Le leggi e Mark Twain

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Dove si danno dei suggerimenti al Ministro Calderoli.

 

La farraginosità dell’apparato normativo di ogni ordine e grado del Bel Paese è un dato che possiamo dare tranquillamente per acquisito. Alla sua semplificazione è impegnato l’alacre Calderoli. Si tratta di un’impresa titanica alla quale va la riconoscenza di tutti. Quale segno tangibile di apprezzamento per i suoi meritori sforzi, viene qui offerto un piccolo contributo che trae spunto dalla seguente domanda: le norme che non verranno eliminate dal machete di Calderoli si capiscono? Hanno senso compiuto? Sono scritte in una lingua intellegibile? Un piccolo esperimento ci permette di dubitarne.

Il recente codice del consumo si propone l'ambizioso compito di salvaguardare il consumatore che incappa nei callidi stratagemmi orditi da perfidi venditori (il professionista nel linguaggio del codice). All'articolo 24 si spiega cosa è una pratica commerciale aggressiva (PCA).

 

È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

 

Un solo periodo di 74 parole, con 6 virgole distribuite con studiata fantasia.

Se il professionista di buona volontà cerca di evitare una PCA si domanderà cosa significa. Quindi inizierà a leggere con attenzione il testo, separando logicamente le proposizioni che vi sono contenute.

 

E' considerata aggressiva una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso,

 

Ohibò! Questo significa che se il professionista vuol sapere quando è che rischia di mettere in atto una PCA la risposta è: dipende.

 

mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento,

 

Questo significa che se il professionista vuol sapere in che modo si può commettere una PCA, ovviamente per starne alla larga, la risposta è: con qualunque mezzo gli capiti fra le mani. Se però pensa di farla franca, costringendo qualcuno a colpi di mazza ferrata ad acquistare un mobile per la cucina, contando sul fatto che con la mazza ferrata non si esercita né molestia né coercizione, ebbene no, questo disdicevole comportamento è una PCA. Del pari, se l’acquirente ancora non si decide a portarsi a casa l’asciugacapelli color malva talpa che da mezz'ora gli viene tenacemente proposto, il professionista non può impunemente avvicinarsi alla sua fiammante auto nuova, facendogli immaginare quale sarà il prossimo uso dell’acuminato punteruolo con il quale sta giocherellando: anche quest’altro disdicevole comportamento è una PCA.

 

limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamentodel consumatore medio in relazione al prodotto

 

Questo significa che se il professionista si interroga su quali effetti vengono presi in considerazione dalla norma, per stabilire se il malcapitato è vittima di una PCA, la risposta è: praticamente tutti. L’approccio universale qui raggiunge altezze vertiginose. Una PCA limita sia in astratto sia in concreto, e quindi sempre, tanto la libertà di scelta che quella di comportamento. E tuttavia per evitare l'abisso nel quale il professionista si sente sprofondare, si butta là, con abile understatement, un avverbio – considerevolmente - che ridà al fenomeno una dimensione molto discrezionale, ma fortunatamente anche molto umana. Dopodiché, con solo 6 parole, “consumatore medio in relazione al prodotto”,si introduce un contenitore semantico di straordinaria potenza espressiva e concettuale che ha l’indubbio vantaggio di potersi applicare tanto ai servizi funebri come ai taglierini per le unghie, e tuttavia sprovvisto del più elementare contenuto operativo. O peggio - oppure meglio, dipende dalle preferenze specialmente se uno fa l'avvocato – trattandosi di criterio totalmente indeterminato si consente, ancora una volta, il massimo della discrezionalità a chi è chiamato a darle contenuto concreto, e si lascia nel massimo dell'incertezza chi intendesse ottenere dei lumi su quello che può o non può fare. E per finire

 

e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

 

Questa é l'apoteosi della visione universale. Il consumatore medio di cui sopra, quello desideroso di un asciugacapelli medio, avrebbe voluto comperarne uno di un colore medio (verde? celeste? chissà?), ad un prezzo medio e così via mediando. Forse avrebbe voluto comprare degli straccali, e invece si é portato via l'asciugacapelli. Forse voleva fare solo il filo alla prosperosa commessa che ha intravisto dalla vetrina, o forse voleva fare solo due chiacchiere. Chissà.

