Gabbie salariali (II). Senso e nonsenso nelle dichiarazioni dei politici.

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Dopo la fiammata agostana il dibattito sulla differenziazione territoriale del salario si è alquanto smorzato. Prima di sparire dalle prime pagine però il tema ci ha regalato una serie di squarci sul modo in cui ragionano i nostri politici e sindacalisti. In questo post passo in rassegna varie di queste dichiarazioni, esaminando il loro livello di coerenza logico e di rispondenza ai fatti.

Ho cercato di spiegare in un post precedente quali sono i principali termini della questione ''differenziazione territoriale del salario''. Quel post era stato stimolato dallo spettacolo abbastanza desolante che veniva offerto da politici e sindacalisti, che sembravano ignorare le lezioni più basilari che la teoria economica offre al riguardo. Visto che non è giusto fare di ogni erba un fascio, vorrei ora passare in rassegna più in dettaglio le dichiarazioni che sono spuntate un po' da tutte le parti. Alcune, come vedremo, sono totalmente insensate. Altre invece presentano qualche spunto di interesse.

Comincio dalla dichiarazione più illogica e incoerente, fino al punto della comicità, che è quella di Raffaele Lombardo. Il cacique siciliano si è immediatamente dichiarato contrario alle ''gabbie salariali'', e in una intervista al Corriere ha dichiarato quanto segue:

 

Nel Meridione abbiamo livelli di occupazione abissalmente distanti ri­spetto al resto d’Italia. Se veramente differenziamo gli stipendi l’unico ef­fetto potrebbe essere quello di far rad­doppiare la disoccupazione. Se vo­gliamo lo spopolamento del Sud è una buona ricetta.

 

Queste sono frasi che fanno pensare. Per l'esattezza, fanno pensare che Lombardo è un ignorante che parla a vanvera. Lombardo è un astuto manipolatore del sistema politico, un brillante stratega che ha saputo ritagliarsi una cospicua fetta di potere personale. Però questa dichiarazione mostra che è anche uno che non è in grado di parlare di politica economica in modo coerente e minimamente informato. L'affermazione che la differenziazione dei salari, che tutti danno per scontato porterebbe a una riduzione dei salari al sud, farebbe ''raddoppiare la disoccupazione'' può essere definita in un solo  modo. È semplicemente una boiata pazzesca, senza alcun fondamento né teorico né empirico. Lombardo la considera invece autoevidente, per cui non si degna nemmeno di spiegare per quale miracolosa via si verificherebbe un aumento (anzi, un raddoppio; don Raffaele pure le stime quantitative fece) della disoccupazione.  Proclama con assoluta certezza che questo sarebbe l'unico effetto. Poi nella frase successiva si contraddice istantaneamente, affermando che, oltre al raddoppio della disoccupazione, si verificherebbe anche lo spopolamento del mezzogiorno, supponiamo indotto da massiccia emigrazione; gli effetti quindi sono almeno due. Questo almeno un po' di senso lo ha, è vero che una differenziazione dei salari favorirebbe lo spostamento della forza lavoro verso aree a più alto salario. Che veramente le dimensioni del fenomeno sarebbero tali da indurre ''lo spopolamento'' del mezzogiorno sembra altamente improbabile, ma il nostro non sembra essere in vena di svelare il modello quantitativo da lui usato per le previsioni. È però veramente difficle pensare che possa verificarsi al tempo stesso un aumento della disoccupazione e uno spopolamento del mezzogiorno. Dopotutto, se la gente emigra è perché trova lavoro da altra parte, e quindi esce dai ranghi della disoccupazione. La conclusione è che se Lombardo si presentasse all'esame di Economia 1 verrebbe cacciato con ignominia, con preghiera di attendere almeno un paio di appelli prima di ripresentarsi. Ai siciliani invece il signore sembra piacere. Buon per loro.

Assai più interessante l'intervento di Antonio Di Pietro. Sul suo blog, il leader di Italia dei Valori afferma quanto segue:

 

La realtà è che al Sud il costo della vita è inferiore perché c’è un sommerso enorme e perché l’evasione fiscale è un fenomeno che ci costa quanto una finanziaria e quindi, se non hai aggravi nella tua attività, puoi vendere a costi minori per poi al limite pagare il pizzo alla camorra. A questa spiegazione si aggiunge poi l’enorme tasso di disoccupazione ed una miriade di persone che vivono con un solo stipendio in famiglia o con l’aiuto dei genitori: fenomeni questi che tendono a ridurre anch’essi il costo della vita per una minor capacità di spesa dei cittadini.

In queste terre va ripristinata la legalità, conducendo una guerra serrata all’evasione fiscale. Parallelamente si dovrebbe favorire il ritorno degli investimenti stranieri, in fuga da sempre per mancanza delle dovute garanzie da parte dello Stato. E per farlo bisognerebbe creare un modello di sviluppo con una fiscalità agevolata simile a quello dell’Irlanda e di altri Paesi occidentali, da non confondere con i paradisi dell’evasione cari alle aziende del Premier.

 

Lo stile è caotico e le frasi sono affastellate alla rinfusa ma, per usare le parole di De André, se non del tutto giusto quasi niente sbagliato. Innanzitutto Di Pietro riconosce che al Sud esiste un enorme problema di evasione fiscale, cosa assai rara tra i politici italiani (da qualche parte Alberto Lusiani, che su questo sito ha martellatoincessantementesul tema sta probabilmente stappando una bottiglia di spumante). L'osservazione che il basso tasso di occupazione limita la capacità di spesa delle famiglie e quindi pone pressione verso il basso sui prezzi è anch'essa corretta (anche se non particolarmente acuta; ma comparato con Lombardo, Di Pietro è da 30 e lode). Infine, Di Pietro fornisce le sue ricette per alzare la domanda di lavoro al Sud: favorire gli investimenti mediante un ripristino dello stato di diritto e abbassare le tasse. Direi molto bene, anche se un po' generico.

Come spesso accade con le proposte economiche dell'IdV però c'è sempre qualche dubbio che resta. Di Pietro non parla direttamente del problema, ossia non si pronuncia sull'opportunità di differenziare i salari. Le ricette che fornisce per alzare la domanda di lavoro vanno, a mio avviso, nella giusta direzione. Ma intanto che si aspetta che questi provvedimenti abbiano effetto, che vogliamo fare? Teniamo i salari al meridione sopra i livelli di equilibrio o li lasciamo aggiustare? Di Pietro non lo dice.  Questo atteggiamento ambiguo, che nel contesto italiano significa sostanzialmente mantenimento della situazione attuale, è emerso anche nella discussione con Antonio Borghesi che si è sviluppata su questo sito.

La reazione dei sindacati è stata quella che ci si poteva aspettare: urla contro la discriminazione e poi testa saldamente nella sabbia sugli effetti dell'imposizione di salari fuori equilibrio.

