Note introduttive sulla riforma fiscale

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In questa nota cerco di passare rapidamente in rassegna le posizioni di governo, opposizione e parti sociali riguardo alle tasse e alla riforma del fisco.

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Negli ultimi giorni si è sviluppato un dibattito sulla riforma fiscale con proposte da parte governativa e non: Sole24Ore, Corriere, LaStampa, CGIL, PD. In questa nota vorrei analizzare brevemente le idee portanti che animano il dibattito sulla riforma fiscale, prima ancora che il dettaglio delle proposte concrete.


Ecco una sintesi delle proposte dei principali interlocutori che ho trovato in rete da parte non governativa:

 

Interlocutore

 
 

Incentivo

 
 

Copertura

 
 

Obiettivo

 
 

Confcommercio

 
 

Spostamento di parte delle tasse dal reddito ai consumi

 
 

Non disponibile

 
 

Promozione della produzione di reddito

 
 

UIL

 
 

Meno tasse per lavoratori dipendenti e pensionati

 
 

Non disponibile

 
 

Equità

 
 

CISL

 
 

Unico assegno di mantenimento a favore delle famiglie numerose, con persone non autosufficienti e di mamme lavoratrici

 
 

Non disponibile

 
 

Equità

 
 

CGIL

 
 

Riduzione prima aliquota IRPEF dal 23% al 20%,
Riduzione dal 38% al 36% dell’aliquota sugli imponibili da 28mila a 55mila euro, Superamento del “fiscal drag”

 
 

Introduzione di un ulteriore contributo di solidarietà sui redditi maggiori di 800mila euro,
Aliquota su rendite finanziarie dal 12,5% al 20%

 
 

Equità

Ripresa economica

 
 

Ordine dei commercialisti

 
 

Abbandono degli studi di settore con varo di un nuovo redditometro

 
 

Aumento tasse sulle rendite finanziarie

 
 

Non disponibile

 
 

PD

 
 

Sgravi fiscali per i redditi più bassi

 
 

Lotta all’evasione

 
 

Equità

 

'<h' . (('3') + 1) . '>'L’orientamento del Governo'</h' . (('3') + 1) . '>'

Tremonti ha dichiarato che intende promuovere un “grande dibattito per creare il nuovo modello fiscale”. Il suo orientamento attualmente è di dare priorità a famiglie, lavoro, ricerca e ambiente e di penalizzare le rendite e l’inquinamento.

Per avere un’idea più precisa, sul sito del ministero dell’economia si può scaricare un file in pdf d’epoca con il Libro Bianco. Si tratta di una proposta di riforma fiscale del 1994 con una lettera di “incondizionata ammirazione ed approvazione” da parte di Carlo Cipolla, storico economico (e autore di un famoso libro sulla stupidità umana). La riforma si sviluppa secondo tre direttrici:

1.    Federalismo fiscale, per limitare la “tendenza alla spesa pubblica”, tramite il controllo del cittadino votante.
2.    Tasse ambientali e sui consumi, per trasferire parte del carico fiscale dal reddito ai consumi e al patrimonio.
3.    Certezza e semplicità del diritto, per ridurre il numero di tasse da 100 (nel 1994) a 10 e fare in modo che sia il fisco ad andare dal cittadino e non viceversa.

Visto che il file è riportato proprio sulla homepage del ministero, si può supporre che rifletta in qualche modo l’orientamento del ministro per la riforma. Per questo, può essere interessante, ai fini del dibattito, analizzare il punto numero 2. A questo proposito, il Libro Bianco a pagina 11 propone “a grandissime linee” i seguenti cambiamenti:

Status Quo 1994Nuovo Sistema 1994
Imposte sulle persone = 60% del gettito
Imposte sulle cose = 40% del gettito
Imposte sulle persone = 54% del gettito
Imposte sulle cose = 46% del gettito
Irpef = 35% del gettitoIrpef = 31% del gettito


L'obiettivo degli interventi è di ridurre le tasse su chi lavora e produce ricchezza e di aumentarle sui consumi, perché il vecchio sistema era troppo sbilanciato. Altri obiettivi dichiarati sono di tutelare l'ambiente e lo sviluppo.

In particolare, questa manovra prevederebbe una revisione dell’IVA (p.118), con l’orientamento generale di aumentarne il gettito per lo Stato, passando da quattro a tre aliquote e prevedendo che su alcuni prodotti l’aliquota cresca e su altri diminuisca. Ci sarebbe anche (p. 111) una revisione delle tasse sull’energia, per favorire il miglioramente della qualità dell’aria, la competitività internazionale e l’aumento del gettito.

