Le resistenze alla valutazione della scuola

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Alle sessione delle giornate nfa dedicata alla valutazione della scuola svoltasi lo scorso 1 luglio, il commissario straordinario dell'Invalsi, Paolo Sestito, è parso sin troppo cauto e diplomatico nell'affermare il ruolo del proprio istituto, certamente scomodo a molti poteri, diciamo così, "forti". Non so quanto rappresentativi fossero i rappresentanti dei dirigenti e degli insegnanti che ho invitato, ma persino loro hanno riconosciuto la potenziale utilità di uno strumento di valutazione esterno e standardizzato, seppure con diverse sfumature riguardo alle modalità di effettivo utilizzo dei risultati.

Spiace perciò notare come in altri siti venga offerto spazio alla disinformazione di chi (Milena Petrocelli, insegnante a Lodi) pretende corporativisticamente di operare esentata da ogni possibilità di valutazione esterna. La risposta data da Ricci e Sestito dell'Invalsi in quel sito è troppo rispettosa. Alla loro risposta vorrei aggiungere un paio di riflessioni.

La professoressa si lamenta della concomitanza di UNO dei test invalsi (quello di terza media) con gli esami di stato. Per la prima volta, i professori si troverebbero a valutare assieme ("in un contesto interdisciplinare") i loro alunni. Questo sarebbe già abbastanza difficile (ce l'immaginiamo il professore di italiano litigare con quello di matematica!), perché dunque aumentare la complessità aggiungendoci il test Invalsi?

Chi opera nella scuola sa che il momento dell’esame di Stato pone delle complessità e delle contrarietà tra docenti che sono spesso molto difficili da governare; vediamo i ragazzi, forse per la prima volta nel triennio, in un contesto interdisciplinare; non è semplice l’obbiettività  [...] Dunque, perché in un contesto già sensibile e complesso porre un’ulteriore difficoltà?

La verità, come spiegato da Ricci e Sestito, è che il test Invalsi conta per una quota del voto complessivo, quindi la presunta complessità derivante dall'interdisciplinarietà della valutazione non ne sarebbe aumentata, a meno che la professoressa non abbia difficoltà a calcolare una media ponderata con un elemento aggiuntivo. Andrebbe aggiunto che è quantomeno opportuno che in un esame di stato (portatore del tanto vituperato valore legale) almeno una delle componenti della valutazione sia standardizzata a livello nazionale, e non soggetta alle idiosincrasie dei docenti locali (in un paese in cui le disparità regionali nei risultati dei test PISA si ritrovano, in senso inverso, nei risultati dell'esame di maturità).

Continua la professoressa:

Che poi la valutazione finale debba comprendere anche il risultato della prova Invalsi è quanto meno sorprendente. L’esame non è un momento banale, come sappiamo tutti, è un momento conclusivo del ciclo d’istruzione dei ragazzi, ma anche un momento conclusivo di un progetto educativo e formativo che vede i docenti co-protagonisti dell’azione educativa. Perché inserire una prova così distante dalla nostra pratica quotidiana? Noi non lavoriamo così, non mettiamo la sola intelligenza logica al centro della nostra pratica educativa

Basterebbe, qui, osservare che la prova Invalsi concorre, assieme alle prove tradizionali, al voto finale. Ma non si renderebbe giustizia alla prova. Non sono un esperto pedagogista, ma io come genitore non avrei nulla in contrario all'idea che mia figlia venisse preparata per rispondere alle domande poste dall'Invalsi, anzi, direi che lo trovo il requisito minimo di una educazione efficace. Al contrario, certe prove vicine "alla nostra pratica quotidiana", come il tema d'italiano, costituiscono un esercizio nella produzione di una forma letteraria che esiste solo... per svolgere gli esami.

Sembra che la professoressa non abbia nemmeno dato un'occhiata veloce ai quesiti oggetto della prova Invalsi. Dia, per esempio, una scorsa ai quadri di riferimento di Italiano e Matematica pubblicati sul sito dell'Invalsi, che contengono anche degli esempi di domande. Le domande chiedono di saper comprendere semplici grafici, compiere operazioni elementari, capire il significato di un testo. Si tratta di quesiti che servono a testare competenze di base e capacità di comprensione della lettura che tutti gli alunni dovrebbero possedere? Chiunque spenda anche solo pochi minuti per dare una scorsa a queste domande si renderà conto che non è possibile "insegnare a passare il test" senza fornire delle compentenze utili e necessarie per qualsiasi tipo di materia e abilità. 

E ancora:

E allora perché istituire in modo così preponderante l’esame come momento finalizzato esclusivamente alla misurazione dell’intelligenza logica? L’esame non è pluridisciplinare? E quindi perché deve fare “media” la valutazione della prova Invalsi? Fermo restando il valore che diamo a questa misurazione, si intende. È giusto e auspicabile che si omogeneizzino il più possibile le competenze dei ragazzi italiani, ma ci domandiamo perché? Qual è la finalità di questa indagine? Dove ci vuole portare?