 

"Siamo contrarissimi - ha spiegato [la segretaria confederale CGIL] Piccinini - perché il lavoro è uguale e dunque deve essere pagato ugualmente in Italia ovunque". Più o meno stessi pensieri in casa Uil dove il segretario generale Luigi Angeletti boccia senza mezzi termini l'idea: "Le gabbie salariali sono solo una stupidità, non condivisa da nessun imprenditore o dalle loro associazioni, perché il salario e le retribuzioni compensano il lavoro come si fa e non dove si fa: i politici dovrebbero essere un po' più attenti quando affrontano i problemi salariali". Punta i piedi anche il segretario generale della Cisl: se pensassimo davvero di stabilire i salari per legge "sarebbe un ritorno all'Unione Sovietica - dice Raffaele Bonanni a Il Sussidiario.net - scavalcando le parti sociali proprio dopo aver definito il nuovo impianto contrattuale che dà forza alla contrattazione locale e aziendale. Non è una proposta seria".

 

Tra i tre è forse Bonanni quello che dice una cosa non insensata. Ha ragione infatti che è pessima idea attuare la differenziazione territoriale dei salari mediante decisioni centralizzate. Le affermazioni sul lavoro che deve essere pagato ugualmente ovunque sono veramente sconcertanti. Le condizioni locali del mercato del lavoro, a quanto pare, non devono giocare alcun ruolo. La cosa più stupefacente è come i sindacalisti non sentano minimamente il dovere di rispondere all'obiezione più ovvia ed elementare: e se imponendo salari uguali a Milano e Crotone provochiamo un brutale calo dell'occupazione a Crotone? Questa eventualità è completamente assente dal radar dei sindacalisti. Il riferimento concettuale è quello del modello superfisso, la parola d'ordine quella del salario come variabile independente. Mica male come evoluzione del pensiero. Tra l'altro, giusto per curiosità, questi sindacalisti non hanno mai firmato contratti che prevedessero aumenti salariali automatici per anzianità? Come la mettiamo? Il lavoro di un trentenne e di un quarantenne sono uguali, quindi dovrebbero essere pagati uguale. Perché il quarantenne prende di più?

È stato anche interessante osservare le reazioni dei politici del PdL alla proposta. La Lega non ha chiarito dall'inizio se la proposta riguardava un intervento centralizzato o contrattazione decentrata. Nel PdL la parola d'ordine è stata ''decentralizzazione contrattuale si, gabbie vecchio stile no''. Tra i vari esempi, La Russa ha dichiarato quanto segue:

 

Gabbie salariali e dialetti? In agosto si parla di un pò di tutto. Io posso dire con sicurezza che per legge non imporremo né gabbie salariali né differenze salariali da territorio a territorio». «Diverso è - ha spiegato il titolare della Difesa - affidare alla contrattazione territoriale la crescita degli attuali salari, mi pare che questo possa anche uno stimolo. Ma parlare di gabbie salariali dipende dal sole di agosto».

 

Direi che va abbastanza bene. Un po' come nel caso dell'IdV però anche qui si evita accuratamente di prendere il toro per le corna: vogliamo che sia possibile differenziare in modo robusto i salari a seconda delle condizioni del lavoro locali o no? Notare l'ambiguità della frase ''affidare alla contrattazione territoriale la crescita degli attuali salari''. E se non ci sono le condizioni, in alcuni regioni, per la crescita dei salari che si fa? I politici del PdL hanno, per quel che ho potuto vedere, quasi tutti evitato di mettere i piedi nel piatto, dicendo in modo chiaro che il ruolo della contrattazione nazionale deve essere drasticamente ridotto e che la crescita dei salari non può essere uguale per tutti. Questo non lascia ben sperare, una volta che si arriverà al dunque.

Solo una parola rapida sul PD, perché qua veramente non c'è stata alcuna sorpresa. Come al solito Pietro Ichino ha detto cose sensate e ragionevoli. Per il resto, il partito si barcamena dicendo ''ci vuole ben altro''. Per il momento non vale la pena di perderci molto altro tempo, magari ne riparliamo se e quando il PD torna a essere rilevante.

Siamo arrivati alla Lega. Qual è esattamente la proposta della Lega? Non è facile a capirsi. Perdura sempre la confusione tra stipendi pubblici e privati e Bossi ha introdotto la questione dei salari al Nord. Dal Giornale leggiamo:

 

Il nodo gabbie salariali "Sono convinto che prima della fine dell’estate si debbano incontrare i sindacati per discutere delle gabbie salariali", ha affermato il ministro delle Riforme spiegando che è "corretto il termine salario territorializzato". "Il principio è che i lavoratori non arrivano a fine mese, soprattutto al Nord, dove la vita è più cara", ha continuato Bossi aggiungendo che l’introduzione del salario territorializzato non può avvenire solo per via legislativa: "Ci sono i sindacati, quindi si deve dare il via alla contrattazione. I sindacati devono parlare con il governo".

 

Cosa ha in mente Bossi? Dalle sue parole sembra che a) la differenziazione dei salari debba essere legata al costo della vita b) lo scopo della differenziazione sia aumentare i salari al Nord, dove ''i lavoratori non arrivano a fine mese''. È veramente un modo curioso di ragionare. Prima di tutto, come è logico attendersi, i salari nominali sono già più alti al Nord. Non sono a conoscenza di studi accurati del valore dei salari reali usando indici locali del costo della vita, ma mi stupirei molto se saltasse fuori che i salari reali sono più bassi al Nord. Le differenze di reddito pro-capite tra Nord e Sud sono assai marcate, e buona parte  del reddito affluisce al fattore lavoro. Quindi, logico aspettarsi più alti salari reali al Nord. Quindi, almeno per i lavoratori del settore privato quello che dice Bossi o non ha senso o si configura come la proposta di alzare per legge (o per accordo sindacale) i salari solo al Nord. Forse è per questo che Bossi sembra cercare l'appoggio dei sindacati. Le conseguenze di alzare i salari sopra il livello di equilibrio sarebbero quelle già viste al Sud. Chi resta occupato in modo stabile sarà più contento ma l'occupazione diminuirà. Probabile che il calcolo elettorale di Bossi sia che questo produca un aumento netto di voti.

Ma forse la Lega ha in mente principalmente il settore pubblico. Il ministro Zaia è intervenuto esplicitamente al riguardo: vuole più soldi per i dipendenti pubblici del Nord. Il chiodo che si batte continuamente è sempre quello del costo della vita. Ho spiegato nel post precedente perché il costo della vita sia una inutile distrazione nel settore privato. Un discordo simile vale anche nel settore pubblico. Un vero federalismo dovrebbe prevedere il decentramento dei contratti di lavoro a livello locale, senza bisogno di meccanismo centralizzati che tengano conto del costo della vita. Le parole di Zaia segnalano quindi che non è a un federalismo vero che la Lega pensa. Tali parole sono servite solo a rinforzare in me il timore che il federalismo  che hanno in mente i nostri politici, a cominciare da quelli della Lega, servirà solo a far aumentare la spesa pubblica.

