La privatizzazione dei servizi idrici

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Il "referendum sull'acqua" si avvicina (ammesso che non sciolgano il Parlamento) e, come si faceva notare, i toni si faranno più accesi e confusi con l'incedere delle scadenze. Cerchiamo qui di fare un punto della situazione.

Innanzitutto vediamo cosa vogliono abolire questi quesiti e sentiamo, per bocca del comitato referendario, perché sono stati proposti.

I quesiti referendari riguardano:

  • Quesito 1: la possibilità di affidare a privati la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di distribuzione dell'acqua).
  • Quesito 2: la modalità di affidamento dei servizi idrici.
  • Quesito 3: la legittimità della remunerazione del capitale investito nel servizio idrico.

In pratica si cancella la possibilità in principio delle concessioni nonché tutti i meccanismi e i principi che la renderebbero fattibile. In particolare il messaggio che passa con la proposta del quesito 3 mi sembra sia potenzialmente inquietante. Ma diamo la parola al comitato referendario, che ci spiega perché ha voluto questi tre quesiti:

 

Perché l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale. Un bene essenziale che appartiene a tutti. Nessuno può appropriarsene, né farci profitti. L’attuale governo ha invece deciso di consegnarla ai privati e alle grandi multinazionali. Noi tutte e tutti possiamo impedirlo. Mettendo oggi la nostra firma sulla richiesta di referendum e votando SI quando, nella prossima primavera, saremo chiamati a decidere. E’ una battaglia di civiltà. Nessuno si senta escluso.

Perché tre quesiti?

Perché vogliamo eliminare tutte le norme che in questi anni hanno spinto verso la privatizzazione dell’acqua.

Perché vogliamo togliere l’acqua dal mercato e i profitti dall’acqua.

Il comitato infatti vuole:

 

[...] restituire questo bene essenziale alla gestione collettiva. Per garantirne l’accesso a tutte e tutti. Per tutelarlo come bene comune. Per conservarlo per le future generazioni. Vogliamo una gestione pubblica e partecipativa.

Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia.

In sostanza, riepilogando le istanze espresse, troviamo che gli obiettivi di questa consultazione sono:

  • tutelare l'acqua;
  • conservare l'acqua per le future generazioni;
  • togliere l'acqua dal mercato;
  • togliere i profitti dall'acqua;
  • garantire a tutti l'accesso all'acqua;
  • eliminare le norme che hanno spinto verso la privatizzazione dell'acqua;
  • restituire l'acqua alla gestione collettiva;
  • gestione pubblica e partecipativa dell'acqua.

Questa lista è molto bella e nella presentazione che ne fa il comitato viene anche condita di espressioni di grande effetto ("si scrive acqua ma si legge democrazia") ma sembra che alcune di esse non abbiano senso.  Andiamo ad analizzarle.

Va benissimo dire che bisogna "tutelare l'acqua" oppure affermare di volerla conservare per le generazioni future, ma in concreto cosa vuol dire? Un gestore privato di servizi idrici non può compromettere una falda in modo tale che sia compromessa per sempre, o meglio può ma basta un minimo di controllo per assicurarsi che non lo faccia: l'eventualità peggiore è che sfrutti la falda a tal punto da innescare processi di desertificazione che a loro volta potrebbero compromettere l'acquifero; si tratta tuttavia di processi molto lunghi, che richiedono decenni per manifestarsi e consolidarsi. Controlli anche solo semestrali sui livelli della falda dovrebbero essere ampiamente sufficienti a scongiurare questo rischio. La distruzione delle risorse idriche passa per altre vie, più simili alla gestione incosciente dei rifiuti industriali che alla distribuzione privata dell'acqua. Paradossalmente, introducendo interessi privati nel mantenimento della qualità dell'acqua potrebbe addirittura innescarsi un circolo virtuoso di protezione locale delle falde: se io getto degli inquinanti nell'ambiente, oggi i miei più agguerriti contestatori saranno i cittadini del paese accanto che rischierebbero di non potere neanche fare una class action (l'azione collettiva per danno ambientale non è automaticamente ammissibile in quanto è un illecito extracontrattuale non immediatamente riconducibile alle casistiche previste dalla legge - fondamentalmente: prodotti difettosi, pubblicità ingannevole e comportamenti anticoncorrenziali - l'ammissibilità di queste azioni collettive va quindi valutata caso per caso), mentre domani potrei mettermi contro l'ufficio legale di una multinazionale che si troverà costi produttivi più alti per colpa mia, siano essi legati a nuovi depuratori o a multe per mancato rispetto dei parametri dell'acqua erogata. Chi dei due sarà più efficace? In realtà in Italia nessuno dei due: un mio collega, in un contenzioso su questioni legate a infrastrutture ingegneristiche, si è appena visto prospettare un processo lungo 20 (venti!) anni.

Lo stesso vale per il discorso di togliere i profitti dall'acqua: cosa vuol dire? Scelgo di interpretarlo come “non vogliamo che la cosiddetta privatizzazione dell’acqua serva a togliere ricchezza alla collettività per consegnarla ai privati”, che mi sembra abbastanza sensato. Ma siamo sicuri che il meccanismo delle concessioni sia un costo e non un vantaggio, per la collettività?  E’ lecito supporre che l’aspettativa dell’operazione sia proprio di ottenere dei vantaggi (per la cittadinanza) maggiori da una gestione privata degli acquedotti rispetto a una gestione pubblica. I vantaggi principali (tutti da dimostrare, ma lecitamente e ragionevolmente cercati) credo si possa concordare che siano fondamentalmente due: maggior efficienza nelle attività ordinarie, traducibile in minor costo di esercizio, e trasferimento degli oneri legati al reperimento e alla remunerazione dei capitali necessari agli investimenti straordinari a un soggetto terzo (il concessionario). Questo vuol dire, per esempio, che posso costruire infrastrutture senza pesare sul bilancio dello Stato, che non sarà costretto a emettere debito per finanziare queste iniziative. Certo, non ci sono pasti gratis, e questo meccanismo appare come uno scenario win/win solo in virtù di due cose:

  • vengono sottratte risorse a un mondo che vive nelle pieghe delle inefficienze gestionali dello Stato (se queste inefficienze non ci fossero, per definizione il privato non potrebbe essere più efficiente);
  • si trasferisce l’onere del debito per gli investimenti solo a chi ne beneficia e non si espone più tutta la collettività al rischio (anche se qui bisogna fare attenzione: si potrebbe andare contro il principio di sussidiarietà).

Ma, andando a fare i conti, la cittadinanza sarà quindi più ricca o più povera?  La Federconsumatori e l'Adusbef hanno stimato un rincaro delle tariffe del 16%, senza però dire come è stato calcolato, ma soprattutto senza dire se le tariffe attuali sono sufficienti già ora a coprire i costi. Infatti anche sotto la gestione pubblica la distribuzione dell'acqua ha dei costi: mica posso evitare di pagare gli operatori, gli ingegneri e tutte le altre persone che rendono possibile il servizio? E, soprattutto, non devo garantire margini sufficienti a pagare gli investimenti iniziali? Verosimilmente, e giustamente, dal momento che non si tratta di spesa corrente, gli investimenti legati alla creazione o al rinnovamento delle infrastrutture ma anche alla creazione della struttura per la gestione saranno stati finanziati con l'emissione di titoli di stato che pagheranno un interesse ai sottoscrittori: avere soldi pubblici non vuol dire averli a costo zero, e comportarsi come se fosse così non elimina il costo del capitale ma sposta solo la voce di spesa.

