Nanetti di politica economica - II

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Ebbene si', ho un'eta' sufficiente per ricordarmi dei nanetti di Frassica cui accennava Alberto. Qui pero' i nanetti di politica economica sono i politici italiani, che si distinguono per le oscenita' che pensano, dicono, e talvolta fanno. Ne descrivo quattro, di cui solo tre riesco ad attribuire con precisione.

Il Tesoretto. E' risaputo

che il Governo si è ritrovato un gettito fiscale ben superiore alle

aspettative, sia quelle loro, sia quelle del precedente governo. Caro

Padoa-Schioppa, cosa è successo? Avete sbagliato i conti? Se questo

non è il caso, qual è stato il fenomeno totalmente inaspettato che ha

portato all'aumento del gettito? Mi piacerebbe sapere le risposte a

queste domande (any clue, anyone?), ma non è di questo che voglio

occuparmi. Il nomignolo stesso che è stato affibbiato

all'extra-gettito è segno degli appetiti che ha scatenato tra le

nutrite schiere di postulanti. La gravità dello sbagliare le

previsioni di gettito per difetto sta proprio qui: nella corsa alla

diligenza che provoca. Ancor più, se il Governo che si trova i soldi

tra le mani deve lottare giorno per giorno per conquistarsi i voti in

Parlamento. Le varie "forze sociali," o meglio gruppi di potere, si

sono scatenate per ottenere la fetta più grande possibile per i loro

accoliti. Romano, come forse ci si aspettava, ha calato le braghe

immediatamente. Pare che abbia salomonicamente diviso il suddetto

tesoretto tra cittadini meno abbienti (sotto forma, apparentemente, di

trasferimenti una tantum a pensionati, disoccupati, ed indigenti) per

2/3 e alle imprese (presumibilmente sotto forma di diminuzione delle

imposte), per il rimanente 1/3.


Il Dornbusch-Fisher.

Con ogni probabilità, la mia è stata una delle ultime generazioni

che, all'Università si sono dovuti ingoiare un libraccio di

macroeconomia a cura, appunto di Dornbusch e Fisher. Una sorta di summa

del modello IS-LM. Che c'azzecca, direte voi? C'azzecca, perchè

ritengo che sia l'ultimo libro di macroeconomia che Prodi abbia mai

letto. Altrimenti, come spiegare tutte le castronerie che dice?

Recentemente, ho visto un'intervista in televisione, durante la quale

il giornalista ha chiesto al buon Romano (perchè buono lo è,

poverino, non v'è dubbio) cosa ne pensa dell'invito di alcuni

economisti a destinare almeno una parte del tesoretto alla diminuzione

del debito pubblico. In sostanza, Romano ha risposto che i salari medi

Italiani sono ora i più bassi d'Europa con l'eccezione del Portogallo,

e quindi bisogna adottare una politica espansiva, appunto distribuendo

denaro a destra e a manca. Perchè, ha concluso Romano, in ultima

analisi il debito si ripaga con la crescita economica. Ma ci rendiamo

conto? Che la distribuzione di denaro pubblico abbia un effetto

positivo sul reddito nazionale, è appunto una delle boiate che si

possono leggere sul Dornbusch-Fisher. Se Romano chiedesse consiglio ad

uno dei nostri studenti MBA, si sentirebbe rispondere che la migliore

chance che ha di avere un impatto sulla crescita è quella di destinare

il tesoretto al ritiro del debito, e al contempo abbassare le aliquote

marginali sul reddito.


La Teoria della Distribuzione di Bonanni.

