abisso che trovi tra Italia settentrionale e meridionale (o Spagna settentrionale e meridionale).

La soluzione prospettata da Lodovico Pizzati comporterebbe come immediata conseguenza che se uno e' povero e vive in una delle regioni a residuo fiscale positivo potra' continuare a mostrare una faccina sorridente, mentre se e' povero e vive in una regione a residuo fiscale negativo perdera' ogni sorta di beneficio (ospedale della citta' stato compreso) e precipitera' nella miseria piu' nera. Queste circostanze potrebbero forse essere considerate desiderabili dal prof. Pizzati, ma anche poco desiderabili da altri. Certo, le regioni attualmente a residuo fiscale negativo potrebbero alzare le aliquote a livelli espropriativi per mantenere un livello minimo di servizi, ma e' difficile immaginare che una tale politica dia impulso ad una tumultuosa crescita economica. Fra l'altro chiunque avesse un qualche talento emigrerebbe in brevissimo tempo verso regioni con un clima fiscale piu' favorevole o in altri paesi. In effetti la crescita italiana si e' drasticamente ridotta dopo il 1970, quando sono state istituite le regioni, cresceva di piu' con una gestione centralistica.

Se alcune regioni gesticono male i fondi loro attribuiti, per me la soluzione e' di attribuirli direttamente ai singoli cittadini (vouchers, imposta negativa sul reddito, social card etc) confidando che ne facciano miglior uso. Si potrebbe anche dare alle regioni facolta' di imporre tasse locali su queste entrate, in modo da incoraggiare una corretta responsabilizzazione fiscale. In conclusione la medicina ai mali della decentralizzazione non e' una maggiore decentralizzazione, ma una centralizzazione molto spinta.

Le regioni attualmente a residuo fiscale negativo potrebbero abbassare gli stipendi pubblici a livello piu' adeguati al PIL locale, potrebbero dare la caccia all'evasione (elevata in % proprio in quelle regioni) e potrebbero anche tagliare fortemente rendite e malversazioni, elevate in quelle regioni propro per l'eccesso di flusso monetario da Roma.

Risultato di questa "manovra" potrebbe essere una pressione fiscale piu' bassa della media.

Al Nord invece, dove il costo della vita è maggiore, credo che comincerebbero ad adeguare verso l'alto gli stipendi pubblici locali, oggi troppo bassi rispetto allo standard di vita. Insomma il federalismo implica un riequilibrio. Ma non è a somma zero. Io personalmente ritengo che a farlo seriamente il sud ha piu' da guadagnarci del nord e forse è per questo che la Lega non lo ha cavalcato fino in fondo.

L'esempio fatto secondo me è incompleto.
Per prima cosa in una città stato di 50'000 abitanti non è possibile una sola maggioranza al 51% (in realtà il 50%+1) ma migliaia. Se la città stato fosse di tre persone, A, B e C, le maggioranze possibili sono quattro: una è l'unanimità (ABC) e le altre tre sono AB, AC e BC.

Le complesse  dinamiche per cui si compete per essere in una delle tre maggioranze relative (e non essere escluso) sono abbondantemente descritte nel libro "Il calcolo del consenso. Fondamenti logici della democrazia costituzionale" di Buchanan James e Tullock Gordon. Ma la complessità sale se si considera che la città stato non è l'unica ma che intorno ce ne sono altre e che è relativamente facile spostarsi da una all'altra.

Ecco che se nella città stato "alfa" una maggioranza di poveri che spera di guadagnarci, pagando poche tasse perché povero e avendo buoni servizi finanziati dalla parte ricca, ma in minoranza, della città e lo fa con aliquote fortemente progressive ed una generosa no-tax zone, il risultato sarà che quei pochi ricchi tartassati (mettiamo il 5% dei residenti) si sposteranno nella città stato "beta". Siamo in un contesto federale (per assunzione) e quindi non serve cambiare passaporto. Basta che in "beta" ci siano abbastanza case d'abitazione ed una politica meno aggressiva verso chi ha le risorse (perché è capace di produrle). Va da sé che un sistema fatto di 100 città stato vedrebbe sorgere un equilibrio in cui ogni luogo tende a fornire i migliori servizi ma al costo fiscale piu' basso, perché questo attira doppiamente attività e persone dalle altre e non le fa fuggire.  Quello che io immagino quindi è un "federalismo di piccoli territori" e non di grandi regioni, oppure che non si ferma al livello regionale ma continua con un sub-federalismo provinciale all'interno del quale ci sono ampi poteri comunali, compresa l'autonomia fiscale. Gli italiani hanno dimostrato nel passato di essere un popolo molto mobile, disposto a muoversi (anche valicando gli oceani) per cogliere opportunità. Molto forte è stata anche la mobilità interna. Mi pare quindi che se il sud sapesse fornire buoni servizi ad un costo ragionevole (e risolvesse il problema della sicurezza), sarebbe avvantaggiato rispetto al Nord delle nebbie e del gelo invernale. E sono sicuro che il federalismo potrebbe costituire una formidabile opportunità per tentarci e riuscirci. Francamente non esiterei a trasferirmi al sud.

