Garantismi governativi: argomenti in attesa di giudizio

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Marcks

Dopo aver visto questo filmato mi sono venute in mente le considerazioni che seguono.

Innanzitutto è doverosa una precisazione sull'essere garantisti. Il garantismo, come insieme di procedure giudiziarie esattamente definite, alle quali si deve sottostare prima di procedere alla proclamazione delle colpevolezza di una persona, non sono nella disponibilità di nessuno, o almeno così dovrebbe essere. Mi spiego: io posso pure dire di essere garantista, ma da questa mia dichiarazione non discende nulla per un individuo eventualmente imputato in un processo, dal momento che il garantismo si eserciterà in forme che sono amministrate nelle aule di giustizia. Insomma, il ministro della giustizia può legittimamente proclamare il suo garantismo, ma non è dai suoi atti che discende il garantismo propriamente inteso. Tutto questo per dire che cosa? Per dire che la rimozione di un politico dai suoi incarichi, o la sospensione di un funzionario dalle sue funzioni, non costituiscono necessariamente una violazione dei principi garantisti del nostro ordinamento penale, che rimarrebbero comunque salvaguardati, visto che si è garantisti nel processo non tanto nelle attestazioni di amicizia ad un indagato, ma nella preservazione dei diritti della difesa nel processo. Quindi la rimozione di un politico dai suoi incarichi non determina una lesione dei principi del garantismo, perché le garanzie dell'imputato continuerebbero ad essere comunque efficaci.

Una volta appurato che il mantenimento delle funzioni amministrative o di governo di un politico non è in alcun modo collegato al rispetto del principio del garantismo, rimane da vedere come si possa giustificare l'idea che sebbene un politico sia indagato è comunque opportuno che egli non sia rimosso dal suo incarico.

La prima considerazione, che rende prudenti, potrebbe essere che dimettendosi da tutte le sue funzioni, un parlamentare o un politico a qualunque livello, sarebbe esposto agli inevitabili e spiacevoli infortuni che deriverebbero dall'essere privato con disonore dalle cariche che ricopre. Così come aspettiamo fiduciosi l'esito dei processi per il bidello accusato sottrarre cimose dalle aule per rivenderle su ebay, senza licenziarlo, ma destinandolo ad altri incarichi, allo stesso modo aspettiamo per il politico l'eventuale sentenza di Cassazione? Io non direi proprio: quello di parlamentare o politico non è un lavoro vero e proprio, è piuttosto un periodo che alcuni cittadini dedicano per dare il loro contributo al governo del paese (cosa c'è da ridere?). L’allontanamento da quegli incarichi non dovrebbe essere vissuto come un’umiliazione, sempre che ovviamente i politici in questione abbiano effettivamente un mestiere al quale ritornare una volta dismessi gli abiti dell’uomo di stato.

Un'altra considerazione avanzata è offerta dal fatto che non dovrebbe essere consentito che siano gli avvisi di garanzia ricevuti a determinare le fortune politiche dei governanti. A questo proposito io farei alcune distinzioni. Un avviso di garanzia non è assimilabile a un rinvio a giudizio o addirittura a un mandato di arresto: è evidente che i tre casi sono differenti per gravità. A questo proposito il punto è semplice, ed è un problema di credibilità: compagini di governo che trascurino o non tengano nella debita considerazione il fatto che su alcuni loro membri pendono mandati di arresto o condanne in primo e secondo grado non possono ragionevolmente invocare il fatto che un sottosegretario sia, per dire, solo indagato (o compaia in intercettazioni imbarazzanti) se poi anche dinnanzi a rinvii a giudizio o condanne esse si riservano comunque il ricorso a un giudizio politico ulteriore che prescinde dal merito dei pronunciamenti giudiziari effettivi.

