Il governo rosso-brunato. V

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Da dove spunta il populismo politico attuale, secondo cui "uno vale uno", "i tecnocrati son la causa della crisi", "per governare bene basta essere onesti", e così via? L'hanno davvero inventato Grillo e Salvini? È davvero la grande novità che sembra essere? 

Continuo l'apodissi (grazie ad un anonimo lettore per la correzione) delle quattro colonne ideologiche dell'alleanza rosso-brunata. Dopo il moralismo cattolico veniamo al populismo politico (pp). 

L'argomento è stato ampiamente studiato nella scienza politica e le definizioni/teorie son fin troppe. Per parte mia questo libro, d'un vecchio maestro, m'ha insegnato molto; a chi volesse approfondire il tema suggerisco di leggerlo. Altre indicazioni non aggiungo. Osservo, però, che, in questo caso, Gramsci non è molto utile e che la sua nota teoria - secondo cui il populismo è sempre un "trucco" della destra che, per imbrigliare le masse popolari, prende a prestito la retorica e non la sostanza di temi come lavoro, uguaglianza, tasse, servizi sociali - non sembra reggere all'esame dei fatti storici. Questo populismo è sia rosso che brunato per davvero, ed è una sintesi inevitabile dell'intera storia nazionale, compresa quella dellla sinistra.

Due sono gli elementi che accomunano gli elettorati di Lega e M5S nella loro visione politica populista. 

(i) La democrazia consiste nell'attuazione della volontà del popolo o, meglio, della sua maggioranza, contro i suoi nemici. Quando la maggioranza del popolo "esprime" una preferenza essa va realizzata e gli oppositori ridotti al silenzio o ignorati. La democrazia compiuta tende alla democrazia diretta, ovvero ad una relazione non mediata fra popolo ed esecutivo. Il potere esecutivo ha un rapporto diretto con il popolo la cui "volontà" esiste e va interpretata/realizzata. Il potere legislativo è secondario e svolge puramente una funzione di ratifica o di camera di risonanza. La volontà del popolo si esprime con il voto che "elegge" un leader, un capo dell'esecutivo. Ma si esprime anche fra un'elezione e l'altra, nelle piazze, nei sondaggi, nei social network, nel consenso espresso dai media verso le azioni dell'esecutivo. I governanti mantengono un rapporto continuo, non mediato da corpi intermedi, con il popolo che essi rappresentano. Se questo vi ricorda l'uso che i vari Di Maio, Erdogan, Grillo, Salvini e Trump fanno delle piazze, delle televizioni e dei social network avete colto il punto. La democrazia, nella versione populista, consiste esattamente in questa relazione "organica" fra il "popolo" ed il suo "capo" (o capitano) che guida il popolo nella continua battaglia contro il nemico. La politica democratica è questa cosa qui. Schmitt on the web? Più o meno.

(ii) Il cosidetto liberalismo politico (da non confondersi con il titolo di un libro di John Rawls in cui presenta la sua visione della liberal-democrazia) è una cosa piuttosto controversa da descrivere, quindi non ci provo. Ai fini di questo articolo esso consisterà in alcune affermazioni: (a) le costituizioni definiscono gli spazi in cui, e le regole con cui, si esercita il potere politico (esecutivo, legislativo e giudiziario) e sono il fondamento dello stato di diritto; (b) lo stato di diritto (insieme delle leggi in essere) ha precedenza sulla volontà politica della maggioranza a meno che questa non modifichi, secondo le procedure in (a), le leggi in essere; (c) vi sono ambiti in cui la maggioranza (via esecutivo-legislativo-giudiziario) non può agire a proprio piacere e diritti che non può eliminare, essi servono a proteggere le minoranze; (d) il rapporto fra elettori ed eletti ed il processo decisionale che parte dall'elettorato e si conclude con atti legislativi e di governo è mediato da corpi intermedi con funzione rappresentativa e le regole di funzionamento dei quali preservano diritti inalienabili delle minoranze. Il populismo politico nega, totalmente o parzialmente, questi quattro principi (oltre a molti altri che qui non entrano in gioco). 

Un aneddoto, che spero renda l'idea. Circa cinque anni fa, in un dibattito pubblico con un esponente politico piuttosto noto (ora caduto in disgrazia) della destra italiana, questi mi disse che se una regola costituzionale non è condivisa dalla maggioranza politica la si DEVE ignorare perché essa costituisce un ostacolo alla realizzazione DEMOCRATICA della volontà del popolo. Il mio tentativo di spiegare che questo metodo poco aveva a che fare con la liberal-democrazia venne accolto più con incredulità che con irritazione. Il signore non riusciva bene a comprendere cosa intendessi e mi rispose che ero "anti-democratico" ed "elitario". 

