Il governo rosso-brunato. IV

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Il "Moralismo Cattolico" nel carattere nazionale e nell'ideologia rosso-brunata italiani. Ho avuto ed ho problemi nello scrivere questo articolo perché, pur pensando d'aver chiaro nella mia mente il percorso logico, mi rendo conto della mia incapacità d'articolarlo in parole semplici e senza dilungarmi troppo. Ci provo, pronto a scoprire che magari quanto scrivo è del tutto vacuo.

Nel primo articolo di questa serie ho affermato, piuttosto apoditticamente, che 

 

Questo governo nasce sotto il triplice segno del Nazionalismo ideologico ("prima gli italiani", "fermare l'invasione", "basta diktat da Bruxelles" ...), del Socialismo economico ("contro il mercato globale", "contro il neoliberismo", "più stato e più spesa" ...) e del Populismo politico ("uno vale uno", "noi siamo i difensori del popolo", "basta tecnici, decide il popolo" ....). [...] Meno evidente il "Moralismo cattolico", che è invece sia ben presente che essenziale. 

In questo e nei tre articoli seguenti vorrei provare a giustificare un po' più dettagliatamente queste affermazioni, cominciando dall'ultima. Cosa intendo con "moralismo cattolico" (mc) ed in che senso esso definisce un tratto culturale che accomuna gli elettorati dei partiti oggi al governo?

Executive summary: la parrocchia, l'oratorio, la compagnia con cui si andava in chiesa (per vedere le ragazze o i ragazzi) ed i riti (non solo, ma soprattutto, religiosi) che scandiscono i tempi dell'identità nazionale. Un'identità che si fonda - vero o falso che sia come fatto storico poco conta, perché oramai questa è la maniera in cui il 90% e più degli italiani si pensa e si vive - sul fatto di essere i depositari d'una cultura e di modi di vivere che sono l'essenza del mondo occidentale. Nel nocciolo di questa visione di noi stessi sta l'idea (abbastanza immaginaria ma fortemente creduta) di un insieme di comunità locali che, raccolte attorno alla chiesa, conservano il meglio di ciò che attorno al Mediterraneo è stato prodotto e che ha come punto d'approdo la cittadina italiana, le sue norme ed ai suoi riti. 

Nel parlare di mc, non ho in mente la teologia morale ufficiale della chiesa cattolica, né le sue molte varianti prodotte dai diversi filoni di pensiero "alto" del mondo cattolico italiano da Murri a Sturzo a La Pira a Montini ... sino ad arrivare, ai giorni nostri, al sempre stimolante Renzo Gerardi. Per questa ragione uso il termine "moralismo" invece che "morale": perché mi riferisco a quella cosa pensata e praticata quotidianamente dalla grande maggioranza degli italiani che vanno in chiesa (magari nonregolarmente ma certamente a Pasqua, Natale, matrimoni, battesimi e funerali) e che si vivono come "cattolici". 

Meglio ripetere che ho dubbi sostanziali su questa mia lettura, dubbi che preferisco elencare prima ancora di raccontare quel che ho in mente.

Forse il cattolicesimo, nel senso specifico, c'entra nulla e nemmeno il cristianesimo. Forse essi sono solo dei simboli che rappresentano altro, ovvero il desiderio di sentirsi speciali e diversi e, certamente, "migliori". Forse l'idea, diffusa in Italia, del nostro essere "brava gente", buona e generosa, nulla ha a che fare con il cattolicesimo e la sua bimillenaria diffusione nella penisola. Forse non c'è nulla di particolarmente cattolico nella visione "egalitarista popolana" (dettagli più avanti) che credo accomuni M5S e Lega e che è uno dei pilastri del loro governare assieme. Forse la mia idea che il modello di relazioni sociali proprio del moralismo cattolico - il gregge di buone pecorelle, uguali fra loro, guidato da un pastore benevolente e capace - non fonda la fantasia nazional-socialista che i teorici del regime diffondono ... ma, al momento, gli elementi a favore di questa interpretazione mi sembrano maggiori di quelli contro, Quindi ve la propongo ricordandovi che sto riflettendo su uno dei quattro pilastri e che ve ne sono altri tre, oltre al loro collante. Se è tutto un equivoco, fatemelo notare.