Immaginiamo un acquedotto con una gestione in attivo: 8.000.000 € di vendita di acqua, un utile netto di 100.000 €, un EBIT di 550.000 € e dei FCFF di 1.000.000 €. Questa gestione è virtuosa o no? Sembrerebbe di sì, se non fosse che gli investimenti iniziali ammontano a 25.000.000 €.   Se supponiamo che il capitale pubblico si sconti al 5% (dati di luglio del Dipartimento del Tesoro per BTP trentennali), il valore attuale netto dell’acquedotto su un orizzonte di 30 anni è inferiore a -9.000.000 €. Una perdita netta e discretamente abbondante, che peggiora i miei conti: per andare in pari (ovvero per coprire quei 9.000.000 €, sempre considerando quel 5% come costo del capitale) avrei bisogno di un incremento delle tariffe del 7,5% (nell’ipotesi che il maggior gettito fiscale della società vada a coprire questi oneri). Questo vuol dire che se un privato prende in gestione la struttura, assumendosi anche gli oneri dell’investimento e mi pratica un rincaro solo del 7% la collettività ci sta guadagnando. A questo punto è facile supporre quello che dovrebbe esserci scritto sul bando di gara: si pone una base d’asta per le tariffe pari alla tariffa attuale + il 7,5% e chi riesce ad abbassare di più le tariffe (vuoi per ottimizzazione del servizio, vuoi per migliore gestione finanziaria) vince. E’ lecito pensare che ci siano società in grado di farlo? Se incarico una società privata, questa ha degli azionisti che vorranno vedere remunerato il loro capitale di rischio; ma quanto sarà oneroso questo premio al rischio? A occhio direi sotto la media del mercato, visto che si tratta di business molto consolidati, di consumi poco elastici e di situazioni di monopolio locale (l'azienda con la concessione sarà solo una): da queste caratteristiche deriva appunto un rischio basso e così anche il premio relativo (la pagina di Aswath Damodaran riporta, per le società europee di Water Utility, un beta di 0,66). Non è follia supporre che quello che si perde in maggior costo del capitale lo si guadagni in quella maggiore efficienza del processo produttivo che dovrebbe essere una caratteristica dell’impresa privata. Inoltre, strutturando bene i bandi di gara (clausole che regolamentino gli aumenti tariffari, KPI scelti ad hoc, ecc…), direi che il rischio di oneri aggiuntivi per lo Stato (e, si spera, i cittadini) possa essere scongiurato.

Continuando con la disamina delle istanze del comitato per il referendum: "garantire a tutti l'accesso"?  Cosa si intende?  Vuol dire portare l'acqua anche all'ultima casetta sperduta in montagna o continuare a erogare anche agli insolventi? Il discorso non è differente da prima: entrambe le cose hanno un costo, e lo hanno già ora. Il fatto che un privato non voglia accollarseli senza una controparte mi sembra il minimo. Per ovviare a questo basta regolare bene i meccanismi di concessione (ad es.: stabilendo che l'amministrazione garantisce per gli insolventi), ma non è che il gestore privato è cattivo a togliere l'acqua a chi non paga: è la collettività che si sta scaricando dal peso di queste persone.

Il discorso sulla "privatizzazione", poi, non regge, dal momento che l'articolo da abrogare nella legge 133/08 dice esplicitamente:

5. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.

E' quindi la gestione che viene data ai privati (per un tempo finito). Non la proprietà, né delle infrastrutture né della falda.

Le istanze con un po' più di senso sono quelli relative alla gestione pubblica: se vogliono gestirsela in proprio, lo facciano pure, verrebbe da dire (il fatto che la volontà politica della cittadinanza sia autolesionista non le toglie legittimità). La legge obbliga o permette di privatizzare il servizio?   Leggete sopra: "può".  Si potrebbe discutere a lungo sui vantaggi o svantaggi della gestione privata, ma, anche se penso che la privatizzazione convenga, si tratta di un'analisi da fare caso per caso con i numeri alla mano: bisogna sapere quanto è il vero valore dell’iniziativa e se questa è in perdita, vedere se ci sono margini di ottimizzazione; nell’esempio fatto prima, le tariffe avrebbero potuto salire del 7,5%, ma ogni caso avrà i suoi valori caratteristici.  Non escludo, anche se non mi esprimo sulla probabilità che questo succeda, che ci possano essere acquedotti gestiti bene dal pubblico, non ulteriormente ottimizzabili attraverso una gestione privata. In questo caso mantenere l'azionariato pubblico porterebbe, come si accennava poche righe sopra, a poter scontare i flussi di cassa a un tasso più basso. In sostanza, se la volontà politica di mantenere pubblica l'acqua in una determinata area è forte (e a maggior ragione se ben motivata), non mi sembra che questa legge ponga grandi problemi.

Detto questo, perché tanto successo per questi referendum? Credo che le risposte principali siano un’informazione parziale e una buona dose di sfiducia.

Informazione parziale perché si fa l'esempio di posti dove l'acqua costa di più perché privata, senza ragionare sul perché lì costa di più o sui costi che questa maggiore tariffazione impone (o evita) alla collettività; non lo sapremo mai perché quello che è stato veicolato non è un’informazione, ma una frase a effetto.   Come si è visto, tariffe maggiori non solo possono essere pienamente giustificate, ma costituire, a determinate condizioni, addirittura un vantaggio per la cittadinanza. Parlare di tariffe più alte senza approfondire la questione è solo fare leva sulla “pancia” delle persone: l’informazione che fornisco non è falsa, ma è lungi dall’essere completa.

Sfiducia perché il meccanismo della gestione privata funzionerebbe bene a determinate condizioni che presuppongono che il potere politico sia in grado di vigilare su quanto fatto dai gestori privati sia in sede di gara che di gestione, mentre l'idea comune mi pare essere che questo potere troverà un accordo con i privati per rosicchiare margini quasi esclusivamente dal lato degli utenti (che a quel punto si ritroverebbero davvero a essere più poveri). In particolare c'è da dire che gran parte di quanto detto sui vantaggi che una gestione privata potrebbe fornire ha come presupposto che ci si trovi in un contesto competitivo, e ho le mie difficoltà a credere che sarà così. Però un conto è capire perché un sistema sia difficilmente applicabile in Italia e quindi vedere cosa si può fare per porlo in essere, ben altra storia è etichettare un sistema che sfrutta i meccanismi di mercato per creare efficienza (e quindi ricchezza) come "malvagio".

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Commenti

Ci sono 97 commenti

Leggo nell'articolo

Questo vuol dire che se un privato prende in gestione la struttura, assumendosi anche gli oneri dell’investimento

e qui purtroppo ci sia allontana dalla realtà Italiana. Mai le cosiddette privatizzazioni hanno fatto gravare sul privato concessionario gli oneri dell'investimento: vedi Autostrade (mica i benetton hanno pagato la rete autostradale), Telecom (proprietaria della rete pagata dai cittadini con le tasse e acquistata a debito), Alitalia etc.. Quasi sempre l'affidamento ai privati è stato un regalo ad amici e soci in affari di politici: cosa fa pensare che stavolta sia diverso? Facile gestire un bene senza oneri di investimento iniziale, gentilmente prestato dal politico di turno.

 

Quasi sempre l'affidamento ai privati è stato un regalo ad amici e soci in affari di politici

 

Gia', ma il non-affidamento ha significato sempre un controllo diretto da parte dei politici stessi (a beneficio dei medesimi e delle loro clientele). Il problema non e' il libero mercato, come rappresentano i promotori del referendum, ma la sua assenza: invece di cercare di cercare di lasciare le cose come stanno, sarebbe bene cominciare a battersi per privatizzazioni ben fatte.

Giusto, abbiamo tutti sotto gli occhi i danni di certe gestioni politiche dirette del bene pubblico, che di solito portano a clientele e a favoritismi personali, come le privatizzazioni all'italiana. Dico solo che ripetere gli errori fatti, col privato che amministra l'utile e i pubblico che si accolla il debito, è persino peggio. Vanno fatte vere privatizzazioni e va comunque gestito meglio il pubblico, dando all'amministratore la responsabilità di ciò che fa (in Italia la pubblica amministrazione non è mai responsabile di fronte al cittadino, non paga mai in caso di malfunzionamento)

Come dice il primo commento qui sopra, la prassi e' che vengono regalate a parenti e amici.

Non solo, ma a questi vengono garantite rendite da monopolio. Cosi' come e' strutturato ora infatti, non mi sembra, quello dell'acqua, un mercato molto concorrenziale (certo per bere si puo' sempre comprare la Ferrarelle, ma non ci si puo' lavare con quella).