Certamente le competenze oggetto del test Invalsi non possono essere gli unici obiettivi di un progetto educativo efficace: sappiamo molto dell'importanza della capacità critica, del ragionamento, della socialità e delle abilità non cognitive. Da genitore, ho seri dubbi sulla capacità delle prove d'esame tradizionali di saper testare queste abilità, mentre sono abbastanza sicuro che questi tipi di abilità, in buona misura, richiedono le capacità di lettura e di analisi di base che sono oggetto dei test Invalsi (ancora, per chi avesse qualche dubbio, si consultino gli esempi delle domande linkati sopra).

L'articolo giustifica i pregiudizi corporativi di chi pretende di essere esente da ogni possibilità di valutazione esterna disinformando sull'effettiva natura e ruolo dell'esame Invalsi, che può e deve essere una componente essenziale della valutazione ad ogni grado di istruzione. Davvero solo gli insegnanti possono valutare i risultati del proprio lavoro? Per quanto difficile e complessa sia la formazione di bambini e adolescenti io credo che esistano alcune competenze di base che debbono essere testate in modo standardizzato anche per valutare l'operato di scuole ed insegnanti. Da quanto ho potuto imparare alle giornate nfa, esistono sufficienti competenze e sensibilità ai vertici dell'Invalsi perché tali valutazioni possano essere lette con cautela, soprattutto in questa fase tutto sommato ancora sperimentale della vita dell'istituto. Prima o poi però anche la classe docente deve rendersi conto che strumenti di valutazione standardizzata possono essere utili non solo a se stessi come feedback indipendente nella valutazione degli alunni, ma sono indispensabili ai dirigenti scolastici, ai genitori e all'opinione pubblica, perlomeno per evidenziare (ed intervenire su) alcuni casi limite di carenze nell'insegnamento. Ai docenti, invece, il compito di spiegare, in dialogo con l'Invalsi e l'opinione pubblica, come migliorare questi test, per renderli più informativi ed efficaci. 

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Ci sono 48 commenti

L'istituto dell'INVALSI è un primo passo per il miglioramento delle prestazioni della Scuola Italiana (Pubblica e Privata). Al solito, se misuro delle prestazioni o servizi (di qualunque tipo: kWh, m3/h di metano, kg di mele) è perchè poi faccio una successiva azione: emettere uno scontrino oppure mettere mano al processo che genera il servizio per migliorarlo secondo criteri stabili prima ( e non dopo) la misurazione. Nel caso Scuola, la prestazione da misurare ritengo che sia la conoscenza degli studenti e quanto è efficace la scuola. Purtroppo (per la misurazione) stiamo parlando di soggetti "vivi", non statici (un kg di mele è sempre un kg di mele). I soggetti dellal misurazione sono bambini , ragazzi, giovani adulti che all'inizio dell'anno devono essere misurati nelle loro abilità e poi nuovamnte a fine percorso. In mezzo ci sta l'apprendimento con insegnanti (altro stakeholder del modello). Indirettamente, misurando gli studenti, si misura l'insegnante, quanto è efficace. Questo magari disturba, ma oltre alla "qualità del legno" (l'alunno) conta anche quanto l'artigiano (l'insegnante) riesce a plasmare, motivare (e ogni altra cosa che dovrebbe fare un insegnante) lo studente. Si potrebbe aprire un lungo capitolo su cosa si richiede a un insegnante, quali benchmark (indicatori) caratterizzano un buon insegnate da uno meno buono, ma andiamo OT. Restiamo sulla misurazione e sui controlli che si mettono in campo dopo per governare il sistema scuola e indirizzarlo dove si è programmato di andare. Diciamo che dovremmo prima decidere l'ideal-tipo di Scuola che vogliamo, poi analizzare la situazione attuale (con INVALSI) e poi mettere in campo le risorse (soldi e programmi) e in un arco temporale definito arrivarci. Prevedere milestones intermedie per correggere la rotta, ove necessario. Tutto questo processo leva dal campo la demagogia, il populismo, le storture ideologiche. Il problema secondo me, è che dopo INVALSI il MInistero piu' misero della storia italica non ha soldi per fare "azioni correttive". Si limita a misurare. A questo punto, INVALSI diventa uno spreco di soldi. E' come decidere di voler attraversare la strada e fermarsi a metà. Spreco di tempo e soldi. Potevi restare ignorante dall'altra parte della strada. Se si decide di misurare, lo studente, di mettere in campo le risorse, allora si arriva come conseguanza a misurare il corpo docente e i monagers che gestiscono 10 siti scolastici a 5000 euro al mese. Mi domando quanto un dirigente scolastico riesca a incidere su dieci siti, 4 ore a sito alla settimana (negligible). Misurando i professori finalmente , forse, certi professori cambieranno approccio con gli studenti (alcuni sono veramente non piu' adatti a insegnare, meglio metterli in una biblioteca pubblica per un paio di anni e vedere se non rinsaviscono). A proposito , i professori non hanno i buoni pasto da 14 euro (come si sente in giro raccontare da qualche inpiegato della PA). Insegnare è un mestiere complicato. Le elementari italiche, secondo PISA, pare che fossero a un buon livello. Ora non so. Il modello era quello dei moduli, dove si dava la possibilità ad alunni dai 6 ai 10 anni di recuperare (e piu' di uno recuperava). Oggi, non so. Qualcuno, forse molti, restano indietro e classi da 28 alunni non aiutano di certo nel compito di insegnare.