Il punto della credibilità è secondo me quello più importante. Affermare di essere garantisti fino in fondo, nel senso di attendere che sia un pronunciamento giudiziario a chiarire le colpe eventuali di un politico, significa sospendere ogni considerazione di opportunità etica o politica, che dovrebbero comunque affiancarsi alla valutazione degli esiti di un processo. Bene, a me questa sembra esattamente una forma di giustizialismo o giacobinismo, che tanto è esecrato da alcuni parti politiche. Ma il punto non è tanto la contraddizione di coloro che avversano ogni azione giudiziaria nei loro confronti e poi dinnanzi alle critiche per le loro condotte si rimettono esattamente all’esito dei processi. No, il problema è che costoro, che chiedono di essere “garantisti per davvero”, nel frattempo squalificano o comunque giudicano privo di qualunque credibilità l’insieme delle procedure giudiziarie che dovranno stabilire se le accuse contro un politico sono fondate o meno. Mi chiedo che cosa possa significare in termini di coerenza e credibilità personale sentire un ministro della giustizia che chiede ai colleghi deputati di essere garantisti nel rigettare le richieste di dimissioni di un sottosegretario e nel frattempo sentire lo stesso ministro derubricare indagini in corso da parte della magistratura come “frutto dell’elaborazione dei PM”. Delle due l’una: o il garantismo prevede che ci si affidi pienamente all’esito delle procedure giudiziarie, lasciando da parte ogni considerazione di tipo etico o di opportunità politica sugli atti oggetto d’indagine, e dunque nel pieno rispetto di quello procedure stesse senza tentativi di delegittimazione delle inchieste in corso; oppure il garantismo invocato non è quello del processo penale, ma quello dell’impunità e basta. Se si deve essere garantisti e dunque rispettosi del processo e del suo funzionamento non si può fare strame dello stesso quando gli esiti o il suo funzionamento non sono quelli desiderati.

Ovviamente dal mio punto di vista capisco bene che non ci si può affidare, nella valutazione di una condotta, esclusivamente al garantismo o alla valutazione delle circostanze di opportunità: come si è detto mille volte se vedo un tizio che mi ruba in casa non attendo il pronunciamento della Cassazione per ritenere quel ceffo un ladro; qui piuttosto esprimo la sorpresa per un garantismo che esclude valutazioni esterne a quelle giuridiche se si avanzano considerazioni di opportunità politica, mentre dinnanzi all'esito dei processi torna a rifugiarsi nella valutazione di circostanze extra-processuali.

In definitiva, se il garantismo deve certamente essere invocato come un caposaldo della nostra civiltà giuridica esso non può essere accompagnato da un  rigetto o da una de-legittimazione delle procedure di giudizio informate a quel garantismo (tanto più da parte del ministro della giustizia), perché se così si facesse non si starebbe parlando di garantismo ma solo di impunità, nel più grave dei casi, o del tentativo di sottrarre la propria condotta pubblica a qualunque discussione appena appena critica.

Ps: un pensiero a tutti quei poveracci che ogni giorno sono stritolati dalla macchina della giustizia e che sottostanno alle regole che per loro valgono senza discussioni. Io mi chiedo sempre: ma se persone con ottimi redditi, istruzione, potere e visibilità sociale sfasciano il sistema della giustizia additando il suo funzionamento come politicizzato, frutto di abusi e deliri della magistratura, che cosa dovranno pensare delle loro sentenze passate in giudicato poveracci e tossicodipendenti? Anche questo è un bel modo di sputare in faccia alla gente semplice e mostrare tutto il classismo possibile.