Questo commento è condivisibilissimo perché descrive i vantaggi di un sistema federale, ma il punto dell'articolo è un altro. Che le cose possano funzionare in un equilibrio federale (B) non ci piove, ma trovandosi in un equilibrio malsano (A), la domanda è, come fai ad andare da A a B? Ecco, partendo da una supposizione che le persone votano a seconda dei loro vantaggi personali, e che la maggioranza comanda, io non vedo un percorso che va dal monte A al monte B, ma vedo un burrone. Dopo il fatto che io veda un altro percorso per arrivare al monte C e' un altro discorso.

Simpatica la riduzione in formule di preferenze elettorali, ma poco valida per difendere la tesi del post. Ricordo solo che la storia, anche quella recente, è piena di esempi in cui l'elettorato "ricco" riesce a far votare l'elettorato  "povero"  contro i propri interessi. direi che è quasi la norma.

 

Quanto al referendum del 2006, mischiate alla devolution in salsa leghista, c'erano alcune cosette poco simpatiche. sulla Corte Costituzionale per esempio.Interessante la suddivisione di quel voto. Non la ricordavo. Un'analisi porterebbe troppo lontano dal tema del post per cui mi fermo qui.

 

Scusate, ma perché il Lazio va "rettificato"? Avevo letto un articolo che ora non trovo più in questo blog in cui si asseriva, se non ricordo male, che il Lazio aveva le grandi imprese statali. E allora? La Lombardia no forse? L'ENI ha la sede a Roma e a Milano, la parte di ENI che sta a Milano, che poi è quella principale, l'avete rettificata oppure no? E le imprese private non fanno forse profitto altrove come quelle statali? O per dire Mediaset fa solo profitto in Lombardia grazie alle pubblicità e agli spettatori lombardi?

 

Invece sul residuo fiscale: non è semplicemente il denaro trasferito per aiutare i cittadini poveri? Prendiamo la Svezia, che ha un generoso welfare. Lì i cittadini ricchi pagano le tasse che poi servono allo stato per aiutare i poveri. Essendo i cittadini di Stoccolma ricchi e magari quelli che abitano negli igloo del circolo polare poveri è possibile che il residuo fiscale di Stoccolma sia attivo e quello del circolo polare passivo. O no? Quindi se elimino il residuo fiscale sto semplicemente dicendo agli abitanti del circolo polare di mangiare bacche e radici o emigrare a Stoccolma o altrove.

 

Tra l'altro avevo letto di recente i livelli di pil pro capite del Lazio: 30mila 800n euro contro i 32mila dei lombardi, come farà il Lazio a ricevere tutti questi soldi se è così ricco mi sembra un mistero, che sia l'unica regione d'Italia, nonostante er batman, ad avere una spesa pubblica talmente efficace da arricchire la popolazione che non produce nulla oppure la "correzione" è una cazzata?

L'articolo che cercavi probabilmente e' Conti Pubblici Territoriali (http://noisefromamerika.org/articolo/conti-pubblici-territoriali).

Devi sapere che il fatturato delle imprese statali, a prescindere da dove siano geograficamente, viene contabilizzato come Pil di Roma (e quindi della Regione Lazio). Questo e' comprensibile per semplicita' contabile, e basta esserne a conoscenza quando si vogliono fare paragoni tra regioni ed aggiustare i numeri per il Lazio.

Mi giunge voce  che Lei sia un professore universitario a VE e che anche sia impegnato nel sociale con queste attivita':

http://indipendenzaveneta.net/chi-siamo/organigramma/

 vuole essere cosi' gentile da chiarire? Non vorrei prenderLa per un omoniomo

:-)

Bhè allora si capisce tutto: il livore dell'autore nell'altro articolo che parla di "colonizzazione", la voglia di demolire l'unica regione che è ricca senza far parte della fantomatica Padania. Siamo partiti che il blog era gestito da dei prof d'oltreoceano che stavano, presumibilmente, fuori dalle beghe politiche per finire a leggere articoli di chi va col Tanko in giro per P.zza San Marco e ha votato il Trota?

 

Direbbe Berlusconi (pur essendo lui il maestro in Italia di questo tipo di critica): gli attacchi personali li fanno i Komunisti. Vabbè ma bisogna pur sapere chi è il nostro interlocutore no? Questo invece di insultare grossolanamente come Borghezio usa il razzismo delle equazioni e asserisce che il federalismo in Italia è impossibile semplicemente per far passare la sua proposta di indipendenza del Veneto. Magari come molti legaioli pensa anche di essere d'origine germanicolongobarda!