Oltre al prezzo di monopolio, non mi e' chiaro neanche quale siano gli incentivi del privato a investire per abbassare il costo marginale (ad esempio eliminare gli sprechi, tipo l'acqua che si disperde nella rete). Se sono monopolista, chi me lo fa fare a investire in una struttura non mia (la proprieta' della rete rimane pubblica), che so che magari dopo qualche anno verra' data in gestione a parenti e amici della nuova maggioranza di turno? Perche' devo anticipare soldi migliorando la rete, se rischio che poi del mio investimento se ne avvantaggera' qualcun altro?

E' vero che il servizio, una volta concesso, sarebbe fondamentalmente un monopolio; è per questo che è importante garantire una vera concorrenza nel momento in cui questa può esserci (ed essere veramente accesa): il momento della concessione, la gara d'appalto, nella quale vengono definite le tariffe, i meccanismi di revisione, gli interventi da effettuare sulle infrastrutture, ecc...

Ciò premesso, il regime di monopolio potrebbe addirittura giocare a favore, permettendo al privato di accontentarsi di un premio per il rischio molto basso.

Per quanto riguarda gli incentivi a investire, una volta acquisita la rete, sono effettivamente molto bassi: si investirebbe solo su quegli interventi che consentono economie di gestione tali da risultare convenienti all'interno dell'orizzonte contrattuale.  Anche per questo aspetto occorre che il momento della concessione sia particolarmente efficiente: per guadagnare punteggio e assicurarsi il contratto i vari concorrenti porteranno i loro progetti di investimento, progetti da realizzare una volta che dovessero risultare i concessionari del servizio.

Non lo nego, è un meccanismo delicato, che prevede trasparenza in ogni sua fase, ma non è necessariamente un regalo fatto alle aziende sulla pelle dei cittadini.  Quello che un po' mi spaventa e un po' mi sconforta è vedere molte "energie politiche" di tante persone di buona volontà rivolte, mi sembra, verso l'immobilismo e non verso il miglioramento.  In pratica, il discorso sotteso mi pare essere "questo meccanismo è pericoloso, meglio non fare nulla!", quando avrei sperato in una cosa del tipo "questo meccanismo è pericoloso, ma visto che possono esserci dei vantaggi attiviamoci per ottenerli!".  Perché un comitato referendario per abolire?  Perché i "grillini" non fanno pressione per ottenere dei comitati di controllo delle concessioni invece che per abolirle tout-court?  Anche qui si tratterebbe di un meccanismo delicato e forse non sarebbe neanche la soluzione giusta, però il messaggio sarebbe diverso.

Questa faccenda è un perfetto paradigma della situazione liberale in Italia.

Il governo chiama "Privatizzazioni", evocando libero mercato, concorrenza ed efficienza, quelle che in realtà sono cessioni di monopoli (e relativi privilegi) a parenti ed amici. Dimostrando una mentalità corporativista, quasi monarchica.

L'opposizione è contraria, non per la mancanza di libero mercato e concorrenza, ma perchè mossa da una mentalità tardo marxista travestita da ecologista, vuole più stato ed "aborrisce" a priori tutto quello che genera profitto, sicuro sinonimo del Male. (Altra ipotesi: degli agit prop vengono usati per aizzare l'opinione pubblica contro la "privatizzazione all'italiana" non in quanto tale ma perchè favorisce gli "amici" dell'altro e non i propri).

Gli estimatori della concorrenza e del libero mercato sono presenti nel dibattito solo come alibi per il governo e nemico immaginario per l'opposizione. Nella realtà scrivono articoli sui Blog e commenti su NfA

 

Solo per ricordare che anche Italia dei Valori ha presentato un quesito referendario contro "la privatizzazione dell'acqua" e depositato le firme necessarie. Il quesito differisce da quelli dei "forum per l'acqua" fondamentalmente, e semplificando, in ciò che ammette che la gestione possa essere svolta anche da forme aziendali diverse dala gestione comunale diretta, purché a maggioranza di capitale pubblico. La nostra posizione contro la privatizzazione parte da un assunto diverso e cioè che l'acqua è un bene unico, privo di succedanei, a differenza di altri beni (come l'energia, il gas, ) e dunque non può che essere prodotto e gestito in regime di monopolio. Credo che la teoria economica (almeno quella a me conosciuta) ha sempre ritenuto che ove sia ineluttabile il monopolio è meglio che esso sia pubblico piuttosto che privato.

Secondo me le societa' miste hanno dato pessima prova per i seguenti motivi:

1a) essendo di diritto privato sono fuori dal controllo della magistratura contabile quindi mano libera a politici e accoliti per le peggiori nefandezze

1b) assunzioni, stipendi e consulenze vengono effettuati secondo criteri completamente discrezionali.

Se l'IdV ha intenzione veramente di chiudere con il verminaio e pensa che i monopoli naturali debbano essere pubblici il mio "consiglio morale" e' di essere conseguenti fino in fondo.

 

La nostra posizione contro la privatizzazione parte da un assunto diverso e cioè che l'acqua è un bene unico, privo di succedanei, a differenza di altri beni (come l'energia, il gas, ) e dunque non può che essere prodotto e gestito in regime di monopolio. Credo che la teoria economica (almeno quella a me conosciuta) ha sempre ritenuto che ove sia ineluttabile il monopolio è meglio che esso sia pubblico piuttosto che privato.

 

La vostra posizione ha preso in considerazione quanto presentato nell'edizione 2010 dell'Indice delle liberalizzazioni (Istituto Bruno Leoni)? C'è un benchmark internazionale che prende in considerazione il caso migliore (in questo caso la Scozia, e non dovrebbe essere un mistero che gli scozzesi sono molto attenti ai costi di gestione ed alla qualità del servizio). Nel testo vengono anche forniti vari dati sugli invenstimenti fatti, sulla diminuzione (35%) delle perdite d'acqua, sul numero di fornitori di servizi idrici.

Francesco

Mea culpa, ma non ho saputo dedurre questo distinguo dalla vostra presentazione, mi è sembrato un gemello del quesito 1 presentato dal comitato referendario.

Approfitto allora per chiedere una spiegazione: si chiede, fra le altre cose, di abolire dall'art. 15 della legge 166/09 quanto segue:

nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita’ e prezzo del servizio

Perché la "piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche" é una locuzione da abolire?

Poi un'altra domanda: una volta che sia sancita la proprietà pubblica delle infrastrutture e della risorsa e che la concessione del servizio sia ben regolata (giuste clausole, termini congrui...), è così necessario che ci debba essere una partecipazione pubblica di maggioranza nella gestione?

"Credo che la teoria economica (almeno quella a me conosciuta) ha sempre ritenuto che ove sia ineluttabile il monopolio è meglio che esso sia pubblico piuttosto che privato."

Veramente la conventional wisdom e' che se il monopolio e' ineluttabile dovrebbe essere regolato, ma non necessariamente di proprieta' pubblica - piuttosto il contrario; il paper piu' recente che ho trovato sull'argomento e' Kwoka (2009)

C'e' anche una vasta letteratura sulla possibilita' di affidare a privati (a mezzo di aste) la fornitura di servizi in condizioni di monopolio naturale (a partire da Chadwick (1859) e Demsetz (1968); una buona survey, anche se un po' vecchiotta, e' di Crocker e Masten (1996); per analisi empiriche piu' recenti, si veda ad esempio Guasch (2004) per l'America Latina e Chong, Huet e Saussier (2005) per uno studio francese proprio sull'acqua.

Secondo alcuni, la privatizzazione dell'acqua salva anche la vita dei bambini.

 

Grazie della precisazione.

