Letture per il fine settimana, 2-7-2011

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Questa settimana: il welfare state negli USA; università per le masse; Vendola e l'acqua; Google perde una causa;la patrimonialina nella manovrina.

Buona lettura e buon fine settimana.

  • Yonatan Ben-Shalom, Robert Moffitt e John Karl Scholzriassumono su vox.eu i risultati delle loro indagini empiriche sull'estensione delwelfare state negli USA. Risulta che la natura dell'assistenza ai poveri è cambiata abbastanza negli ultimi venti anni, ma non sembra essersi ridotta.
  • È ovvio che i redattori di questo blog hanno un conflitto d'interessi quando si tratta di promuovere l'educazione universitaria. Ma, hey, ci sono conflitti d'interessi peggiori e comunque noi lo diciamo subito. Detto questo, segnaliamo l'articolo di David Leonhardt sul New York Times riguardo all'opportunità di estendere il più possibile l'educazione universitaria (anche se la tesi che il ritardo in Europa nel rendere obbligatoria la scuola superiore sia dovuta principalmente alla nefasta influenza di intellettuali snob lascia un po' perplessi).  Lo studio originario sul rendimento dell'investimento in educazione universitaria lo trovate qui.
  • Hanno generato una certa maretta le dichiarazioni di Vendola sul fatto che le tariffe dell'acqua non verranno abbassate in Puglia (mica si può ''precipitare nei burroni della demagogia''). L'articolo del Corriere è un po' buffo perché sembra fare abbastanza casino, non si capisce se dovuto a Vedola o al giornalista, tra un possibilie taglio delle tariffe del 7% e la mancata remunerazione del 7% del capitale. L'impressione è da un lato che vi sia una fondamentale incomprensione della nozione di ''remunerazione del capitale'' e dall'altro che a volte gli enti locali facciamo veramente cose strane. Un prestito in sterline? Mah. Comunque, le dichiarazioni sono state variamente riprese, per esempio da Linkiesta, Phastidio e Francesco Costa. Di quest'ultimo segnalo una perla nei commenti, che rischia altrimenti di passare inosservata: Luca Martinelli, del comitato per il SI, che dichiara che non c'è stata nessuna propaganda del fronte del sì al referendum in merito al 7% come “guadagno garantito”. Si può sempre contare su certa gente per una bella risata.
  • Google autocomplete suggerisce di aggiungere "truffatore" al nome di un imprenditore e perde la causa al tribunale di Milano.
  • Tra il comico e il tragico. Phastidio commenta la novissima imposta che dovrebbe colpire i poveri cristi cattivi speculatori. Se ne era già parlato nei commenti all'articolo che onorava nel titolo alcuni musicisti ormai in tarda età.
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Commenti

Ci sono 125 commenti

Sono giorni che due cose mi girano vorticosamente come le pale di un elicottero, colgo l'occasione per chiarire le vicende "acqua", oltre che di Vendola anche di Hera.

1. Il referendum ha abolito l'obbligo di calcolare in bolletta  il 7% come utile garantito sul capitale investito. Per il futuro. Tutti i contratti con gli  ATO in vigore, quindi con una tariffa già decisa NON possono essere rivisti, almeno fino allo scadere del contratto stesso, e non si deve essere giuristi per saperlo, quindi Vendola, anche se avesse voluto, NON può riguardare le tariffe già concordate con l'Acquedotto Pugliese.

2. La legge, all'italiana, stabiliva "capitale investito", senza specificare se capitale proprio o di terzi, l'AD di Acquedotto Pugliese intende (come farebbe qualunque imprenditore) il 6,92% di interesse come un costo, non come una renumerazione di capitale proprio. Ditemi dove sbaglia.

3. La peggiore mistificazione è su Hera: il 3.5% di aumento delle  tariffe non è per il mancato riconoscimento del 7% (gli viene riconosciuto un 5% sui futuri investimenti), ma perchè Hera aveva concordato una tariffa con gli ATO emiliani basandosi su un dato consumo idrico, che non c'è  stato.