 

Il federalismo regionale è fallito per il semplice motivo che devono essere i cittadini a controllare i politici ma chi si occupa della regione? Non è questione di parlamento, non solo almeno. Cosa fa il governo lo sappiamo perché i media se ne occupano, cosa fa il Comune lo sappiamo perché ci viviamo e perché se ne occupano i media locali. Ma cosa fa la regione? E' troppo piccola per avere la risonanza del governo nazionale ma troppo grande perché il cittadino comune si renda conto di quello che combinano la Polverini e Formigoni ed è anche troppo grande per i media locali che nella stragrande maggioranza dei casi sono a livello di comuni capoluogo o di Provincia. Il particolarismo italiano è di origine comunale ed è il comune l'ovvio destinatario delle varie asserzioni secondo cui il federalismo avvicina amministratori e amministrati. La regione li allontana quindi il decentramento migliore è probabilmente quello a livello municipale che si era concepito nella bicamerale del 1997. Il problema dell'Italia è che ce ne sono troppi piccoli, per questo sarebbe opportuno incentivare fusioni e leghe: in fondo gli antichi greci come Plutarco o Platone asserivano che la polis ideale dovesse avere almeno cinquemila abitanti. Che se non sbaglio guarda caso sarebbe la soglia di numerose proposte di accorpamento.

 

Dovrebbero cambiare anche le varie leggi elettorali perché immondizia come le preferenze che esistono tuttora per le elezioni locali dovrebbero sparire per sempre. I più grandi ladri sono i signori delle tessere e chi fa il pieno di preferenze alle elezioni. Con il proporzionale a preferenze l'importante non è convincere gli elettori ma trovarne un numero minimo per essere eletti. Ragion per cui diventa fondamentale accattivarsi il supporto di gruppi organizzati, dalla parrocchia all'anonima grassatori. E poi, una volta eletti, ovviamente bisognerà ricompensarli. E l'eletto diventerà il referente unico non del collegio elettorale (che non esiste di fatto) ma della corporazione che l'ha eletto. Un tipaccio come Fiorito potrebbe benissimo essere rieletto se si presentasse perché gli basterebbero le preferenze minime della sua clientela. E' lo stesso motivo per cui in Lombardia è stato eletto un cialtrone come il Trota: un po' di clienti, magari gli allevatori evasori che non vogliono pagare le multe, lo hanno votato su imput di qualche caporione di corrente bossiana. Ci fosse stato un collegio uninominale non ce l'avrebbe mai fatta. Quindi un federalismo efficiente non dipende solo dai poteri devoluti o dal livello di devoluzione ma soprattutto dal modo in cui è selezionata e controllata la classe dirigente. Il municipio ed il maggioritario nonché leggi forti contro la concentrazione dei media e la corruzione sono sullo stesso livello per un aumento dell'efficienza. Non certo l'indipendenza del Veneto, che vorrei sapere dove sarebbe ora senza Italia, mica devo ricordare come è finita la Repubblica Veneta spero, con Napoleone che passeggia fino a Venezia senza incontrare resistenza perché una resistenza era impossibile. Ci fosse stata l'Italia sarebbe stato ben più difficile per eserciti stranieri combattersi in casa nostra senza chiederci il permesso, o no? E nel mondo di adesso cosa può un microstato di fronte ai colossi come la Cina o gli USA? Non è certo un caso se abbiamo creato l'UE. Gli stessi stati nazionali europei rischiano di finire nell'irrilevanza di fronte ai colossi di livello continentale che stanno sorgendo nel resto del mondo: Cina, USA, India, Russia, Brasile da soli sono più grandi di tutta l'Unione Europea ed in rapida crescita.

Se non si definisce il federalismo tutte le idee e le soluzioni sono:
a) difficili

b) impossibili

c) irrazionali.

 

Difficili. Difficili se io dico al cittadino calabrese: da domani la sanità te la paghi da solo, in particolare i medici avranno lo stesso salario da nord a sud, i servizi lo stesso costo unitario, ma tu produci poco quindi ti costeranno il doppio (lo stesso esempio può valere per la scuola).

Impossibili. Impossibile dire quanto e dove producono le aziende pubbliche, e financo quelle private, quindi difficile stimare il PIL, decidendo che il Lazio va "Depurato" senza riassegnare quelle quote di PIL, impossibile quindi stimare correttamente i "surplus fiscali", tanto che i CPT  (conti pubblici territoriali) stanno per essere abbandonati nella forma conosciuta nel 2007, quelli del 2010  sono incompleti (tanto che non li hai utilizzatai, e il 2007 è un'era geologica fa).

Irrazionali. E' irrazionale pensare che il residuo fiscale di una regione, se trattenuto per qualsivoglia motivo all'interno della Regione, poi si tramuti in una ricaduta ottimale perr i cittadini. La California ha un PIL elevatissimo, eppure è  sull'orlo della bancarotta.

Se vuoi uno Stato "Federale" giocoforza dovrai comunque garantire degli standards su materie comuni (sanità e istruzione, ad esempio), e poichè le Regioni generano surplus/deficit  in base al PIL e ai costi sostenuti per i servizi stessi avrai Regioni strutturalmente in avanzo e altre in deficit, come oggi. Diverso se vuoi una miriade di Stati autonomi fra loro,ma "federati" per scopi limitati, come, ad esempio, la difesa.