Sinceramente però non capisco questa scelta.Richiedere la maggioranza pubblica significa sostanzialmente non consentire appalti (o meglio, farli all' italiana con un vincitore designato ed alcuni figuranti ).Quale sarebbe il ruolo dei soci privati di minoranza? Mi sembra un paravento per le pastette.

si,conosco la differente posizione dell'IDV,ma ora ne vorrei approfittare per andare fuori tema,visto che posso dialogare con Borghesi che fa parte della commissione bilancio ed è laureato in economia:potremmo parlare della vostra contromanovra per il 2011 e 2012?Mi pare che ci sia qualcosa che non quadra:leggendo i vari documenti,a me risulta che la vostra correzione del deficit per il 2012 sia di soli 9 miliardi di euro contro i 25 richiesti e vedo che in diverse parti si fa confusione tra debito pubblico e deficit,potrebbe spiegarmi queste incogruenze?

Da trentenne cittadino milanese constato che da quando ho memoria il servizio di acqua potabile funziona bene e costa poco. Onestamente non vedo proprio cosa avrei da guadagnare come utente da un'eventuale privatizzazione. In particolare dubito fortemente una riduzione delle tariffe.

beh, la stessa cosa si poteva dire dell'alitalia... il cui passivo gravava sulla fiscalità generale.

si pensa cioè che nella gestione pubblica del servizio ci siano delle importanti inefficenze, tutte risorse che si potrebbero impiegare in altri servizi pubblici o in riduzione delle tasse.

E' che non ti ricordi di quanto avvenne  nel 1985, quando l'acqua degli acquedotti lombardi si trovo' ad avere un contenuto di atrazina superiore a quello stabilito dalle norme vigenti all'epoca. Probabilmente non ricordi anche come venne risolto il problema: innalzando i limiti con un decreto del ministro della Sanita Degan che innalzo' di dieci volte il limite ammesso. Il suo successore Donat Cattin reitero' il decreto.

Aggiungo che attualmente i laboratori che controllano la qualita' dell'acqua sono o direttamente di proprieta' delle aziende distributrici dell'acqua (come nel caso di Hera all'impianto del Setta), o di proprieta' dello stesso padrone (il "pubblico", tramite l'ARPA) ed a lui rispondono in funzione di criteri che non sempre sono tecnici.

Io di controllori che controllano se' stessi, in generale, non mi fido, perche' io sono malfidente di natura.

Infine so per certo che l'azienda acquedottistica di Milano (ma sono nella stessa situazione praticamente tutte le aziende degli acquedotti italiane, a partire da Bologna) avrebbe la necessita' di chiudere gli attuali pozzi e riperforarne dei nuovi con criteri scientifici per evitare di degradare ulteriormente le falde profonde (quelle in teoria al riparo da episodi come quello dell'atrazina). Non lo possono fare perche' non vengono accantonati fondi per eseguire i lavori.

Non voglio entrare nel tecnico (non avrei problemi a farlo, ma qui siamo su un sito di economisti, non di idrogeologi) e spiegare esattamente cosa c'e' che non va nei pozzi in uso ora, ma comunque e' in vigore una legge (con una direttiva esplicativa) dal 1977 che impone che i nuovi pozzi seguano dei criteri poco piu' che di "buon senso". I pozzi in sfruttamento in quasi tutta Italia attualmente non li seguono. E andrebbero adeguati.

Magari, chissa', ad un privato potrebbe essere imposto di pensarci lui, a modernizzare i pozzi e gli impianti.

Di sicuro negli ultimi 30 anni il pubblico non lo ha fatto.

Io, sinceramente, tutta questa "buona gestione" dell'acqua negli ultimi 30 anni non la vedo. Anzi, vedo un sistema di gestione che spreca buona parte dell'acqua immessa nelle tubazioni, che la prende dal sottosuolo con impianti obsoleti e pericolosi per le falde, che autocertifica la bonta' del proprio operato, che non e' stato in grado di pianificare in modo scientifico l'uso della risorsa "acqua sotterranea" perche' non e' in grado di conoscere quanta acqua viene prelevata legalmente e abusivamente, dal sottosuolo.

I privati potrebbero fare peggio? Forse si', forse no, ma il pubblico ha fatto il peggio che poteva e credo proprio sia ora di cambiare.

 

Sono perfettamente d'accordo con l'ultimo capoverso dell'articolo e di conseguenza assolutamente contrario alla privatizzazione della gestione delle risorse idriche in un contesto come quello italiano.

Sono convinto che in altri luoghi e in altre situazioni, ci sia la possibilità di immaginare scenari di privatizzazione che comportino anche vantaggi per la collettività ma qui ed ora questo ha un senso solo dal punto di vista accademico.

Da noi le uniche privatizzazioni che possono avere una chance di funzionare sono quelle basate su un incremento di concorrenzialità il cui giudice sia l'utente finale/consumatore, altrimenti rischiamo solo di sostituire una cattiva (ma è sempre poi così cattiva ?) gestione pubblica con un cattivo controllo pubblico su una gestione privata.

Altrimenti detto: la gestione pubblica da noi è inefficiente non tanto perché manca lo stimolo del profitto (problema che avranno anche in Svezia e in Olanda, per dire) ma perché il sistema tutto è inquinato da corruttele (e quindi inefficienze) di ogni tipo. In questo quadro, non vedo all'orizzonte soluzioni "di mercato" o di altro genere, ma solo tentativi di riproporre il malcostume vecchio con abiti nuovi. Dopodichè è chiaro che nel momento in cui la questione diventa battaglia politica, viene proposta in termini che possano far storcere il naso ai puristi scontando le tante e diverse arretratezze culturali di un paese come questo ma che ci posso fare ? mi turerò il naso e voterò tutti sì.... tanto i fautori della privatizzazione possono restare tranquilli, sono solo referendum quindi falliranno e se non dovessero fallire si cambia una virgola della legge attuale e la si riapprova.

 Comunque pour parler, in Olanda da sempre hanno avuto un apposito ministero per la gestione delle acque (il Waterstaat) anche se in tempi più recenti è stato accorpato ai trasporti. E la gestione del territorio lì è una faccenda presa piuttosto sul serio e che produce risultati eccellenti. Mi piacerebbe sapere se i campioni della privatizzazione dell'acqua possono proporre a sostegno delle loro tesi analoghe "success story" o solo qualche esercizio teorico mai verificato nella realtà.

 

Riassumo i due argomenti più forti a sfavore dell'operazione.

* Gli Italiani non si fidano di come le privatizzazione vengono gestite nel loro paese. Escludono che ci possa essere trasparenza e buona gestione. Personalmente prevedo anche che in un piatto così ricco si possa infiltrare la mafia, che del resto ha già in appalto - almeno in alcune parti di italia - lo smaltimento dei rifiuti.

* La distribuzione dell'acqua è inerentemente un business monopolistico. Non si capisce che senso abbia privatizzarla, visto che in ogni caso non si sarebbe concorrenza. Questo anche ammettendo che la concorrenza sia un bene in sé per la comunità.

Aggiungerei un paio di considerazioni al contorno.

* Le aziende private che gestiscono l'acqua tendono a venderla, a caro prezzo, imbottigliata. Ci sono molte ragioni - non economiche in senso stretto - per le quali questa operazione è disdicevole. Il fatto che ci sia un mercato così ampio per questo prodotto, soprattutto in Italia, è il vero problema, ma temo attenga all'antropologia e non all'economia.

* Aumentando di un ordine di grandezza o due il costo dell'acqua pubblica si potrebbe, con tutta probabilità, distribuire acqua con qualità simili, o superiori per certi versi, a quella imbottigliata che ha costi molto maggiori. Se il contratto prevedesse qualcosa di simile ci sarebbe almeno un buon motivo per privatizzare.

* Visto che in ogni caso si tratterebbe di un monopolio, invece delle privatizzazioni non sarebbe meglio pensare a degli incentivi per aziende pubbliche che riescano ad aumentare l'efficienza o la qualità del servizio erogato?

 

< ma temo attenga all'antropologia e non all'economia>

che ci sarebbe di antropologico nell'acquisto dell'acqua in bottiglia?  io ci vedo solo un grande business

Il timore è che dove servirebbe un gestione migliore del servizio idrico (sud Italia) la privatizzazione finirebbe per portare altri soldi a chi, da quelle parti, ha le mani invischiate da tutte le parti...

