Letture per il fine settimana, 3-8-2013

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Questa settimana: due commenti sulla sentenza a Berlusconi; il pane di Castelvetrano; Brunetta e Fassina sempre più uniti nella lotta; quanto lavorano gli ultra 65.

Buona lettura e buon fine settimana.

  • Sulla condanna definitiva di Berlusconi per frode fiscale è stato detto e scritto molto, ma ci sono un paio di punti che secondo me non hanno ricevuto l'attenzione che meritano. Il primo, richiamato da Riccardo Puglisi in un articolo su La Voce riguarda una riflessione sulla corporate governance italiana. La ragione per cui Berlusconi è stato condannato è che faceva comprare diritti televisi negli USA da società da lui controllate e locate in paradisi fiscali, per poi rivendere a prezzi più alti tali diritti a Mediaset. In tale modo Berlusconi non solo evadeva il fisco, ma danneggiava gli interessi degli azionisti Mediaset diversi da lui, dato che trasferiva denaro da una società quotata pubblica, di cui  lui possiede solo una parte, ad altre società da lui controllate. In altre parole il suo crimine non è stato solo contro lo Stato, ma anche contro il buon funzionamento del mercato. Il secondo punto riguarda il condono di tre dei quattro anni a cui è stato condannato. Berlusconi fu cruciale nel far passare l'indulto proposta da Mastella nel 2006. L'indulto ricevette infatti il sostegno del centro-sinistra, ma data la necessaria maggioranza dei due terzi non sarebbe mai passato senza il voto favorevole delle truppe berlusconiane (l'elenco di chi ha votato a favore lo trovate qui; faccio presente che non ho alcuna relazione con il Brusco di Forza Italia che votò a favore :-)). Ma il voto favorevole ci fu, nonostante Berlusconi fosse impegnato in una lotta senza quartiere contro il governo Prodi e nonostante l'opposizione all'indulto fosse molto diffusa nel paese e sicuramente tema elettoralmente cavalcabile. Ai tempi il diffuso sospetto era che il favore berlusconiano fosse motivato dalla necessità di tener fuori di galera un altro pregiudicato, l'avvocato Previti. Ora risulta che il voto di Berlusconi e delle sue truppe fu strettamente nel suo privatissimo interesse. E questo la dice lunga, lunghissima, su come è stata e continua a essere governata l'Italia.
  • L'amico Alessandro Riolo segnala una vicenda locale che può essere utile per ragionare sul funzionamento di concorrenza e dintorni in presenza di qualità imperfettamente osservabile. Risulta che a Castelvetrano, in provincia di Trapani, si è scatenata una guerra di prezzo sul pane. Poi a un certo punto è intervenuto il sindaco che ha convocato i panificatori per timore di un “impoverimento qualitativo delle materie prime” e ha suggerito loro di trovare ''un equilibrio al loro interno''. L'equilibrio è stato prontamente ritrovato, con la cessazione della guerra di prezzo e con aumenti, riporta l'articolo, di circa il 100%. Questo è un caso di studio interessante. Stava veramente peggiorando la qualità del pane prodotto, a causa dell'uso di materie prime inferiori? Quali ipotesi si stanno facendo sulla osservabilità della qualità del prodotto? In un mondo in cui i consumatori sono in grado di capire quale è il pane fatto con materie prime migliori, l'intervento anticoncorrenziale non avrebbe senso. Ciascun fornaio poteva decidere di applicare un prezzo più alto e usare materie prime di migliore qualità. Se invece i consumatori non sono in grado di osservare la qualità, allora l'intervento può avere senso ma solo se il prezzo più alto del prodotto finale garantisce che vengono usate materie prime di qualità. Ma non vedo come sia possibile: ciascun fornaio ha comunque incentivo ad abbassare i costi, se il consumatore non osserva la qualità. Sto mancando qualcosa?
  • Continua la storia d'amore tra Brunetta e Fassina, uniti nel dire no alla vendita di Eni, Enel e Finmeccanica dopo le timidissime aperture di Saccomanni. Per l'occasione, al partito dei boiardi di stato si è aggiunto il M5S. La citazione di Colombatto nel post, devo dire, mi ha sorpreso; non sapevo che al M5S fossero tifosi dell'economia austriaca, ma non si finisce mai di imparare. Comunque Fassina è intervenuto di nuovo sul tema dopo che Yoram Gutgeld, consiglere economico di Renzi, ha proposto di vendere Eni e Enel per abbassare immediatamente l'Irpef sui redditi più bassi senza scassare il bilancio (e sperando che con la fine della recessione la pezza momentanea ottenuta con gli incassi da privatizzazioni non si più necessaria). Anatema, ci dice Fassina, insieme a quell'altro raffinato intellettuale di Francesco Boccia. Paghino quindi l'Irpef i redditi più bassi, e non disturbino i politici che controllano i ''gioielli di famiglia''. La magistrale politica industriale del governo lo richiede!
  • Un articolo apparso sul blog del Center for Budget and Policy Priorities riprende dati OCSE sul tasso di occupazione degli ultra 65enni.  Dal punto di vista di un europeo, la cosa più interessante è come sia più alto il tasso di occupazione in Scandinavia e generalmente in Nord Europa rispetto al Sud Europa e alla Francia. L'eccezione è il Portogallo, non so bene perché.
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Commenti