L’Irpef (p. 122 e seguenti), nel nuovo modello, includerebbe reddito con un riscontro sul patrimonio, anzichè solo il primo, come adesso. Questo consentirebbe di recuperare “materia imponibile” e, assieme al maggior gettito derivante da IVA ed energia, di studiare nuove “curve di Irpef (con le sue basi abbattute dall’erosione e dall’evasione)”. Il Libro Bianco prevede quattro proposte a una, due e tre aliquote, senza alcuna aliquota marginale maggiore del 45% e in cui l’aliquota media per la maggior parte dei contribuenti resti sotto il 25-30%.

Per quanto riguarda le tasse sulle imprese (p. 136), invece, in estrema sintesi, si prevede di separare il regime di tassazione per

•    Imprese individuali: imposta personale e progressiva e accertamento basato sugli studi di settore. Ci sarebbe un abbattimento delle imposte, come per la nuova Irpef, e un allargamento della base imponibile, il tutto finalizzato a incentivare le piccole imprese, a differenza della modello fiscale varato nel 1971.
•     Imprese in forma societaria: unica imposta sulla combinazione di reddito e patrimonio, passando dal 52,2% del ’94 al 35%, che è vicino alla media europea.

Le tasse sul capitale (p.161) hanno come obiettivo riordinare e semplificare il sistema fiscale, senza cambi di gettito e senza modifiche sul mercato del debito pubblico.

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Il Libro Bianco ha il pregio di offrire una proposta organica di riforma del sistema fiscale. Purtroppo si tratta di un’opera vecchia di 16 anni. Per questo, può essere usato solo per intuire l’orientamento del ministro e del governo in un’eventuale riforma. Le proposte degli altri interlocutori sono necessariamente meno strutturate, anche se più aggiornate.

Le tasse servono allo Stato come fonte di ricavo per pagare la spesa pubblica, che dovrebbe, a sua volta, tradursi in servizi per il cittadino. Le imposte hanno un’ulteriore valenza: quella di incentivo o disincentivo.  Per esempio alte tasse sul reddito sono un disincentivo a lavorare perché l’impegno aggiuntivo marginale di un individuo in termini di produttività o di ore lavorative risulta in un basso reddito addizionale.  D’altronde, alte tasse sul lavoro non incoraggiano nemmeno un’azienda ad assumere, perché vanno ad aumentare i costi del lavoro: infatti al reddito netto necessario per assumere e trattenere un dipendente, va ad aggiungersi un’ulteriore porzione significativa che non riceve il lavoratore, ma lo Stato, e che va a formare il costo azienda. Invece mettere tasse basse sui bonus è un incentivo alla compensazione variabile basata sulla performance, e quindi incoraggia la produttività, perchè il lavoratore riceve buona parte della cifra stanziata dall’azienda per premiarlo. Su un altro piano, tassare i consumi, per esempio aumentando l’IVA, scoraggia la spesa e favorisce il risparmio.
Visto che alcune delle proposte toccano anche il tema dell’evasione fiscale, vale la pena fare un accenno all’argomento, anche se non riguarda il tema di come disegnare un sistema fiscale, ma piuttosto come metterlo in pratica efficacemente. L’evasione fiscale riduce la base imponibile. Per combatterla si possono pensare due approcci, non necessariamente mutualmente esclusivi: uno tramite disincentivi che scoraggino il contribuente a nascondere il proprio imponibile tramite la minaccia di maggiori controlli o il rischio di sanzioni, e un altro tramite incentivi che incoraggino il contribuente a dichiarare, quali la diminuzione delle aliquote, che farebbero diminuire il beneficio di evadere, a fronte dello stesso rischio.