Allora è andata all'ATO di Bologna e ha detto: ho sbagliato i miei calcoli,dammi di più, e l'intreccio perfetto fra controllante e controllato (entrambi del PD, il Comune di Bologna è azionista di Hera) ha generato l'aumento, invece di un bel calcio nel sedere con il cartello: se non sai fare il tuo mestiere (calcolare l'acqua) cambia mestiere. Adesso cambiamo lo scenario: avesse vinto il NO al posto di Hera si siede Marco Esposito e dice: ho bisogno di un aumento delle tariffe, qui ci sono XXXX euro per voi. E allora addirittura potreste ringraziare l'esistenza di un conflitto di interessi (da nessun liberista notato..) a dir poco sconcertante che c'è in Emilia Romagna.

La Ronchi faceva schifo per tutti i nodi irrisolti, che il referendum ha mitigato, ma non cancellato: mancanza di un regolatore esterno e mancanza di indicazione dei meccanismi di gara. Il referendum non ha cancellato queste mancanze, ha evitato che se ne avvantagessero i soliti noti.

I presunti liberisti nostrani anzichè mistificare e disinformare, distorcendo la realtà, parlassero invece della mancanza dei meccanismi di gara e controllo, e facessero la battaglia per questo, e non per Vendola, che le tariffe non le può  modificare nemmeno se volesse.

 

 

Marco, tutto perfetto e condivisibile. Ma tu continui da settimane a battere un tasto: quello della definizione di capitale investito. Tu lamenti che non viene specificato se questo capitale investito è proprio o di terzi. Ebbene, vedo che non riesci a comprendere che "capitale investito" è il mix di capitale proprio e di terzi. As easy as that. Quella è la definizione da libro di testo di capitale investito. Da lì consegue il concetto di remunerazione di capitale investito, che è il costo medio ponderato del capitale, anche se tu insisti da settimane a definirla "utile garantito". E non è utile garantito, nemmeno a piangere. Quel 7 per cento è il costo di un fattore chiamato capitale investito. Possiamo continuare fino al giorno del giudizio, possiamo opinare sul valore del 7 per cento (Carlo Stagnaro ha già segnalato che in alcuni ambiti quel valore dovrebbe essere superiore, in altri inferiore) ma quella non è una rendita. Guardala così, semplificando: AQP ha finanziato parte dei propri investimenti con un bond in sterline al costo del 6,92%. Non ha usato mezzi propri, quindi il capitale investito è pari a 0% mezzi propri e 100% mezzi di terzi (debito). Quindi il 6,92% è il costo medio ponderato del capitale investito. In tariffa va il 7% del capitale investito, quindi AQP è in equilibrio reddituale su quella tranche di investimenti. Spero che così sia più chiaro, perché questo malinteso dovremmo veramente sforzarci di rimuoverlo. Basta un bel testo di base di corporate finance (tipo il Damodaran) per arrivarci.

 

 

 

 

Allora è andata all'ATO di Bologna e ha detto: ho sbagliato i miei calcoli,dammi di più, e l'intreccio perfetto fra controllante e controllato (entrambi del PD, il Comune di Bologna è azionista di Hera) ha generato l'aumento, invece di un bel calcio nel sedere con il cartello: se non sai fare il tuo mestiere (calcolare l'acqua) cambia mestiere. Adesso cambiamo lo scenario: avesse vinto il NO al posto di Hera si siede Marco Esposito e dice: ho bisogno di un aumento delle tariffe, qui ci sono XXXX euro per voi. E allora addirittura potreste ringraziare l'esistenza di un conflitto di interessi (da nessun liberista notato..) a dir poco sconcertante che c'è in Emilia Romagna.

 

Oh, ma non eri tu che volevi votare "si'"?

In Emilia-ROmagna noi possiamo insegnare alla mafia come si mette su un sistema di potere senza bisogno di sparare o mettere bombe.

Quando si dice che c'e' un terribile conflitto di interessi, tra l'altro, non sono solo interessi economici: i vertici dell'ARPA (l'agenzia che controlla la qualita' dell'acqua degli acquedotti) sono nominati dalla Regione, in cui comanda il PD. Secondo te, l'ARPA andra' mai a dire in giro che l'acqua di Hera (controllata dal PD) non e' piu' che buona?

 

Notizia molto interessante questa su Google, ma da profano non sono certo di come interpretare la cosa. A prima vista sembrava uno scandalo, una patetica dimostrazione di analfabetismo informatico, ma a leggere la sentenza le motivazioni appaiono non dico giuste, però plausibili sì.