Analogalmente dove le cose funzionano bene (es: dalle mie parti la qualità dell'acqua è ottima [migliore di quella in bottiglia] e i prezzi sono irrisori) la gestione rimarebbe pubblica e amen...

Quello che voglio dire è che dare certe libertà a certi amministratori è un rischio.

 

PS: ho notato in bolletta che il prezzo dell'acqua è proporzionale alla quantità consumata, cioè oltre una certa soglia il prezzo a metro cubo aumenta; si tratta di un'insulsaggine dal punto di vista economico (succede anche con l'elettricità mi pare).

 

cioè oltre una certa soglia il prezzo a metro cubo aumenta; si tratta di un'insulsaggine dal punto di vista economico.

 

Per un bene con disponibilità limitata, e che soffre per motivi tecnici i picchi di richiesta, no. Forse è il posto sbagliato per scriverlo, ma l' "economia del denaro" non è tutto e non regola tutto.

 

E perchè un'insulsaggine ? Se usi l'acqua per bere, lavarti e innaffiare due piante di basilico la paghi poco, se ti riempi la piscina olimpionica la paghi di più.

Il razionale è che è un bene per la collettività avere cittadini ben idratati e che non puzzino come capre (OK non ho trovato motivazioni per il basilico, lo ammetto) mentre i tuoi capricci personali te li paghi tu. Non trovo niente di insulso in questo.

Per il resto sono d'accordo con te, non è che io sia pregiudizialmente contrario alle privatizzazioni ma in questo caso secondo me i rischi superano di molto le opportunità. Anche perchè ritengo otttimistico che: 

dove le cose funzionano bene (es: dalle mie parti la qualità dell'acqua è ottima [migliore di quella in bottiglia] e i prezzi sono irrisori) la gestione rimarebbe pubblica e amen...

Sei proprio sicuro ? mah ! Io al tuo posto mi terrei ben stretta la gestione pubblica e stop.

 

 

 

Che il monopolio naturale richieda l'azienda pubblica è una forzatura: molti servizi pubblici sono resi, in regime di monopolio, da imprese private, grazie a concessioni.

Basta pensare ai trasporti pubblici, che in molte zone (forse in tutta l'Italia) sono resi da imprese private, almeno nella forma; si tratta, infatti, di società per azioni tenute a garantire il servizio secondo le clausole della concessione (quindi anche a servire la località remota, nonostante i costi non siano remunerati).

Dove non c'è il monopolio (p.es., elettricità e gas), c'è il controllo pubblico (autorità indipendenti).

Se ho inteso correttamente, la norma prevede proprio l'affidamento del servizio, non la privatizzazione dell'acqua. Se le clausole delle concessioni saranno rigorose, non vi è ragione di preferire la gestione pubblica a quella privata: anzi, si potrebbe sperare che certe notorie inefficienze siano superate.

Alle paventate infiltrazioni della criminalità organizzata ovvieranno gli interventi della magistratura. 

spero per Lei che abbia superato la cinquantina: a me, per aver sostenuto argomenti coincidenti coi suoi (anche se espressi in modo meno cristallino), è stata rimproverata la giovane età.

 

Ed infatti hai parlato di trasporto dove non esiste monopolio naturale. Infatti posso ricorrere a treno, aereo, automobile, moto, bicicletta e tutte queste modalità sono alternative.

Così per riscaldarmi posso usare elettricità, carbone, legna, sole, ecc.

Per l'acqua non esiste nulla di simile: c'è solo l'acqua.

Questo fa la differenza!

se da una parte è probabile che la "privatizzazione" porterà a risultati tipo Alitalia, Autostrade, Sip etc., dall'altra non si può non combattere con tutta la forza intellettuale possibile le motivazioni ideologiche che stanno alla base di questo referendum: quale privatizzazione potrà mai avere successo in un paese dove i concetti di liberale e libertà sono talmente distorti da renderli l'esatto contrario di ciò che dovrebbero intendersi? è un circolo vizioso.

 

volevo portare la mia esperienza di dipendente pubblico privatizzato.

Lavoravo presso gli uffici comunali di un piccolo comune del nord-italia che gestivano acqua gas e igiene urbana.

All'epoca tutto veniva gestito da 3 uffici comunali posti sotto una unica ripartizione che faceva parte della struttura burocratica del comune in questione

Oltre agli operai-impiegati quindi il tutto veniva gestito da 3 direttori d'ufficio e un direttore di ripartizione. 

Tutto funzionava bene, i lavoratori godevano del contratto di lavoro dell'ente locale e il surplus tornava nelle casse dell'ente per essere redistribuito.

A un certo punto si è voluto privattizzare il servizio che comunque è rimasto nelle mani di una società controllata dall'ente locale.

La società si è trasformata in un carrozzone con qualche direttore in + e un cda da mantenere. Ovviamente il contratto di lavoro dei dipendenti (soprattutto dei neoassunti) è peggiorato.

Il servizio non è peggiorato e la società versa ancora qualche utile nelle casse del comune.

Mi chiedo comunque nel complesso che senso abbiano queste operazioni e se effettivamente abbiano una logica.

Personalmente ritengo che pretendere e lottare per una burocrazia pubblica efficiente abbia molto più senso che cercare la via del mercato (soprattuto per certi beni che non devono essere equiparati a merci).

 

 

 

A un certo punto si è voluto privattizzare il servizio che comunque è rimasto nelle mani di una società controllata dall'ente locale.

 

 

è questo il punto che, secondo me, da adito al maggior numero di incomprensioni.

questa NON è una privatizzazione, è passare ad una società di diritto privato a maggioranza pubblica, blindata e omogenea al partito di riferimento.

sono astute operazioni intraprese da amministrazioni di vario colore, e prime le "progressiste", spinte dalla paura che si facciano autentiche privatizzazioni: si cambia qualcosa, magari subendo critiche di chi non ha capito il senso consevatore della manovra o di chi ha visto redistribuire piccoli poteri di campanile, in modo che però il controllo politico venga consolidato per l'eternità. il decreto ronchi lo consente, ma mi sento di dire che non era certo questo  lo spirito della legge.

 

 

Attualmente sono numerosissimi i controlli di qualità che vengono fatti sulle acque pubbliche, mentre ad es per la produzione di acque minerali i controlli sono minimi, ma non bassissimi possiamo dire siano i costi delle acque minerali vendute.

Non si corre il rischio con le concessioni ai privati che o il costo dell'acqua aumenti vertiginosamente oppure il livello dei controlli sia drasticamente ridotto?

Non avrebbe più senso proporre meccanismi di tariffazione progressiva che penalizzino chi ne usa quantità esagerate, mantenendo una gestione interamente pubblica?

 

 

Non si corre il rischio con le concessioni ai privati che o il costo dell'acqua aumenti vertiginosamente oppure il livello dei controlli sia drasticamente ridotto?

E' per questo che è fondamentale la chiarezza e la buona costruzione dei capitolati d'appalto.

Tariffe e meccanismi di revisione devono essere stabiliti a priori, così come gli indicatori di performance e i controlli da effettuare.  Così facendo questi rischi vengono eliminati o quantomeno fortemente ridotti.

In teoria, affidando la gestione a un privato ottengo pure una separazione netta fra controllore e controllato che certamente non peggiora la qualità dei controlli.

In concreto, privatizzare può essere utile se esistono delle inefficienze di gestione, di qualunque tipo esse siano.  Aumentare progressivamente le tariffe con la quantità consumata, anche avendo un suo senso, non è un meccanismo che elimina le inefficienze.

Lavoro per un Acquedotto SpA, uno di quelli virtuosi di quelli da best practice.

Siamo tutti d’accordo che più mercato dovrebbe garantire al consumatore prezzi più bassi e qualità più elevata, ma …

basta studiare un po’ per capire che gli acquedotti hanno margini sufficienti soltanto in presenza di:

 

  1. alta densità di popolazione (una cosa è servire Napoli un’altra servire il Molise o l’Abruzzo);
  2. territori orograficamente “facili” altrimenti i costi diventano troppo elevati non tanto per le discese ardite quanto per le risalite …;
  3. reti efficienti.