La conclusione non può che essere la stessa del post precedente. Il panorama è sconsolante, al punto che c'è probabilmente da essere contenti che, passato agosto, il tema sia scomparso dall'agenda politica.

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Commenti

Ci sono 49 commenti

 

Innanzitutto Di Pietro riconosce che al Sud esiste un enorme problema di evasione fiscale, cosa assai rara tra i politici italiani (da qualche parte Alberto Lusiani, che su questo sito ha martellatoincessantementesul tema sta probabilmente stappando una bottiglia di spumante).

 

E io mi continuo a battere per riconoscere l'evidenza: l'evasione fiscale al Sud è l'evasione fiscale della criminalità organizzata, ed anche se a livello di PIL è calcolata l'economia criminale, ovvero il fatturato di camorra 'ndrangheta,sacra corona unita e mafia concorre al calcolo del PIL, poi non si può non tener conto del fatto che sulle loro (illecite) attività le organizzazioni criminali non pagano un euro di tasse.

Mischiando quindi le carte, economia criminale e tasse evase, senza separarle dal dato del PIL effettivamente il Sud è terra di evasori, ma io direi di delinquenti, non di evasori.

Comunque un pò mi dispiace che il tema sia caduto in disuso (la prima volta che ero contento che il solleone d'Agosto avesse portato dei benefici al cervello dei capataz leghisti...),e continuo a pensare che questa sarebbe un'ottima strada per provare a sviluppare il meridione a costo zero per lo stato.

Ma evidentemente i Pulcinella che ci governano senza soldi da dividere non saprebbero che fare.

Da Luciano Lama ad oggi nula è cambiato. Salario variabile indipendente. Da Antonio Gava ad oggi neppure. Qualche sorriso, diciamo così, lo suscita la lega. Parla di dipendenti che non arrivano a fine mese. Ma non rammenta le mirabolanti ricette anticrisi dell'ometto di Arcore? Non cambiare stile di consumo! Bisognerà proprio che ci pensi feltri con qualche agguato giornalistico munito di fogliacci che DOPO si rivelano falsi.

Servono tonnellate di Maalox

luigi zoppoli

 

Tra l'altro, giusto per curiosità, questi sindacalisti non hanno mai firmato contratti che prevedessero aumenti salariali automatici per anzianità? Come la mettiamo? Il lavoro di un trentenne e di un quarantenne sono uguali, quindi dovrebbero essere pagati uguale. Perché il quarantenne prende di più?

 

Non generalizzare too much. Il peso dell'anzianita' sul salario nel settore privato e' un po' sovrastimato. Sia in termini relativi che assoluti. Ad esempio, il ccnl dell'industria prevede al piu' 5 bienni di anzianita' (cioe' un cinquantenne prende quanto un sessantenne se entrambi hanno superato i dieci anni di anziania' a parita' di grado, o un trentenne con un quarantenne). www.fiom.cgil.it/ccnl/industria/2008/2008_ccnl_industria.pdf

Sul perche' ci sia un effetto anzianita' sul salario, esiste una abbondante letteratura sia economica che manageriale che spiega che il beneficio e' per il datore: un premio automatico legato al maggiore capitale umano dato dal tempo passato in azienda, un premio alla fedelta', e un modo per ridurre l'incentivo a trovare un lavoro da un concorrente per quelli che sono forse piu' esperti. Nel caso dei metalmeccanici entrambe le spiegazioni hanno un ruolo limitato.

 

 

 

Il peso dell'anzianita' sul salario nel settore privato e' un po' sovrastimato

 

Qui non si dice che sia così determinante, ma solo che è in contrasto con l'affermazione "uguale salario per medesimo lavoro". Sandro mette in luce, insomma, la contraddizione nelle parole dei sindacalisti che negano la possibilità di salari differenti in luoghi diversi (ma anche in specifiche situazioni aziendali e di capacità personali, evidentemente) se il lavoro è lo stesso, e nulla trovano da ridire se ciò avviene per un mero fatto anagrafico.

 

un premio automatico legato al maggiore capitale umano dato dal tempo passato in azienda, un premio alla fedelta', e un modo per ridurre l'incentivo a trovare un lavoro da un concorrente per quelli che sono forse piu' esperti

 

Il problema rimane sempre la mentalità dell'automatismo, propria di un egualitarismo del tutto slegato dalle differenze di qualità prestazionale. Un imprenditore dovrebbe essere libero di scegliere quale collaboratore merita una crescita anche economica, anziché trovarsi a dover aumentare il salario a chiunque accumuli anzianità aziendale, a prescindere dal contributo che fornisce all'azienda. Stai pur certo che nessuno vuol darsi la zappa sui piedi, lasciando fuggire i collaboratori che considera validi .....

Ma forse la Lega ha in mente principalmente il settore pubblico. Il ministro Zaia è intervenuto esplicitamente al riguardo: vuole più soldi per i dipendenti pubblici del Nord. 

Vero. Soprattutto vogliono più soldi per Renzo Bossi.

ma dove troverà il tempo? a quello che ne so io è portaborse di speroni a bruxelles.

Caro Sandro,

ritengo che tu abbia fatto un trattamento di favore a Di Pietro e all'Italia dei Valori rispetto a Lombardo: per IdV citi il blog di Di Pietro (dedicato primariamente ad esperti e simpatizzanti) mentre per RL citi una sua intervista sul Corriere della Sera, organo mediatico usato dai politici (e non solo) primariamente per fare propaganda e disinformazione.

Permettimi di trattare gli esponenti dell'Italia dei Valori con lo stesso metro usato per Lombardo, prendendo alcuni dei risultati di Google per <<"gabbie salariali" "italia dei valori">>.