E' vero che ci sono mille resistenze, è vero che c'è un corporativismo piuttosto palese, è vero anche che l'istruzione in Italia è quasi ingovernabile (perché mostruosamente centralista), però l'Invalsi sta cambiando qualcosa, piano piano. E senza troppo clamore (a parte quello sollevato dalle polemiche altrui): niente dichiarazioni reboanti o sparate rivoluzionarie, ma tante innovazioni progressive che a qualcosa stanno pur portando.

Credo che si spieghi anche così il loro atteggiamento felpato verso le critiche, anche quelle più sciocche. 

 

Veramente difficili saranno altre cose: nella scuola deve passare il principio che i professori non sono tutti uguali ed interscambiabili, che le scuole devono essere davvero autonome (visto che nelle superiori di oggi non serve a niente, per dire, far leggere a tutti l'epica il primo anno, Manzoni il secondo, l'Inferno di Dante il terzo, e così via), che l'uniformità è rassicurante ma non serve a niente, che la qualità può essere se non misurata perlomeno rilevata, ecc. ecc.

Mia figlia ha fatto le prove INVALSI DI II elementare quest'anno e, dopo mesi di esercitazioni sapete come si sono svolte le prove? Mettendo gli alunni più somari di fianco ai più bravi e dicendogli di dare un occhiata agli esercizi di questi ultimi ma stando attenti a non farsi vedere.... Come pensiamo cresceranno questi nostri pargoli se li sottoponiamo all'italica educazione fin dai 7 anni? Giusto per concludere la maestra incriminata viene considerata dalla maggior parte dei genitori troppo severa...:-)

Davvero? Cioè, è andata davvero così, la maestra ha suggerito agli alunni di copiare? Provo un certo terrore a pensare - appunto - come cresceranno questi pargoli.

 

Perché succede una cosa del genere? Che ne pensa il preside? Qualche genitore lo ha fatto sapere al preside? E' una pratica comune, altri hanno assistito a cose del genere?

 

Sono devo ammettere un po' scioccato. Tra poco dovrò andare a insegnare un po' in un paese estero, mi sono letto le loro regole di condotta per gli studenti e sono pesantissime: se ti beccano a copiare rischi di essere radiato (è una università, meglio specificare). Questi studenti suppongo creascano con una certa idea di cosa vuol dire competere per un risultato. Noi invece consigliamo di copiare fin da bambini.

 

Come si fa a competere a livello internazionale, quando sarà ora di produrre ricchezza vera, se nella testa dello studente estero "bravo" vuol dire bravo, e in quella dello studente italiano vuol dire furbo? (Scusatemi se dico ricchezza a casaccio, non sono economista, spero si sia capito il senso).

«Valutazione della scuola» è locuzione troppo ampia per quello di cui si tratta qui, e cioè la valutazione del profitto degli studenti, anche detta tradizionalmente «accertamento del profitto» o «verifica del profitto». Questo era solo un incipit, che però mi è parso utile ribadire, in un contesto caratterizzato dalle controversie legate al significato della valutazione, e delle varie attività di valutazione, nella scuola.

Ora, sembra spesso a chi legge di questi temi - e certamente al sottoscritto - che l'approccio dei cantori dei test standardizzati sia del tipo: "Fino ad ora non si è mai misurato il profitto. Adesso vi insegnamo noi come si fa, branco di pelandroni che non siete altro". E giù con la somministrazione delle loro prove all'ignaro fanciullo, che si trova in mano un test che tipicamente corrisponde alla verifica di alcune competenze, sulle quali le attività formative si indirizzano solo in parte (anche se mi dicono che ora stanno invalsando un po' tutti i libri scolastici), perché la nostra scuola si è sempre concentrata sullo sviluppo e sulla verifica di altre competenze - ad esempio quelle necessarie per l'elaborazione di un buon componimento in lingua Italiana, o per rispondere, con ragionamenti anche complessi, a delle interrogazioni su programmi disciplinari di contenuto culturale e scientifico abbastanza ampio e profondo.

Insomma gli esami di profitto non li ha inventati l'INVALSI; si sono sempre fatti, nella scuola, e sono stati congegnati utilizzando quello spettro di prove che sono tradizionalmente apparse adeguate ai rispettivi programmi educativi ad una moltitudine di docenti e discenti. Da qui, mi pare, l'atteggiamento di circospezione se non di ripulsa che circonda l'impresa dell'INVALSI, che ha radicalizzato gli animi.