L’altro grande argomento da tenere sempre presente parlando di riforma fiscale è il debito pubblico. Infatti il Governo può finanziare le spese tramite le tasse oppure indebitandosi, cioè, praticamente, emettendo titoli di Stato. Tagliare le tasse in un periodo in cui l’economia non cresce può significare diminuire le entrate dello Stato (a meno che la riduzione delle tasse non generi un meccanismo virtuoso di diminuizione dell’evasione e quindi di aumento della base impononibile). Visto che il debito pubblico Italiano è attualmente ben oltre il 110% del PIL, l’Italia non può permettersi di finanziare una riduzione delle tasse assumendo altro debito, perché questo genera più interessi da pagare e inoltre se il debito diventa più alto di quanto gli investitori si aspettano che il paese riesca a ripagare, allora non si fideranno più di comprare i titoli di Stato e il paese rischierebbe la bancarotta. Per questo, se si vogliono tagliare alcune tasse, si devono tagliare anche le spese e/o aumentare o creare altre tasse. La prima soluzione sarebbe preferibile, anche se è politicamente difficile, vista l’opposizione della castaad autolimitarsi.

La maggior parte delle proposte non governative, si concentra solo sui tagli di tasse, senza menzionare come pagarli. La proposta del Libro Bianco, invece, prevede di finanziare il calo di alcune tasse, principalmente aumentandone altre e marginalmente aumentando la base imponibile a causa del calo delle aliquote e di un mix di riordine della legislazione e controlli.

Visti gli stretti margini di manovra del Governo a tagliare le tasse in tempo di crisi, è necessario prioritizzare gli interventi e decidere quali tasse toccare: la maggior parte delle proposte prevede di diminuire in qualche modo le tasse sul reddito da lavoro. La lotta all’evasione è un cavallo di battaglia sia del PD che del Libro Bianco. Tuttavia, nel primo caso, la precedente esperienza del secondo Governo Prodi, non testimonia a favore di una lotta all’evasione anche tramite incentivi. Il Libro Bianco invece li prevede, ma la tradizione di condoni di Tremonti non sarebbe un segnale coerente nel tempo con la politica di disincentivi.

Prima ancora, però, sarebbe bene incentrare il dibattito sulle seguenti tre questioni:

•    Tasse sui consumi e copertura: quali sarebbero le conseguenze dell’aumento delle tasse sui consumi? Un provvedimento di questo tipo potrebbe scoraggiare i consumi e, nel caso delle tasse sull’energia, incentiverebbe l’usa delle energie alternative e renderebbe più cara la bolletta dei clienti di energie tradizionali, cosa che, a sua volta, aumenterebbe, tra le altre cose, i costi di fare impresa. Un calo di consumi potrebbe a sua volta generare un aumento dei risparmi, un aspetto desiderabile. D’altronde, la revisione delle tasse sui consumi potrebbe essere ben calibrata tra i vari tipi di beni, di entità moderata e studiata in modo da non avere un effetto drammatico sulle spese degli Italiani.
Alternativamente, su quali altre imposte si potrebbe agire per finanziare una riduzione delle tasse? Oppure si potrebbe ridurre in qualche modo la spesa pubblica?