 

SoleOnLine4

Secondo Leoluca Orlando, portavoce dell'Italia dei Valori, «La qualità della vita non dipende solo dal suo costo, riferito ai generi di prima necessità, ma da un'adeguata rete di servizi e infrastrutture, di cui il Sud è carente. Per questo – aggiunge -, continuiamo a ripetere un secco no alla proposta di gabbie salariali»

 

Quindi i salari nominali devono rimanere uguali perche' cosi' i salari reali sono superiori e compensano "rete di servizi e infrastrutture, di cui il Sud è carente".  Nonostante, aggiungo io, la spesa pubblica nel pro-capite Sud sia costantemente superiore a quella del Centro-Nord.  Competenza economica dimostrata da LO = zero. Nessun incentivo a chi produce di piu', nessun aggiustamento economico al fatto che l'occupazione e' minore e la disoccupazione e' maggiore al Sud, nessuna considerazione al fatto che l'offerta di posti di lavoro privati a Sud e' molto inferiore rispetto al Centro-Nord, nessun intervento sui salari per attirare investimenti privati esteri, praticamente zero nel Sud Italia: niente di niente.  Il faro guisa del portavoce IdV appare essere il modello super-fisso e l'unica funzione dello Stato e' garantire uguali livelli di qualita' della vita a tutti i cittadini, indipendentemente da quanto costi tutto cio' nelle diverse aree e dalle distorsioni e sottosviluppo che cio' causa.

 

lastampa.it

Nessuno ha mai parlato di gabbie salariali, semmai, in linea con il federalismo fiscale andrebbe stimolata la contrattazione sindacale a livello territoriale [...] il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli precisa il suo pensiero sulla parametrazione degli stipendi al costo della vita nelle diverse aree del Paese. [...]

E se la prende con la proposta di Calderoli anche l’Italia dei Valori. «Il lavoratore non è una macchina», dice il portavoce Leoluca Orlando e allora «si può discutere della questione del costo della vita ma senza dichiarazioni estemporanee e soprattutto tenendo conto del contesto sociale nel quale una ’pagà si inserisce».

 

Quindi no del portavoce dell'IdV anche a stimolare "la contrattazione sindacale a livello territoriale". Se Lombardo ha fatto affermazioni dal punto di vista economico ridicole e surreali, meritandosi un voto negativo, personalmente darei non piu' di zero al portavoce dell'IdV.

Inoltre non concordo con:

 

Come spesso accade con le proposte economiche dell'IdV però c'è sempre qualche dubbio che resta. Di Pietro non parla direttamente del problema, ossia non si pronuncia sull'opportunità di differenziare i salari.

 

Infatti sul blog di Di Pietro da cui estrai alcuni brani si legge (neretto di Antonio di Pietro):

 

Berlusconi ha deciso di affrontare il problema dell'occupazione con le ''gabbie salariali'', una soluzione ad effetto che fa esclusivamente appello al senso comune di chi, vivendo al Centro-Nord ed essendo stato almeno una volta nel Meridione, ha constatato che un piatto di lenticchie costa tre euro invece di cinque. Una soluzione demenziale ad un problema importante, quello salariale, che vede l’Italia agli ultimi posti per livelli retributivi in Europa.

Abbiamo gli stipendi più bassi del Continente e mettiamo sul tavolo la discussione di come ridurli invece che aumentarli: direi che è il modo più demenziale per risolvere il problema. Se parlassimo di gabbie salariali all’Europa ci prenderebbero per scimmie da zoo ed è forse lì, dietro una gabbia, che dovrebbero finire coloro che le hanno proposte e coloro che le hanno accettate.

Berlusconi confonde la causa e l’effetto e trova soluzioni per il secondo, dobbiamo chiederci invece: perché al Meridione il costo della vita è minore rispetto al Nord, dato e non concesso che luce, acqua, gas e le tasse statali sono quelle del resto d’Italia?

[...]

Al Sud gli stipendi sono già più bassi di quelli del Nord, perché si viene assunti in nero, questo lo sanno tutti, e non è istigando al dualismo Nord contro Sud che questa banda di incompetenti al Governo metterà a tacere il problema dell’occupazione, che in autunno li travolgerà.

 

A me personalmente pare evidente che ADP

  1. si oppone a qualunque differenziazione dei salari che considera "demenziale", pur ammettendo che al Sud il costo della vita e' inferiore
  2. tace accuratamente il fatto che gli stipendi pubblici sono uguali tra sud e nord, sottolineando invece che i salari privati sono gia' piu' bassi
  3. ammette anche che "Al Sud gli stipendi sono già più bassi di quelli del Nord, perché si viene assunti in nero" ma non avendo competenze di economia non si rende conto che proprio salari legali troppo elevati causano meno occupazione, piu' disoccupazione specie formale e maggiore lavoro nero

Mi sembra che le competenze economiche di ADP siano estremamente vicine allo zero non appena si tratta di prendere provvedimenti politici spiacevoli anche se necessari per i suoi potenziali e reali elettori meridionali. E' vero che ADP dice qualcosa di sensato economicamente, ma unicamente relativamente a provvedimenti che portano voti in cambio di maggiore spesa pubblica e minore tasse riscosse nel Sud:

  1. il basso tasso di occupazione limita la capacità di spesa delle famiglie: osservazione corretta e piacevole da ascoltare, ma nessuna proposta per curare il problema
  2. "In queste terre va ripristinata la legalità, conducendo una guerra serrata all’evasione fiscale." Una misura da poliziotto piuttosto che da economista, per quanto benefica all'economia.  Si e' mai chiesto ADP se non ci siano anche motivazioni economiche per cui da 150 anni c'e' illegalita' diffusa nel Sud Italia?
  3. "bisognerebbe creare un modello di sviluppo con una fiscalità agevolata simile a quello dell’Irlanda e di altri Paesi occidentali"

Il terzo punto e' particolarmente disonesto, anche se e' una ricetta spesso proposta da Giavazzi (e non ho perso occasioni per criticargliela).

L'Irlanda ha adottato come altri Paesi specie dell'Est Europa una benefica politica di bassissima imposizione fiscale che ha facilitato investimenti e sviluppo economico.  Tuttavia l'Irlanda (e gli altri Paesi) hanno abbassato le tasse in tutto il Paese e quindi hanno anche abbassato la spesa pubblica, anche perche' come l'Irlanda dovevano rispettare i vincoli di bilancio UE.  La proposta di "fiscalita' di vantaggio" per il Sud Italia con riferimento all'Irlanda e' quindi profondamente disonesta e non corretta perche' e' evidente che si chiede qualcosa di molto, molto diverso nel contesto italiano, e cioe' di abbassare le tasse nel Sud Italia, alzandole nel Nord e mantenendo o aumentando gli attuali livelli di spesa pubblica corrente nel Sud Italia, che poi causano a cascata sottosviluppo e disoccupazione.

Certo proporre di abbassare le tasse nel Sud Italia senza proporre contestualmente di abbassare proporzionalmente la spesa pubblica porta voti meridionali, tuttavia sarebeb una misura inutile e dannosa, oltre che vietata dalla UE, come si e' accorto bene il governo D'Alema della legislatura Prodi/1996.  Anche sul terzo punto quindi vedo un miscuglio di incompetenza economica e disonesta'.

Alberto, sul fatto di essere stato o meno troppo tenero con l'IdV lascio il giudizio ai lettori; io cerco di essere il più imparziale possibile, ma non posso garantire di riuscirci sempre. Voglio però far presente alcune cose.