Ma ovviamente c'è dell'altro, e cioè la critica scientifica più puntuta a(lle pretese didattico-scientifiche di) codesti test. Anche se non è espressa in quelle forme più elaborate che vengono discusse altrove, la critica è "intuita" o "interpretata" dagli insegnanti italiani secondo le loro capacità di risposta e di analisi.

Beninteso, anch'io sono favorevole ad una maggiore "standardizzazione" degli esami, se con questo si intende "tornare allo spirito dell'Esame di Stato" (cioè far corrispondere la realtà all'intenzione), ma applicando i concetti e le tecniche del caso alla concreta realtà delle competenze attese e - quindi  - sviluppate, nella scuola italiana. Se, poi, vi è carenza di talune di queste competenze, andranno cambiati i programmi di insegnamento per svilupparle meglio: non voglio certo "fossilizzare" la formazione su canoni immodificabili.

RR

Mi preme sottolineare che nella scuola dove ho insegnato per gli ultimi sei anni ,ISN, il programma americano veniva testato, come si fa in tutte le scuola in america, con i standardized test; la nostra scuola essendo internazionale compra un test australiano che ci permette di comparare il profitto dei nostri studenti con tutte le scuola internazionali del mondo a parita' di target studentesco (viene tenuto in considerazione l'alto livello di studenti ESL  e veniamo paragonati a scuole con simile percentuale di studenti migranti). Fino alla terza media la nostra scuola fa il doppio programma e percio' sono direi almeno tre o quattro anni che i nostri alunni fanno la prova INVALSI.(non e' la mia sfera di copetenza io insegnavo italiano nel programma americano delle medie/superiori)

Il vero problema che io vedo come madre e come insegnante e' che per far si che la propria scuola non scada di livello in percentuale, sia in America che a ISN (International School of Naples) si lavora prima della data del standardized test non ad insegnare la propria materia ma a far si che gli studenti sappiano come fare il test per sperare di ricevere una posizione alta in percentuale rispetto al target di riferimento.

Questo succede anche nelle scuole DODDS (scuole del ministero della difesa americano per i figli del personale militare e civile disloccati in tutto il mondo) per tutte le scuole statali, parrocchiali private degli Stati Uniti. I test sono dal K al 11 grade ogni anno dispari e per alcune scuole si chiamano Terranova Test. 

Quello che voglio dire e' che, in America, siccome i distretti scolastici ricevono fondi in base alla qualita' del profitto degli studenti misurata tramite questi test standard, si arriva all'assurdo di spendere ore di  insegnamento a preparare i ragazzi a capire come si passa al meglio il test anche se (essendo come le prove INVALSI) si tratta di un test che testa quanto hai assimilato, non influscie su quello che veramente , secondo me, preme ad un insegnate o a un genitore: che il figlio sia messo in grado di pensare con la propria testa, che sappia esporre oralmente e per inscritto nella propria lingua madre o nella lingua principale di istruzione e che sia in grado di capire che lo studio ed il sapere sono fonti di progresso, di potere e di miglioramento per la societa'.

my two cents

giuliana allen

e se ne può discutere, ma mi pare che ci sia un uso, diciamo così, "minimale", che è quello di evidenziare casi estremi o quasi-estremi di incompetenza, o disinteresse ad operare nell'interesse degli alunni e nelle famiglie. Per questo scopo i test che ho letto mi sembrano più che appropriati. Certo che la valutazione si faceva anche prima, ma da essa non era possibile, per il committente (ministero, genitori, opinione pubblica) capire se almeno certe competenze di base (saper leggere e capire il testo, conoscere le tabelline, etc...) venivano apprese. Ora è possibile, e mi pare perlomeno legittimo, (e secondo me doveroso) che il ministero (il parlamento, l'elettore) implementi degli strumenti per apprendere se scuole ed insegnanti siano in grado di fare questo. Cosa fare poi coi risultati dei test se ne può discutere, ma che si discuta se si possano fare i test mi pare assurdo. La diatriba se i test debbano o non debbano fare parte  dell'esame di stato mi sembra fumo negli occhi: si tratta di competenze così di base che mi sembra naturale ed efficiente usarli, almeno per una percentuale. 

Se si accettano queste osservazioni, che trovo ragionevoli e basate sul buon senso, allora tutte le critiche "scientifiche" (puntute o meno) all'uso di test standardizzati si scoprono essere nient'altro che la pretesa corporativistica di non essere valutati nemmeno sul soddisfacimento di criteri minimali di qualità. Perche' per saper cogliere le sottigliezze ed i doppi sensi del testo occorre prima saper leggere; per sapere risolvere gli integrali bisogna saper le derivate, e per saper fare le derivate occorre saper le tabelline. 