 

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Commenti

Ci sono 23 commenti

Premetto che il termine garantismo, come quasi tutti gli "ismi" puzza; non è il singolo più o meno garantista, ma deve essere il sistema di regole che garantisce l'uguaglianza davanti alla legge. Ancora più grave delle dichiarazioni del singolo politico o ministro che squalifica in partenza le indagini appena avviate da una procura è il sistematico rifiuto, negli ultimi anni, della vecchia "autorizzazione a procedere" nei confronti di un parlamentare da parte delle Camere. Anche di fronte a richieste di arresto (vedi Cosentino), il Parlamento ha sempre difeso l'indagato criticando anche nel merito (cosa che lede evidentemente la divisione dei poteri) le indagini in corso. Questa distorsione pratica nell'applicazione delle regole è un ulteriore colpo all'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Il senso delle parole e quindi garantismo ed il suo contrario giusitizialismo, sono stati deturpati con il sistema del "gutta cavat lapidem". Dal 1994, data del trionfo del conflitto di interessi e della improvvisa presunta politicizzazione della magistratura, la questione della giustizia è divenuta lotta tra il garantismo "DAI processi" al giustizialismo che è un'altra cosa e non la mania del primato dei pm. E' ovvio che non la butto in politica ma propongo una mera cronaca. L'ossessivo ripetere che il garantismo è civiltà, lasciando implicito che il garantismo di moda è quello dai processi, ha indotto nell'opinione pubblica il medesimo convincimento distruggendo man mano i concetti e le prassi della sanzione sociale. Non si spiega diversamente infatti l'elezione non in parlamento dove i candidati sono nominati, ma nei comuni, ma nelle province e nei comuni, di personaggi colpiti neppure da avvisi di garanzia ma da condanne anche di secondo grado per reati patrimoniali. Un esempio tipico è quello dell'evasione fiscale, caso nel quale nascosto o meno, nella mente di molti nasce una certa ammirazione per la sua "intelligenza". Il malinteso garantismo è divenuto la panacea che significa impunità per alcuni e che gli altri, i cittadini normali si fottano nelle maglie di un ordinamento sempre più complesso, iniquo e devastato.

Concordo al 110%!

Questo Governo verrà ricordato come il "Governo del garantismo", basti pensare alle leggine studiate ad hoc e ai diversi condoni che, di fatto, porteranno gli agenti ad adottare comportamenti illeciti, in quanto consci del relativo garantismo. 

Domanda: sulla base del gutta cavat lapidem che menzionaviè giusto affermare che la maggioranza degli italiani (o almeno un terzo di essi) sia così stupida? Oppure è giusto affermare che per costoro sia giusto questo tipo di atteggiamento politico, in quanto hanno da spartirsi una piccola fetta di torta (vedasi i diversi condoni)?

Io sono scandalizzatissimo delle azioni di molti uomini politici (direi di tutti), dei problemi etici che i loro comportamenti sollevano,  dei problemi giudiziari conseguenti a molte delle loro azioni e perfino di scelte che non sembrano implicare alcun giudizio di alcun genere poiché ricadono nella sfera della loro “legittima” autonomia. Sono assolutamente convinto che il governo della legge sia un (il) caposaldo della democrazia liberale. Tuttavia, mi sembra che il parlamento dovrebbe essere in qualche misura protetto da azioni giudiziarie che potrebbero rappresentare una degenerazione della lotta politica piuttosto che una giusta applicazione della legge. Se questa contraddizione è reale, come la si risolve?

Concordo con il post.

A proposito di ciò che dice luzo48 rimanderei a questa http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/13/Aristotele_conflitto_interessi_co_0_0102138572.shtml nella quale parla della politica durante il regno d'Italia. In assenza di regole che lo imponessero il ministro delle finanze Sella vendette la sua industria tessile senza mai recuperarla, il ministro Sonnino convertì in titoli del Tesoro le sue azioni nelle miniere. 

Per quanto riguarda non il garantismo (che è tutelato dalle norme del codice penale e di procedura penale oltrechè da quelle costituzionali sulla legalità, irretroattività, materialità, offensività e personalità) ma l'opportunità politica rimando a http://www.youtube.com/watch?v=WHpxZsD-skE

In Svezia addirittura tre ministri (del governo conservatore) si sono dimessi per non aver pagato il canone.

Questo centrodestra non è che un'accozzaglia di cialtroni.

