Guida al panico 2008 (II): il dibattito sui media

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Una guida ragionata al dibattito sulla crisi finanziaria e sul piano Paulson, con particolare attenzione agli interventi degli economisti sui media e sui blogs.

Dopo la rassegna della letteratura accademica da parte di Alberto è venuto il momento di cercare di riassumere ciò che hanno detto gli economisti che sono direttamente intervenuti nel dibattito di questi giorni. C'è stata un'enorme quantità di interventi, per cui la rassegna non potrà che essere parziale e selettiva. Come d'uso, i lettori sono invitati a usare i commenti per colmare i buchi.

Trascureremo ovviamente gli interventi di Michele (qui e qui), assumendo che i lettori di nFA ne siano bene a conoscenza.

C'è stata relativamente poca discussione sulle cause scatenanti della crisi. Un buon posto per iniziare è questo intervento sul NYT di Diamond a Kashyap,

scritto prima del piano Paulson e dopo il salvataggio di AIG e il

fallimento di Lehman Brothers. L'intervento è quasi unicamente

descrittivo, ma consente di capire almeno la meccanica degli eventi

recenti.

Sembra esserci consenso generale sul fatto che l'attuale situazione è risultata da incentivi perversi all'interno del sistema bancario, che hanno portato all'assunzione di rischi eccessivi. Non è però chiaro perché tale sistema di incentivi è stato messo in piedi, e perché nessuno (né le autorità pubbliche preposte alla regolazione del sistema finanziario né gli azionisti delle banche) si è premurato di intervenire per tempo. Più o meno c'è anche accordo sul fatto che il principale problema di breve periodo sta

nell'informazione asimmetrica che esiste al riguardo delle Mortgage Backed

Securities (MBS), i titoli obbligazionari che hanno per rendimento i

pagamenti dei mutui.

Il dibattito si è invece concentrato sulla valutazione delle proposte di policy.

Una minoranza propone di non fare assolutamente nulla, lasciare che le MBS trovino il loro valore nel mercato (se tale valore è basso, peggio per chi le ha comprate) e che chi deve fallire fallisca. Come è lecito attendersi, questi argomenti vengono avanzati soprattutto da giornalisti ed economisti di tendenza libertaria. La rivista Reason ha pubblicato vari interventi di tale tenore, questo articolo di Steve Chapman è abbastanza tipico. Reason ha anche ospitato un forum in cui vari economisti di tendenza libertaria hanno discusso sia le cause sia i possibili rimedi alla crisi, lo trovate qui. Un importante argomento di questa minoranza, a mio avviso non sufficientemente discusso, riguarda il reale impatto della crisi finanziaria sull'economia reale. La crisi della borsa del 1987, a differenza di quella del 1929, si è distinta per il suo scarso impatto sul PIL. Scetticismo sulle terribili conseguenze dei fallimenti bancari viene per esempio espresso da Steven Landsburg. Casey Mulligan, professore a Chicago, esprime simili dubbi sul suo blog. Peraltro, Alex Tabarrok, di George Mason University, ha segnalato come almeno finora (ed è un po' che la crisi dei subprime va avanti) il credito non sembra affatto essersi prosciugato, anche se i tassi di crescita si stanno riducendo (il blog Marginal Revolution è un altro posto dove si ospitano molti interventi scettici).

Si tratta però, appunto, di una minoranza. Per dirla con una battuta di Matt Yglesias ''nessuno è ateo in punto di morte e nessuno è per il libero mercato in tempo di crisi finanziarie'' (''they say there are no atheists in foxholes, and by the same token there are no free marketeers in a financial crisis''; come documento sociologico, leggetevi anche i commenti irati degli atei alla battuta, un'indicazione di quanto la religione venga presa assai più sul serio negli USA che in Italia). La maggioranza degli economisti intervenuti nel dibattito accetta l'idea che qualche tipo di intervento sia necessario, non fosse altro perché le pressioni politiche per un intervento sono tante e tali da non poter essere resistite. Ma quale intervento?

Anche accettando la premessa fondamentale del piano Paulson, ossia l'istituzione di una agenzia dedicata essenzialmente all'acquisto di MBS che hanno perso liquidità, i dettagli sono cruciali. La premessa fondamentale del piano è che la crisi sia una crisi di liquidità, che gli attuali prezzi di mercato delle MBS siano più bassi di quelli ''giusti'', e che il governo possa evitare la crisi finanziaria comprando a prezzi ''giusti'', o poco più bassi, le obbligazioni per poi rivenderle. Se così stanno le cose il piano non dovrebbe costare nulla ai contribuenti, che in effetti finirebbero per sfruttare una opportunità di arbitraggio che il mercato non riesce a sfruttare per problemi di liquidità (a sua volta dovuti all'informazione asimmetrica). Ovviamente la domanda da 700 miliardi di dollari è: come fa il governo a sapere quali sono i prezzi giusti? O, più esattamente, quali regole per l'acquisto deve adottare la nuova agenzia per evitare di pigliare fregature? E poi: veramente dobbiamo accettare le premesse fondamentali del piano? Non è meglio fare qualcosa di più, o di meno, o di diverso? In ciò che segue cercherò di raggruppare le diverse posizioni, seguendo l'aria di una vecchia canzone di Jannacci.