Chi non ha mai fatto un test in vita sua pensando "che boiata pazzesca" alzi la mano.

Il quiz della patente è forse un efficace strumento per la valutazione delle competenze in materia di Codice della strada? Neppure lontanamente, eppure il Codice non ha sottigliezze lessicali, è per sua natura sintetico e standardizzato, non c'è possibilità di risposte aperte o "egualmente esatte", sarebbe il testo ideale su cui testare competenze in modo scientificamente confrontabile; eppure chi passa il test NON HA competenza del Codice della strada, in molti casi non lo conosce, spesso e volentieri lo dimentica nella settimana successiva.

Il problema infatti non è la prova in sè, il difetto di approccio INVALSI e dei test similari è che tutti gli allievi "studiano per passare il test", perchè esattamente questo viene richiesto loro, implicitamente quando non in modo palese.

Ad un maggiore tasso di standardizzazione delle prove corrisponde sempre un maggiore tasso di banalizzazione del pensiero.

I motivi psicologici che spingono a questa scelta gli allievi sono ben spiegati in un confronto in classe raccontato qui:

www.carmillaonline.com/archives/2012/05/004302.html

 

Le conseguenze di un sistema scolastico che mira alla standardizzazione e persegue questo fine sono innumerevoli, citerei le più deprimenti:

- progressivo livellamento verso il basso

- sterilizzazione dello spirito critico e della capacità di andare "oltre" la prova

- banalizzazione dei "giudizi" e delle difficoltà degli insegnanti nell'assegnarli

 

Alcuni di questi aspetti peraltro sono rilevati persino dai ricercatori INVALSI quando scrivono (dal Rapporto matematica prove 2010, disponibile in pdf sul sito) "solo un esiguo numero di studenti utilizza esempi e controesempi a supporto delle proprie affermazioni, anche se questa è una procedura tipica dell'argomentazione matematica" e per spiegare questo fenomeno chiosano serenamente "potrebbe risultare determinante l'assenza di una richiesta esplicita di esempi e controesempi nel testo del problema e dei quesiti".

 

Che i giovani rispondano solo quando interrogati ed escluivamente alla domanda posta non preoccupa MINIMAMENTE i piccoli Frankenstein delle valutazioni standardizzate; d'altronde è proprio questo l'obiettivo, se sia desiderabile un sistema scolastico che crea piccoli soldatini ubbidienti per il benessere e la crescita di una società, lascio ad altri la risposta.

 

Le conseguenze di un sistema scolastico che mira alla standardizzazione

 

Non credo proprio che sia questa l'intenzione. Quello che serve è un modo standardizzato di valutare i risultati della didattica, che permetta di confrontare le performance dei docenti in scuole diverse. Detto molto alla grossa.

 

Il problema è molto semplice, le scuole italiane di ogni grado ospitano docenti incompetenti in modo imbarazzante. La situazione è localmente da terzo mondo (o criminale) e non è accettabile lo status quo. Bisogna dare nome e cognome agli istituti marci, e trovare il modo di far loro cambiare rotta, o che chiudano. Quindi meglio un test invalsi che nulla.

 

Se c'è di meglio, avanti con le proposte. Concrete e attuabili. Io forse per mancanza di fantasia non vedo di meglio.

di chi non vuole essere valutato (e chi lo vorrebbe?). Nessuno dice che l'eccellenza nell'insegnamento possa essere valutata in modo standardizzato con test a crocette, ma mi pare che, rapporti OCSE alla mano (PISA, PIRLS, TIMMS), il problema sia riconoscere gravi carenze nell'insegnamento presenti in grosse fette del territorio nazionale. Quelli si possono io credo piu' facilmente riconoscere anche con test standardizzati. 

Questo, come minimo.

Ma in realta', ad una scorsa agli esempi di domande in italiano e matematica, si capisce facilmente che il potenziale per valutare qualcosa di piu' c'e', e le critiche alla standardizzazione rivelano che e' possibile in realta' testare competenze e capacita' piu' sottili che saper leggere meccanicamente un testo e saper risolvere le tabelline. Chi ha detto che non si possano individuare i doppi sensi e le sottigliezze del linguaggio con una domanda a risposte multiple? A me pare possibile. 

L'articolo di Vescovi riportato da Carmilla on-line è interessante ma spesso fuori bersaglio.

Ad esempio: dal momento che la valutazione è "politica", si dice che non ci possono essere aspetti tecnici nella valutazione, anzi, tali aspetti sono pavidi e manipolatori. Cosa vorrebbe dire? Se si parte dal presupposto che la scuola favorisce ideologicamente alcuni comportamenti e non altri (come infatti è, e come l'autore dell'articolo serenamente riconosce), allora è ovvio che la valutazione è orientata: ma questo non vuol dire che, stabiliti parametri e obiettivi, i criteri e le modi della rilevazione non debbano essere tecnicamente validi o oggettivi. Una valutazione ispirata al soggettivismo invece come si fa? Cosa vuol dire "tecnico" in questo articolo? Non è dato sapere.