Ci sono 8 commenti

Questa tabella (dati 2009, da http://www.ebca-netzwerk.eu/mm/Retraits_Portugal_en.pdf) potrebbe spiegare perché gli ultra sessantacinquenni portoghesi continuino a lavorare:

24 182 – with a pension up to € 106.12

174 030 - with a pension between € 106.13 and 246.35

1177 070 - with a pension between €246.36 and € 419.21

170 684 - with a pension between € 419.22 and € 628.82

213 438 – with a pension between € 628.83 and € 2 515.31

9 665 – with a pension between € 2 545.31 and € 5 594.32

455 – with a pension higher than € 5 594.34

 

tasso di occupazione degli ultra 65enni.  [...] L'eccezione è il Portogallo, non so bene perché.

 

In Portogallo l'eta' effettiva di pensionamento era nel 2011 la piu' alta in Europa sia per gli uomini (66 anni circa), dopo la Svezia, sia per le donne (65 anni), dopo l'Islanda. I portoghesi, checche' se ne dica, hanno innalzato l'eta' minima di pensionamento a 65 anni sia per gli uomini sia per le donne ben 20 anni fa, nel lontano 1993.

Sulla vendita delle aziende di stato, non si potrebbe procedere così?

Se la riduzione degli interessi del debito pubblico derivante dalla vendita delle quote azionarie delle aziende di stato è superiore ai dividendi conviene vendere. Se la riduzione degli interessi è inferiore non conviene vendere.

Ad esempio FINMECCANICA non ha distribuito utili nel 2012 ne prevede di distribuirli nel 2013 quindi conviene vendere. ENEL nel 2013 ha un dividend yeld del 5.69% quindi non conviene vendere.

Le  somme incassate dalle vendite dovrebbero essere vincolate, con apposito decreto, all'abbattimento del debito pubblico. Quindi senza precise garanzie è meglio non vendere.

Mettiamo l'ipotesi che una parte signficativi dei dividendi siano frutto di una rendita monopolistica per cui la differenza nei costi dell'energia per le imprese italiane con quelle del resto del mondo civilizato gonfia artificialmente i profitti delle aziende statali, mi sembra poco serio limitare la valutazione ai vantaggi per il bilancio pubblico senza considerare qualli per il sistema economico nel complesso.

Lo so che è estremamente difficile fare valutazioni esatte, ma questo è in gran parte un problema di trasparenza, e banalmente di contabilità, se in una qualsiasi media impresa la contabilità basata sui centri di costo funziona nel evidenziare le sacche di inefficenza non vedo perchè questo non possa funzionare in società come ENI ed ENEL.

permetto di osservare sul pas de deux di Brussina e Fanetta che - le indicazioni e i fatti vernnero forniti da U. Sposetti -- esiste nessuna strategia. In una situazione si tratta di salvar i pochi residui fondi di famiglia (il pd cesso' di esistere durante l'affaire Prodi- Rodota', etc.) e nell'altro di comprendere come posizioanrsi una transizione dinastica, vale a dire come sorpassare indenni il trapasso da berlusconib a a berlusconim

Guardare al trend dei tassi di occupazione dei lavoratori piu' anziani puo' essere un altro esercizio interessante. Recentemente in vari blog USA sono apparsi post a riguardo:  si vedano, ad esempio, i due grafici in fondo a questo articolo.

(i grafici non sono corretti per l'andamento demografico, ma il periodo considerato e' solo di una decina d'anni, quindi dubito faccia una differenza enorme)

avrà anche avuto conseguenze negative per gli azionisti di minoranza di Mediaset, ma non mi pare che sia stato condannato per tale ragione, almeno a sentire la stampa d'informazione. Qualcuno ha informazioni più precise?

 

 

Il punto di sandro sulla qualità del pane è corretto. Si aprono nuovi punti vendita, il prezzo si abbassa, alcuni panettieri vanno dal sindaco e gli chiedono di intervenire; non può fissare il prezzo perchè non ha strumenti amministrativi per farlo e allora si inventa (gli viene suggerito, fate voi) la storia del controllo di qualità che funziona come un randello nei confronti di chi fa il prezzo basso; se continui a vendere ad 1 euro ti mando i controlli della polizia annnonaria; i controlli possono durare anche parecchio ed intralciano il funzionamento del panificio soprattutto se a lavorare non sono più di due o tre persone; il panificio concorrenziale si fa due conti e decide che se cominciano a rovistare nel suo panificio non lo faranno lavorare per un periodo imprecisato; dal momento che i controlli iniziano e fintantochè proseguono i clienti possono pensare che in quel panificio la qualità è sotto standard; in altri termini rischia di perdere più clienti di quanti ne ha acquistati con una politica concorrenziale. Il panificio rialza il prezzo ad un livello sufficiente ad evitare il controllo. Tutti quelli che vendevano ad 1 euro fanno la stessa cosa e il prezzo risale. In un cartello la ritorsione che punisce chi fa i prezzi bassi la fanno le imprese che vogliono mantenere i prezzi alti. Qui invece le imprese esternalizzano il costo della ritorsione affidandola al potere pubblico. Non costa nulla e lascia poche alternative alle imprese devianti. Morale: Castelvetrano ovvero il paradiso del cartello del pane.