Le leggi non vanno scritte in questo modo insensato e ridicolo. Il primo passo per farle rispettare consiste nello scriverle in modo comprensibile. Calderoli fa bene a usare il machete per disboscare l'impenetrabile boscaglia di leggi che ci affligge, ma non deve dimenticarsi di impartire precise istruzioni di chiarezza e semplicità a chi quelle leggi le scrive. In proposito gli suggeriamo di rendere obbligatorie le sette regole che Mark Twain consigliava agli scrittori, ma che valgono anche per i drafters delle leggi:

1. Dì quello che vuoi dire senza girarci intorno

2. Usa le parole giuste e non un loro parente prossimo

3. Non usare più parole del necessario

4. Non omettere i particolari importanti

5. Evita la sciatteria

6. Fai buon uso della grammatica

7. Usa uno stile semplice ed immediato.

Quest'articolo della legge le viola tutte e 7. Provare per credere. L'esercizio può essere ripetuto, con analoghi risultati, molte altre volte, c'é solo l'imbarazzo della scelta. Sarebbe ora di cominciare a seguire Mark Twain.

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Commenti

Ci sono 18 commenti

Proviamo il gioco: chi semplifica di piu' senza cambiare "considerevolmente" la legge.

 

 

È

considerata aggressiva una pratica commerciale che, mediante molestie, coercizione, o indebito condizionamento, possa limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore inducendolo  ad assumere una

decisione che non avrebbe altrimenti preso.

 


L'eliminazione di "decisione di natura commerciale", con "decisione" senza aggettivi o altre definizioni mi piace assai.

Si parte considerando "una pratica commerciale" e "il consumatore", ma la "decisione" del consumatore non é limitata all'ambito commerciale e si potrebbe quindi estendere all'ambito elettorale (Tv commerciale => spot elettorale e simili => consumatore/elettore => decisione/voto che non avrebbe altrimenti preso).

Però dubito che Calderoli approverebbe: troppo semplice.

 

Assumendo che voglia dire una cosa sensata:

 

È

considerata aggressiva una pratica commerciale che costringe il consumatore ad assumere una

decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. 

 

Assumendo che voglia dire quello che temo:

 

È

considerata aggressiva una pratica commerciale che fa concorrenza ai membri di una corporazione protetta.

 

Condivido l'intento del post: penso che le leggi oscure, così diffuse, rivelino una mentalità illiberale.

Devo però osservare che nel blog, ultimamente, ci stiamo arrovellando in categorie ottocentesche che non ci fanno vedere del tutto il problema.

Nel precedente "Federalismo Vs Indipendenza" ci appuntiamo sul concetto di NAZIONE quando ad influire negativamente nella vita dei cittadini sono una serie di istituzioni inutili che fino ad un certo punto sono ascrivibili all'Italia-Nazione, derivando invece da  mentalità e comportamenti bizantini diffusi nel territorio.

Così adesso parliamo di LEGGE. Anche in questo caso, però, abbiamo una miriade di istituzioni che producono NORME (non leggi in senso stretto) che incasinano la vita di tutti, aggiungendosi o sovrapponendosi alla legge in senso stretto. Mi vengono in mente certi regolamenti del garante della privacy od il fatto che le finanziarie in mille commi vengono di fatto regolate dal ministero delle finanze con le sue circolari.

Insisto quindi che la pulizia va fatta eliminando, non riformando, ENTI, ORGANI, STRUTTURE.

 

Limitare la libertà di scelta del consumatore e indurlo ad assumere una decisione che altrimenti non avrebbe preso è una pratica commerciale aggressiva.

 

Domanda 1): la pubblicità è PCA?

Domanda 2): perché fra gli enti, organi e strutture che vanno eliminati e non riformati non dovrebbe esserci lo stato italiano?

Domanda 3): perché non si punisce semplicemente il "falso" (la truffa, eccetera) commerciale o pubblicitario?  Ossia, perché non basta il codice civile?