Le prime due condizioni in larga parte del territorio italiano non facilmente reperibili.

La terza condizione presuppone investimenti di notevole portata da parte di imprenditori privati.

Conseguenze?

i privati parteciperanno alle gare per la gestione di acquedotti dove ricorrono le prime due condizioni e possibilmente vi siano reti che abbisognano di sola manutenzione piuttosto che di nuovi tronchi o di nuovi impianti.

Questo significa a mio modo di vedere una sperequazione tra cittadini (non siamo mica una repubblica federale ancora …) dovuta alla fortuna di abitare in un luogo piuttosto che in un altro del paese o della stessa regione.

Cosa accade in una regione dove ci sono città e località densamente abitate e diversi paesi ubicati in altitudine che pertanto necessitano di impianti di sollevamento per la fornitura del servizio?

Accade che il privato dovrà pagare l’energia elettrica ben sapendo però di non poter ribaltare l’intero costo sulla collettività dovrà accontentarsi di marginare di meno e di operare su diversi tratti che generano perdite secche, conseguentemente preferirà concentrare gli sforzi sulle città ed inizierà ad abbandonare il resto del territorio prima in termini di manutenzione fino ad arrivare alla fornitura.

Infine due punti secondo me essenziali:

l’acqua è un bene pubblico credo sia opportuno fare tutti gli sforzi necessari affinché quanta più gente possibile possa goderne;

il costo sociale dei dipendenti degli attuali acquedotti licenziati non andrebbe comunque a gravare sulle tasche dei cittadini come accaduto con Alitalia?

 

 

Comincio dalla fine:

"l costo sociale dei dipendenti degli attuali acquedotti licenziati non andrebbe comunque a gravare sulle tasche dei cittadini come accaduto con Alitalia?"

Il paragone con Alitalia non mi e' chiaro. Comunque, assumendo che alcuni lavoratori verrebbero licenziati e dovrebbero campare di sussidi per un po', questo e' lo stesso problema causato da qualsiasi aumento di efficienza in un mercato con domanda e/o prezzi rigidi: qualcuno perde il lavoro, qualcuno lo guadagna da qualche altra parte; certo, ci sono costi di transizione, ma magari ce ne fossero di piu' di aumenti di efficienza! 

"l’acqua è un bene pubblico credo sia opportuno fare tutti gli sforzi necessari affinché quanta più gente possibile possa goderne"

Si va bene, pero' se tu vuoi vivere in un posto in cui portare l'acqua (o l'elettricita' o una connessione telefonica) costa caro, allora devi accettare di pagare di piu' per quelle cose. Se c'e' una volonta politica di sussidiare i villaggi di montagna, allora si puo' dare un sussidio esplicito a chi vive in montagna.

"i privati parteciperanno alle gare per la gestione di acquedotti dove ricorrono le prime due condizioni e possibilmente vi siano reti che abbisognano di sola manutenzione piuttosto che di nuovi tronchi o di nuovi impianti."

Non e' detto. Se ad esempio il bando di gara stabilisce il prezzo al consumo massimo per il costosissimo servizio nel villaggio montano e definisce criteri certi per gli investimenti necessari, la gara potrebbe essere vinta dal concorrente disposto a fornire il servizio per il sussidio pubblico piu' basso.

Ci sono molte variazioni sul tema (ho messo alcuni riferimenti bibliografici in un commento piu' sopra), ma il punto e' che si possono creare meccanismi d'asta pratici ed efficienti in molti piu' casi di quanto sembri.

Onestamente non so se la distribuzione dell'acqua in Italia e' uno di questi casi (non ho mai studiato questa industria), ma anche se non lo fosse non e' affatto ovvio se l'alternativa migliore sia un'azienda pubblica o una privata soggetta a regolamentazione.

Ad esempio, per riprendere un tema caro nei commenti a questo post, non mi e' ovvio se un politico locale corrotto riuscirebbe a fare piu' danni facendo assumere e/o ottenere sub-appalti a parenti e amici dalla municipalizzata o chiudendo un occhio sulla regolamentazione di un'impresa privata amica.

 

 

La terza condizione presuppone investimenti di notevole portata da parte di imprenditori privati.

 

Puoi spiegarmi perche' fino ad ora l'imprenditore pubblico non ha fatto investimenti per rendere piu' efficiente la rete e cosa ti fa pensare che riuscira invece a farli in futuro?

ps ma nel tuo acquedotto spa, i pozzi pescano dalle falde singolarmente senza metterle in comunicazione tra di loro oppure pescano indistintamente da tutte le falde assieme in ogni pozzo?

 

se, se, se... Mi pare che la privatizzazione (ben fatta) della gestione dell'acqua sia ancorata a tutta una serie di condizioni veramente difficili da realizzare in pratica. Ma veramente vale la pena, ripeto, di imbarcarsi in questa operazione, quando ci sono molte altre liberalizzazioni più "sicure" e importanti da poter fare? Sarà avversione al rischio, ma impegnarsi per la privatizzazione di un servizio quando le condizioni per avere successo sono così difficili mi pare un po' un bias ideologico verso il "libero mercato" (nel caso in esame ne vedo poco)

Antonio Borghesi: "La nostra posizione contro la privatizzazione parte da un assunto diverso e cioè che l'acqua è un bene unico, privo di succedanei, a differenza di altri beni (come l'energia, il gas, ) e dunque non può che essere prodotto e gestito in regime di monopolio".

Sono vecchio, e lo sono anche le mie letture di economia. Sarà per questo che non ricordo chi ha dimostrato l'inevitabilità del collegamento fra bene privo di succedanei e sua gestione in regime di monopolio. Antonio Borghesi o qualcun altro mi può illuminare? E già che c'è, mi spiega perché, per coerenza, non fare anche un bel referendum per statalizzare la terra (sia agricola che edificabile, ché in ogni caso - se escludiamo le colture aeroponiche e la colonizzazione di Marte - gran succedanei non ne vedo)? 

 

Giuro che ci volevo scrivere qualcosa su questa cosa, poi MarcoM mi ha preceduto, il punto è che io la vedo in maniera completamente diversa: non "privatizzerei" mai le reti di distribuzione idrica, quindi voterò SI' ai referendum.

Breve premessa: ma i servizi idrici, con l'attuale livello di tariffazione sono in perdita? Non sembra proprio: qui, quo e qua i bilanci di ARIN,ACEA (quotata in borsa) e Acquedotto Pugliese, che da soli raggiungono quasi il 50% degli italiani, se ci aggiungiamo anche HERA e AEM credo che superiamo l'80%, HERA e AEM (quotata in borsa) non distinguono chiaramente nel bilancio fra acqua e altro, ma non credo siano diventati enti di beneficenza, salvo evidenza contraria.

Quindi partiamo da una situazioni in cui l'Ente pubblico già realizza profitti ed investimenti, e il livello delle tariffe non è percepito come "salato". Allora vorrei capire perchè devo "affidare" una rete (pagata da noi), a un privato, che me la ritornerà in X anni, facendomi pagare (sembra che anche MarcoM sia d'accordo a un "inevitabile" rincaro delle tariffe) di più, quello che è già mio ed è soddisfacente.

Parliamo di un settore che "dovrebbe rendere" il 7% annuo del capitale investito. Niente male, visto che i titoli di stato hanno rendimenti del 3.6%, e quel 7% è un ROI garantito al 100%. Ancora meglio, mi faccio da solo un modellino: i soliti "capitalisti senza capitali, ma amici degli amici" si fanno prestare i soldi dalle banche (al 4%, vi va bene?) e lucrano sempicemente sulla differenza fra soldi prestati e soldi ricavati dall'attività svolta. E questa è una "liberalizzazione" ?

Ancora: facciamo finta che il servizio sia poi affidato a un privato con un contratto di appalto minuzioso e fatto veramente bene (mmmm, in italia?), poi si dovrà svolgere un'opera di controllo altrettanto scrupolosa, e questi controlli costano o sono gratuiti ?