Quelli che il piano va bene così

Alcuni non si sono posti il problema, sostanzialmente dicendo: è un fatto che le MBS sono underpriced e il governo può con relativa facilità approfittare della situazione. Alla fine si sarà evitato il collasso finanziario e il costo per i contribuenti sarà ridotto. Il rischio di una crisi è troppo alto per farsi distrarre da dubbi. Su questa linea si è espresso il noto giornalista economico Robert Samuelson. Posizioni simili le trovate in questo articolo del WSJ di Andy Kessler, un practitioner. Sul lato più strettamente accademico segnaliamo invece un articolo anonimo sul blog di Greg Mankiw (che sulla vicenda non si sta sbilanciando) e articoli di Anne Krueger e Robert Shiller sul Washington Post. Shiller a dir la verità è un po' più articolato. Da un lato dice che l'intervento non sarebbe niente di straordinario, dato che anche negli USA si sono spesso visti nel passato simili interventi, e dall'altro sostiene l'opportunità di emettere nuovi tipi di strumenti finanziari che proteggano il comune cittadino contro i rischi macroeconomici, un suo vecchio cavallo di battaglia.

Quelli che i dettagli del meccanismo di vendita sono importanti.

La principale proposta per determinare i prezzi delle securities è quella di usare qualche tipo di asta (non credo valga la pena di spiegare ai lettori quali sarebbero i pericoli di lasciare discrezionalità ai gestori del fondo pubblico). Bernanke ha indicato che le securities verranno comprate mediante reverse auctions, ossia aste in cui il compratore annuncia di voler acquistare una data quantità di un certo tipo di titoli ed i venditori che intendono vendere i medesimi titoli offrono i prezzi a cui sono disposti a farlo. Nel caso vengano offerti per la vendita più titoli di quelli che si intende acquistare il prezzo ovviamente scende, creando un incentivo per i venditori (le banche, in questo caso) ad abbassare il piu' possibile il prezzo sui titoli di cui intendono disfarsi (vedere anche qui, per dettagli).

Dubbi sull'efficacia di tali aste sono stati avanzati, tra gli altri, dalla commentatrice Megan McArdle, dalla impresa di consulenza economica NERA e da Larry Ausubel e Peter Cramton, due prominenti teorici delle aste. A parte il fatto che le aste potrebbero richiedere troppo tempo, il problema principale è che quando esiste informazione asimmetrica in queste aste c'è il rischio che al compratore vengano rifilate, ad un dato prezzo, proprio le MBS che valgono meno, quelle che raggruppano mutui più in sofferenza. Ausubel e Cramton suggeriscono pertanto di specificare il tipo di security il più possibile (ossia, fare molte differenti aste e non una singola grande asta). Consigliano inoltre di specificare in anticipo che le securities comprate dal tesoro verranno rivendute in un dato ammontare di tempo, e che le banche venditrici verranno multate se i prezzi scenderanno. Per esempio, supponiamo che il Tesoro compri da Chase una MBS con valore nominale 100 a un prezzo di 30. Se i mutui che stanno dietro la MBS non falliscono e i pagamenti continuano, tra un anno la MBS varrà di più. Se invece i pagamenti si interrompono la MBS varrà meno, e il tesoro sospetterà che Chase sapesse che tale MBS era a rischio ed ha tirato un bidone. La proposta di Ausubel e Cramton è che in tal caso il Tesoro rivenda la security con un'altra asta e chieda a Chase di pagare almeno per parte della riduzione di prezzo. Non so se questo meccanismo verrà adottato, ma è un buon modo di ridurre il problema di informazione asmmetrica.

Quelli che il problema è dare alle banche nuovo capitale.

Se il Tesoro riesce veramente a comprare a buon prezzo le MBS questo può non essere sufficiente a risolvere il problema. Dopotutto, la crisi è nata dal fatto che queste MBS non le vuol comprare nessuno e potrebbero veramente avere un valore molto basso. In tal caso l'acquisto governativo delle MBS, pur costando poco al contribuente, non risolverà il problema della sotto-capitalizzazione delle banche. La tentazione - del Tesoro e delle banche - è quella di risolvere il problema pagando le securities un prezzo sufficientemente alto. In risposta, vari osservatori hanno suggerito di affrontare il problema in modo diretto, mediante emissione di nuovi titoli sottoscritti dal Tesoro a prezzi di mercato. Lucien Bebchuk di Harvard ha scritto un paper in tempo reale sulla questione, riassumendolo poi sul Wall Street Journal. Una posizione simile è stata espressa da Glenn Hubbard, Hal Scott, e Luigi Zingales (Hubbard era candidato alla Fed, ma invece Bush preferì Bernanke; se non lo avete ancora visto guardatevi questo divertentissimo video) i quali, sostanzialmente, osservano che, dati gli enormi problemi di informazione asimmetrica nell'acquisto delle MBS, può essere più semplice e conveniente acquisire direttamente le banche anziché parte dei loro assets. Argomenti simili appaiono in un articolo a 5 firme (Diamond, Kaplan, Kashyap, Rajan e Thaler) di un gruppo economisti di Chicago BS. Un approccio simile venne seguito in Svezia, nel 1992, a fronte di una crisi bancaria analoga a quella osservata oggi negli USA.