Su cosa si fonda questo mc? Sul paese, la parrochia, le tradizioni secolari (dalla festa del patrono al dialetto locale, dai santi "nostri" alla cucina locale alla narrazione delle mille storie del paese) ed una nozione di comunità che consiste in una presuntuosa sopravvalutazione della propria integrità e creatività, personali e collettive, rispetto a quelle di chi viene da fuori. E si fonda anche sull'ntolleranza non tanto verso il male (siamo tutti peccatori, però noi ci confessiamo e loro no) quanto verso un prossimo diverso da sé, estraneo alla comunità (spesso familiare) a cui ci si sente di appartenere da sempre. Il fatto che la chiesa ed il parroco attorno a cui ci si raccoglie siano "cattolici" diventa, in questo processo identitario, un fattore di secondaria importanza. Conta maggiormente l'identità definita tanto territorialmente quanto religiosamente.

Il moralista cattolico italiano è convinto che il "cattolicesimo vero" sia quella cosa che si pratica o a cui si crede nei paesi e nelle cittadine italiane e che ogni altra variante sia, in qualche maniera, inferiore o alterata. Egli crede anche che il popolo, di per se, sia "onesto" (ho tolto l'h) e che tale essenziale onestà si possa dispiegare se e solo se il pastore che guida il popolo è anch'esso "onesto", perché espressione diretta del "popolo". La crisi italiana, in questa lettura, è causata dal fatto che le elite nazionali, sino ad ora, non erano "oneste" né espressioni del popolo. Erano ad esso estranee e disoneste, da cui la necessità di un nuovo gruppo di pastori, espressione diretta del popolo e, quindi, composto di persone semplici ed oneste quanto il popolo stesso. Non è forse questo che i parroci d'Italia hanno predicato ai loro greggi da secoli? Questo io chiamo egualitarismo popolare: esso si regge su una distribuzione bi-modale degli individui. Da un lato il popolo - composto da uguali accomunati dalla religione e dalle credenze e pratiche comuni - e dall'altro i pastori espressione del popolo. I parroci ed i vescovi l'altro ieri, i signori ed i maggiorenti ieri e questa nuova leva di "politici buoni" che sono stati ora inviati al parlamento in sostituzione delle anteriori elite corrotte, che s'erano vendute allo straniero per tornaconto personale. Questo rende possibile un ritorno a quella "età dell'oro" che venne dissolta da elite disoneste. Uno vale uno, siamo onesti, siamo brava gente e ci rappresenta della brava gente.

Ho cercato qui e là, in questi giorni, dei testi che potessero esprimere in modo diretto tale punto di vista. Il seguente, scritto dall'autore anche di quest'altro testo, mi  è sembrato quello più semplicemente rappresentativo.

 


Siamo di fronte a una prospettiva apocalittica: l'estinzione degli italiani, la loro sparizione dalla storia a causa di un crollo demografico che sta diventando irrimediabile. Intanto i nostri politici fischiettano con noncuranza, assorbiti dalla contesa delle poltrone, mentre lasciano che un fiume di migranti, di diversa cultura e religione, sbarchi e si insedi nella penisola e mentre, da tempo, hanno deliberato una cessione di poteri che fa venir meno l'indipendenza nazionale e la sovranità popolare. Con la sudditanza ai mercati finanziari, con la perdita di sovranità monetaria (per l'euro) e di sovranità politica (per l'Unione europea dopo Maastricht) si è assestato un durissimo colpo allo stato sociale e all'economia italiana e si riduce progressivamente lo stato nazionale a un fantasma. Nel quale infatti gli elettori e i cittadini percepiscono di contare sempre meno. Antonio Socci compie un viaggio nella storia d'Italia mostrando che il tradimento delle élite e la "chiamata dello straniero" hanno "ferito" per molti secoli la nostra storia nazionale. Il popolo italiano ha sempre reagito esprimendo la sua straordinaria genialità, che ha illuminato il mondo in tutti i campi del sapere, della vita e dell'arte (e anche con i suoi santi). Soprattutto la nostra grande letteratura ha tenuto vivi l'identità nazionale e il grido di protesta per i tanti eserciti stranieri che hanno trasformato il "Bel Paese" nel loro campo di battaglia. In particolare ha tenuto desto il senso di appartenenza a una storia millenaria e a un'identità che affonda le sue radici nei popoli italici preromani e nella Roma classica e cristiana. Radici culturali e identità nazionale che oggi una pervasiva ideologia tenta di delegittimare, di offuscare o addirittura di negare. Questo libro è anche un'accorata dichiarazione d'amore all'Italia e un'esortazione a non accettare la sua liquidazione e il tramonto dell'Occidente.