Quanto contenuto in (i) e (ii) sopra costituisce oggi il punto di vista che accomuna quel 60% o più dell'elettorato italiano che appoggia questo governo. Infatti, non credo di esagerare nel dire che tali principi sono condivisi anche da una grande percentuale di quegli elettori che hanno votato il 4 marzo per altri partiti. La mia impressione è che questa sia la visione della democrazia che 3/4 dei cittadini italiani hanno. E questo è, evidentemente, un probema. 

Da dove viene? Per una volta la risposta mi sembra abbastanza semplice: questa visione della democrazia accomuna le tre grandi correnti ideologiche che dominano da un secolo e più la politica italiana: quella social-comunista, quella fascista e quella cattolica. Ho detto un secolo e non due o tre per la semplice ragione che, sino agli anni successivi la prima guerra mondiale, la grande maggioranza dei cittadini italiani era rimasta esclusa dai processi politici e quelle tre grandi correnti ideologiche non avevano potuto esprimersi compiutamente. La visione populista della politica era comunque dominante anche prima del 1918: Garibaldi e Mazzini, per menzionare i due più noti "eroi" risorgimentali, erano politcamente dei populisti come si può evincere dai loro (confusi) scritti (che potete trovare in rete).

Non sto dicendo nulla che non sia ampiamente noto a chi si occupa del tema. In questo panorama plurisecolare vale la pena notare come la Costituzione repubblicana rappresenti una discontinuità ed un tentativo (di successo per alcuni decenni ma oggi apparentemente fallito) di introdurre elementi non populisti nel sistema politico italiano. Mi piacerebbe avere il tempo di esaminare quali straordinari meccanismi di selezione avessero prodotto, in quell'unica istanza nei 160 di storia unitaria, una elite politica così diversa dalle precedenti e dalle seguenti; ma non ce l'ho.

L'insegnamento dei fatti storici è, comunque, che questi elementi anti-populisti (esito a definirli propriamente liberal-democratici, anche se quella era la direzione presa) non divennero, nei decenni in cui la prima repubblica funzionò propriamente, patrimonio culturale della maggioranza degli italiani. Anche le ragioni di questo fallimento sono abbastanza ben comprese. Mentre a livello alto o ufficiale il confronto politico avveniva lungo linee fondamentalmente non populiste, nella realtà quotidiana delle città, delle scuole e dei luoghi di lavoro, il personale politico intermedio, gli intellettuali e spesso anche alcuni dei leader nazionali, predicavano il proprio particolare tipo di populismo politico. Per quasi trent'anni questi populismi rimasero "sopiti" nell'azione parlamentare e di governo, il fascista in particolare, ma continuarono ad operare nella propaganda e nel dibattito di massa. Non vennero sostituiti da nulla di diverso perché le elite italiane si riconoscevano nell'una o nell'altra forma di populismo, occultandolo quando conveniente ma diffondendolo quando possibile. Pensate al cinema, alla letteratura, alla stampa (popolare e non) e alle modalità con cui si chiamavano i propri seguaci alla lotta politica. Pensate alla continua descrizione, comune alle tre parti, dell'avversario come il male, l'oppressore (al potere o potenziale), il nemico da sconfiggere, e così via ... durante tutti gli anni che vanno dal 1948 al periodo del Compromesso Storico: c'e' una storia socio-culturale da riscrivere qui, ma non lo so fare.

La crisi della prima repubblica, che iniziò con i conflitti post 1969 e durò due decenni, offrì ai populismi "sopiti" l'occasione per uscire allo scoperto e confrontarsi nelle piazze, nei luoghi di lavoro e nelle università. Finalmente, a partire dall'inizio degli anni '90, i temi cari ai tre populismi cominciarono a trovare accoglienza nei media "ufficiali" e nelle televisioni, quelle berlusconiane in particolare. Anche qui sto raccontando l'ovvio ma è un ovvio su cui è bene focalizzarsi. Il linguaggio politico, le nozioni di democrazia, popolo e rappresentatività che informano oggi Lega e M5S (ed infatti anche LeU, buona parte del PD ed ovviamente Fd'I e FI) sono la filiazione diretta, nell'era dei social e della rete, dell'assemblearismo di sinistra e di destra degli anni '70 e delle grandi adunate di Comunione e Liberazione.