Zingales ha anche suggerito un approccio più radicale: il governo dovrebbe intervenire d'imperio trasformando i debiti delle banche in capitale proprio, adottando di fatto una procedura di bancarotta accelerata. Questo risolverebbe i problemi di capitalizzazione delle banche senza alcun costo per i contribuenti.

Ovviamente dare soldi alle banche crea importanti problemi di moral hazard, per cui se l'operazione viene fatta occorre evitare che gli attuali managers e azionisti delle banche ne traggano profitto. Molti managers hanno perso il posto, per gli azionisti la ''punizione'' dovrebbe essere la sospensione dei dividendi. Molti degli interventi sopra citati affrontano il problema. Christopher Dodd, senatore democratico capo del Banking Committee, ha prodotto un piano alternativo a quello di Paulson che incorpora alcune di queste idee. Il risultato finale sembra essere un compromesso tra i due piani (ricordate che i democratici hanno la maggioranza sia al Senato che alla Camera).

Quelli che propongono altre soluzioni.

Nouriel Roubini - il quale da tempo sostiene che, a causa del livello di indebitamento delle famiglie, il problema è ancora più grave ed esteso di quanto oggi appaia - ha proposto un piano in 10 punti. Oltre all'idea di ''debt for equity'' discussa nel punto precedente, Roubini propone un intervento a favore delle famiglie indebitate, in modo da evitare il risorgere di fenomeni di insolvenza in altri settori, come ad esempio le carte di credito.

Infine, un'ultima variante proposta da Jeff Ely, un micro

theorist di Northwestern, va come segue: se i mutui sono la radice del problema,

perché non intervenire direttamente su di essi? I soldi del tesoro possono essere usati

direttamente per acquisire i mutui in sofferenza; il governo si sostituisce ai mutuatari, acquisendo la proprietà delle case e lasciando

gli occupanti dentro in affitto. Questo ridurrebbe i problemi sul lato

dei mutui e alla fine aiuterebbe anche le banche. Michele (che continua a promettere un terzo intervento che non spunta mai) ha proposto la stessa cosa l'altro giorno, in un suo commento.

A mo' di conclusione.

Un accordo sul piano sembra essere vicino, ed è atteso che vari elementi del dibattito emerso in questi giorni verranno incorporati. A quel punto probabilmente inizierà una riflessione più attenta sulle cause che hanno portato alla crisi. Inoltre, quasi tutti affermano che l'attuale regolamentazione degli intermediari finanziari è insufficiente, ma non sembra che ci siano idee molto chiare su come riformarla. Si tratta quindi di un tema destinato a essere discusso in abbondanza.

 

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Commenti

Ci sono 2 commenti

Sul sito www.prudentbear.com (in particolare nella rubrica credit bubble bulletin),

è da alcune anni che viene analizzata, con mumerosi dati, l'enorme crescita del debito in tutti i settori.

 

La ragione per cui la crisi finanziaria desta tanta preoccupazione è che c'è il timore che essa si ripercuota sul livello di attività reale. I due canali pricipali, per quel mi è dato capire, sono a) la crisi finanziaria può condurre a un ''credit crunch'', impedendo alle imprese di ottenere i fondi per finanziare i propri investimenti e ai consumatori di finanziare i propri acquisti b) il crollo dei valori degli assets (finanziari e reali, in particolare le case) può condurre a un effetto ricchezza che spinge i consumatori a ridurre i livelli di consumo.

Almeno per quanto riguarda il primo punto ho trovato molto interessante un post del blog Marginal Revolution, che è sempre stato scettico sulla reale entità del credit crunch. Il post è basato su questo instant-paper di alcuni economisti di Minnesota. La tesi del paper è presto detta.

 

The fi…nancial press and policymakers have made four claims about the nature of the crisis.

1. Bank lending to non…financial corporations and individuals has declined sharply.

2. Interbank lending is essentially nonexistent.

3. Commercial paper issuance by nonfi…nancial corporations has declined sharply and

rates have risen to unprecedented levels.

4. Banks play a large role in channeling funds from savers to borrowers.

Here we examine these claims using data from the Federal Reserve Board. At least

based on data up until October 8, 2008, we argue that all four claims are false

 

Non è che qualcuno dei nostri lettori con facile accesso a dati simili per l'Italia può controllare se anche da noi i miti sono falsi?