 

Forse ci leggo più di quel che effettivamente c'è scritto - collegando questo ignorante sproloquio con mille altri scritti simili, affermazioni, azioni e discorsi accumulati lungo mezzo secolo - ma io trovo qui riassunta l'identita fra "cattolicesimo", "Occidente" ed "Italia" che Salvini icasticamente cattura con il rosario in mano ed i giuramenti pubblici sul Vangelo. La stessa identità - estranea alla teologia morale cattolica: siamo di fronte ad un altro caso eclatante di distanza fra l'elite ed il popolo che essa vorrebbe  rappresentare, ma questo è un problema che i vescovi devono porsi e non io - che potete ritrovare in quest'altro scritto di un tipo oggi leggermente meno frequente (non c'è più ISIS da utilizzare per concentrarsi sulla minaccia islamica che sovrasta l'Italia e con essa l'occidente cattolico) ma comunque tutt'ora presente nel discorso popolare del perché non possiamo accogliere più migranti. Perché sono musulmani o per lo meno non cattolici e ci sopraffaranno.

Questa identità speciale, questo senso di alterità e superiorità, per potersi mantenere in un mondo così complesso come quello attuale, si accompagnano a - oserei dire: hanno bisogno di - una sana dose di controriformistica iprocrisia. Quella del film: Signore e Signori, per capirsi, che in questa occasione lascio riassumere ad una semplice  vignetta

 

 

Tutto questo che c'entra con 5S e Lega? Pensate ai funerali delle vittime del crollo di Genova ed a Salvini che, novello pastore delle pecorelle abbandonate, si fa i selfie con le fan sorridenti, davanti alle bare. C'è in questo gesto la medesima ipocrisia del film e della vignetta precedenti. Il mischiarsi, ad uso e consumo personale, di sacro e profano, la doppia morale che permette la celebrazione di una ritrovata identità comunitaria che afferma, al contempo, l'estraneità di chi in questa chiesa non c'è. La rilevanza del selfie con il "capitano" sta tutta qui: siamo "amici", come ama dire appunto Salvini, siamo della stessa "compagnia", ci vediamo nello stesso bar del medesimo quartiere. Ed andiamo alla stessa messa con lo stesso rosario in mano. Siamo "uguali", uno vale uno ed io sono solo il pastore che voi avete scelto per vendicarvi dei torti subiti a causa delle elite corrotte e dalle minacce che i "foresti" vi stanno portando.

Chiudo qui. So di aver scritto un pezzo confuso ma continuo a vedere in queste mie confusioni un'intuizione non irrilevante. Forse altri sapranno far meglio. 

P.S. Nella prima versione m'ero perso a citare Antoine Compagnon - gli antimoderni - e Franco Cassano - il pensiero meridiano - per poi rendermi conto che le loro suggestioni, nelle quali a volte mi son ritrovato e mi ritrovo, sono sia più alte del, che altre dal, moralismo cattolico che sto cercando di comprendere. Lo stesso è valso per Augusto Del Noce e svariati altri pensatori "reazionari" leggendo i quali, lungo un sentiero che va a ritroso nel tempo, ero arrivato sino a Joseph De Maistre. Ma non c'entrano nulla: il mio tentativo di scoprire le radici intellettuali e filosofiche "profonde" al moralismo cattolico che pervade l'elettorato rosso-brunato si è rivelato un fallimento. Alla fine m'era rimasto Marcello Veneziani - un guitto filosofico visibile solo perché seduto nel piatto deserto culturale della destra italiana - ed ho scelto di lasciar stare perché da Veneziani a Fusaro la distanza è epsilon e si rischia di buttar tutto in burla.   

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Commenti

Ci sono 21 commenti

Michele, la tua riflessione e' interessante.