A questa osservazione molti lettori reagiranno dicendo: aspetta un attimo, dal 1969 sino all'inizio degli anni '80 erano i temi del populismo comunistoide a dominare il dibattito pubblico, gli altri due populismi erano praticamente invisibili. Questo è senz'altro vero ma è un'analisi parziale che fa attenzione solo a ciò di cui i media parlavano e non a ciò che accadeva. Perché, mentre è vero che l'assemblearismo pubblico - con il suo messaggio di democrazia diretta, di egualitarismo tanto di fantasia quanto imposto, di relazione mistica fra popolo e leader, eccetera - era senz'altro dominato dai marxisti, esso in realtà non coinvogeva la maggioranza della popolazione, nonostante le fantasie del mondo intellettuale e giornalistico che veniva in quegli anni totalmente occupato dal populismo marxista. Sotto di esso e nelle sue pieghe continuavano a vivere e prosperare il populismo politico cattolico (di cui CL fu l'esempio più eclatante ma non unico) e quello fascista. Infatti. se dobbiamo giudicare dai risultati elettorali, furono queste due configurazioni ideologiche a definire la visione del mondo della maggioranza silenziosa, che era invisibile ma maggioranza. Il populismo fascista, in particolare, si vide pochissimo in piazza e rimase "sotto radar" ma esso venne trasmesso dai programmi scolastici (dove l'educazione civica, ovvero l'insegnamento di come funziona un sistema costituzionale liberal-democratico, era uno scherzo imbarazzante) e dalla conversazione "popolare" dove la richiesta dell'uomo forte che parla al popolo e risolve i problemi non è mai scomparsa.

Sto di nuovo ripetendo cose note ma ufficialmente dimenticate: nel discorso pubblico italiano il modello dominante di democrazia è stato sempre quello populista, in una delle tre accezioni menzionate. Se rileggete le definizioni contenute in (i) e (ii) sopra vi rendete conto che esse sono consistenti con programmi economico-sociali fascisti, comunisti o cattolici. La metodologia politica e la concezione di cosa sia la "democrazia" non cambia, è invariante rispetto al resto del messaggio. Per l'analisi che sto svolgendo è questo che conta e spiega perché questa particolare colonna culturale del rosso-brunaismo abbia una "apodissi storica" relativamente semplice: è il prodotto della storia italiana e delle ideologie che le elite politiche ed intellettuali hanno insegnato alla popolazione da quanto l'Italia esiste come stato unitario. Questo ovviamente apre il capitolo della responsabilità storica di tali elite, ma questo lasciamolo per un altro capitolo. 

Il fatto storico è evidente: il pp è il prodotto storico della cultura politica italiana e definisce la concezione della democrazia condivisa dalla stragrande maggioranza dei cittadini. Ad esso hanno contribuito tutte e tre le grandi famiglie ideologiche ed esso costituisce l'ossatura della loro azione politica, la quale continua ad essere metodologicamente populista. Se una di esse, quella fascista, oggi lo rivendica con orgoglio, le altre due (quella di sinistra in particolare) cercano inutilmente di negarne la paternità a mezzo di scandalizzate dichiarazioni dei loro dirigenti politici e del loro ceto intellettuale, quello giornalistico in particolare - pensate alle recenti ed ipocrite grida d'allarme che arrivano da Repubblica, Corriere della Sera, Espresso ed anche Avvenire.

Questa particolare forma di denegazione, che impedisce di affrontare e superare le proprie contraddizioni attraverso una vera catarsi liberatoria (politica e di classe dirigente, in questo caso, non emozionale) è un problema serio assai per chiunque si chieda come possa crearsi un'alternativa credibile e duratura all'ideologia rosso-brunata oggi dominante. 

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Commenti

Ci sono 50 commenti

Se il sogno viene continuamente esorcizzato, se, come pare, il mercato costringe al continuo risveglio, impone la veglia, questo attuale e particolare populismo è destinato a perdurare.

Esso ha già sviluppato gli anticorpi verso la sua negazione, e fin dalla culla; la sua forza consiste proprio nella promessa escatologica negata; e già si vedono gli slogan delle prossime quatto o cinque consultazioni: “Noi avremmo voluto fare di più, ma, come avete visto, ce l'hanno impedito; dateci ancora fiducia e piano piano la goccia scaverà la roccia”. E il popolo, dovendo continuamente rinunciare al sogno, si accontenterà del dormiveglia.