Non ho cercato di fare una valutazione complessiva di tutti gli interventi dei politici sul tema, o anche solo degli interventi dei politici IdV. Il post cerca di usare le dichiarazioni dei politici come spia del loro modo di pensare. Da questo punto di vista rilevo, e lo ribadisco, che Lombardo ha detto cose che non hanno senso mentre Di Pietro ha detto cose che hanno senso. Sul fatto poi che io ritengo la posizione dell'IdV poco coraggiosa, mi sembra di essere stato chiaro. Ho detto:

 

Questo atteggiamento ambiguo, che nel contesto italiano significa sostanzialmente mantenimento della situazione attuale...

 

Detto questo, visto che viviamo tutti in questo mondo e non nell'iperuranio, fammi aggiungere che trovo perfettamente normale che un partito di opposizione mantenga ambiguità su aspetti di politica economica che rischiano di fargli perdere consensi. Perché mai dovrebbe essere l'IdV (o il PD) a dire di abbassare i salari al Sud e a specificare in dettaglio quali spese pubbliche vanno tagliate? Fare una cosa simile significherebbe pagare i costi politici della proposta senza tranrne alcun beneficio. Le cose impopolari si dicono e si fanno una volta al governo, quando ci si può appropriare anche degli effetti positivi. Questo sia chiaro, non vale solo per l'IdV o solo per l'Italia. Vale per qualunque democrazia parlamentare. E si, è irritante e sarebbe meglio avere un elettorato più attento alla qualità delle proposte politiche. Ma non è così, e quindi i politici reagiscono agli incentivi che gli elettori forniscono.

Sulla ''fiscalità di vantaggio'' io sono abbastanza d'accordo con te. L'introduzione di differenziazioni territoriale di trattamento fiscale tende a indurre distorsioni e non è nemmeno chiaro che verrebbe permessa dall'Unione Europea. La questione però è un pelino più complessa, perché si tratta di comparare differenti interventi di second best cercando di trovare miglioramenti policamente possibili. L'Istituto Bruno Leoni è quello che più di altri ha proposto lo scambio politico tra abolizione della tassazione d'impresa al meridione ed eliminazione degli aiuti alle imprese (si veda questo articolo di Piercamillo Falasca su Libertiamo per un utile riassunto della proposta). Io personalmente preferirei una eliminazione secca dei sussidi e una riduzione uniforme delle imposte sul territorio nazionale, ma io ho il lusso di fare le mie analisi dalla torre d'avorio. Chi formula proposte politiche concrete ha il dovere di chiedersi come costruire un consenso intorno ad esse.

Bossi ha incontrato CISL e UIL (dall'articolo non si capisce a quale livello) e ha dichiarato quanto segue:

 

"Gabbie salariali non e' la dicitura giusta - ha aggiunto - perche' richiama il centralismo mentre con il federalismo prevale la periferia, la gente. A noi non interessa il nome, a noi interessa che nelle buste paga ci siano piu' soldi". "Ho visto i sindacati piu' sensibili al tema - ha sottolineato Bossi - tra una settimana ci rivedremo". Bossi ha poi concluso: "Ci apprestiamo a fare un'opera di trascinamento del governo e dei sindacati".

 

Il grassetto l'ho messo io. Che i sindacati siano favorevoli a un aumento dei salari non risulta soprendente. Adesso però vorrei capire, secondo Bossi, chi deve tirare fuori i soldi per i maggiori salari e come verranno attuati gli aumenti dei salari (presumo solo al Nord). Attendo paziente.

Anche la discussione delle gabbie salariali (o cotrattazione territoriale, che suona meglio) il punto cruciale sono le differenze territoriali del costo della vita e degli stipendi reali.

I detrattori (compresi i sindacati) fanno forza sul fatto che non sarebbe giusto pagare meno lavoratori che già vivono in situazioni di diffusa povertà, soprattutto rispetto al Nord.

Ma mi chiedo, finchè non si potrà contare su dati che tengano conto dell'evasione, quando mai si potranno fare ragionamenti e scelte conseguenti sul tema?

Il sole24ore tratta l'argomento anche oggi. Le differenze territoriali dell'evasione sono le solite ben note a NfA, non altrettanto all'opinione pubblica (compresi i sindacati).

 

Questo tipo di "incroci" (consumo-reddito) non significano niente se non sono meglio specificati e servono solo al solito polverone. Ad esempio, nell'articolo è scritto:

 

In Calabria, il divario tra entrate dichiarate e uscite vola all'80% e la Lombardia, che rimane comunque la regione più virtuosa, arriva a sfiorare il 40 per cento.

 

con la non piccola dimenticanza che il Pil lombardo è n volte quello della Calabria, ergo, in valori assoluti, si evade molto di più in Lombardia che in Calabria. Questo è per l'amore per la discussione.

Non sembra "politicamente" possibile differenziare gli stipendi degli impiegati pubblici del nord e del sud. Si potrebbe però intervenire provvedendo case a buon mercato per gli impiegati pubblici delle regioni del nord. E' quello che già avviene, ad esempio, per i carabinieri che spesso godono di abitazioni di servizio. Non penso ad abitazioni di servizio per tutti, ma piuttosto a case semipopolari per gli impiegati, come erano un tempo le case dell'INCIS (istituto nazionale case impiegati dello stato). Nel caso dell'impiego pubblico c'è una enorme discrepanza tra gli organici degli uffici del meridione (troppi impiegati) e quelli del settentrione (a volte troppo pochi). Questa discrepanza peggiora il servizio sia al nord che al sud. L'ipotesi di un ritorno all'INCIS è stata avanzata per la prima volta da Sabino Cassese dopo (o durante) la sua esperienza di Ministro della Funzione Pubblica. 

Forse è vero che è l'unica cosa politicamente possibile, non lo so. Certo la cosa più logica da fare sembra attuare un vero federalismo. Io sono un dipendente pubblico, dello Stato di New York. Il mio rapporto di lavoro è regolato da un contratto base stipulato tra il mio sindacato e lo Stato di New York. Chi lavora in altri Stati ha un contratto diverso. Washington non interviene per dire che siccome in California il costo della vita è più alto allora gli stipendi dei professori devono essere più alti che in Montana, o altre facezie del genere. E se la gente del Montana decidesse che vuole università prestigiose con professori molto ben pagati? Perché non dovrebbero poter pagare di più i professori? E se la California va in crisi fiscale, decide che non vuole aumentare le tasse e invece punta alla riduzione degli stipendi pubblici, perché non dovrebbe poterlo fare?