Universita' per le masse, articolo in inglese con delle verita' molto ben descritte. Troppo comodo fare gli snob e dire che le masse perderebbero tempo e soldi andando a studiare. Mi piace soprattutto l'affermazione " solo il fatto di imparare l'arte di applicarsi e perseverare e' un valore che rende tanto quanto il corso di studi intrapreso all'universita'" (traduzione a braccio mia dopo aver chiuso il link e a memoria) grazie davvero per la segnalazione

Riguardo al rendimento economico dell'istruzione universitaria, di Greenstone e Looney, esistono studi simili che utilizzano dati europei?

 

 

Ragazzi, vedo solo ora che proprio non ci arriviamo. Ha vinto Marco Esposito 100 a zero (come dice Michele, molto analiticamente), e io sono felice per la vostra modellizzazione. La realtà si incaricherà di fare il resto, come sta già accadendo. Lavoro da anni sulle obbligazioni corporate delle utilities, incluso il valore al quale i mercati posizionano il Wacc, che resta cocciutamente in un intorno del 7 per cento (questi cattivoni di mercati non hanno capito che il Wacc di un monopolio naturale regolato deve essere a zero, che diamine!), ma tutti i vostri concetti accademici mi sono sfuggiti. Sono proprio un maneggione, evidentemente. State bene, modellisticamente parlando. E buone rendite a tutti.

 

Ah, ultima cosa: il rischio zero non esiste, perché occorre aggiungere una cosa chiamata regulatory risk, che incide sul costo del capitale. 

 

 

Lavoro da anni sulle obbligazioni corporate delle utilities, incluso il valore al quale i mercati posizionano il Wacc, che resta cocciutamente in un intorno del 7 per cento (questi cattivoni di mercati non hanno capito che il Wacc di un monopolio naturale regolato deve essere a zero, che diamine!)

 

Dev'essere un po' di tempo che, tra un editoriale ed un altro, non controlli gli screens dei rendimenti allora. I quali rimangono, cocciutamente, a due passi da quelli risk-free.

"Ah, ma quelli sono tax-free!" - dirà l'esperto practitioner. Right, ma siamo anche in un periodo di storicamente altissima ed inusuale rischiosità del debito delle municipalities e di particolari sforzi (noti anche come QE1, QE2, ...) della Fed di appiattire i rendimenti sul debito federale. In periodi normali e neanche tanto lontani il rendimento nominale su un muni tende ad essere leggermente inferiore a quello sui treasuries.

Bottom line: rischio zero, fatto salvo quello d'inflazione legato alla maturità del titolo.

Ora buon lavoro a tutti quelli che si dedicheranno a trovare contro-esempi a questa stranota (solo agli accademici) e banale (ma solo per gli accademici) regola pratica generale. Con adeguato sforzo si troveranno i controesempi, ma occhio a guardare sempre e solo ai titoli a 20 o 30 anni per cercare di trovare un numero che assomigli al mitico 7% ... dopo, quando tutti avranno scoperto che le utilities non si finanziano solo a venti o trent'anni ma anche a sei mesi, magari discutiamo anche di wacc reali, anziché di wacc immaginari.

P.S. "Arrivarci" per "arrivarci": è tanto difficile arrivare a capire che il punto in discussione NON è la legittimatà di di remunerare il capitale ma, piuttosto, il fatto che la Ronchi è legislazione fatta con il culo da gente che o non ci arriva o, quando arriva, arriva ad altro? Ossia a preparare il terreno legale per fare regali agli amici degli amici, come ora ho scoperto essere il caso del famoso buono pugliese? Visto che hai scelto tu questo livello: è proprio tanto difficile arrivarci e magari ammetterlo?

Lavoro da anni sulle obbligazioni corporate delle utilities, incluso il valore al quale i mercati posizionano il Wacc, che resta cocciutamente in un intorno del 7 per cento

Mario, se e' cosi' allora perche' non lo lasciamo fissare ai mercati (cioe' al regolatore prendendo a riferimento il Wacc di mercato) quel numero invece di scriverlo in una legge, decreto o quello che e'(ra)?