 

Il succo è tutto qua: stiamo parlando di "Federalismo" su basi di autonomie limitate, o di Federalismo basato su stati autonomi ?

Prima bisognerebbe proprio definire cos'è il "vero" federalismo perché ho l'impressione, leggendo alcuni commenti, che ognuno abbia aspettative diverse da quello che viene solamente accennato nel programma di FiD.

Credo però che il punto del mio articolo rimanga valido perché se è quello che intendo io (per esempio dire ai siciliani che la loro regione non avrà 10-20 miliardi in più all'anno perché uno sproposito anche rispetto ad altre regioni meridionali), non vedo matematicamente possibile come possa esserci una maggioranza parlamentare per approvarlo. Se è invece una cosa soft, allora bisogna prima vedere quanto graduale è la transizione, e se è elettoralmente accettabile in altre regioni che sono già state illuse dalla parola "federalismo".

secondo me è questa:

 

Pensiamo ad una città-stato dove il bene pubblico, g, è un ospedale che porta un beneficio standard a tutti i cittadini (e quindi non è indicizzato con i), e per finanziarlo ogni cittadino paga una tassa in percentuale fissa, t, sul proprio reddito, yi.

 

non mi pare affatto dimostrato che una parità di risorse "disponibili",  come si verifica nelle politiche di perequazione dello Stato italiano, dia luogo allo stesso beneficio standard per tutti i cittadini. Le condizioni della sanità italiana sono una prova del contrario.

Sono d'accordo che chi è assistito è poco incentivato a rinunciare ai benefici e sono d'accordo che il punto 10 è ingenuo.

Ma penso che ci sia spazio per fare una proposta più forte per ottenere anche il consenso degli assistiti.

 

 

Ma penso che ci sia spazio per fare una proposta più forte per ottenere anche il consenso degli assistiti.

 

Purtroppo ritengo non esista questa possibilita'.  Il consenso al potere centrale in Italia si basa proprio sul consenso degli assistiti che supera l'opposizione dei tartassati, lo notava Turati negli anni '80 del 1800 ed e rimasto una costante dell'Italia sia sotto destra e sinistra storica, sia sotto il fascismo, sia sotto DC, DC+PSI, DC+PSI+PCI, fino ad oggi.  Il flusso di risorse centrali ha "drogato" le regioni sottosviluppate economicamente che hanno generato una Casta politica bene organizzata e trasversale politicamente che si e' specializzata ormai da 130 anni nell'acquisto del consenso con risorse pubbliche. Contemporaneamente la parte privata dell'economia e della stessa societa' civile delle regioni sottosviluppate e' stata affossata  dalle politiche statali di trasferimento di risorse e salari uniformati ed e' oggi e rimarra' nel prevedibile futuro ridotta ai minimi termini.

Anche la barra del mio residuo fiscale ha un'etichetta con un meno davanti, ed è ben più lunga di quella del Lombardo medio. Se poi aggiungo mia moglie, suppongo che a quell'ipotetico Veneto medio che pare venire congetturato dall'articolo a cui sto rispondendo, dovrebbe scappare un gran bel sospiro di sollievo, nel realizzare di non essere al posto mio. Ma è davvero così fortunato? E sono io così sfortunato a vivere in regioni destinate per disegno umano e divino a generare residui fiscali ad libitum?

Eppure io sono abbastanza contento di essere al posto mio. Sono contento che con quel residuo fiscale ci si finanzi la decontribuzione e la defiscalizzazione totale dei redditi fino a 800 Euro al mese, e che quindi venga azzerato il cuneo fiscale e contributivo per milioni di persone, almeno fino a quel livello retributivo. Sono contento che con quel residuo fiscale ci si finanzi ammortizzatori fiscali equi ed accessibili a tutti i miei concittadini. Sono meno contento che non gli si chieda di più in cambio, ma riconosco che si sono fatti  progressi in merito negli ultimi anni. Bisogna fare di più, ma è un altro discorso. Sono contento che con quel residuo fiscale ci si finanzi la sanità pubblica, che tutti abbiano accesso ad un dentista a prezzi calmierati, e che tutti coloro che si trovino purtroppo in particolari condizioni di salute, siano esentati dal dovere qualsiasi rimborso per le loro cure mediche o dentali. Non ne faccio un discorso di Bismarck vs Beveridge, sarei contento anche sotto Bismarck, se parte del mio residuo fiscale venisse usato per garantire la copertura assicurativa a chi non potrebbe altrimenti garantirsela. Sono contento che con quel residuo fiscale ci si finanzi una stanza per ogni bambino del paese che ne abbia bisogno. Sono contento che con quel residuo fiscale ci si finanzi la scuola pubblica, l'università, le strade, i treni, i porti, nuove infrastrutture, la connessione internet, e così via. Sarò un tipo strano, non lo so, ma sono contento di tutte queste cose, e altre, soprattutto perché sono disponibili per tutti, da nord a sud del paese, da est a ovest, da Land's End a John o' Groats, ed oltre, allo stesso identico modo. Si, ci sono anche qui quelli che cercano di dividere et imperare, ma fortunatamente ancora non hanno combinato troppi danni. Ma non divaghiamo.