Un vero federalismo dovrebbe applicare lo stesso discorso alle regioni italiane. Lasciamo che sia la gente a decidere a livello locale, rispondendo delle proprie azioni. Si parla tanto dello scandalo dei forestali calabri. Lo scandalo sta nel fatto che i forestali calabri vengono pagati con le tasse degli altri italiani. Se i calabresi decidessero che per loro è assolutamente importante che ci sia una guardia per ogni 10 metri quadri di bosco e finanziassero tale scelte con le loro tasse non ci sarebbe nulla di male. Non ci sarebbe alcun bisogno di calcolare indici del costo della vita locali o di dare direttive centrali su chi deve essere pagato di più o di meno, non ci sarebbero da mettere vincoli uniformi in tutta Italia sul tasso di turnover etc. etc. Federalismo significa lasciare che cento fiori sboccino e cento scuole gareggino.

È troppo presto per dare giudizi su cosa accadrà con il progetto di legge introdotto questa primavera, ma il fatto che la Lega si metta a parlare di differenziazione territoriale del salario per i dipendenti pubblici come tema separato dal federalismo a me preoccupa molto. Significa che i leghisti (e tutti gli altri, a giudicare dallo stato del dibattito)  non stanno affatto puntando al federalismo che ho in mente io. Forse hanno valutato che è politicamente impossibile e non vogliono ''rock the boat'', oppure semplicemente non capiscono come si fa un federalismo serio e puntano solo a far dare più soldi dal centro alle regioni dove hanno il maggior consenso elettorale. Vedremo.

 

 

Non sembra "politicamente" possibile differenziare gli stipendi degli impiegati pubblici del nord e del sud.

 

Non sono d'accordo.  La maggioranza assoluta dei dipendenti pubblici italiani, secondo un recente sondaggio, ritiene opportuna una differenziazione salariare secondo il costo della vita.

 

Si potrebbe però intervenire provvedendo case a buon mercato per gli impiegati pubblici delle regioni del nord.

 

Sono contrario a questa soluzione che aumenta il ruolo e il peso dello Stato: l'Italia soffre di troppo Stato, l'unica soluzione ragionevole e' meno Stato meno Stato meno Stato meno Stato...  La soluzione che proponi fa si' che lo Stato invada ancora piu' l'economia in settori che non gli competono.  Lo Stato deve limitarsi alle funzioni per cui e' un male necessario, come giustizia, ordine pubblico e fisco, dove in Italia opera con risultati miserabili e penosi ma non esistono alternative ben praticate e affidabili.  Se lo Stato italiano invade settori economici come le abitazioni per i dipendenti pubblici estendera' la sua tipica ridicola stupida e nociva azione anche in settori dove il mercato garantirebbe invece almeno un qualche decente equilibrio.

Per alleviate l'iniquita' di stipendi pubblici reali piu' bassi nelle aree con maggior costo della vita, sarebbe sufficiente che lo Stato adotti una misua universale, per tutti i redditi: deduzioni dal reddito imponibile IRPEF differenziate per territorio e proporzionate al costo della vita. Un sistema fiscale decente e non borbonico dovrebbe prendere come base imponibile i ricavi familiari sottratti dei costi per una vita dignitosa, e tali costi sono differenziati per territorio.  Negare questo ricade nella medesima stupida iniqua e disonesta strategia di pagare salari uguali in territori economicamente molto diversi.

 

La Gran Bretagna oltre ad aver avuto una devoluzione abbastanza accentuata con Blair, ha una forte tradizione di local government e di "accountability" che la rende abbastanza assimilabile ad uno Stato federale.  La Corea del Sud ha fatto una riforma federale abbastanza accentuata (vedi wikipedia, ad es. i magistrati inquirenti sono elettivi all'interno delle singole province).

 

Un paese e' federale se decentralizza la spesa o le entrate fiscali, oppure entrambe. Gli USA, poco federale nel senso delle entrate, per quasi il 70% ha entrate centralizzate. La Gran Bretagna non e' un paese federale, in quanto decentralizza la spesa ai governi locali per il 25% e le entrate fiscali per meno del 10%. Se si escludono i contributi sociali, l'Italia ha un grado di centralizzazione delle entrate tributarie meno spinto della Gran Bretagna e della media dei paesi unitary OECD, e non molto piu’ accentrato della media dei paesi federali OECD (fig. 4.1 a pagina 14 di http://www.ifs.org.uk/bns/bn74.pdf ).

Non e' chiara l'associazione tra federalismo e elezione dei magistrati inquirenti. Per quanto riguarda sia le decisioni di spesa sia quelle di entrata, tradizionalmente la Corea del Sud non viene classificata tra gli stati federali e quindi la toglierei dalla short list.

Dei 6 paesi vicini all'Italia in termini di popolazione e indice di sviluppo umano tre sono federali (Ger, Can, e Spagna) e tre sono centralizzati (Corea, Gran Bretagna e Francia). E quindi?

 

 

Molto interessante.

Sembrerebbe quasi che "ll sistema basato sulla cassa centrale dove tutto affluisce e da dove provengono tutti o quasi i soldi" cosí esecrato da Alberto Lusiani sia più o meno universale a prescindera dalla natura federale o meno del paese considerato, sia pure con differenze significative da paese a paese.

La figura a pagina 14 del rapporto IFS fa riferimento a dati OECD che mi piacerebbe consultare: dove li posso trovare?

 

 

Un paese e' federale se decentralizza la spesa o le entrate fiscali, oppure entrambe.

 

Questa e' la tua definizione, piuttosto obnubilata da una mentalita' statal-centralista mi sembra. Gli autentici Paesi federali sono quelli composti da entita' in passato sovrane che si sono federate devolvendo parte della loro sovranita' al livello federale dello Stato. Solo in tempi recenti alcuni Stati centralisti hanno dato luogo a qualcosa di simile a Stati federali decentrando in parte imposizione fiscale e spesa.  Il decentramento da' luogo a forme scadenti di federalismo perche' le autonomie hanno apparenza e sostanza di concessioni arbitrariamente revocabili.  Particolarmente scadente e' il "federalismo" italiano in cui lo Stato centrale al di la' dei nomi come IRAP tiene saldo controllo delle entrate e delle spese, e interviene anno dopo anno a salvare Regioni e Comuni insolventi, che di fatto non hanno responsabilita' autenticamente federali ma solo liberta' di sperpero fino al commissariameno o all'aiuto della cassa centrale di Roma. Questo federalismo snaturato e levantino all'Italiana puo' trarre in inganno chi compila anche onestamente e diligentemente tabelle sui gettiti fiscali degli enti locali.