Non e' una domanda retorica, e' che vorrei veramente capire questo punto. E' il punto di Marco Esposito, ed e' anche il motivo per cui ho votato SI a quel quesito (mentre ho votato no all'altro).

 

Vorrei associarmi a quanto scritto da Corrado Ruggeri, poco più di un'ora fa.

Neppure mi azzardo ad entrare nel merito della discussione, tra michele boldrin e Mario Seminerio. La discussione è ad un livello tecnico piuttosto elevato, per le mie scarsissime cognizioni in materia. Però, vorrei poter dire che qui dibattono due studiosi, ugualmente preparati e intelligenti. E, cosa non da poco, a nessuno asserviti, mi sembra. Studiosi con formazione, forse, in parte o in buona parte, differente. Ma, la cacofonìa, non è forse una parte dell'anima di nFA?

Perciò, a chiusura di queste mie baggianate, lunga vita sia a michele boldrin, che a Mario Seminerio. 

 

Vorrei prendere e raddoppiare  l'esortazione di Corrado Ruggeri e Salvatore Stefano ad abbassare i toni. Sono intervenuto in questo dibattito all'inizio perche' mi pareva che i termini di una questione fondamentale in economia, cosa sia una rendita, non fossero chiari. E' il mio lavoro, insegnare queste cose, e quindi .... Mi sembrava anche che Mario stesse addebitando a Marco errori logici che io non vedevo. Immaginavo che il tono un po' agitato fosse dovuto a trascorsi dibattiti su questo sito ed altrove. Mario sembrava esasperato - probabilmente da decine di dibattiti sul referendum. 

In questi casi, io credo che nostro compito, a nFA, sia di riportare la questione sull'aspetto tecnico, se possibile. In questo caso era facile. Mi pare che siamo tutti d'accordo: la questione e' quanto rischio ci sia nel costo del capitale di una utility (se c'e', la sua remunerazione non e' una rendita). Di questo si sta discutendo - questione tecnica che non richiede insulti o accuse di non conoscere CAPM o di averlo dimenticato, ne' voti ai contendenti.

Se su questo concordiamo tutti, veniamo alla questione del rischio. C'e' o non c'e'? Quanto? Michele dice, non c'e' rischio - e a prova della sua affermazione adduce due "pezze" di dati: i) che il 6.92% dei bondi di AQP e' dovuto a rischio artificialmente inserito nella struttura dello strumento finanziario (la questione di quello che ML fa col fondo), ii) che i Municipal bonds negli Stati Uniti tipicamente raccolgono fondi al risk-free rate. 

Da qui si parte. Si accettano argomentazioni contrarie.  Mario sembra averne uno di argomento  che i Municipal bonds non siano il confronto giusto, ma io tra gli insulti reciproci non l'ho capito. Vorrei sentire questo ed altri. 

 

Proviamoci. Io sono innocente, non credo aver insultato nessuno.

1. Per come è la descrizione del bond, a me sembra che il rischio artificiale inserito vada nella direzione contraria a quello che dice Michele. Il tasso effettivo atteso mi sembra superiore al 6.92%, che è il tasso cedolare.

2. Visto che sono stati portati dati sulle utilities USA, c'è questa stima di Damodaran. Cost of equity for the Water Utilities sector: 6.79%. Questo credo sia paragonabile al link sui municipal bonds di sopra, che sono relativi al cost of debt.

Ho seguito i vari commenti sul wacc,c'è anche chi (finalmente), si domanda: ma nel 1996 quali erano le condizioni ? Comunque nessuno coglie il punto fondamentale, tutti a disquisire su 7 è giusto, sì, no, però, ma forse, ma nessuno dice : è un numero a caso. Ecco lo dico io, 7 è un numero a caso del 1996, e anche se fosse il numero giusto rimane a caso. Così come è a caso la combinazione del Superenalotto che dà il titolo al mio commento, che fra 15 anni potrebbe esseere quella vincente, così come il numero 7 scelto nel 1996 è giusto (forse, sì, ma ,però..) nel 2011.