Leggendola non ho potuto fare a meno di pensare che quello che dici di una comunita' rivolta verso se stessa e scettica di chiunque sia altro si puo' applicare anche a molti altri contesti fuori dall'Italia. Immagino che le religioni in molti altri paesi possano aver prodotto reazioni simili. In fondo, ogni religione dice di essere quella giusta e che le altre sono sbagliate. Ma c'e' di piu': se non sono state le religioni a creare comunita' del genere, possono essere state altre idee laiche. Alla fine, tutto gira attorno al fatto di sentirsi speciali o meglio degli altri, ma quello mi sembra un tratto psicologico legato alla natura umana piuttosto che un comportamento indotto dalla religione o da altro.

Per cui ti chiedo, qual e' l'aspetto che rende l'Italia speciale nel suo mc? Si tratta della scala in cui un comportamento abbastanza comune nel mondo ha preso piede nel nostro paese?

Apprezzo come sempre la schiettezza di Boldrin e la chiarezza con cui si esprime. Ritengo che la sua idea di comunità all'ombra del campanile (reale o metaforico) si possa applicare alle realtà del nord e del nord est - sono nato a Bergamo - ma non nel centro. Vivo da sempre a Ravenna, nella regione una volta "rossa"; qui non è mai esistita una morale cattolica come descritta nell'articolo, ma piuttosto una forte contrapposizione tra la figura storica della chiesa padrona, retaggio dello stato pontificio e della proprietà fondiaria in mano a enti ecclesiastici, e quindi del parroco amministratore di beni, e la morale socialista, repubblicana e liberale (minoritaria) in aperto conflitto con essa. Il cattolicesimo è vissuto in qesta contraddizione e contrapposizione, sviluppando caratteri molto diversi, non riuscendo mai a creare quella aggregazione attorno al campanile; si è meno appiattito sulle posizioni della morale comune e ha sviluppato un maggior senso critico e di disponibilità al confronto e anche allo scontro.

Questo posso dire degli anni settanta e ottanta. Ad oggi si assiste da un lato alla scomparsa dell'ideologia dominante, alla fine della contrapposizione e della tensione tra gli opposti e al ritorno di una religiosità preconciliare e con un'anima sottilmente reazionaria venata a volte di disinteresse per le questioni morali e sociali.

www.treccani.it/vocabolario/apodissi/

www.treccani.it/vocabolario/apodittico/

capisco che ci sono 2 accezzioni del significato di apodittico .... tuttavia devo dire che preferisco di molto il primo significato , nella seconda accezzione direi che anapodittico sia , etimologicamente , piu' corretto anche se non riportato da tutti i dizionari

Osservazione corretta. Sono evidentemente vittima anche io dell'uso giornalistico di termini "alti", il cui significato finisce per mutare. Lasciamo il termine incorretto dov'era e la correzione qui. An-apodittiche le affermazioni erano, sto cercando di procedere con l'apodissi. Nel capitolo V provo a chiedermi da dove viene questa particolare diffusione italiana del populismo politico. 

Capisco che, come diceva Totò a Peppino, "abbondandis in abbondandum!", ma in "accezione" la z è una sola.