 

1) in effetti il concetto è vago e, anche snellito come dai commentatori sopra, si rivelerebbe inutile, toccando fattispecie che vanno dalla truffa alla pubblicità. Non sono sicuro ma messo nel codice del consumo serve per applicare alcuni diritti stabiliti dalla legge a favore del consumatore. E' un modo confusionario di dare diritti o sanzioni.

2) per eliminare lo stato italiano dovremmo dire che la costituzione è illegittima: a prescindere dalle varie opinioni (io penso che sia legittima) è comunque un processo costoso. Riformando poco più di un articolo della costituzione invece potremmo eliminare il Senato della Repubblica dimezzando -almeno- i costi del potere legislativo e trasformando Palazzo Madama in uno splendido auditorium. Si tratta di scegliere la strada più razionale. E seguirla.

3) la truffa è nel codice penale, il codice Rocco, un esempio di una legge che, tolta qualche stortura ideologica o sessista ha finora funzionato egregiamente. Sono d'accordo: il problema è che la nostra mentalità e la nostra tradizione giuridica ci spingono continuamente a pensare che le norme vadano discusse, chiosate, interpretate. Basterebbe dire che vanno APPLICATE.

 

Provo a rispondere, rigorosamente IMHO: 

1) la pubblicita' non mi costringe (letteralmente parlando) a comprare un prodotto, quindi non e' PCA.

2) va benissimo, posto che si faccia nella maniera meno traumatica e piu' equa possibile. 

3) la PCA non riguarda necessariamente un falso: un'asciugacapelli puo' essere veramente bello, potente e poco costoso, e' PCA costringermi a comprarlo. E' vero comunque che costringere A a fare B senza che A voglia farlo sarebbe materia da codice civile.

 

EDIT: resta l'indeterminazione di come "ti costringo". Se sugli scaffali c'e' un solo prodotto o ce ne sono pochi? Se ti minaccio fisicamente? Se ti ricatto? Se ti sommergo di pubblicita' (fino a che limite, non si sa)? 

 

Seguo Sandro e semplifico ulteriormente:

E' considerata aggressiva una politica commerciale che limita fortemente la libertà di scelta di scelta del consumatore, inducendolo a prendere una decisione che altrimenti non avrebbe preso.

Perchè limitare i casi in cui la "aggressività" commerciale porta a scelte sbagliate ? La pubblicità ingannevole ? Se sono un tordo che vuole comprare un asciugacapelli e torno a casa con un TV Lcd perchè il commesso mi ha impapocchiato di chiacchere non sono vittima di "condotta commercaile aggressiva", ma se voglio un TV Lcd, entro e il commesso mi vede con mia moglie, mentre il giorno prima mi aveva visto con un'altra, e mi dice: "Dottò, per il SUO BENE, io comprerei quest'ultimo modello da € 6.000,00 in 300 comode rate" che dire ? Io volevo un TV lcd, ma mi bastava un 19".

 

Più che a una pratica commerciale aggressiva questo assomiglia ad una estorsione: "Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a se' o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno..."


 

 

lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

 

Mi pare che questa, presa alla lettera, metta fuori legge il mestiere di venditore, a meno che questi si limiti ad informare sul prezzo ed incassare.

 

Ammetto che dovrei fare un po' di studio su tutta la materia, ma francamente non riesco a vedere cosa la legge dica (malissimo) di diverso rispetto a quanto detto (chiaramente) dal codice civile:

 

Il contraente, il cui consenso fu dato per errore  estorto con violenza, o carpito con dolo, può chiedere l'annullamento del contratto (art. 1427)

 

 

L'errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile  dall'altro contraente (art. 1428)

 

 

La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questa materia, all'età, al sesso e alla condizione delle persone (art. 1435)

 

 

 Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato (art. 1439)

 

 

Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni (art. 1440)

 

E' l'ennesimo esempio di come è peggiorata la qualità lessicale delle nostre leggi.

 

 

 

 

Non è solo un problema di qualità lessicale: il codice civile, secondo la tradizione liberale, stabilisce un numero limitato di rimedi per qualsiasi soggetto (cittadino come imprenditore, consumatore, professionista etc), mentre il codice del consumo amplia i "rimedi" (riparazione, restituzione, risoluzione, risarcimento) ma li riserva ai soli consumatori.