•    Prioritizzazione delle tasse da ridurre: visti i limitati margini di manovra in fatto di tagli di tasse è necessario prioritizzare l’intervento sui vari tipi di imposte. Per questo è essenziale avere una visione del paese verso cui tendere. Vista la recente crisi economica che ha investito pesantemente l’Italia, è essenziale incentivare la ripresa, cioé far tornare il PIL a crescere. Un modo efficace per farlo in un paese sviluppato come il nostro sarebbe di favorire la produttività di chi lavora, distorta tra l’altro da un elevato carico fiscale, e l’innovazione tecnologica, sfavorita tra le altre cose da alti costi del fare impresa e da bassi incentivi ai lavoratori altamente qualificati e con una formazione di alto livello. Il primo punto sarebbe uno scenario di tipo win-win per lavoratori e imprese, perché consentirebbe ai primi di guadagnare di più e alle seconde incentivare chi lavora bene e ricavare più valore da ogni lavoratore. Nel secondo caso, bisogna favorire gli investimenti che portano innovazione: incentivare il fare impresa in Italia, per aiutare le aziende Italiane a competere globalmente e perciò a innovare nei settori che ritengono opportuni, e incoraggiare i talenti, per espandere il mercato Italiano di chi ha più potenziale per innovare. Questo può tradursi in pratica lungo tre direzioni e con alcuni esempi, in ordine di priorità:
o    Favorire il fare impresa: diminuzione delle tasse che un’azienda del settore privato deve pagare per un proprio dipendente, ma che questo non “vede” nel lordo in busta paga (e.g. i contributi previdenziali). Questo avrebbe un duplice effetto positivo: aumenterebbe il reddito netto di un dipendente, che vedrebbe così più corrispondenza tra lavoro e guadagno, e diminuirebbe il costo del lavoro per un’azienda, favorendo, di conseguenza, l’occupazione (la disoccupazione è di solito un indicatore “lagging”, cioè che segue, per questo potrebbe continuare ad aumentare anche all’inizo di un periodo di ripresa economica). Di conseguenza, un maggior reddito disponibile potrebbe tradursi in maggiori consumi e/o risparmi, mentre un minore costo del lavoro potrebbe contribuire ad attrarre imprese dall’estero.
Un’altra proposta, sebbene di minor portata, potrebbe essere di ridurre i costi di apertura di una nuova impresa (e.g. i bolli, come già visto nell’articolo Uk versus Italy). Le altre tasse sulle imprese (i.e. IRES e IRAP) potrebbero essere riviste in un secondo momento, quando la ripresa metterà a disposizione maggiori risorse
o    Favorire il capitale umano: incentivi per persone di talento che vengono a lavorare in Italia dall’estero (e.g. regime fiscale agevolato per alcuni anni per manager o ricercatori che si trasferiscono a lavorare in Italia da prestigiose sedi estere). Questo avrebbe l’effetto positivo di frenare il brain drain, favorendo l’arrivo di talenti in Italia e aumentando la diversità dei lavoratori altamente qualificati rispetto a quelli nati e cresciuti in Italia
o    Favorire gli investimenti finanziari: incentivi al risparmio o incentivi agli investimenti finanziari dall’estero, in modo da aumentare il mercato di capitali in Italia, che a sua volta potrebbe tradursi in un più facile accesso al credito per le imprese e le persone. Tuttavia questo provvedimento potrebbe essere più difficile da conciliare con l’obiettivo di disincentivare le rendite
La riduzione dell’Irpef potrebbe avere un effetto positivo sull’occupazione e sul reddito, tuttavia sarebbe probabilmente un modo più costoso di incentivare la ripresa, perché ne beneficerebbero anche dipendenti pubblici e pensionati

•    Definizione dell’intervento: una volta individuata l’imposta o le imposte su cui agire,  bisognerebbe definire come agire. Per esempio, nel caso dell’Irpef, si dovrebbe discutere quali aliquote abbassare e di quanto, e perciò se favorire i redditi più bassi, quelli medi o quelli alti. Si dovrebbe inoltre discutere anche se semplificare il sistema oppure no (e.g. diminuendo il numero di aliquote). Un sistema fiscale semplice è tipicamente più trasparente per il contribuente, e questo potrebbe ridurre tempi e costi di compilazione della dichiarazione dei redditi

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In uno scenario di crisi, in cui si può pensare di stimolare la ripresa tramite l’incremento della spesa pubblica (e.g. uno stimulus plan) oppure tramite incentivi a investire, è positivo che si parli di una riforma fiscale.

Non è ancora completamente chiaro cosa propongano Governo, data l’età del Libro Bianco, e opposizione, data la mancanza di una chiara proposta organica del principale partito di opposizione da quando si è cominciato a parlare di riforma.

Un taglio delle tasse sarebbe positivo, soprattutto se finanziato tramite tagli alla spesa pubblica.  L’Italia ha bisogno, da un punto di vista fiscale, di incentivi mirati e incisivi per favorire la ripresa economica, per questo un taglio dell’Irpef potrebbe non essere il provvedimento di priorità più alta in questo momento. La diminuzione delle tasse sul lavoro per dipendenti di azienda potrebbe essere un incentivo più efficace.  In ogni caso, sarebbe auspicabile una riforma organica del sistema fiscale senza ulteriore debito pubblico e che porti a maggiore semplificazione e a minore evasione, anche grazie a incentivi (i.e. aliquote minori) a non nascondere reddito. Ovviamente è più facile tagliare le tasse in tempi di crescita. Per questo il governo dovrebbe tagliare la spesa pubblica in proporzione al calo del gettito dato dalla recente recessione, in modo da preparare il terreno per una politica di taglio delle tasse più ampio durante un periodo di crescita.

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Commenti

Ci sono 14 commenti

 

diminuzione delle tasse che un’azienda del settore privato deve pagare per un proprio dipendente, ma che questo non “vede” nel lordo in busta paga (e.g. i contributi previdenziali). Questo avrebbe un duplice effetto positivo: aumenterebbe il reddito netto di un dipendente...e diminuirebbe il costo del lavoro per un’azienda...