E per quale motivo sarei contento di tutte le cose di cui sono contento? Perché so, intimamente, con assoluta certezza, che la consistenza del mio residuo fiscale, dipende anche, se non soprattutto, dalle politiche che ho elencato, e da altre simili, in spirito se non nello specifico.

Sono contento che tu sia contento perché con questa tua testimonianza rafforzi inavvertitamente il punto del mio articolo. Mi spiego.

Ti definisci come una persona relativamente ricca (che da più di quanto riceve) che vive in una regione relativamente povera (che nel totale riceve più di quanto da). In questo momento tu giustamente sei contento che le tue tasse vadano a pagare servizi pubblici anche per i tuoi cittadini perché il benessere di chi ti sta attorno è indirettamente anche benessere tuo.

Quello che forse ignori è che a pagare i beni pubblici per i tuoi concittadini regionali (sanità, pensioni, ecc...) non sono solo le tue tasse, ma anche le tasse di persone relativamente povere che hanno la sfiga di vivere in regioni relativamente ricche.

Quindi è comprensibile se tu, persona ricca di una regione povera, difendi un sistema che permette di spalmare il costo dei beni pubblici per i tuoi concittadini regionali ad un numero più elevato possibile di persone (perché riduce quanto ti toccherebbe pagare a te).

Ora, se passasse un ipotetico "vero" federalismo proposto dal FiD, dove ogni regione non può essere cronicamente mantenuta da altre e dove le amministrazioni regionali avranno l'autonomia di decidere una politica fiscale per far fronte alle proprie esigenze, tu ti troverai molto peggio. 

Perché? Perché a far fronte alle effettive esigenze di servizi pubblici per la tua regione ti troverai senza il supporto dei poveri veneti (tu dici veneto medio, io dico "povero" perché in altri paesi lo stipendio medio di 1100 euro è sotto la soglia di povertà).

Quindi ti rigrazio per questa testimonianza perché mi ha dato l'opportunità di approfondire un punto che ho tralasciato dall'articolo per non appesantirlo. Nelle regioni povere, non solo ci sarà una resistenza ad una riforma federale da chi al netto al momento riceve di più di quanto da, ma anche da chi in quelle regioni al momento da più di quanto riceve, perché dopo la riforma rischia di essere alla mercé di una autonomia regionale che richiederà da chi può ancora di più.

... anche in un sistema federale esiste una fiscalità federale che essendo uguale ovunque genera i "residui fiscali" di cui parliamo. Forse non così tanti (e troppi) come in Italia, che servono anche a rendere felici non solo te ma anche i vari Fioriti, Penati e compagnia cantante (dando per scontata la presunzi0ne di innocenza, sia chiaro, faccio cognomi solo per capirci) ma nemmeno zero. Diciamo una giusta via di mezzo. Se per ipotesi la fiscalità federale fosse 1/3 del totale mentre quella locale (subnazionale e comunale) fosse 2/3, anche la fiscalità locale genererebbe residui fiscali locali (le disparità come abbiamo detto proseguono anche a livello regionale e provinciale) ma sarebbero anche piu' calibrate sul giusto livello della produttività e del costo della vita, che sappiamo variare di luogo in luogo. O ti sembra giusto che un insegnante prenda lo stesso stipendio ad Enna come a Varese o Bolzano, stante il grande divario nel livello dei prezzi e anche nella produttività, vista l'enorme dispersione scolastica in certe zone ed i vari dati PISA ed INVALSI di cui tanto abbiamo parlato? Puo' essere giusto (e lo ritengo) un'unica pensione (quanto a regole e calcolo) ma per esempio non reputo giusto un unico salario pubblico, un unico minimo vitale o assistenza. L'unico modo per avere insieme un livello comune a tutti ed anche livelli diversi localmente, legati tutti alla responsabilità di una raccolta fiscale autonoma  per ogni livello, è un sistema federale.

Due obiezioni al tuo encomio del residuo fiscale negativo.

La prima e' che il problema alla base dello sfascio italiano non sta tanto nei residui fiscali, e nella loro entita', ma nell'assetto centralista stupido e "vizioso" dello Stato italiano, che porta ad utilizzare questi residui fiscali principalmente 1) per l'acquisto di consenso parassitario, 2) per una serie di misure (come salari uguali dei dipendenti pubblici in tutta la nazione) che affossano l'economia privata delle regioni sottosviluppate. In UK c'e' la London allowance per i dipendenti pubblici nella costosa capitale, per esempio, in Italia non c'e' che io sappia nessun aggiustamento. Negli USA poi i salari pubblici sono aggiustati area per area sui corrispondenti salari privati, neutralizzando quindi l'effetto vizioso dei residui fiscali.