L'idea che non devono esserci dimissioni "obbligatorie" per chi è indagato è sacrosanta se si accetta il principio della totale separazione dei poteri. Secondo me sarebbe giusto anche, in principio, che se un carcerato viene eletto in Parlamento, debba uscire per esercitare il suo mandato.

Per il politico chiacchierato o corrotto la sanzione è innanzitutto elettorale: il suo partito dovrebbe perdere moltissimi voti, come pure la lista che candida il carcerato. In ogni caso, in ogni ordinamento sono previsti bilanciamenti e correttivi per il rapporto tra potere esecutivo e giudiziario.

In Italia abbiamo la maggioranza dell'elettorato che vota per coalizioni farcite di inquisiti. Ho immaginato fino all'ultimo che Cosentino fosse candidato alla presidenza della regione Campania e vincesse a mani basse, dimostrando che il problema non sono i candidati, ma l'elettorato. Chissà perché hanno fatto tutte quelle polemiche. Non si può fare un paese migliore di quello che è a suon di leggi (votate da chi, poi? Se la sx non è mai riuscita nemmeno a regolamentare il conflitto d'interesse?) e incompatibilità.

Il Parlamento rappresenta i cittadini e questo vale anche in Italia. Gli elettori non sono molto meglio dei loro rappresentanti.

 

 

Il linea di massima concordo con il bel post di Marco anche se su certe cose non ho una posizione così chiara e nitida come la sua.

1) Tu dici, giustamente, che l'innocenza fino a prova contraria è una garanzia del processo penale e che non deve valere sul piano politico. O meglio, che per prendere una decisione nell'invitare un politico alle dimissioni non dobbiamo attendere l'esito del processo penale. Questo è sicuramente verissimo, e, anzi, il processo penale può anche non esserci. Il giudizio politico può avere tutte le ragioni di questo mondo: ad esempio potrebbero non piacermi le cravatte di Fassino. Se viene fuori che una gran parte dell'elettorato non gradisce le cravatte di Fassino, e che questo è un parametro seriamente considerato dagli elettori, allora si tenderà a fare fuori Fassino. Si prenda ad esempio il caso di Scajola, lì non c'era neppure avviso di garanzia ed è stato allontanato perchè il PDL temeva un severo giudizio politico da parte degli elettori per non averlo allontanato. Scajola, fino a prova contraria, non è colpevole di nulla per l'ordinamento italiano ma questo non esclude il suo allontamento da incarichi di governo o di partito.

Per quanto riguarda Caliendo il discorso, a mio avviso, è molto complicato: c'è un incontro con personaggi spiacevoli, ma non ne si conoscono bene i contenuti e gli effetti. Specialmente sugli effetti bisognerebbe sempre avere il buon cuore di verificare perchè se chiamo Marco e gli dico "sai, ho ucciso il papa", sono ancora innocente, soprattutto se il papa è ancora vivo.Dicevo, il discorso si complica, perchè? Ovviamente ognuno di noi può ritenere colpevole chiunque, giusto? E questo si può fare prescindendo dal procedimento penale che può anche non esserci. Se ritengo che il mio vicino di casa mi abbia ucciso il cane con una polpetta avvelenata ho il diritto di pensarlo, ma di dirlo agli amici? Di dirlo in giro?

Se il giudizio politico su Caliendo è basato unicamente sulle frequentazioni spiacevoli non avrei assolutamente niente da dire (a parte il fatto che dovremmo dimissionare TUTTA LA CLASSE POLITICA, E TUTTE QUELLE CHE VERRANNO), ma se il giudizio politico su Caliendo è: è colpevole di corruzione, ecc; e questo prima che il processo penale abbia avuto un esito allora ho qualche problemino concettuale. Sembrerebbe, infatti, che in questo caso il giudizio politico coincida perfettamente con l'esito di un processo, o sbaglio? Se riteniamo che il processo attesti la verità sulla colpevolezza o innocenza di un imputato, allora, se il giudizio politico su Caliendo non è sulle frequentazioni spiacevoli ma sulla discriminante "ha o no commesso il fatto", allora sembra ci sia perfetta coincidenza.