Questo vale per tutte le leggi speciali. A noi piace la specialità o la generalità?

La crisi della codificazione è la difficoltà, in questa congerie di norme, di ritrovare una "generalità" che sia accettata come legittima da tutti i consociati. Per questo la cattiva legislazione è secondo me un indice della crisi più generale del contratto sociale.

 

Secondo me a quanto gia' scritto dal c.c. la norma aggiunge che non si puo' vendere a qualcuno tramite molestie. Definizione dal de Mauro 

Molestia: sensazione di fastidio, di disagio causata da qcn. o da qcs. che turbi la serenità, il benessere spirituale o fisico: procurarerecare m. a qcn.la m. delle zanzaredel caldo 

 

E cioe' alla coercizione, violenza, minacce, etc... aggiunge il caso del venditore che continua a romperti le scatole finche' non compri il prodotto, stile venditori ambulanti in spiaggia.  

Propongo che nella legge sulla semplificazione vengano adottati* i seguenti punti:

- ogni legge deve avere per estensore materiale un professionista della scrittura (significativo lo slittamento semantico tra writer e scrittore, neh);

- l'estensore viene pagato secondo un punteggio** che cresce in maniera inversamente proporzionale al numero di parole usate e al grado di complessità sintattica.

* (passivi, la passione dei burocrati)

** (mi propongo per creare la griglia su cui calcolare il punteggio: chiaramente aggettivi e avverbi affosseranno la cifra finale)

 

Cari economisti e non, 

molti dei rilievi da voi fatti sono pienamente condivisibili in sè, ma nessuno s'è accorto dell'origine delle disposizioni citate. Mi siano permessi brevi cenni al riguardo.

Come buona parte della legislazione consumerista, gli articoli del codice del consumo sulle pratiche commerciali scorrette hanno origine comunitaria: nella specie, si tratta della direttiva n. 2005/29/CE dell'11 maggio 2005 (G.U.C.E. L 149 dell'11 giugno 2005, si può leggerla sul sito EUR-Lex) che si proponeva di superare gli ostacoli allo sviluppo del mercato interno rappresentati dalle differenze nelle discipline della pubblicità ingannevole adottate dagli Stati membri in esecuzione della precedente direttiva n. 84/450 CEE. 

Secondo il legislatore comunitario, quelle differenze sarebbero fonte d'incertezze, tali da ostacolare la libertà di circolazione di servizi e merci e lo stabilimento di succursali fuori del paese d'origine; pertanto è parso necessario procedere alla completa "armonizzazione" della disciplina delle pratiche commerciali "sleali" (la legislazione europea, nella versione italiana, impiega questo aggettivo che il codice del consumo sostituisce con "scorrette").

Tutte le formule linguistiche prese in considerazione negli interventi che mi precedono sono derivate direttamente - minime sono le variazioni - da quelle impiegate nella direttiva europea; accanto ad esse se ne rinvengono molte altre, che - nel lodevole intento di offrire una "copertura" completa e coerente ad ogni possibile comportamento tale da distorcere il comportamento economico del consumatore medio (o, in certi casi, del consumatore "vulnerabile") - concorrono a costruire un pericoloso coacervo di strumenti di controllo dell'attività delle imprese che prestano servizi commerciali ai consumatori.

Le disposizioni del codice del consumo si aggiungono a quelle del codice civile, citate da alcuni, ma non è facile comprendere il loro rapporto reciproco: basti considerare che le pratiche vietate non attengono necessariamente alla fase precontrattuale (cioé alla presentazione del prodotto o del servizio) ma anche alla fase esecutiva, ciò che denota una maggiore ampiezza dell'area applicativa; per altro verso, la repressione delle pratiche scorrette non è affidata in via primaria alle corti (peraltro, il consumatore danneggiato potrebbe pur sempre rivolgersi all'Autorità Giudiziaria per ottenere l'annullamento del contratto o il risarcimento del danno, secondo i casi), ma all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ha il potere di vietarne la continuazione e di imporre sanzioni pecuniarie (si leggano, sul sito, i provvedimenti sanzionatori adottati in agosto nei confronti di diverse banche che avrebbero posto in atto pratiche scorrette per aggirare le disposizioni sulla "portabilità" dei mutui).