Seconda obiezione: e' fuorviante citare nel contesto italiano l'uso che si fa dei residui fiscali in uno Stato civile e piuttosto ben amministrato come il Regno Unito. In uno Stato ci saranno sempre residui fiscali territoriali, questi esistono anche negli Stati ricchi e bene amministrati come Svizzera, Svezia, Olanda, Germania e cosi' via. Ma ripeto il problema e' l'uso che si fa dei residui fiscali. In Italia i residui fiscali finanziano un numero maggiore di dipendenti pubblici rispetto alla media nelle regioni sottosviluppate, una maggiore evasione fiscale nelle stesse regioni, salari reali maggiori dei dipendenti pubblici sempre nelle stesse regioni. Finanziano perfino benefici di falsa disoccupazione per falsi braccianti agricoli, false pensioni di invalidita', costi esorbitanti per compensi e consulenze della politica locale. Tutto questo a me non sta bene e secondo il mio giudizio e' per importanza almeno il secondo motivo principale dello sfascio italiano (il primo e' il malfunzionamento della giustizia, specie civile).

Un federalismo serio, in cui ogni ente federato fa fronte alle sue spese, e dove ci siano finanziamenti allo sviluppo dalle regioni ricche a quelle povere piu' o meno come nella UE, potrebbe arginare questi esempi di malgoverno italiano.

In teoria anche un sistema centralista "illuminato" potrebbe ottenere gli stessi risultati, ma la storia insegna che per 150 anni non e' accaduto, anzi sempre il potere centrale italiano ha promosso lo sfascio economico del Sud e di tutta l'Italia prendendo risorse nel Centro-nord per comperare consenso a Sud.

Ora nel governo Monti c'e' un ministro del Mezzogiorno, F.Barca, che conosce piuttosto bene come stanno le cose, che afferma di voler correggere l'andazzo, che secondo me sinceramente cerca anche di farlo, ma se si analizzano i provvedimenti economici complessivi del governo Monti nel contesto centralista italiano, essi consistono unicamente in un'ulteriore spremitura dei contribuenti onesti del Centro-Nord Italia, con tanto di show dei finanzieri a Milano (dove c'e' l'evaisone fiscale percentuale piu' bassa d'Italia), mentre a Nola ci sono i posteggiatori abusivi in nero al 100% nello stesso parcheggio dell'Agenzia delle Entrate. Pochi giorni fa Striscia la Notizia ha documentato che tali posteggiaotri abusivi sono ampiamente tollerati sia dai dipendenti e dirigenti dell'Agenzia delle Entrate, dipendenti che ovviamente sono esentati dal pagamento del parcheggio, sia dalla Polizia. Quelli che pagano sono i cittadini di Nola che devono andare all'Agenzia delle Entrate, ma non solo. "Grazie" all'evasione fiscale dei posteggiatori abusivi di Nola il governo Monti (e prima Visco e Tremonti) approfittano per adottare misure incivili e repressive in materia fiscale per spremere piu' soldi nelle aree dove gia' si paga e l'evasione fiscale e' su livelli europei.

Ormai il livello di tassazione sul PIL emerso e' in Italia di gran lunga il piu' alto del mondo, grazie alla tolleranza, la negligenza, la collusione del governo centrale italiano e di tutte le sue diramazioni per l'evasione fiscale nel Sud Italia, tolleranza, negligenza e collusione che sono implicitamente incentivate dall'assetto centralista italiano, per il quale si guadagna piu' consenso in cambio di minori costi come tasse evase nel Sud piuttosto che nel Nord. Se la competenza di tassazione fosse locale nel Sud, e se non ci fossero altre risorse a cassa continua provenienti da altrove, sono convinto che nel Sud riuscirebbero a far pagare le tasse come nel Nord. Invece, grazie ai residui fiscali che tu lodi, le aree sottosviluppate dello Stato, corrispondenti al 35-40% della popolaizone, affossano tutto il Paese con evasione fiscale difusa e illegalita' diffusa finalizzata ad intascare soldi pubblici provenienti da altrove, con la collusione e collaborazione del potere locale. Senza contare poi l'opposizione politica a riforme serie dirette a risolvere la radice dei problemi.

La tesi sostenuta dell'articolo e' che non si puo' attuare un "vero" federalismo con gli attuali strumenti di partecipazione democratica. La conclusione che logicamente si puo' trarre e' che per attuare un "vero" federalismo non restano che due strade: lo sterminio/esilio/annullamento del diritto di voto di campani, siciliani e compagnia, in modo che una riforma costituzionale possa essere votata da deputati eletti dagli altri cittadini, o altrimenti la via unilaterale, con il Veneto/Lombardia/Toscana che scelgono unilateralmente l'azzeramento del deficit fiscale o direttametne la secessione. Ora, qui non si scandalizza nessuno, l'autore sarebbe potuto andare fino in fondo.