Ancora: il decreto Ronchi impone (letteralmente: impone) ai Comuni e/o consorzi di bacino che vogliano gestire il servizio "in house" (traduzione: all'interno) di vendere il 40% delle quote ai privati. Perchè? Boh.

Insomma, su questa storia della "privatizzazione" delle reti (affidamento ai privati della gestione della rete idrica) io ho visto subito il solito connubio affari-politica: ditemi dove oggi, AD 2010 trovate un business a rendimento garantito del 7% senza alcun rischio di impresa, anche per gli anni a venire, e dove grazie a qualche giochetto contabile potete guadagnare una marea (notare la sottile ironia..) di denari, quasi senza il sudore della fronte.

Breve notarella (personale, assolutamente personale) sulla diatriba casetta di montagna-città: discorsi del genere li ritengo addirittura dannosi: poniamo il caso che la casetta di montagna sia vicino ad una importante fonte che rifornisce l'acqua di una città a valle, potrebbe il simpatico montanaro dire: a me l'acqua scorre vicino (cosa assai probabile), quindi la voglio pagare di meno perchè non deve fare km di tubi, e poi io e i miei compaesani non vogliamo dare l'acqua alla città, ce lo vogliamo tenere noi, che gli abitanti della città si paghino un desalinatore (costoso desalare l'acqua, molto costoso). Se cominciamo con questi discorsi in breve non esisterà agricoltura (il 70% dell'acqua va ai nostri cari, sussidiati, agricoltori), non esisterà industria, campagna o città. Per questo la distribuzione (le reti) devono essere pubbliche, stiamo già pagando caro e amaro l'errore di Telecom (grande favore ai soliti noti..), non vorrei che fra qualche anno parliamo pure dell'errore dell'acqua. Piuttosto domandatevi come mai le reti interessano tanto ai monopolisti..

sottoscrivo in toto, pure la parte sulla diatriba montagna-città. Tra l'altro mi pare esistano già casi del tipo citato circa il fatto che i montanari sono stufi di regalare acqua ai "cittadini". Se riesco provo a reperire un link

Giuro che ci volevo scrivere qualcosa su questa cosa, poi MarcoM mi ha preceduto, il punto è che io la vedo in maniera completamente diversa: non "privatizzerei" mai le reti di distribuzione idrica, quindi voterò SI' ai referendum.

Ma la proprietà delle reti non mi sembra affatto in discussione; è solo la gestione del servizio che verrebbe privatizzata.

Breve premessa: ma i servizi idrici, con l'attuale livello di tariffazione sono in perdita?

Mi piacerebbe vedere uno studio puntuale al riguardo; il punto è che un'impresa economica può avere conti economici in attivo e non essere redditizia.  Tu citi, giustamente, i bilanci, ma le scritture contabili possono essere poco trasparenti.  Se vado ad esempio a vedere il conto economico di ARIN che tu hai linkato, vedo che un attivo, ma se vado a spulciare i documenti più dettagliati presenti sul sito vedo che 2.050.000 € vengono dal Comune di Napoli in qualità di concorso del Comune per servizi pubblici (e già il conto sembra meno autosufficiente) e se vado a vedere cosa sono gli altri ricavi (9 milioni e mezzo, non mi pare siano trascurabili) trovo che ben 6 milioni vengono da "sopravvenienze attive" dovute a

in larga misura correlate al venir meno di parte di debiti verso creditori, in seguito al raggiungimento ed alla sottoscrizione di accordi transattivi

Sarebbe interessante conoscere il contenuto degli accordi e vedere se un privato avrebbe potuto fare lo stesso.  Io ci leggo che i debiti sono stati condonati (con danno all'imprenditoria locale) in cambio di corrispettivi non economici (ma non abbiamo idea di che corrispettivi si tratti).  E' curioso, inoltre, vedere come ci siano sempre grosse cifre (alcuni milioni) di "sopravvenienze attive" legate a cause diverse ogni anno.  

Insomma, un conto economico in attivo è una buona cosa, ma bisogna fare molti distinguo prima di stare tranquilli.

Riguardo poi all'affermazione:

Ancora: il decreto Ronchi impone (letteralmente: impone) ai Comuni e/o consorzi di bacino che vogliano gestire il servizio "in house" (traduzione: all'interno) di vendere il 40% delle quote ai privati.

Il decreto (e la legge in cui è stato convertito) prevede però che:

per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico

Per come la interpreto io questo vuol dire che se riesco a dimostrare che la gestione pubblica è effettivamente più conveniente non sono obbligato a ricorrere alle imprese private.

[ho modificato il commento per aggiungere una formattazione blockquote]

 

 

 

Condivido pienamente. Se non erro c'e' un detto che dice che la via dell'inferno e' lastricata dalle buone intenzioni. Riguardo la domanda privatizzare o meno la questione preliminare dovrebbe essere: ci sono le condizioni perche' la privatizzazione sia a vantaggio dei cittadini? Esistono condizioni "sufficienti" o almeno "minime" perche' l'operazione non si trasformi nell'ennesima ruberia?

Dire che il mercato e' bello e la pubblica amministrazione  "puzza" a prescindere dalla situazione contingente e' ideologico e nocivo. A mio parere migliori risultati potrebbero essere ottenuti dove le precondizioni citate ci sono ossia liberalizzazione dei servizi, abolizione e/o drastico ridimensionamento degli ordini professionali, privatizzazione della RAI, ecc.

 

leggo, da diversi interventi, che discutere della privatizzazione dei servizi idrici non sia un'urgenza, stante anche l'incertezza della modalità e degli esiti eccecc. piuttosto occupiamoci di ###### che è più importante.

una posizione ragionevole, per carità, che però non tiene conto di "chi ha cominciato": il referendum abrogativo che ci incalza. dovesse prevalere, allora non se ne parlerebbe più omnia saecula saeculorum, se venisse invece respinto, come mi auguro, ci sarebbe spazio per discutere ancora, provare in vari modi  su diverse scale, eventualmente anche tornare indietro. la posizione "ideologica" nel senso di rigidità e avversione al minimo cambiamento a me sembra tutta dei promotori.

 

autodafè: seguendo parallelamente anche altre discussioni, in particolare "cordoglio e pregiudizio", si nota subito che ci sono argomenti in cui naturalmente ci sentiamo esperti: l'automobile, l'energia elettrica, l'acqua potabile. siamo proprio una compagnia di maschi adulti che hanno, qualche volta, tutti sturato un lavandino e convinti , come da nota ricerca, per il 90% di essere guidatori superiori alla media, cosicchè si parte senza remore in intemerate anche piuttosto orgogliose.

in neurochirurgia, c'è da sperare che ci siano discussioni più prudenti :-)

 

Secondo me il titolo del tuo post non e' corretto. Io sostituirei "ben altri sono i problemi" con "evitiamo di martellarci i cosidetti" :-) 

La questione è complicata ed ha diverse sfaccettature. Vedo di andare per punti.

1 - L'acqua è evidentemente un bene assolutamente necessario, senza il quale semplicemente moriamo, ma che si presta a sprechi eccezionali ed a usi largamente voluttuari. Consumiamo, pro-capite, almeno 150-200 litri di acqua al giorno (media italiana), ma non sono infrequenti consumi doppi o tripli. Ovviamente i primi 50-80 litri sono quelli che ci fanno uscire dal Medioevo (acqua da bere, per lavarsi, per la toilette, per lavare piatti e vestiti) ma poi ci sono gli "sprechi" che crescono esponenzialmente: l'acqua che scorre mentre ci laviamo i denti, l'acqua per le docce da 10 minuti, lo scarico del water ad ogni pisciatina, l'acqua per innaffiare il giardino, l'acqua per riempire la piscina, o semplicemente, quella che facciamo scorrere perchè ci dimentichiamo di chiudere il rubinetto. Poichè costa poco o pochissimo (da 1 a 1,50 euro al METRO CUBO, ovvero mille litri di acqua potabile) e ci arriva direttamente a casa, lo spreco è quasi inevitabile.