Purtroppo, tutto questo potrebbe accompagnarci per più dei prossimi 5 anni.

Chissà se qualcuno si troverà scomodo in tutto questo!

Lei scrive: "le costituizioni definiscono gli spazi in cui, e le regole con cui, si esercita il potere politico (esecutivo, legislativo e giudiziario) e sono il fondamento dello stato di diritto".  Se una costituzione è un documento scritto da una o più persone ed approvato da un'assemblea, nulla toglie che altre persone possano un giorno approvarne un'altra, anche radicalmente diversa dalla prima.  Se non si vuole che questo possa accadere, è necessario attribuire alla costituzione originaria un'origine trascendente, superumana, diciamo pure divina. Vediamo ad esempio la Dichiarazione di Indipendenza degli USA; vi si legge fra l'altro:  "We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness."

Ora si puo' attribuire un'origine divina tanto direttamente alla legislazione, come nell'Islam, ovvero ad una serie di principi che la ispirano, come nel Cristianesimo (vedi anche il lavoro di Remi Brague) ma in qualche modo occorre costruire una sorta di usbergo almeno ai principi fondamentali che si considerano non negoziabili, altrimenti cio che uomini hanno fatto, altri uomini possono disfare.

Il punto non e' che le costituzioni debbano essere immutabili, ma che non basti la semplice maggioranza per cambiarle.

Intanto grazie! La migliore analisi politica che leggo da anni. Attendo impaziente altri capitoli.

Un problemino tecnico: gli articoli nel feed (http://feeds.feedburner.com/noisefromamerika) vengono pubblicati con date sballate: non è così possibile ricevere notifica dei nuovi articoli quando pubblicati (mi spiacerebbe perderli :) )

Mi associo: davvero un magistrale editoriale a puntate. Capisco che Boldrin, facendo un altro mestiere, non ha avuto il tempo di zappare più a fondo su vari argomenti, ma mi piace pensare che questi articoli potrebbero essere sviluppati in un libro sulla vicenda politica italiana dal dopoguerra ad oggi.

 

Aggiungo, da simpatizzante della prima ora del generoso tentativo politico nato nel 2012, che i cinque articoli forniscono anche, implicitamente, la spiegazione dell'insuccesso di quel tentativo. E' malinconico, ma è così.

A me pero' pare che che il populismo di questi anni, caratterizzato dal disprezzo dei quattro vincoli alla volonta' popolare che tu elenchi, stia dilagando anche in paesi esenti dalle tare ereditarie culturali che affliggono l'Italia: a definire "nemici del popolo" dei magistrati che facevano il loro lavoro ricordando la sovranita' del Parlamento e' stato, un anno e mezzo fa, il britannico Daily Mail; e il mese scorso lo stesso termine e' stato usato contro la libera stampa dall'indegno successore di James Madison, Donald Trump

Uno dei caveat iniziali della serie e' che molti fenomeni italiani sono infatti mondiali. 

Avrei potuto partire da un tentativo (troppo ambizioso) di analisi dei processi in tutti i paesi occidentali dove vediamo crescere il populismo, ma mi sembrava troppo ambizioso. L'Italia la conosco meglio e son partito da li'.

Come detto, mi riprometto di chiedermi verso la fine quanto sia specifico (io credo parecchio) e quando invece generale. Alla fin fine, oggi siamo l'unico paese dove le forze populiste hanno il supporto esplicito del +60% della popolazione e dicono cose molto peggio che altrove. Anche negli USA di Trump, alla fine governa grazie ad un particolare meccanismo elettorale e, ad oggi, il suo approval rate viaggia attorno al 35% e Brexit e' oggi decisamente una scelta minoritaria. 

Insomma, ho fatto quello che mi veniva fattibile, son partito dal caso estremo e specifico che conosco, poi spero di riuscire a discutere decentemente anche i fenomeni generali.

Io mi sono iscritto al M5S perché l'ho ritenuto l'opzione piú liberale e democratica tra quelle presenti in Italia.

Negli ultimi 12 anni ho avuto soltanto in un momento il dubbio che potesse nascere in Italia qualcosa di altrettanto liberale e democratico, quando é nato Fare, ed infatti all'epoca pur non iscrivendomi mandai un piccolo contributo, e diedi a Fare uno dei miei due voti (votai Marcello Urbani al Senato).