Non è un'idea peregrina che test uniformi producano uniformità. Quel che bisogna capire è se l'uniformità richiesta dall'Invalsi ha veramente quel carattere di manipolazione sociale che sembra attribuirgli il testo di Carmilla (crimine peraltro di cui non ci si disturba di capire i mandanti o i moventi, ma forse chiedo troppo).

Cosa chiede l'Invalsi? L'Invalsi vuole sapere se gli studenti capiscono quello che leggono: coerentemente con la loro età, si vuole sapere se gli studenti sanno ricavare dal testo informazioni corrette. L'esempio del biglietto del treno delle prove di quest'anno è ottimo: hai voglia a far filosofia: se col biglietto Milano-Roma pensi di arrivare a Napoli, ti becchi una multa.

La letteratura ovviamente pone dei problemi più sottili, data la sua polisemia, i non-detti, le sfumature. E infatti molto spesso, soprattutto gli anni passati, sono state fatte critiche fondate ad alcune singole domande dell'Invalsi.

Però l'Invalsi non è che non ne tenga conto: ai fini della risposta su cui ragiona estesamente Vescovi l'Invalsi dice chiaramente, come riportato da Vescovi stesso, di voler verificare la capacità di "individuare informazioni date esplicitamente nel testo".

Ora: tutto il ragionamento di Vescovi è teso a dimostrare che la risposta giusta non è quella dell'Invalsi, perché una risposta veramente giusta verterebbe proprio sull'implicito e sul non-detto. Ma allora il test decurta tutto ciò che è esprit de finesse!

Ecco, no: per capire l'implicito, bisogna aver capito l'esplicito.  Se uno studente non capisce che la risposta giusta è la C, quella esplicita, non arriverà mai al resto. Quindi sbagliare quella risposta porta veramente con sé del "negativo", e non c'è nulla di male nel rilevarlo. Al massimo si può obiettare che la domanda è fin troppo facile.

E infatti quasi tutti tra gli studenti di Vescovi ci erano arrivati. Curiosamente, Vescovi lamenta che quando ha tentato di portare gli studenti verso il proprio ragionamento, molti non l'hanno seguito. In altre parole, non riesce a convincerli e siccome non riesce a convincerli ne deduce che sono stati plagiati dall'Invalsi. Se non è manipolatorio questo!

Se si ritiene quindi che l'Invalsi non sia abbastanza severo ("non copre anche l'implicito!"), il passo logico successivo è che prepari test anche più difficili, non sbaraccare tutto. Il problema dell'implicito però è che anche più arbitrario e soggettivo, e quindi più difficilmente inseribile in un test del genere. Il problema ed una critica giusta nascerebbero nel momento in cui l'Invalsi stabilisse che quelle più profonde sottigliezze non vanno trattate a scuola perché non sono inseribili nei suoi testi. Ma chi mai ha sentito l'Invalsi sostenere un'idea del genere?

Ma vediamo le cose anche da un altro punto di vista: ciò che l'Invalsi chiede non è diverso da quel che già chiedono gli attuali esami di Stato, ovvero, tra le altre cose la capacità di comprensione scritta. Non lo chiedono con i test, ma con le interrogazioni e con i temi, ma l'obiettivo è esattamente lo stesso. Quindi l'accusa non dovrebbe riguardare l'Invalsi ma tutta la scuola.

E anche i singoli professori: se pure non lo fanno con domande strutturate a risposta chiusa, un'interrogazione può essere, e generalmente è, la semplice richiesta di ripetere quel che c'è sul libro o quel che ha detto il professore. Non sarà questo ad essere omologante? Non crea dipendenza dal professore, che ha il potere di fare le domande che gli vuole? Non è arbitrario? E non lo è molto, ma molto più profondamente di un test asettico?

 

L'Invalsi vuole sapere se gli studenti capiscono quello che leggono: coerentemente con la loro età, si vuole sapere se gli studenti sanno ricavare dal testo informazioni corrette. L'esempio del biglietto del treno delle prove di quest'anno è ottimo: hai voglia a far filosofia: se col biglietto Milano-Roma pensi di arrivare a Napoli, ti becchi una multa.

 

 

Mi scusi se non commento per intero: ci sono molti spunti interessanti e condivisibili ma vorrei soffermarmi su un punto: cosa vuole l'INVALSI.

Se con il biglietto Milano-Roma pensi di arrivare a Napoli...non dovevi nemmeno finire la terza elementare durante la quale, se ben ricordo, si insegna la geografia italiana.

Si vogliono spendere milioni di euro PUBBLICI per certificare che per infinite ragioni indipendenti dal personale docente i giovani italiani sono degli asini?

Non sarebbe meglio investirli sul personale docente stesso? Sulle strutture scolastiche, sulla loro dotazione di strumenti adatti all'insegnamento nel 2012, su attività di apprendimento più stimolanti dei programmi ministeriali?