 

Un chiarimento. Ma sbaglio, o se si riducono tasse e contributi a carico dei lavoratori aumenta il reddito netto, ma non diminuisce il costo del lavoro, se invece si agisce su quelli a carico dell'impresa (come intuisco sia suggerito) si ha il secondo effetto ma non il primo?

O si parla di quello che succederà alla scadenza dei contratti collettivi in essere, quando tutto dipenderà dalla capacita' delle parti di rosicchiare quanto concesso all'altro?

Poi, una curiosità: ma non si rischia di sottovalutare gli effetti a lungo termine di ridurre i contributi previdenziali? L'effetto complessivo non rischia di essere, al limite, di segno opposto sul reddito del dipendente? Si tagliano i contributi previdenziali a carico dell'impresa, ed il lavoratore, per compensare, rinuncia a parte dei propri consumi per trasferire una cifra "equivalente" ai fondi pensione..O anche qui manco qualche passaggio?

Sono sempre soldi dei lavoratori, la dizione "a carico dell'impresa" non significa che non siano soldi dei dipendenti. Inoltre per quanto mi risulta i contributi previdenziali oggi non pagano le pensioni future: i soldi sono già spariti, al momento pagano quelle dei pensionati di oggi, un sacco di altre cose che con la pensione non centrano nulla, e le pensioni di quelli che hanno "acquisito ormai il diritto" come usano dire i sindacalisti per difendere chi prende soldi che non ha mai versato in vita sua, insomma si incensa ci in pratica ruba soldi in modo indiretto a chi oggi si sacrifica e domani sarà nella polvere.

 

 

 

Un chiarimento. Ma sbaglio, o se si riducono tasse e contributi a carico dei lavoratori aumenta il reddito netto, ma non diminuisce il costo del lavoro, se invece si agisce su quelli a carico dell'impresa (come intuisco sia suggerito) si ha il secondo effetto ma non il primo?

 

Non sbagli, quel che dici è logicamente corretto: tagliendo il cuneo fiscale, di fatto crei risorse che possono essere assorbite dal lavoratore (maggior reddito netto), dall'azienda (minor costo azienda a fronte dello stesso netto), o da tutte e due le parti. Per questo ho detto che entrambe le parti potrebbero beneficiarne. Poi potrebbe essere il Governo a decidere quale delle due parti si prende il beneficio o potrebbe lasciarlo decidere alle parti in causa, questo dipende da come si definirebbe la riduzione in pratica.
Un'ultima cosa, questi sono effetti di primo ordine. Poi si potrebbe immaginare, per esempio, che anche se fosse il lavoratore a prendersi tutto il margine, anche l'azienda potrebbe beneficiarne, perché sarebbe più competitiva per attirare lavoratori bravi contro l'estero, visto che il netto sarebbe maggiore.

 

Poi, una curiosità: ma non si rischia di sottovalutare gli effetti a lungo termine di ridurre i contributi previdenziali? L'effetto complessivo non rischia di essere, al limite, di segno opposto sul reddito del dipendente? Si tagliano i contributi previdenziali a carico dell'impresa, ed il lavoratore, per compensare, rinuncia a parte dei propri consumi per trasferire una cifra "equivalente" ai fondi pensione..O anche qui manco qualche passaggio?

 

Attenzione, io ho parlato di come ridurre le tasse per incentivare la ripresa, non ho parlato di ridurre i contributi pensione. Quello è un argomento che concerne la copertura della spesa: sarebbe una scelta politica decidere di ridurli oppure decidere di mantenere lo stesso livello di contributi, semplicemente coprendo con altre tasse o altri tagli di spesa la parte che diminuisce a causa del taglio del cuneo fiscale.
In particolare, se decidi di tagliare i contributi alle pensioni, quello sarebbe un argomento che toccherebbe anche la riforma delle pensioni.

 

Un chiarimento. Ma sbaglio, o se si riducono tasse e contributi a carico dei lavoratori aumenta il reddito netto, ma non diminuisce il costo del lavoro, se invece si agisce su quelli a carico dell'impresa (come intuisco sia suggerito) si ha il secondo effetto ma non il primo?