Il 7 (is  a magic number ?) ci distoglie dal vero dibattito: come renumerare il capitale di terzi in un monopolio naturale ? Ci sono rischi regolatori ? (beh, la decisione di rivedere gli incentivi "ventennali"alle rinnovabili, a occhio mi sembra un assist per chi pensa che ci siano, in Italia, dei rischi del regolatore politico, altra cosa se è un'Autorità indipendente). Ma questo, mi sembra, si può discutere, non la combinazione vincente del Superenalotto che vi ho fornito tramite Antonio Di Pietro e le sue doti divinatorie.

Ovviamente in caso di uscita della combinazione facciamo fifty-fifty.

 

Il 7 (is  a magic number ?) ci distoglie dal vero dibattito: come renumerare il capitale di terzi in un monopolio naturale? Ci sono rischi regolatori ?

Il 7 non distoglie ma ci rende concreto il dilemma. Comunque, in un sistema dove le tariffe si stabiliscono prima di erogare il servizio, queste devono contenere tutte le voci ragionevoli di costo, compresa la remunerazione del capitale che anche in un monopolio è di rischio, se pur minore di un indice azionario. Oltre all’inflazione, il cui rischio si può attenuare con indicizzazioni delle tariffe, vi sono rischi legati a variazioni della domanda (se cala non si può ricalcolare la tariffa ex post), scioperi, incidenti non assicurabili etc, che non stati previsti quando si è fissata la tariffa. Il modo più semplice, ma non l’unico, è quello di stimarne la remunerazione media del settore in relazione al rendimento di titoli risk free e a quelli di capitali di rischio di mercato.  Ad esempio, con il CAPM si può stimarne il Beta. Se il Beta è maggiore di uno, ciò vuol dire che la remunerazione sarà maggiore di quella media dei capitali di rischio; se Beta è compreso tra zero e uno, la remunerazione sarà tra il rendimento risk free e quello di mercato. Se il Beta è negativo, allora il rendimento medio atteso è inferiore a quello risk free.  Su internet vedo che sono state fatte molte stime del Beta per le public utilities, e questo Beta è sempre sotto l’uno (infatti sono investimenti meno rischiosi). Per le water utilities il Beta stimato è quasi sempre inferiore a 0.5, cioè il rendimento medio atteso è inferiore a quello medio dei capitali investiti in azioni quotate, ma non è risk free.  Quindi questo metodo, pur in questa versione semplicistica, tiene conto della minor rischiosità di un settore monopolistico. Ovviamente se i dati per stimare il beta si riferiscono a una realtà dove le modalità e la frequenza delle revisioni delle tariffe garantiscono più o meno la remunerazione del capitale rispetto al caso in questione, allora il Beta andrebbe aggiustato di conseguenza. Per il capitale di debito, invece, la remunerazione è inferiore a quella del capitale di rischio, e i problemi sono più legati a evitare un eccessivo leverage. Il Beta comunque, come suggerito da Andrea Moro, potrebbe essere anche oggetto della gara. La scelta della frequenza con cui adeguare il tasso di remunerazione del capitale (una volta ogni dieci anni o ogni anno?) è un problema minore credo, ma che ha comunque delle conseguenze. Non tutti gli investitori hanno le stesse preferenze.

Il regulatory risk mi pare un concetto teorico che si sostanzierebbe in una ipotetica modifica in corsa delle regole. Quantitativamente mi pare poco, tenuto conto del fatto che sia in Italia sia internazionalmente ci sono delle norme che impediscono cambi in corsa sugli investimenti già effettuati. In ogni caso il Beta dovrebbe scontare pure questo. Sugli investimenti futuri, invece il regrisk non conta, in quanto le regole cambieranno prima della decisione di investimento. In ogni caso, se il TAR non è sufficiente a tranquillizzare, in presenza di investimenti esteri ci si può sempre rivolgere all'ICSID.

Non centra nulla con gli articoli scelti, ma volevo chiedere un parere su questo articolo:

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-07-05/aziende-soffrono-famiglie-ecco-215726.shtml?uuid=Aaq5JclD

Il professor Fortis sul sole24ore mette in dubbio la validitià del PIL e dimostra (dimostra?) come i consumi italiani siano migliori di molti altri paesi europei, in controtendenza con il prodotto interno lordo.

 

Come mai questa discrepanza (sempre che non abbiano taroccato i dati)?