Per me il problema non si pone perchè non considero il reato d'opinione 'diffamazione' un vero e proprio reato. La ritengo una cosa disdicevole, ma ho qualche problema nell'individuare una sorta di diritto alla 'buona reputazione'. In sostanza, se considerassi Caliendo colpevole anche prima della fine del procedimento penale non avrei problemi a chiederne le dimissioni. Ma chiedendo le dimissioni di Caliendo non è come se lo considerassimo colpevole prima della fine del processo? Non sarebbe una specie di 'diffamazione'? Ovvero, quando il giudizio politico coincide con l'accertamento della verità di un procedimento penale, non dovremmo aspettare quest'ultimo? Non farlo sarebbe come considerare l'imputato colpevole prima dell'accertamento della verità, eppure, contemporaneamente non possiamo dire che è colpevole perchè si tratterebbe di 'diffamazione'. Ripeto, per me non è un problema, ma per qualcuno potrebbe esserlo!

Una possibile soluzione al problema è: "dimissionati per il semplice fatto di essere indagato, non per una presunta colpevolezza". Questo non dovrebbe implicare un giudizio sulla colpevolezza. Tuttavia, un provvedimento di questo genere dovrebbe essere applicato qualora costituisse un principio non negoziabile o comunque rilevante per l'elettore, e non sembrerebbe sia così a giudicare dal livello di consenso che il PDL ha, pur proponendo sempre situazioni incresciose sui processi a carico dei propri membri di governo o impiegati di partito. Tra l'altro, un provvedimento del genere avrebbe conseguenze inintenzionali non da poco. Pensate a quanti avvisi di garanzia partirebbero. Immaginate quale influenza della magistratura sulle liste? Non si tratta di toghe rosse, gialle, verdi, azzurre e viola. Parliamo di uomini, i magistrati, che come i politici hanno interessi di natura anche personale e che, contrariamente ai politici, non hanno responsabilità politica. Pensate un po' che casino!

2) Marco ha ragionissima dicendo che non si può fare i garantisti e poi dire che la magistratura fa schifo. Sono d'accordo. Detto questo è anche vero che la giustizia in Italia non funziona, un po' è colpa dell'ordinamento, un po' della politica e un bel po' anche dei giudici. Trovare una soluzione non è semplice!

Tengo a precisare che su tutte queste cose non ho una posizione definitiva, e che come sempre, imparo molto discutendo!

 

C.

 

Carlo, penso che il punto sia la percezione che si ha della classe di governo: certo può capitare di essere indagati anche se si è innocenti. Tuttavia se questo accade in una maggioranza che ha fatto dei "giudici comunisti" un grido di battaglia, in cui il premier ha una storia giudiziaria significativa e pur non essendo condannato si difende dai processi anziché nei processi con leggi ad personam, e preferisce non commentare le zone d'ombra della sua carriera, allora al terzo membro del governo che si dimette per motivi di opportunità e all'n-esimo che è indagato direi che è legittimo pensare che il governo si è giocato la sua verginità e dovrebbe fare di tutto per rifarsi una reputazione pulita presso i cittadini. Altrimenti che segnali manda alla popolazione, che fare i furbi paga?

Inoltre, sostenere il complotto della magistratura può far venire il sospetto che ci sia un conflitto di interesse: uno dice così per screditare la magistratura che lo accusa perché gli conviene di più che non difendersi nel merito delle accuse. Da lì ad accusare di complotto la magistratura che mette sotto inchiesta qualunque membro del governo il passo è breve. Il sospetto però resta lo stesso.

Scajola, fino a prova contraria, non è colpevole di nulla per l'ordinamento italiano

Scajola sarebbe stato potenzialmente accusabile del reato di traffico d'influenza, se l'Italia avesse finalmente recepito la convenzione europea sulla lotta alla corruzione.