 

I deficit fiscali regionali esistono in tutti i Paesi e non sono di per sè un problema, in generale rappresentano la naturale conseguenza di ricchezza disomogenea e necessita' di garantire lo stesso livello di servizi in tutte le regioni. Il problema esiste quando una pressione fiscale eccessiva non e' ripagata da un adeguato livello di servizi pubblici, e quando la spesa pubblica locale serve a mantenere un sistema clientelare. Insomma, come in Italia.

 

Una proposta per rdurre i deficit fiscali che troverebbe d'accordo la maggioranza dei cittadini delle regioni poco virtuose potrebbe essere questa: un piano di rientro graduale (scala di tempo una legislatura) del deficit in cambio di investimenti mirati statali, per esempio in infrastrutture (lo so, le infrastrutture mancano anche nelle regioni virtuose).

Se tutto va bene alla fine del programma le regioni spendaccione avranno ridotto la loro dipendenza dallo Stato e si ritroveranno con migliori infrastrutture. A questo punto si puo' usare il surplus generato dalle regioni virtuose per varie cose (ridurre la pressione fiscale generale, investimenti nelle regioni che non ne hanno beneficiato, ridurre il debito pubblico...).

 

In attesa di nuovi e spero interessanti articoli, che tardano ad arrivare...

http://brenta.tv/video/fermare_il_declino_padova_primo_incontro_regionale_10_di_11.htm

audio non sempre perfetto e non ho colto tutto ma al 99% di quanto ascoltato concordo.

Una sola cosa non mi ha convinto (anzi non sono affatto d'accordo).
Quando ha parlato della dimensioni critiche minime e della valle d'aosta.

Io ritengo che una volta che ogni territorio paga di tasca sua i servizi di sua competenza, che costino tanto o poco sono fatti loro. Ci sono cantoni in Svizzera che hanno 15'000 o 40'000 abitanti e sono i meglio gestiti e con la migliore qualità della vita e dei servizi. Cari o meno che siano, se li pagano loro.  Sette cantoni sono sotto i 100'000 abitanti e sono stati a tutti gli effetti, con una costituzione, potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Funzionano.

 

 

Popolazione residente permanente per Cantone
Alla fine dell’anno, in migliaia
 
20072008200920102011
Svizzera7593.57701.97785.87870.17954.7
Zurigo1307.61332.71351.31373.11392.4
Berna963969.3974.2979.8985
Vaud672688.2701.5713.3725.9
Argovia581.6591.6600611.5618.3
San Gallo465.9471.2474.7478.9483.2
Ginevra438.2446.1453.3457.7460.5
Lucerna363.5368.7373377.6382
Ticino328.6332.7335.7333.8336.9
Vallese298.6303.2307.4312.7317
Friburgo263.2268.5273.2278.5284.7
Basilea Campagna269.1271.2272.8274.4275.4
Soletta250.2251.8252.7255.3257
Turgovia238.3241.8244.8248.4252
Grigioni188.8190.5191.9192.6193.4
Basilea Città185.2186.7187.9185186.3
Neuchâtel169.8170.9171.6172.1173.2
Svitto141143.7144.7146.7147.9
Zugo109.1110.4110.9113.1115.1
Sciaffusa74.575.375.776.477.1
Giura69.669.870.17070.5
Appenzello Esterno52.753.1535353.3
Nidvaldo40.340.740.84141.3
Glarona38.238.438.538.639.2
Obvaldo3434.43535.635.9
Uri3535.235.335.435.4
Appenzello Interno15.515.515.715.715.7
Media292.1296.2299.5302.7305.9

 

Inizialmente non condividevo la tesi dell'estensore dell'articolo. Altri hanno ben argomentato sul fatto che considerava gli ostacoli eccessivi. Magari avrei pensato di aggiungere il fatto che di fronte alla spinta di tante regioni del nord verso il federalismo le resistenze sarebbero state sicuramente superate. Eventualmente aggiungendo agli esempi fatti quello della secessione del canton Giura dal canton Berna.

Però dopo aver ascoltato Boldrin devo dire che anch'io sono passato a considerare valida la conclusione di Lodovico Pizzati.

Pensare che le entità federali vengano costituite con aggregazioni macroregionali senza tenere conto di storia, cultura e ambizioni delle popolazioni, con una operazione calata dall'alto, e fondamentalmente centralista, mi pare un errore clamoroso e potenzialmente fatale.

Seguo il primo esempio fatto nel discorso di Boldrin, il triveneto. Sarebbe facile l'osservazione che il triveneto è esistito solo durante il ventennio, e che fosse anche solo per questo è un'idea da prendere con le pinze.

Ma poi Boldrin accenna rapidamente alla questione Altoatesina, come fosse un dettaglio da affrontare senza grande importanza.

Prima di tutti gli altoatesini (o sudtorolesi, come preferite) non accetterebbero mai di far parte di un quadro istituzionale differente da quello sancito dall'accordo di Parigi, salvo che sia di totale autonomia dell'Alto Adige, magari con l'annessione dei comuni ladini dell'ampezzano che hanno già votato con referendum la volontà di unirsi alla Provincia Autonoma di Bolzano. E se questa cosa venisse anche solo accennata si arriverebbe comunque alla richiesta dell'intervento della potenza tutrice.