Pur senza approfondire il discorso, mi sembra di poter fare alcune osservazioni:

1 - non si mira a prevenire la concorrenza nell'interesse di categorie protette, ma piuttosto a prevenire forme di concorrenza sleale ... l'interesse dei consumatori a non essere "buggerati" è preso in considerazione solo indirettamente;

2 - la povertà espressiva delle disposizioni commentate non è imputabile direttamente al legislatore italiano, che è di fatto costretto a trasporre le direttive impiegando fedelmente il linguaggio impiegato in sede europea per non rischiare una procedura d'infrazione (anche se non dubito che, lasciato libero, non farebbe di meglio); 

3 - il problema più serio, che però non può essere trattato in un blog (sia pure qualificato), è quello evocato da marcomarkiori: la coesistenza di norme di portata generale, spesso d'ispirazione liberale classica (anche se emanate dal legislatore fascista ... meditate, gente, meditate), con altre di portata più ristretta, la cui ispirazione liberale è controvertibile. Quando queste ultime si organizzano a sistema - ancorché speciale - finiscono per esercitare un forte influsso sulla stessa applicazione delle prime, stravolgendone il senso: se il legislatore interviene per governare il rapporto tra diritto comune e diritti speciali, come è avvenuto in Germania pochi anno fa, la modificazione del primo avviene in modo trasparente, da parte di chi dovrebbe esprime una valutazione generale degli interessi in gioco; molto più pericoloso sarebbe un processo di "inquinamento" del primo da parte dei diritti speciali per effetto delle interpretazioni "fantasiose" dei Giudici o delle Autorità indipendenti.                        

 

Il codice civile, secondo me, risente dell'impostazione ideale, tipica dei "codici", quindi in una società litigiosa come la nostra i casi non tipicamente delineati danno adito a contestazioni, non vigendo lo "stare decisis" (anche la Cassazione cambia poi spesso giurisprudenza, fermo restando che spesso le sentenze sono contradditorie).

Da qui (forse) la necessità di delimitare le fattispecie ? Comunque rimane il fatto che in Italia le leggi sono spesso scritte con i piedi, ancor più spesso (troppo) rimanda a regolamenti di attuazione che manco i Borboni...

L'idea di dare un punteggio linguistico non mi sembra molto praticabile, magari ci scrivono su una legge con il suo bel regolamento di attuazione. Forse sarebbe meglio condensare le liti da Codice Civile in un'unica udienza (almeno quelle di scarso valore), davanti a un bel Giudice di Pace, snellendo la velocità dei processi (e qui Axel Bisignano ci potrebbe dare qualche altra idea) al massimo potremmo abbassare la litigiosità ed evitare di regolare anche il volo migratorio degli uccelli.

 

Qualche secolo fa, scriveva chi, in fatto di Leggi, e non solo, se ne intendeva:

Lo stile delle leggi dev'essere semplice (...). Quando lo stile delle leggi è gonfio, non si possono considerare che come opere di ostentazione (...). 

Immagino che, al Legislatore italiano - e forse non solo a quello italiano! -, di qualunque colore politico, fischino le orecchie...!!! 

 

E ancora:

 

            Le leggi non devono essere sottili; (...); non sono un'arte di logica, ma il semplice senno d'un padre di famiglia (...).

 

Infine:

 

           Quando, in una legge, le eccezioni, limitazioni, modificazioni non sono necessarie, è molto meglio non metterne (...).

 

Per tutte le citazioni, cfr., Charles-Louis de Secondat de Montesquieu, Lo spirito delle leggi, Milano, BUR, 2003, Vol.II, Libro XXIX, pp. 939; 941.

 

Già Indro Montanelli *, un po' di anni fa, ricordava come, dalle nostre parti, Montesquieu non godesse certo di buona salute...!  :)

 

_________________________ 

* Non è mai carino attribuirsi meriti che non ci spettano! Perciò, mi sembra corretto dire che, l'editoriale di Montanelli, mi è stato segnalato, un po' di mesi fa, da una nota, e bravissima penalista del mio Distretto. Non ama essere citata, ma trovo doveroso ringraziarla.