abatantuono .... "accezzionale veramente" ... grazie per la correzione cmq

Il desiderio di tornare ad un idealizzato stato originario (che poi non si sa bene a quando risalirebbe esattamente, né in cosa sarebbe preferibile all'attuale) non mi sembra caratteristico solo degli italiani in questo momento storico. Facile individuarne la pre-causa nel fatto che una parte della popolazione dei Paesi evoluti si sente esclusa dai benefici dell'ultima fase della globalizzazione. E quindi subisce il fascino di una narrazione differente. Credo che la nostra attuale maggioranza parlamentare sia almeno in parte un prodotto dello stesso fenomeno, tanto che i due partiti di governo sono accomunati (anche, se non principalmente) dalla individuazione del nemico in un soggetto esterno, o meglio in un vero e proprio "sistema" esterno, che sia la UE o il fenomeno migratorio. La narrazione della globalizzazione ha smesso di funzionare, almeno per alcuni. Personalmente non credo neppure che abbiano tutti-tutti i torti, ma il punto è un altro. Gli italiani che li hanno scelti sono pur sempre una percentuale, neppure maggioritaria della popolazione. Se i sondaggi di oggi attribuiscono a questa maggioranza il 60 o addirittura l' 80% di consensi, questi sondaggi sono fuorvianti. Il risultato elettorale si gioca sugli incerti e sugli astenuti. Ad esempio, ci sono molti elettori delusi da Renzi che hanno portato il PD dal 40% a meno del 20%, ma magari non abbracciando realmente un'altra preferenza, quanto piuttosto astenendosi, oppure scegliendo sì l'altro partito, ma con intento punitivo. A volte può essere anche una serie di circostanze, una carambola della storia, che fa prendere alle cose una direzione piuttosto che un'altra. Voglio dire, i leavers hanno vinto con il 52%, Clinton ha avuto più voti di Trump. Più in generale, credo che quello che ancora manchi a queste analisi sia una considerazione della divisione delle nostre società in classi sociali. Sembriamo non essere più in grado di identificare le classi sociali. Eppure esistono, ed hanno interessi contrapposti. Credo non basti raccontarci storie di cui siano protagonisti gli italiani, gli inglesi o gli ungheresi in quanto tali, ma capire quali sono gli italiani o gli inglesi o gli ungheresi che vogliono sentirsi raccontare una certa storia, in base alle loro preferenze, al loro reddito, alla loro cultura specifica. Un tratto comune dei populismi attuali è proprio l'esaltare il popolo in quanto tale, come entità monolitica con attributi propri. Criticare il popolo in quanto tale ci pone sullo stesso piano dialettico. 

Beninteso, anche io esprimo in maniera incompleta e non chiarissima quello che ho forse da qualche parte in testa, senza alcuna pretesa di esaustività

Io trovo che la descrizione della situazione di Michele Boldrin sia essenzialmente vera. Cioè insomma, intorno a me anche io vedo questo. Però non mi pare sia una specialità italiana. Come ha già scritto qualcun altro, è la natura umana.

Questo sentirsi tutti amici, sentirsi quelli giusti mentre da fuori viene solo roba cattiva. Cercare un pastore che decide lui per tutti, ci solleva dalla responsabilità di pensare, capire e decidere. A me ricorda molto la descrizione della società chiusa (as opposed to the Open Society) in Popper. Che poi nell'esempio di Popper il "pastore" era lo stregone per la tribù. Ogni uomo sarebbe contento che fosse tutto così facile, ma le società avanzate per molti aspetti hanno superato questa cosa, e attraverso l'educazione hanno formato un popolo (si insomma tanti individui, passatemi il termine) che almeno si rende conto che il mondo è complicato e bisogna sforzarsi di capirlo.

Non ci giurerei che alla radice di questa arretratezza italiana ci sia il cattolicesimo. Magari sì, ma chi è davvero osservante ormai? Forse la radice di questa arretratezza bisogna cercarla nella scuola italiana - tutti vanno a scuola - piuttosto che nei preti.

 My 2 cents...

[edit: forse non è così vero che gli osservanti siano così pochi: www.infodata.ilsole24ore.com/2018/09/01/fine-cristiani-la-mappa-non-va-piu-chiesa-2/]

 Si, ma quella cosa li' non ha bisogno del cattolicesimo, men che meno del cattolicesimo in declinazione italiana. 

Per questo son confuso e mi chiedo se il cattolicesimo popolare italiano non sia altro che una forma, fra le tante, in cui la cultura de
lla societa' chiusa si puo' razionalizzare e cementare. 

In questo caso non vi sarebbe nulla di specificatamente italiano, e' una cosa che occorre ovunque. Da noi con una intensita' particolarmente forte, senza dubbio.

La domanda che mi faccio e' duplice. 


- Davvero l'intensita' con cui si manifesta da noi e' piu' forte che altrove? A me cosi' sembra essere, di certo nell'Europa che non ha subito la dominazione russa. Ma poi c'e', per esempio, la Russia e li' abbiamo fenomeni molto simili che "unificano" il popolo russo (e che tutti i regimi hanno usato per ottenere consenso, Putin in primis). E la domanda diventa: allora e' la chiesa ortodossa?