Analogamente i Trentini, pur non potendosi appellare alla potenza tutrice, difficilmente accetterebbero una revisione della regione Trentino-Alto Adige, che indubbiamente ha protetto e garantito poteri e guarentigie ai Trentini analoghe a quelle Altoatesine.

E quand'anche, sicuramente non verrebbe accettata una situazione in cui la provincia di Trento avesse meno autonomia di quella garantita ora.

Siamo solo un milione in regione, ma direi al 90% contrari a ipotesi di triveneto.

Nemmeno ai friulani comunque penso piacerebbe molto l'ipotesi triveneto.

Lo stesso vale per altre aggregazioni ipotizzate, temo solo sulla mappa, da Boldrin.

Certamente ai valdostani non piacerebbe essere aggregati al piemonte, ma nemmeno ai liguri.

E se liguri e piemontesi potrebbero forse essere convinti che sia meglio una macroregione realmente federale che l'attuale stato centralista, ma non ne sono convinto. E potrei continuare.

In pratica, rispetto alle ipotesi di Pizzati, si ridurrebbe ulteriormente la platea di chi voterebbe a favore di una modifica costituzionale con questa impostazione. Un autogol.

Ritengo che la miglior ipotesi rimanga quello di un federalismo basato sulle regioni. Le ipotesi di Francesco Forti, di basarlo sulle Provincie (antecedenti alla moltiplicazione degli ultimi anni suppongo) potrebbe anche funzionare, dal punto di vista "culturale". Però direi che fermarsi alle regioni sarebbe un utile compromesso tra le aspirazioni di Francesco e quelle dei macroregionalisti. 

 

Ritengo che la miglior ipotesi rimanga quello di un federalismo basato sulle regioni. Le ipotesi di Francesco Forti, di basarlo sulle Provincie (antecedenti alla moltiplicazione degli ultimi anni suppongo) potrebbe anche funzionare, dal punto di vista "culturale". Però direi che fermarsi alle regioni sarebbe un utile compromesso tra le aspirazioni di Francesco e quelle dei macroregionalisti.

 

 

Non è un compromesso, non tenete conto, come fanno i politici negli enti regionali, delle grandi differenze tra i territori all'interno di molte regioni, non siamo nella pampa argentina.

 

Così stai uccidendo la concorrenza tra territori limitrofi dove è più facili spostarsi per lavorare, e SOPRATTUTTO stai accentrando i soldi da gestire che piace tanto alle nostre elites che vanno a braccetto con i politici.

La nostra elite sarda sa bene che chi vince nell'area metropolitana di cagliari vince le elezioni regionali, male che vada  fanno un accordo con l'area di sassari e si pappano quasi tutti i soldi che gestisce la regione Sardegna, ai territori danno l'elemosina facendo finta  di farli sviluppare, chiaramente  l'idiota complicità dello stato italiano che non sa come risparmiare continua a togliere strutture sul territorio come schegge impazzite (esempio stupido lasciano il tribunale a Tempio Pausania e LO TOLGONO A OLBIA, perchè tutti e due non si possono avere e quindi i soldi che riparmia lo stato lo pagano i cittadini con benzina a due euro)

Pensare che le entità federali vengano costituite con aggregazioni macroregionali senza tenere conto di storia, cultura e ambizioni delle popolazioni, con una operazione calata dall'alto, e fondamentalmente centralista, mi pare un errore clamoroso e potenzialmente fatale.

Pare anche a me ma chi ha stabilito/sentenziato che il percorso debba essere questo?

Il problema della "territorialità", perché di questo si tratta, è il primo da affrontare e deve partire dal basso, non da un "pianificatore intelligente" altolocato, in perfetta contraddizione con chi dallo stesso pulpito critica (a ragione) le pianificazioni pubbliche in economia.

Stando a quanto ho visto fino ad oggi, il federalismo mi sembra irrealizzabile qui in Italia.

Abbiamo una classe politica troppo cialtrona e corrotta e secondo me non siamo culturalmente predisposti a questa forma di governo.

Quello che impera è la logica dei campanili e delle famiglie/tribù, cosa ben diversa dall'aspirazone al federalismo.

Da quando sono state create le Regioni non hanno fatto che condurci ai risultati che abbiamo sotto gli occhi, la riforma del Titolo V della Costituzione è stata il pateracchio che sappiamo; per quanto riguarda i la Lega, beh, meglio non parlarne.

Secondo me quello che ci serve è un rinnovamento civile e un sano spirito unitario, non inteso come centralismo, ma come aspirazione a salvare la baracca comune.

 

alla fine di tutta questa analisi l'autore ha (intenzionalmente ?) omesso di calcolare il residuo fiscale pro capite mettendo assieme regioni di 10 milioni di abitanti con regioni da 1 milione e mezzo, ma che senso ha ?