Agori,

nei bei tempi in cui stavo rinchiuso nella torre d'avorio e non mi curavo del dibattito politico ed economico corrente non sapevo chi fosse il signor Fortis. O il signor Latouche. O tanti altri che non hanno mai scritto nulla di serio dal punto di vista accademico. Poi mi hanno convinto a partecipare a questo blog. Bellissima esperienza, devo dire, ma con lo sfortunato effetto collaterale di dover talvolta passare tempo a leggere cose di levatura intellettuale ridotta. Però alla fine uno impara a minimizzarli gli effetti collaterali. Quindi non leggo più Fortis, o Latouche, o svariati altri.

Agori,

i miei titoli a rispondere alla tua domanda non sono degni di essere nemmeno comparati a quelli di Sandro Brusco.

Dato che sono un impiegato para-pubblico che in questo momento non ha voglia di lavorare e cazzeggia su nFA, provo a dire la mia (no: le mie!).

1) Se la ricchezza di un Paese cessa di crescere (diminuisce) e, nonostante ciò, i consumi si mantengono stabili (aumentano), magari semplicemente i risparmiatori stanno continuando a consumare intaccando i propri risparmi. Non ho tanto tempo da dedicare al cazzeggio per trovare i dati (che ricordo di aver visto commentati su questo blog o su phastidio), ma 'sti dati mostrano che è proprio ciò che sta avvenendo.

2) Chiaramente, i dati sul consumo non seguono immediatamente quelli sul PIL. Anche perchè le persone fanno le proprie scelte di consumo/risparmio sulla base delle proprie aspettative sull'andamento del proprio reddito, per cui è normale che l'adattamento non sia immediato. Del resto, non so tu e non so che numeri cita Fortis, ma mi pare siano anni che ci si lagna della diminuzione di consumi. Che poi diminuiscano meno rispetto alla Spagna (dove, magari, il livello di risparmio privato è stato minore negli ultimi anni/decenni), mi pare assai poco significativo.

3) Un ragionamento più o meno simile vale per il ragionamento sui saldi import/export. Se calano le nostre esportazioni, vuol dire che ci sono aziende che vendono di meno, dunque producono (o, a breve, produrranno) di meno e, dunque, prima o poi (più prima che poi, visti i dati sull'occupazione) ridurranno i salari o licenzieranno. E tporniamo ai punti precedenti: chi viene licenziato, inizialmente intacca i risparmi (propri, se ne ha, o dei genitori). Poi comincia a consumare di meno.

Bon, ci ho provato.

Belive it or not, torno a lavorare!

Fortis era il capo ufficio stampa Montedison, mi pare. La sua competenza economica è a dir poco limitata. Ma più che la competenza quello che lo frega è il dover arrivare sempre ad una stessa conclusione: finché Tremonti è Ministro dell'Economia, l'Italia è il miglior Paese nel mondo. Per farlo è costretto a fare numeri da circo. Un suo numero notevole è stato quello di paragonare i valori assoluti del deficit italiano e tedesco senza rapportarli al PIL. Ma quello che è più incredibile è che il Sole continui a pubblicare questi articoli. Incredibile, ovviamente, solo se non si considera l'equilibrismo politico che un quotidiano come il Sole deve fare proprio. 

 

 

deve fare l'effetto della sequenza iniziale de L'odio: fin qui tutto bene, fin qui tutto bene

l'importante non è la caduta...è l'atterraggio.

Geniale.

Faccio notare (mi pare che nessuno l'abbia ancora fatto), l'ultimo articolo del "docente di politiche globali" Pellizzetti su Boldrin:

www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/06/good-bye-boldrin/143450/

L'articolo originale era, per l'appunto, "good bye Boldrin", poi rinominano "i fondamentalisti del mercato".

Ora, la mia domanda è semplice:oltre provare un odio viscerare per Boldrin e, immagino, tutti i redattori/lettori di nfa, che fa nella vita il suddetto docente? il Fatto Quotidiano non dovrebbe scegliere un po' meglio i propri giornalisti/editorialisti? ha senso far scrivere articoli a Boldrin e poi a persone come Pellizzetti? non è meglio utilizzare un po' di coerenza e scegliere?

 

mi è sempre stato sulle balle...ora ancora di più! :D

ah beh, bello, intelligente, lucido, ben articolato. Rivoglio indietro questi 2 minuti..,