- In secondo luogo, io non volevo solo sottolineare (e rileggendo vedo di aver fallito) l'aspetto chiusura e sentirsi migliori/speciali. Volevo anche sottolineare la particolare relazione popolo/elite che il modello del moralismo cattolico italiano permette. In questo modello il popolo (le pecore) son tutte uguali e tutte buone, non vi sono conflitti d'interesse o di gruppo, non vi sono differenze di status, di conoscenze, di professionalita', tutti uguali e tutti buoni ed onesti. E poi c'e' il pastore, che viene dal popolo e che SE onesto lo rende prospero e se disonesto lo tosa. Questa la visione cattolica classica dei rapporti sociali e questa la narrativa di lega e 5s sul rapporto fra classe politica e popolo. Ecco, QUESTA mi sembra specificatamente italiana e propria del moralismo cattolico. 

A mio avviso, il modello di Boldrin necessita di una integrazione e di una correzione importante.

L'integrazione serve a spiegare la peculiarità del caso italiano rispetto alle altre società permeate da una forte influenza cattolica, che non tutte sembrano evolvere verso la direzione che ha preso l'Italia (l'esempio più chiaro mi sembra la Spagna).

Trovo che la spiegazione qui sia la saldatura tra mc ed il sottofondo culturale "egualitario" della sinistra italiana: mi pare evidente che i due modelli culturali, dopo essersi brevemente (e, dal mio punto di vista, utilmente) contrapposti nell'immediato dopoguerra, abbiano iniziato a rispecchiarsi e cercare/trovare conferma e complicità intellettuale uno nell'altro. Da questo punto di vista, la peculiarità italiana potrebbe essere letta come effetto della saldatura tra mc e l'imponente lascito, in termini di elaborazione (e, soprattutto, di apparato) culturale dell'ex partito comunista più grande di Occidente.

Ultra-sintesi del fenomeno: dagli anni Settanta in poi, mentre il mondo cambiava a velocità impressionante e questo cambiamento avrebbe dovuto catturare energie e intelligenze come non mai, per effetto di questo perverso rimpallo il dibattito pubblico italiano è divenuto sempre più introverso, autoreferenziale, e dedito a coltivare l'irrilevante.

La correzione riguarda, invece, la "Weltanschauung" veicolata da mc, nella sua versione "integrata" (che da qui in poi chiamerò mc+).

Non mi pare affatto che il messaggio di fondo di mc+ possa tradursi nella istigazione a sentirsi "migliori" degli altri; mc+ non mi pare declinabile in direzione "sciovinista" (anzi, considero il latente complesso di inferiorità verso gli altri una componente essenziale del tipico provincialismo italiano).

Credo piuttosto che il vero concetto forte alla base di mc+ sia la penalizzazione dell'ambizione individuale, l'esortazione ad essere medi, la disapprovazione per la ricerca delle soddisfazioni e delle realizzazioni individuali, che vengono per lo più ricondotte ad un difetto di socializzazione. I "buoni" se ne stanno dentro il gregge, i "cattivi" fanno vita a sé ed è logico che, prima o poi, succeda loro qualcosa di brutto: questa mi pare la morale di fondo.

In questo senso, il modello mc+ non ha sostanzialmente anticorpi dentro la cultura nazionale.

Anzi, un anticorpo ci sarebbe, ma è troppo debole per avere effetto ed è precisamente rappresentato (so di dire una cosa impopolare su NfA ma - franchezza per franchezza - considero piuttosto sciocche molte delle considerazioni che girano qui in materia di liceo classico) dai, sempre più evanescenti, legami con le nostre radici classiche, greche e romane. Riaccostarci a quelle ci metterebbe sotto il naso un modello in cui l'ambizione individuale, il merito e persino (ove vi fosse) la grandezza del singolo non erano schifate, ma anzi elevate a virtù civiche. Ovviamente è un fenomeno che non si realizzerà mai, mancandone le più elementari condizioni storiche, ma personalmente (a meno di scossoni o tragedie che ci proiettino in una situazione simile ad un dopoguerra) non vedo nemmeno ragioni per prevedere che nell'immediato futuro potremmo lasciarci positivamente contagiare da culture del merito a noi più "contemporanee".