Nel merito della discussione in cui sei intervenuto le caratteristiche federali di interesse sono autonomia sostanziale di entrate e spese degli enti sub-statali. Chiamare un'imposta "regionale" ma poi far deliberare dalla Corte Costituzionale che di diritto e' un'imposta statale e' un'autonomia impositiva all'italiana che non e' valida quando si discute seriamente. Un altro punto dirimente riguardo le caratteristiche federali rilevanti riguardo il contenimento della spesa pubblica e' il fatto se gli stipendi dei dipendenti pubblici sono indifferenziati e decisi dal centro oppure differenziati e decisi o aggiustati negli enti locali.

Premesso questo

 

Gli USA, poco federale nel senso delle entrate, per quasi il 70% ha entrate centralizzate. La Gran Bretagna non e' un paese federale, in quanto decentralizza la spesa ai governi locali per il 25% e le entrate fiscali per meno del 10%.

 

Gli USA sono un Paese federale per come la sovranita' e' distribuita tra Stati e livello federale.  Il 30% di autonomia impositiva sub-nazionale non e' poco: la Svizzera (Stato federale modello per me almeno) ha il 40% secondo la tabella OECD da te citata (pdf, pag.4). Personalmente avrei stimato che l'autonomia sub-statale svizzera sia 60-65%, probabilmente quella di spesa e' di quest'ordine. In quella tabella l'Italia si colloca al al 13.5% e risulta lo Stato piu' centralizzato tra quelli di dimensione e sviluppo umano comparabili, eccetto la Francia (11.5%) e UK (4.8%).  Tuttavia quella tabella riporta solo i gettiti fiscali ma una delle caratteristiche principali del federalismo e' la sovranita' sulla spesa a livello locale.

 

Se si escludono i contributi sociali, l'Italia ha un grado di centralizzazione delle entrate tributarie meno spinto della Gran Bretagna e della media dei paesi unitary OECD, e non molto piu’ accentrato della media dei paesi federali OECD (fig. 4.1 a pagina 14 di http://www.ifs.org.uk/bns/bn74.pdf ).

 

Queste affermazioni sono parecchio fuori strada e reintroducono errori che leggendo i commenti precedenti dovevano essere evitati.

Innanzitutto quale sarebbe la ragione di sottrarre i contributi sociali nel confronto? In Italia uno dei cardini dell'esplicazione del centralismo statale sono proprio i contributi sociali, usati per comperare il consenso dai falsi invalidi, falsi braccianti agricoli, e altri falsi percettori nel Sud Italia spendendo i contributi INPS degli operai del Nord Italia, nei territori dei quali l'INPS e' frequentemente in attivo.

Inoltre per favore evita di introdurre in questo confronto la media OECD, per ovvi motivi gia' spiegati nei commenti precedenti: quella lista include Stati non comparabili all'Italia (per ora) come indice di sviluppo umano (Messico, Turchia) e Stati di dimensione non comparabile con quella italiana (Islanda, Irlanda) che essendo piccoli hanno "naturalmente" un assetto centralista e quindi solo surrettiziamente fanno apparire l'Italia un Paese relativamente federalista riguardo la percentuale di gettito fiscale corrispondente agli enti sub-nazionali.

 

Non e' chiara l'associazione tra federalismo e elezione dei magistrati inquirenti. Per quanto riguarda sia le decisioni di spesa sia quelle di entrata, tradizionalmente la Corea del Sud non viene classificata tra gli stati federali e quindi la toglierei dalla short list.

 

L'associazione tra federalismo e sovranita' locale in materia di giustizia e' chiara e ovvia a chi sia un minimo informato su quali siano gli esempi pratici di federalismo e in cosa consista il federalismo.

 

Dei 6 paesi vicini all'Italia in termini di popolazione e indice di sviluppo umano tre sono federali (Ger, Can, e Spagna) e tre sono centralizzati (Corea, Gran Bretagna e Francia). E quindi?

 

Rileggi i commenti precedenti: e quindi, come affermato all'inizio di tutta la discussione, i Paesi federali tendono ad avere - a parita' di altre caratteristiche - un livello minore di spesa pubblica. Questo e' ancora piu' vero se - come hai fatto tu stesso in un successivo messaggio - prendi atto che la Corea del Sud puo' essere approssimativamente inquadrata come federale o almeno piu' federale dell'Italia per imposizione fiscale locale (nella tab.2 di http://www.oecd.org/dataoecd/60/11/42982242.pdf ha il 18.9% contro il 13.5% dell'Italia).

Riguardo la Gran Bretagna tu la hai classificata come centralista usando il solo criterio del gettito fiscale.  Ma quello e' uno solo di tanti elementi che distinguono tra assetto centralista e assetto federale. Per esempio, la Gran Bretagna ha da sempre sistemi giudiziari separati tra Scozia e Inghilterra, un indubbio elemento federale. Sono anche relativamente sicuro che in UK gli enti locali hanno molto maggiore autonomia e responsabilita' in ambito regolamentare e di spesa, rispetto all'Italia. Oltre a questo, in Gran Bretagna credo proprio non esista l'ottuso e stupido centralismo italiano sui salari dei pubblici dipendenti, che se non erro contemplano la "London allowance" per chi vive nella piu' costosa Londra e probabilmente molte altre differenziazioni. Per tutti questi motivi ritengo che in UK la spesa pubblica sia minore e soprattutto l'efficienza dello Stato siano molto superiore all'Italia anche perche' ha una struttura piu' federale.

Scusatemi tutti e non mi linciate per quanto sto per scrivere. Premetto che non sono un economista ma semplicemente uno studente/lavoratore che, per ragioni universitarie, ha utilizzato questo articolo per preparare un appello: siate dunque comprensivi!

Premetto che l'analisi del problema e buona parte dei commenti mi trova concorde (ovvero: necessità attuale di collegare retribuzione a merito, produttività, qualità e condizioni oggettive di mercato in cui opera l'impresa). Ritengo però che la "ricetta" sottintesa, che spingerebbe il lettore comune a considerare alcuni degli istituti contrattuali retributivi come superati e dannosi e che, quindi, la spinta riformatrice deve velocizzare l'archiviazione di questi strumenti verso nuove flessibilità retributive più audaci e sensibili ai fattori economici (andamento del mercato, condizione economica dell'azienda, merito, efficacia del ruolo rivestito in azienda dal lavoratore ecc.), difetta di considerazione per una variabile fondamentale.