A mio avviso, e credo sia una opinione molto condivisa, dal punto di vista del comune cittadino nessun altro partito o movimento italiano é mai stato altrettanto liberale e democratico del M5S.

Nel momento in cui ci saranno altre opzioni, ovviamente saró contentissimo di poterle valutare. Ma al momento non ci sono altre opzioni disponibili.

può darsi, non entro nel merito. Ma altrettanto cretini?

Battuta a parte, insinuo che liberale e democratico non siano affatto criteri sufficienti.

senza entrare nel merito delle scelte politiche personali, almeno qui usiamo terminologia corretta. un partito controllato da una srl e che propone il vincolo di mandato non può essere né democratico né liberale.

Vedo che sei riapparso a trollare cretinate rosso-brune. Non so chi ti abbia riammesso e perché, de gustibus. 

Fa una cortesia: va a scrivere bugie in commento ad articoli altrui, non miei. Qui non sei benvenuto.

Non devo vincere alcun concorso simpatia e non ho tempo per dibattere con persone in malafede che raccontano bufale per conto di un'agenzia di marketing familiare con pessime relazioni internazionali che controlla un partito politico il cui personale è composto di avventurieri, sfigati e farabutti.

Se credessi alla tua buonafede direi che sei troppo ignorante per essere vero: alla luce di quello che gli esponenti governativi del tuo partito (quello che ha appena menzionato un giornalista trombato e cialtrone delle Iene a controllare la correttezza degli esami universitari o che non intende aspettare la giustizia per dichiarare colpevoli e innocenti e via elencando follie) affermare che sia "liberale e democratico" vuol dire non sapere di cosa si parla.

Siccome giri da queste parti da anni l'idea che tu sia in buonafede, concessa all'inizio, si è evaporata. Quindi o sei completamente stupido o sei in malafede. 

Affari tuoi. Semplicemente non commentare i miei articoli con idiozie e falsità. Fine.

questo particolare tipo di populismo (adotto per comodità la definizione MB)  non esisteva in periodo liberale, quando non era necessario il consenso delle masse dato il suffragio ristretto. E lo Statuto Albertino era anti-populista (il Capo era il re, e non c'era spazio per un capo scelto dal popolo) e fu interpretato da  Cavour in poi in senso sempre più liberal-democratico (cf. 'Torniamo allo Statuto' di Sonnino nel 1898 per bloccare la deriva parlamentarista). Casomai potrebbe essere iniziato durante la prima guerra mondiale, quando era necessario spiegare ai soldati che dovevano andare a farsi ammazzare.... Si è affermato come ideologia esplicita nel periodo fascista - e proprio l'esaltazione del Duce durante il ventennio spiega il carattere fortemente liberal-democratico della Costituzione. Fino agli anni Settanta il populismo non riapparve perchè il consenso  era garantito dall'ideologia comunista (del tutto anti-populista: era il partito che sapeva e guidvaa le masse) e dalla paura del comunismo/ideologia cattolica (il cattolicesimo anni Cinquanta era again anti-populista: Pio IX sapeva e decideva). Iniziò a riapparire dopo il Sessantotto - ma le assemblee studentesce e CL erano comunque di nicchia. E si è lentamente riaffermato negli anni Novanta con Berlusconi e gli anti berlusconisti. Ha vinto (spero almeno temporaneamente) dopo la crisi, che è stata percepita perlomeno come tradimento delle promesse dell'entrata nell'euro. Ci avevate detto che bastava fare un po' di sacrifici e saremmo entrati nel regno del latte e miele, li abbiamo fatti, abbiamo avuto qualche sorsino (sotto SB) e ora ci dite che dobbiamo ricominciare? E poi abbiamo anche gli immigrati Etc. Ertc.   

Non ho scritto che TUTTO quanto prodotto in Italia nel periodo risorgimentale fosse populista. Ho rintracciato un filo rosso, o fiume carsico, che è già abbondantemente presente nel periodo risorgimentale e definisce il sistema ideologico attorno a cui si costituisce, a livello di massa, e viene poi "venduta" l'unità nazionale. Senza QUEL populismo i famosi plebisciti, più o meno truccati che fossero, non sarebbero mai stati possibili. Quella diffusa cultura populista emerge plateale nel primo novecento, PRIMA della guerra (infatti, è forza importante per animare la campagna interventista) e domina poi la politica italiana sino alla costituzione repubblicana. La grande proletaria che occupa la Libia è del 1911 e cos'altro è, quella spazzatura, se non becero populismo italiota?