 

Si e' cosi. Ad esempio l'ultimo governo Prodi ha ridotto il cuneo fiscale di 5 miliardi di euro circa, senza aumentare di un centesimo il reddito dei lavoratori dopo le tasse. Le tasse che lo Stato non ha incassato sono andate per quanto ricordo per i 2/3 a ridurre il costo lordo del lavoro per le imprese e per 1/3 in maggiori assegni familiari erogati dallo Stato non necessariamente solo ai lavoratori per i quali il cuneo fiscale e' stato ridotto, ma ad una platea piu' estesa (aumentando quindi il grado di intermediazione dello Stato nell'economia, in ossequio al credo statalista della maggioranza).

Internet explorer 7 non riece a caricare l'articolo, si leggono solo le prime righe e poi c'è uno spazio vuoto

Non so perchè dovrei prender sul serio l'idea di una riforma fiscale se poi non ne parla assolutamente nel dpef 2010-2013, che cosa serve un documento di programmazione se poi non rappresenta un impegno nero su bianco?

www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/dpef2010_2013/dpef_2010_2013.pdf

Mi sembra che, sia pure di passaggio, l'articolo dovrebbe essere diviso in due: come e cosa fare per riformare il fisco, e qui le decisioni non possono non essere "politiche": se colpire redditi da lavoro, o da capitale, o i consumi è una decisione politica, ne possiamo discutere, ma dovrebbero essere i politici a proporre un modello fiscale , poi gli elettori scegliere.

Il problema, inaffrontato dalla politica è sempre quello sottinteso dal bell'articolo: che fare con questa montagna di soldi ?

Quosque tandem dovremo pagare i 1.300 forestali della Calabria ? o i 40 addetti stampa della Regione Sicilia ? O l'ufficio di 400 metri quadri dell'ufficio della Regione Campania a New York ?

 

se colpire redditi da lavoro, o da capitale, o i consumi è una decisione politica, ne possiamo discutere, ma dovrebbero essere i politici a proporre un modello fiscale , poi gli elettori scegliere.

 

Certamente è una decisione politica, però ci sono anche modelli di economisti sulla optimal taxation. Su questo sarei curioso di sentire l'opinione di qualche economista di professione, ed è un pò quello che cercavo di domandare nella parte su "Tasse sui consumi e copertura".

Inoltre, da elettori, penso sia giusto farsi un'idea su che cosa vuol dire fare una riforma fiscale e su quali sono le opzioni in gioco, per poter poi essere in grado di giudicare. Se anche non si farà una riforma fiscale adesso, uno potrà conservare quanto di buono ha imparato per poter far valere i suoi argomenti la prossima volta che verrà un momento giusto.

Non c'è modo di fare alcuna riforma fiscale, che è impossibile. L'Italia continuerà come ha sempre fatto a stiracchiare una coperta ormai sdrucita e lurida, per difendere "diritti" e privilegi a cui nessuno vuole rinunciare.

L'unica cosa risolutiva è un crack, o meglio una rivoluzione.

Intanto gli Atlante cominciano ad andarsene.

 

Favorire il capitale umano: incentivi per persone di talento che vengono a lavorare in Italia dall’estero

 

Attenzione che con queste politiche di incentivi si rischia di ottenere solo il rientro di coloro che all'estero non riescono più ad avere una promozione perché in realtà non sono produttivi. Nell'Università in cui lavoro ho sotto gli occhi un paio di esempi di questo tipo...

La maggior parte delle proposte non governative, si concentra solo sui tagli di tasse, senza menzionare come pagarli.

Perchè, quelle "governative" sì, invece?

A me sembra sempre che l'agitazione di questo tema in modo ricorrente funzioni strumentalmente al circuito mediatico-elettorale del teatrino politico italiano. Gli italiani sono talmente abituati a caricare debiti sullo Stato che anche quando non possono più farne ad libitum (dal 1993-94, più o meno) continuano a ragionare con gli stessi schemi. Ancora oggi non si rendono conto che stanno spendendo più di quanto incassano (nel 2009 per 85 miliardi), nonostante al Ministero sappiano bene come stanno le cose e quali siano i rischi.

Poi la battaglia politica è tale che tutti avanzano le loro pretese. Ma io preferisco il dibattito politico britannico dove si annuncia un aumento dell'aliquota massima (anche da parte dell'opposizione) per far quadrare i conti, altro che "due aliquote"!

RR

 

 

...incentivi (i.e. aliquote minori) a non nascondere reddito.

La solita ricetta liberista: abbassiamo le tasse, in modo da farle pagare a tutti.

Ora vi chiedo, esistono esempi (meglio se di paesi "latini") che conferiscano una qualche attendibilità a questa teoria?