 

Buongiorno, non credo che in Italia quello che lei definisce “assemblearismo” marxista abbia mai assunto le vesti del populismo, tutt’altro: la sinistra italiana, al pari delle sue sorelle europee, ha espresso forme di partecipazione e di costruzione del pensiero antitetiche al populismo. Quest’ultimo si caratterizza infatti per la ricerca di soluzioni semplici/semplicistiche a problemi complessi, quando è ben noto che nelle assemblee in cui si sono formate le attuali (in realtà prossime al pensionamento, ma prive di eredi) classi dirigenti della sinistra, la ricerca aveva ad oggetto soluzioni complesse a problemi che - il più delle volte - erano semplici.

Mi sembra che la breve parentesi populista della sinistra italiana (Renzi), durata poco più di un istante, dimostri l’incompatibilità genetica tra la sinistra ed il populismo (le facce sofferenti dei Colombo, dei Giannini e dei Rampini non ammettono quella gaudente di Renzi), ma anche la sua incapacità di produrre una proposta politica sensata e coerente con le proprie radici (questa forse peculiarità della sinistra italiana). Qualche perplessità l’ho anche sul presunto populismo di matrice cattolica, non tanto sulla sua esistenza, ma sulla specificità italiana: mi chiedo se la religione in quanto tale, qualunque essa sia, non debba necessariamente abbracciare una qualche forma di “populismo”.

 

... secondo lei il "salario variabile indipendente" non e' una "soluzioni semplici/semplicistiche a problemi complessi"? 

L'assemblea sovrana e' una invenzione di chi? Del nonno Arturo?

E Rampini cosa sarebbe? L'intellettuale non populista di sinistra? Plagi a parte, ha idea delle assolute stronzate populiste (e noiose) che costui scrive. 

Eccetera ...

Sia cortese: studi. 

Tra i quattro “pilastri” elencati quello che mi convince di meno è il moralismo cattolico. Non già perché se ne possa negare l’esistenza ma perché, a mio parere, la sua intensità stia progressivamente scemando parallelamente alla perdita di presa della morale cattolica (come osservi giustamente sono due concetti diversi). Dovendo quindi ponderare o “pesare” il contributo di ogni “pilastro” relegherei il moralismo cattolico all’ultimo posto, in lizza per l’eliminazione. 

 

La mia critica/opinione è praticamente già contenuta nelle premesse della lettura medesima: “Forse essi sono solo dei simboli che rappresentano altro, ovvero il desiderio di sentirsi speciali e diversi e, certamente, "migliori". 

 

La mia (sicuramente traballante per miei limiti culturali) tesi è questa: molto di ciò che attribuiamo al moralismo cattolico altro non è che il riflesso di archetipi che sono addirittura pre esistenti al cattolicesimo stesso. Archetipi che avrebbero comunque una loro autonoma forza e presa sulle persone. 

 

Il raccogliersi della comunità intorno ad una figura paterna, la convinzione di avere una morale da difendere e diffondere, il localismo fiero ed esasperato, le liturgie cittadine da cui emana un valore identitario, ecc. sono proprio degli archetipi psicologici che sono stati sfruttati da tutte le religioni e da tutte le ideologie. Il canovaccio è sempre lo stesso (semmai in Italia certe istanze sono state amplificate da una storia di frazionamento politico dall’epoca dei comuni in poi).

 

D’altronde di questo moralismo cattolico si sarebbero persi altri tratti tratti distintivi, cioè il concetto di carità, di accoglienza dell’affamato, dell’assettato, dello sconfitto. Per queste brevissime riflessioni il quarto pilastro mi convince meno degli altri tre. 

 

 

 

 

 

 

Questo passaggio:

 

Molto di ciò che attribuiamo al moralismo cattolico altro non è che il riflesso di archetipi che sono addirittura pre esistenti al cattolicesimo stesso. Archetipi che avrebbero comunque una loro autonoma forza e presa sulle persone

 

è in parte quello che cercavo di dire sopra, ma espresso in modo molto più chiaro.

Sto seguendo con molta attenzione questi post di Michele Boldrin. Mi sembra che si stia formando a puntate un (bel) libro di storia... speriamo che il finale abbia un semino di speranza.