Non so chi sia peggio tra i sindacalisti nostrani. Però devo dire che

di recente Bonanni e Angeletti si sono distinti in modo particolare,

per le patacate (voce Romagnola) che hanno detto. Qui mi occupo di

Bonanni. Proprio ieri, il Nostro ha dichiarato che non ha senso che il

Governo destini 1/3 del Tesoretto alla riduzione della pressione

fiscale sulle imprese. Secondo lui, Prodi & Co. dovrebbero

semplicemente girare l'intero malloppo ai (non better defined) meno

abbienti. Ne deduco (vi prego di correggermi se erro) che Bonanni

consideri il valore aggiunto (a livello di impresa, ma anche

aggregato), come quantità data, e che, allegerendo la pressione

fiscale sulle imprese, la fetta che va al Kapitale aumenti, a discapito

di quella che spetta ai lavoratori. Ci dice, Bonanni, di quali ipotesi

abbia bisogno per derivare un risultato simile? Nei modelli standard

che utilizziamo as of 2007, la diminuzione della corporate income tax

non distorce nè il mix tra capitale e lavoro, nè la distribuzione del

reddito tra i due fattori. L'effetto è quello di incentivare

l'accumulazione del capitale, e quindi, eventualmente, di aumentare le

dimensioni della torta, a beneficio sia dei kapitalisti, che dei

lavoratori.


Crescita Economica e Svalutazioni della Moneta.

Questa era molto popolare durante il governo Berluskazzoni, anche se

non riesco ad attribuirla (forse il ragioniere di Sondrio?). Si diceva,

soprattutto al momento dell'introduzione dell'Euro, che con la moneta

unica l'Italia avrebbe perso uno strumento indispensabile di politica

economica, utilizzato ripetutamente per accelerare la crescita. Ma come

si fa a dire certe cose? (Tra l'altro, Samuel Brittan le ha riproposte

tali e quali il 12 aprile su FT, a proposito della Germania). Il

riferimento era principalmente ai primi anni Novanta, quando la Banca

d'Italia aveva come riferimento per la Lira una banda di +/- 3.5%

attorno all'ECU. L'inflazione in Italia essendo ben maggiore degli

altri Paesi nel paniere ECU, i settori votati all'esportazione si

trovarono in difficoltà, fino a quando la speculazione sulla Lira

portò la Banca d'Italia alla svalutazione. A quel tempo, si pontificò

sugli effetti mirabolanti di tale evento sull'economia. Senza andare a

parlare di pass-through, limitiamoci a considerare l'effetto sugli

imports. In che valuta si pagava (e si paga) il petrolio? Il tasso di

cambio è un prezzo. Se l'esportatore ci guadagna, l'importatore ci

deve perdere. Il fatto è che l'Euro è stato un toccasana per il

Paese. E' grazie all'Euro che lo Stato paga un interesse sui suoi

titoli di pochi basis point superiore a quello sui Bund. Ed è grazie

al vincolo esterno introdotto con il Patto di Maastricht, che i nostri

governi, per quanto osceni, non accumulano deficit mastodontici.

 

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Ci sono 4 commenti

 

Crescita Economica e Svalutazioni della Moneta.

Questa era molto popolare durante il governo Berluskazzoni, anche se

non riesco ad attribuirla (forse il ragioniere di Sondrio?). Si diceva,

soprattutto al momento dell'introduzione dell'Euro, che con la moneta

unica l'Italia avrebbe perso uno strumento indispensabile di politica

economica, utilizzato ripetutamente per accelerare la crescita. Ma come

si fa a dire certe cose?

 

Premetto che la mia competenza in economia e' amatoriale e quindi intervengo piu' che altro per mettere alla prova le mie teorie da dilettante. Sono d'accordo che una moneta diversa NON avrebbe giovato necessariamente alla crescita, ma a mio parere avrebbe invece costituito un utile grado di liberta' per accomodare il differente tasso di inflazione tra Italia e paesi centro-nord-europei, differenziale che non si e' azzerato con l'adozione dell'Euro anche se e' molto diminuito.

Certo con la moneta comune un differenziale di inflazione dovrebbe mettere in ginocchio la parte di economia esposta alla concorrenza internazionale, moderando quindi salari e quindi l'inflazione, peccato che specie in Italia la parte di economia esposta alla concorrenza internazionale sia molto piccola (se ricordo bene F.Giavazzi ha anche stimato quanto, sul Corriere, tempo fa) rispetto alla parte protetta (statali, banche, assicurazioni, utilities, gran parte dei servizi), che e' poi primariamente responsabile del livello dell'inflazione stessa.