Gli esempi di non populismo o anti- populismo che Giovanni propone mi lasciano alquanto basito. Io capisco la sua ammirazione per Cavour, spesso manifestata, ma spero non voglia seriamente proporre lo statuto albertino come modello, antidoto o alternativa al populismo italiano.

Io ho fatto riferimenti precisi al sustrato ideologico di tipo populista che ha animava il periodo risorgimentale.  Ho menzionato due persone (le principali) esplicitamente: Garibaldi e Mazzini. Erano populisti ed hanno informato di se e delle loro idee buona parte del Risorgimento. Ma possiamo aggiungerne svariati e Giovanni lo sa, da Pisacane a Ciceruacchio. Son dozzine. Accanto a costoro avrei potuto elencare Verdi, Mascagni e 3/4 dell'opera italiana del tempo (la rottura di tema avviene infatti con Puccini) come buona parte della letteratura italiana post-unificazione, dal Verga sino al Pascoli. 

La mia tesi (ma non e' ora il momento per argomentarla) e' che QUELLA particolare forma di populismo nazionalistico e' cio' che da un lato ha permesso alle elite italiane (piemontesi prima, poi nazionali) di tirarsi dietro il popolo e, dall'altro, ha definito l'immagine di lungo periodo che la maggioranza degli italiani hanno di se stessi. Anche nel 2018.

Sul ruolo del fascismo Giovanni concorda con me e questo è essenziale. Vorrei però aggiungere a queste note un riferimento al lavoro di Volpe e, in particolare, alla ricostruzione di tutta la storia d'Italia lungo linee nazional-populiste che Volpe con altri intentò (a mio avviso con successo) attraverso l'Ufficio Storiografico della Mobilitazione e quel che ne segui' poi con l'arrivo del regime. Questa roba fu l'inizio della costruzione di una "narrativa" sulla storia d'Italia che di fatto definisce ancora quello che i ragazzi apprendono a scuola. Populismo puro e dei peggiori. 

Non ho ben capito, invece, come Giovanni possa sostenere che il cattolicesimo di massa (non De Gasperi, ma quello delle parrocchie) degli anni '50 non fosse populista! Lasciamo stare Pio IX (sospetto intendesse Pio XII) ma sant'iddio l'azione cattolica, le madonne pellegrine, gedda e tutto quell'infernale arnamentario che diavolo era se non populismo (e moralismo) cattolico? Quelli sono gli anni in cui, nel mondo cattolico, il "popolarismo" (nel senso di Sturzo) e' minoritario persino dentro alla DC e rigettato dal complesso della chiesa cattolica italiana. E, nel mondo cattolico italiano, quando veniamo alla politica lo scontro intellettuale e' da sempre fra popolari (laici tipacamente) e populisti (papi italiani con l'eccezione di Montini ed incluso Roncalli, e quasi tutta la CEI). 

Sullo "sfondamento della diga" che avviene dopo il 1968-69 siamo ovviamente d'accordo, ma questa e' appunto la mia tesi. 

Temo di essermi perso le altre puntate della serie, non esiste una pagina con i link a tutte?

Grazie

Se guardi al lato destro della pagina trovi una colonna "Collegamenti" (almeno dal PC) con i link agli articoli precedenti, numerati, e ad altri collegati per argomento. Forse dal telefono non si vedono bene, il sito non e' mai stato ottimizzato per cell ... mancano i soldini :)

che i rossobruni di cui bisogna maggiormente preoccuparci non siano cattolici : https://www.corriere.it/esteri/18_settembre_09/svezia-voto-incognita-sovranisti-intimidazioni-naziste-6610ebd4-b452-11e8-8b0b-dff47915528b.shtml?refresh_ce-cp

Le elezioni svedesi provano che, almeno in quel paese, piu' dell'80% degli elettori non ne vuol sapere della versione scandinava dei rosso-brunati. Sia chiaro, 18% e' tanto ma e' enormemente meno del 60-70% italiano.

facciamo gli Italiani, motto attribuito a Massimo D'Azeglio ma forse anche ad altri, a torto o a ragione. Sarebbe interessante indagare questo aspetto della storia patria, vale a dire verificare attraverso quali azioni il governo unitario perseguì l'obiettivo di creare un popolo.