La comunità nazionale non prescinde nella sua coesione dai fattori economici e lavorativi che la compongono e che ne condizionano l'esistenza stessa: qualcuno allora potrebbe obiettarmi che, siccome oggi questi fattori (economia, lavoro e produttività) stanno andando a rotoli, a maggior motivo la riforma di questi deve essere ancora più rapida, incisiva e "rivoluzionaria". Io penso invece che mancando obiettivamente un tessuto culturale condiviso, capace di motivare e convincere tutti noi (lavoratori e cittadini) sull'urgenza di un repentino cambio di marcia, la ricetta potrebbe trasformarsi nel famoso brocardo medico "intervento tecnicamente riuscito, paziente purtroppo morto!" Intendo sottolineare come l'assenza di un obiettivo culturalmente così "alto" e condiviso capace di convincere la comunità nazionale (almeno la sua maggioranza destinataria di tali riforme) dell'urgenza di cancellare automatismi ed egualitarismi retributivi in favore di retribuzioni più individuali e governate da fattori economici, sia premessa necessaria perchè il cambiamento abbia realisticamente successo. Come posso infatti cambiare radicalmente le dinamiche retributive degli operai di un'intera azienda se costoro non possono comprendere l'orizzonte verso cui marcia questa riforma salariale? Come posso prescindere dalla preventiva necessità che la comunità nazionale abbia compreso e interiorizzato la matrice economica e culturale che ha prodotto una riforma delle nostre retribuzioni? Oggettivamente, oggi, ancora non c'è e per capirlo è sufficiente leggere i nostri quotidiani, guardare un pò di tv e così via....

Arrivo al dunque: ritengo che i sindacalisti più riformatori sulla materia, quelli cioè che da un po' di tempo tentano di elevare il peso della contrattazione aziendale sulle dinamiche retributive (leggasi accordo del 22 gennaio scorso e successive intese interconfederali applicative), abbiano ben chiaro e presente questo problema culturale e, nella consapevolezza, frenino talvolta per evitare quella lacerazione sociale frutto dell'incomprensione collettiva che suscitano sovente questo tipo di riforme. Credo che pensare ad una accelerazione su cancellare incrementi retributivi di anzianità, differenziare trattamenti tabellari minimi in ragione dell'andamento economico dell'azienda, correlare tali incrementi esclusivamente a fattori di merito, premialità, redditività del ruolo aziendale svolto ecc. produca tensioni che, intrinsecamente, danneggerebbero l'intero tessuto sociale ed economico italiano forse più di quanto già oggi non sia. I sindacalisti, nel dichiarare talvolta concetti più conservatori, tentano probabilmente di governare una transizione sociale ineludibile per il nostro Paese.

Concludo "spezzando una lancia" a favore di coloro che, rivestendo ruoli di responsabilità, hanno frenato gli eccessi agostani e un pò velleitari di chi pensa che per riformare siano sufficienti i proclami: occorre, prima di ogni intervento, creare una cultura diffusa, compresa e condivisa dell'obiettivo che si intende perseguire; e in questo la politica è profondamente e dolosamente deficitaria.

Vi ringrazio per le interessantissime idee che mi offrite su questo sito.

Fare nella pratica una riforma seria dei contratti di lavoro dipendente in Italia e' piu' difficile che indicare in cosa deve consistere la riforma stessa.  E' certamente possibile, come e' stato fatto per le pensioni, fare una riforma che abbia effetti solo per i nuovi assunti, o pro-rata, ma certamente in qualunque modo vengano operati cambiamenti significativi questi introducono tensioni che (lo vediamo da quanto e' avvenuto per le pensioni) possono stimolare controriforme totali o parziali.   Deve pero' essere chiaro che quando un sistema diventa sufficientemente marcio e fallimentare, e' destinato ad essere abbattuto con metodi spicci e/o violenti (vedi comunismo reale nell' URSS, la prima repubblica consociativa delle tangenti), con conseguenze quasi sempre peggiori rispetto ad una riforma dura ma almeno ragionata, discussa e condivisa a maggioranza. Questa eventualita' deve essere messa in conto, piuttosto che vivere alla giornata come amano fare le classi dirigenti di piu' scadente qualita', come ad esempio quelle che hanno subito la rivoluzione francese.

Caro Nicola, grazie per il tuo intervento; e non ti preoccupare, nessuno qua ha voglia di linciarti (almeno finché Michele non vede il commento :-); scherzo, dai).

Comunque tu sollevi un tema importante, sul quale per la verità ci capita spesso di discutere anche fra noi. Il tema è: fino a che punto, nel formulare analisi e nel fare proposte, dobbiamo tener conto dell'impatto reale e della possibilità di realizzazione politica delle proposte stesse?

La posizione più o meno da noi condivisa è che della possibilità di realizzazione non ci importa una pippa. Questo non è la conseguenza di arroganza o disinteresse. Più semplicemente, ci pare una ovvia conseguenza della divisione del lavoro. Noi facciamo le cose che sappiamo fare meglio, ossia analisi che speriamo essere chiare e corrette. Da queste analisi discendono certe raccomandazioni di politica economica, molto spesso drammaticamente divergenti da quelle che fanno i principali partiti italiani. Molto spesso anche impopolari. Come si passa alla implementazione pratica di certe raccomandazioni è tema che riguarda altri, specificamente gli uomini politici e gli economisti o gli altri tecnici che lavorano a stretto contatto con loro. Noi ce ne teniamo fuori per la banale ragione che siamo totalmente inesperti e non avremmo nulla di intelligente da dire (questa perlomeno è la mia situazione).

Nel caso specifico della differenziazione salariale, capisco perfettamente che un'attuazione graduale può essere necessaria. Ho scritto quello che ho scritto non perché ritenessi politicamente fattibile, per esempio,  una eliminazione immediata del contratto di lavoro nazionale ma semplicemente perché mi pareva, e ancora mi pare, che la discussione si muovesse su binari profondamente sbagliati. Per intenderci, ignorando elementi basilari di economia, come il banale funzioonamento delle curve di domanda e offerta, che dovrebbero far parte del bagaglio minimo di chiunque decida di discutere di mercato del lavoro. Invece si faceva, e si continua a fare, un gran parlare del differente costo della vita al Nord e al Sud, tema che al più è laterale al dibattito. E un bel tomo come Lombardo può permettersi di intervenire dicendo un'assurdità logica e una palese falsità empirica, ossia che la differenziazione salariale porterebbe un aumento della disoccupazione al Sud.

Tu capisci che se questo è il contesto non ci si può permettere il lusso di stare a pontificare sull'esatto meccanismo di transizione a un regime migliore. Bisogna sparare ad alzo zero, cercando di ripristinare un minimo di serietà e di buon senso nella discussione. Senza riuscirci, ma questo è un limite nostro (o forse no, e ripristinare il buon senso è impossibile). Una volta che le affermazioni di Lombardo verranno accolte con uno sghignazzo, allora si potrà iniziare a ragionare di quale sia la strada politicamente fattibile per attuare una differenziazione salariale che aiuti il Mezzogiorno e il paese. Al momento, a me pare che la prudenza e il gradualismo servano solo ad aiutare quelli che non hanno la minima intenzione di combinare alcunché.

P.S. Spero che l'esame ti sia andato bene, se hai usato i post per prepararti a questo punto mi sento un po' responsabile. E in bocca al lupo per gli esami futuri.