 

Ma come

si fa a dire certe cose? (Tra l'altro, Samuel Brittan le ha riproposte

tali e quali il 12 aprile su FT, a proposito della Germania). Il

riferimento era principalmente ai primi anni Novanta, quando la Banca

d'Italia aveva come riferimento per la Lira una banda di +/- 3.5%

attorno all'ECU. L'inflazione in Italia essendo ben maggiore degli

altri Paesi nel paniere ECU, i settori votati all'esportazione si

trovarono in difficoltà, fino a quando la speculazione sulla Lira

portò la Banca d'Italia alla svalutazione. A quel tempo, si pontificò

sugli effetti mirabolanti di tale evento sull'economia. Senza andare a

parlare di pass-through, limitiamoci a considerare l'effetto sugli

imports. In che valuta si pagava (e si paga) il petrolio? Il tasso di

cambio è un prezzo. Se l'esportatore ci guadagna, l'importatore ci

deve perdere.

 

Ma da profano mi sembra che per il cittadino italiano medio sia meglio che guadagni chi esporta rispetto a chi importa. La crescita di alcune economie (Germania, Italia) viene tradizionalmente attribuita al successo delle esportazioni. Esistono economie la cui crescita sarebbe determinata dal successo delle importazioni? Ne dubito.

 

Il fatto è che l'Euro è stato un toccasana per il

Paese. E' grazie all'Euro che lo Stato paga un interesse sui suoi

titoli di pochi basis point superiore a quello sui Bund. Ed è grazie

al vincolo esterno introdotto con il Patto di Maastricht, che i nostri

governi, per quanto osceni, non accumulano deficit mastodontici.

 

Personalmente vedo effetti sia positivi che negativi. Il debito costa meno, OK, anche in termini reali, ma il differenziale di inflazione rispetto all'euro-zona, pur ridotto, non si e' azzerato, e la parte (minoritaria) dell'economia italiana esposta alla concorrenza internazionale sta soffrendo, non a caso la crescita del PIL italiano rispetto a quello dell'euro-zona o di Francia e Germania accumula un ritardo medio dell'1% circa all'anno, proprio da quando siamo agganciati all'Euro. Quindi l'euro diminuisce la spesa per interessi (che ai tempi della lira era comunque una partita di giro tra Stato e risparmiatori italiani) ma in cambio riduce la crescita, danneggiando la parte di economia esposta e sana e favorendo l'economia inefficiente e protetta: conviene? Le svalutazioni periodiche invece favorivano l'economia sana ed esposta e danneggiavano la parte di economia inefficiente e protetta, almeno in termini di potere di acquisto dei loro attori.

Potendo scegliere a parita' di crescita economica rispetto agli altri paesi preferisco di gran lunga avere moneta stabile (e unita), inflazione bassa, costo reale dl debito basso. Ma se la crescita per 7 anni risulta inferiore dell'1% circa rispetto all'euro-zona, e il differenziale di inflazione persiste, non considero l'Euro un completo successo, anzi.

Ovviamente si puo' anche dire: teniamo l'Euro ma esponiamo tutta l'economia alla concorrenza internazionale ("liberalizziamo" banche, assicurazioni, servizi, estetiste, facchini, idraulici, magari anche gli statali). Ma e' fattibile o utopistico coi politici e con gli elettori che ha l'Italia? E quanti anni a crescita -1% rispetto agli altri ci attendono? Per tutti questi motivi non mi sembra che l'adozione dell'Euro si possa considerare un completo successo.

 

permettimi: i differenziali di inflazione, se la moneta e' una, sono un problema di produttivita', o di costi crescenti (non supportati da crescita della produttivita'), che  e' lo stesso. svalutare la  moneta non fa nulla se il problema e' la produttivita'. e' come ridipingere una casa con delle crepe sui muri portanti: non vedi le crepe, ma cadra' lo stesso. Anzi, cadra' prima perche' nessuno si accorge delle crepe se ci dipingi sopra.