Così eh, solo modeste idee...

parlo aneddoticamente, da 27enne fuoricorso, pur risultato terzo su novecento ai test di ammissione per la facoltà. ho visto gli esempi di prove dell'INVALSI e li ho trovati di una semplicità disarmante. per mia personale passione, ogni qual volta mi trovo ad interagire con bambini di 7-10 anni non manco di provare a spiegar loro derivate, derivate parziali ed integrali. quasi nessuno non riesce a comprenderli. in fin dei conti, credo che si tratti appunto di resistenze (corporative) alla valutazione nella/della scuola, per quanto si possano ammantare le proprie opinioni di belle parole/splendide astrazioni/supercazzole varie.

Io la vedo cosi', INVALSI misura un set di competenze standard che tutti debbono avere nel 2012. Giusto quindi che ci sia e ben standardizzato.

Poi e' anche giusto cercare di piu', approfondire, cercare di formare persone piu' complete.

Altro che tema d'italiano se non sai grammatica e sintassi.

Non mi stupisce che esca fuori che siamo bassi in lettura,scrittura e matematica

Così com'è istituito il sistema attorno all'Invalsi non basta.

Per migliorare la qualità degli istituti e di conseguenza il livello di studenti e insegnanti, non basta fare un quadro statistico.

Non c'è alcun effetto su finanziamenti, retribuzioni, ecc...

 

 L'Invalsi e le scuse non richieste

di Vincenzo Pascuzzi - 28 luglio 2012

Infelicissimo il titolo "Le due Italie? Una studia, l'altra copia" (1). Stride, irride, affatto di buon gusto, è ai limiti della provocazione e dell'insulto, sembra quasi uno slogan leghista-padano!

Poi, subito all'esordio, la frase: ".... sparuti ma rumorosi gruppi di oppositori contrari alla valutazione, e impegnato, in modo più sereno e assai meno ideologico, gli studenti italiani ...." mette le mani avanti, suona quasi come una richiesta di "scuse non richieste, ecc." ("excusatio non petita, accusatio manifesta"), tradisce e manifesta il disagio e la preoccupazione dell'intervistato (o dell'intervistatore, o del gestore del sito) in relazione alle numerose critiche anche recenti rivolte all'Invalsi (2) ÷ (6).

Invece di controbattere, di replicare con argomenti nel merito delle critiche stesse, si cerca di passare dalla qualità (delle critiche) alla quantità (degli studenti sottoposti, indotti o costretti ai test), insomma di spostare l'obiettivo, di zumare sui numeri, per giocare in casa, sul proprio campo statistico. E' pur vero che bisogna comunque tenere in dovuta considerazione le "duecento pagine del volumone", cioè il Rapporto annuale Invalsi con le Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti 2011-12. Ma è anche vero che, dal punto di vista statistico, conterebbe proprio zero il bambino della favola che esclamò: "Ehi, guardate! Il Re è nudo!". Né è solo una battuta paradossale quella che afferma: "I numeri sono come le persone: torturali abbastanza ed essi ti diranno qualsiasi cosa (Numbers are like people; torture them enough and they'll tell you anything)". C’è o ci può essere del vero.

Questo comportamento - sfuggire al confronto, mai entrare nel merito, replicare solo con refrain - è atteggiamento ricorrente sia dell'Invalsi stesso che di chi sostiene incondizionatamente il suo operato e i suoi test.

Infatti, la frase già citata e virgolettata identifica tout court la valutazione con la somministrazione di quei test ed effettuata in quel modo preciso, cioè come l’unica possibile, punto. Ma non è affatto vero che chi è contrario alla valutazione Invalsi sia contrario alla valutazione. Leggiamo infatti: "Sgombriamo preliminarmente il campo da fuorvianti equivoci: una valutazione rigorosa del sistema scolastico italiano, finalizzata al miglioramento della sua qualità e al potenziamento degli strumenti che consentano l’assolvimento del suo mandato costituzionale, è auspicata, oggi più che mai, non solo dai rappresentanti delle istituzioni italiane e europee, ma da ogni singolo cittadino che abbia a cuore il presente e il futuro del nostro paese, primi fra tutti gli insegnanti" (7).

Poi, l'opera dell'Invalsi viene paragonata ora ad una radiografia! In occasioni precedenti era stata paragonata a) al metro della sarta (8); b) al Grand Kilo depositato a Parigi (8); c) al termometro clinico (9); al colesterolo (10); allo specchio (11); a una fotografia accurata (12). In altre parole, si cerca un paragone suggestivo, che colpisca e dal quale poi ricavare le conclusioni che si vogliono trarre.

Peraltro, anche ammesso valido uno dei paragoni proposti (ad es. termometro o fotografia), rimane il fatto che l'Invalsi si auto-abilita al mono-uso esclusivo delle sue prove, nemmeno lui le usa una seconda volta a mo' di pura verifica per errori strumentali e procedurali.