Se il pane costasse 1 centesimo di euro al kg. ne sprecheremmo, certo, ma molto meno, se non altro per evitare la rottura di scatole di portarsi 10 o 20 kg. di pane a casa. Con l'acqua la fatica di trasportarla la fa qualcun altro, e non c'è quasi limite allo spreco (se non qualche campagna "moralizzatrice")

2 - Sarebbe pertanto logico che le tariffe fossero sostanzialmente gratuite per i primi 100 litri al giorno (diciamo 30 mc. all'anno, da calcolarsi per singola persona e non per nucleo familiare, per non penalizzare le famiglie numerose e viceversa agevolare i single) e MOLTO, MOLTO, MOLTO PIU' CARE per i consumi eccedenti (ad esempio 2 euro al mc. da 40 a 80 mc., 4 euro al mc da 81 a 120 mc., 6 euro a mc. oltre i 120 m.c.)

3- Le condotte sono mediamente vecchie e la perdita media "di rete" (dall'emungimento alla erogazione dal rubinetto di casa) è in Italia intorno al 30% (molto maggiore al Sud, un pò di meno al Nord).  Con queste perdite, dire di chiudere l'acqua quando ci laviamo i denti e come dire di non sputare per evitare il rischio di inondazioni. Per ridurre le perdite di rete bisogna fare significativi investimenti, che evidentemente devono essere pagati dalla tariffa.

4 - L'Autorità che sovraintende alle tariffe dell'acqua è l'Autorità territoriale di Ambito (ATO). Ce ne è una per provincia, con compiti di controllo e verifica soprattutto delle tariffe e del Piano degli investimenti. Vi è in animo di raggruppare le ATO a livello regionale. Funzionassero bene (ed alcune ATO funzionano davvero bene), che la gestione sia affidata a un privato o al pubblico dovrebbe essere sostanzialmente uguale: meglio un "pubblico" serio ad un privato "rampante", e meglio un privato serio ad un pubblico mafioso o mafiosetto.

Proposte:

A - Differenziare significativamente le tariffe a causa di questa, come dire, "specificità dell'acqua" (da indispensabile a super voluttuaria)

B- Magari accorpare la tariffa dell'acqua a quella dei rifiuti. Ora la T.I.A. (Tariffa igiene ambientale) è calcolata in base a mq. dell'abitazione e numero dei componenti. Se poi sei via per lavoro, o vivi in una casa enorme dove prima vivevi con marito e figli, non fa differenza. Tanto vale ancorare la tariffa dei rifiuti (che non sono misurabili, soprattutto se si vive in città e vengono normalmente gettati nel cassonetto dove nessuno è in grado di controllare quanti rifiuti hai prodotto) al consumo di acqua, e fare un unico calcolo omnicomprensivo (con risparmi amministrativi importanti) che incentiva allora davvero la gente al "water saving" (perchè risparmio non solo sull'acqua ma anche sui rifiuti, e se invece spreco sull'acqua pago più cari anche i rifiuti).

C - CONTROLLO, CONTROLLO, CONTROLLO, sui costi di gestione e sulla qualità degli investimenti. Le "delivery Units" utilizzate da Tony Blair (in verità per il sistema sanitario) potrebbero servire allo scopo (vedasi il libro di Roger Abravanel, ex partner Mc Kinsey "Meritocrazia" per una disamina del funzionamanto delle Delivery Units).

 

Quali sarebbero i vantaggi di una gestione affidata ai privati tramite concessione pluriennale?

Innanzitutto bisogna ricordare che in ogni società privata ci sono i cosiddetti dividendi. Si afferma che potrebbero essere minori della (presunta) maggiore efficienza e perchè essendo una situazione di monopolio già avviata con domanda inelastica potrebbero accontentarsi di dividendi più bassi ma costanti. Ma perchè la situazione di monopolio funzionerebbe "pro" per quanto riguarda i soldi intascati ma "in senso inverso del solito" per quanto riguarda l'efficienza? A mio avviso la situazione di monopolio garantisce l'inefficienza e non garantisce affatto un "accontentarsi di dividendi bassi" vista l'inlelasticità della domanda (magari si potesse smettere di bere acqua).

Il limite massimo del prezzo sarebbe stabilito dalla convenzione ed anche l'ammontare di investimenti da fare.

L'informazione si baserebbe sull'assenza di dati ed esperienze? Beh ci sono quelle di Aprilia ed Arezzo, entrambe fallimentari. Tariffe aumentate (altro che accontentarsi di bassi dividendi) e piano di investimenti non rispettato.

Sostanzialmente, se bisogna fare un piano di investimenti in infrastrutture vi è un aumento delle tariffe o del debito, sia se fatte dallo Stato che dai privati ma senza i dividendi.

Quindi la gestione privata (monopolistica) è strutturalmente più costosa di quella pubblica (a parità di efficienza, s'intende). Inoltre, un ente pubblico, per i finanziamenti, potrebbe racimolare interessi passivi minori di un'azienda privata, avendo maggior potere contrattuale.

Al massimo, l'unica soluzione che accetterei sarebbe la seguente.

Concessione annuale con piani d'investimento e tariffe massime o addirittura rigide (prezzo fisso, con una banda di oscillazione solo per variazioni dei prezzi di mercato dei materiali sopravvenute). Se, alla fine dell'anno, l'azienda rispetta i piani vi è il rinnovo della concessione per un altro anno mentre in caso contrario è ESCLUSA dalla prossima asta.

Invece le concessioni pluriennali sono deleterie per i cittadini poichè l'azienda può decidere se rispettare tutto o se vivacchiare aumentando le tariffe senza aumentare gli investimenti, aumentando la "cresta".

 

mi pare che si faccia molta confusione:il decreto Ronchi non obbliga a nessuna privatizzazione,semplicemente mette in concorrenza privato e pubblico:infatti,alla gara possono partecipare anche aziende totalmente pubbliche che se si riveleranno migliori di quelle private,vinceranno la gara.E poi,si possono creare società miste in cui il pubblico puo' avere fino al 60% del capitale,con ricerca del privato tramite gara,dandogli in affidamenti specifici compiti operativi (quindi non tutti i compiti operativi).E in terza ipotesi resta l'affidamento in house di fronte a determinate situazioni,con parere dell'ACGOM con il metodo del silenzio assenso.Altra questione é quella del regime transitorio che prevede la cessione di quote da parte delle società interamente pubbliche,per motivi di coerenza con la norma,ma vale solo per la fase transitoria.Non facciamoci ingannare dalla falsa propaganda:non si tratta di privatizzazione,non c'é nessuna scelta a priori nella legge su chi sia il gestore migliore,se il privato o il pubblico,si tratta semplicemente di metterli in concorrenza per spronarli a migliorare sempre di piu' la gestione.Bisogna leggersi per benino la legge e anche il regolamento attuativo che per il servizio idrico prevede alcune clausole particolari.

Se a qualcuno interessa, c'e' un articolo di Scott E. Masten (University of Michigan) su "Public Utility Ownership in 19th-Century America: The ‘‘Aberrant’’ Case of Water" che al momento e' liberamente disponibile sul sito del Journal of Law, Economics, and Organization.

 

Abstract
Unlike other public utilities, most water in the United States is supplied by pub-
licly owned and operated waterworks. The predominance of the public sector in
the supply of water was not always the case, however; private firms dominated
US water supply throughout most of the 19th century. This article analyzes the
puzzle of why water and sanitation systems were the only major utilities to be-
come predominantly public by, first, reexamining historical accounts of the
problems of contracting for water services in light of modern theories of eco-
nomic  organization  and,  then,  evaluating  hypotheses  derived  from  those
accounts using data on 373 waterworks serving US municipalities with popula-
tions over 10,000 in 1890. Among other results, municipal ownership is found to
be related to the distribution of population and commerce within a city in ways
that suggest that frictions between cities and private companies over system
extensions and improvements played a significant role in the shift to municipal
ownership. (JEL H42, L14, L33, L95, N91, R12)