 

 

Ma da profano mi sembra che per il cittadino italiano medio sia meglio

che guadagni chi esporta rispetto a chi importa.

 

Per ottenerne in cambio che cosa, esattamente? Gli economisti cominciarono a porsi questa domanda verso il diciottesimo secolo, e come risultato il Mercantilismo fu abbandonato dalla scienza economica gia' in epoca illuministica (anche se continua una sua vita sotto forma di superstizione popolare, un po' come l'astrologia).

 

La crescita di alcune

economie (Germania, Italia) viene tradizionalmente attribuita al

successo delle esportazioni. Esistono economie la cui crescita sarebbe

determinata dal successo delle importazioni? Ne dubito.

 

Le maggiori esportazioni sono semmai un sintomo di migliore produttivita', non una causa, e come nota Alberto B. e' quest'ultima che conta ai fini della crescita e, in ultima analisi, della prosperita'. Se un paese ha produttivita' complessiva minore di altri, sul lungo termine il tenore di vita che i suoi residenti si possono permettere sara' necessariamente minore, indipendentemente dai disincentivi all'import che i governanti possono imporre. Anzi, questi ultimi finiscono col peggiorare le cose per varie ragioni: lo fanno in modo diverso a seconda delle misure prese (cambio debole, dazi, quote etc.) ma sempre danni fanno.

Tanto per fare un esempio dei problemi causati da un cambio artificialmente basso, guarda i grattacapi che al momento la Cina ha con i milleduecento miliardi di dollari che ha accumulato in riserve di valuta (per lo piu' in dollari USA). Va detto che nella loro genesi le attitudini mercantiliste hanno giocato un ruolo piu' limitato di quel che comunemente si crede, dato che la chiusura del capital account ha in gran parte origine nelle paure governative sulla stabilita' di un sistema finanziario sinora gestito in modo da tenere in vita, per ragioni politiche, industrie di stato inefficienti; ma il risultato complessivo e' stato quello di vendere a credito, ricevendo come pagamenti una pila di cambiali a basso interesse chiamate "Treasury Bonds", il cui valore di mercato e' soggetto alle decisioni di politica monetaria del debitore. E il problema tende a peggiorare come il mercato subodora che il governo cinese forse sta facendo qualcosa per risolverlo: nel 2006 il valore di tali riserve e' balzato di 247.3 miliardi di dollari, e di altri 135.7 tra gennaio e marzo 2007. Di questi ultimi, solo circa 73 sono attribuibili a surplus di bilancio e investimenti dall'estero; gli altri sono almeno in parte dovuti a fondi rimpatriati dall'estero in previsione di una possibile rivalutazione dello Yuan.

 

 

E` interessante sottolineare come nessuno in Italia abbia fatto notare (almeno non mi risulta) che i salari reali siano cresciuti poco negli ultimi sei o sette anni a causa della assai poco robusta crescita della produttivita` del lavoro (tanto per non marcare il concetto con toni piu` gravi), rispetto ad altri paesi piu` virtuosi che, infatti, hanno visto i salari reali medi crescere maggiormente

Se a questo aggiungiamo che la produttivita` totale dei fattori italiana e` in declino almeno dalla meta` degli '90, proprio in un periodo in cui gli USA, ad esempio, sperimentavano una crescita sostenuta, manco a dirlo, dall'eccezionale impennata della produttivita` complessiva, il quadro e` completo.

Ma no.... i nostri governanti preferiscono pensare invece che il problema dei salari si risolva ridistribuendo reddito ottenuto attraverso la tassazione di chi di dovere (e lo abbiamo gia` visto, non solo con la stretta fiscale operata in Finanziaria: come interpretare altrimenti, almeno in parte, la brillante idea sulla destinazione del tesoretto?) e magari con la solita buona dose di iniziative pubbliche e spesa!

 Mah.....