E che dire delle accuse di cheating rivolte a questa o quella scuola di tale o tal'altra Regione? Sono sentenze inappellabili, indiscutibili, sacre e inverificabili. E perché Invalsi non propone le prove - come fanno in classe alcuni docenti - in 2, 4 o più versioni equivalenti per ridurre il cheating? E indirettamente verificare fra loro le prove stesse?

Del resto, il ministro Profumo risulta impegnato in altre iniziative (plico elettronico, porti, smart cities, ticket maramaldi ai fuori-corso, ipotesi di Ministero .... Comprensivo Istruzione e Lavoro - MCIURL) e sembra aver dato carta bianca all'Invalsi. L'Istituto così può operare a briglia sciolta, come meglio crede, utilizzare le risorse e il personale della scuola, estendere le sue prove, proporle per la maturità, e ciò in pratica senza nessun confronto, discussione, tanto meno controllo. Da qui le contestazioni, le resistenze e le critiche, aggirate come detto a priori, con motivazioni ideologiche "buone".

E' utile, serve davvero un Invalsi che “scopre l'acqua calda” (2) o che "produce risultati analoghi a quelli PISA (che almeno è a campione e quindi molto meno costoso)" (13), che stimola rivalità deleterie tra Nord e Sud, che altera e sconvolge le lezioni e i programmi scolastici, e che costa in termini reali ben più dei costi contabilizzati dell'Istituto stesso? Infatti, ai 5 milioni di euro (14) a carico dell'istituto, bisogna aggiungere una cifra circa 30 volte superiore corrisposta "in natura" dal Miur e dalle scuole (15).

E poi, Nord virtuoso e Sud somaro, chi studia e chi copia, il livello medio fra le scuole e le Regioni: perché Invalsi non dice se - secondo lui - il livello medio corrisponde alla sufficienza o no, e a quale valore corrisponde? Nord e Sud potrebbero essere entrambi sufficienti o insufficienti, oppure no? Forse si sta assistendo e incitando a una gara senza un traguardo definito in termini assoluti ma solo relativi.

Infine, chi provvede, o chi dovrebbe provvedere, a recuperare le situazioni sotto la media o sotto la sufficienza? Nell'intervista si cita la scuola per intendere il sistema scolastico, ma poi le ambiguità non sono casuali e portano a identificare il sistema scuola con le singole scuole e con i prof. In altre parole, a settembre verrà il Miur con i dati del librone Invalsi e dirà a scuole e prof: "Invalsi ha fatto un ottimo lavoro, con prove scientifiche, oggettive e standardizzate, ha misurato le temperature e fatto fotografie accurate, ora tocca a voi, datevi da fare e provvedete a migliorare! Sbrigatevi, cosa aspettate?".

link: http://www.retescuole.net/contenuto?id=20120728183127

LINK

(1) Le due Italie? Una studia, l'altra copia - Intervista a Roberto Ricci - 27 luglio 2012
www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2012/7/27/SCUOLA-Le-due-Italie-Una-studia-l-altra-copia/306409/
(2) Invalsi 2012: la scoperta dell’acqua calda - di Alex Corlazzoli – 24 luglio 2012
www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/24/invalsi-2012-la-scoperta-dellacqua-calda/303261/
(3) Lo scopo dei test Invalsi - di Marina Boscaino – 25 luglio 2012
www.scuolaoggi.org/valutazioni/lo_scopo_dei_test_invalsi
(4) Invalsi, Sud bocciato per il deficit di legalità – 25 luglio 2012
www.ilmattino.it/articolo.php
(5) Speriamo che non sia tardi – di Francesco Di Lorenzo – 25 luglio 2012
www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php
(6) Più valutazione, meno valutazione o diversa valutazione - di Franco De Anna - 25 luglio 2012
www.pavonerisorse.it/riforma/valutazione/diversa_valutazione.htm
(7) Sulla valutazione del sistema scolastico italiano – di Anna Angelucci – 3 dicembre 2011
www.gildavenezia.it/docs/archivio/2011/dic2011/riflessione-proposta.htm
(8) Sulle prove INVALSI - di Daniela Notarbartolo
atuttascuoladuepuntozero.blogspot.com/2011/03/sulle-prove-invalsi.html
(9) La scuola all'esame dei risultati
www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-06-25/scuola-esame-risultati-081433.shtml
(10) Spread immateriale
www.vannisavazzi.org/drupal/
(11) Invalsi: implementare la cultura della valutazione
www.tecnicadellascuola.it/index.php
(12) Scuola, i risultati delle prove Invalsi
www.istruzione.it/web/ministero/cs200712
(13) Le due Italie? Una studia, l'altra copia – commento di Paola Colla – 27 luglio 2012 – 17.08
www.facebook.com
(14) Ugolini: “L’Invalsi conviene ai genitori”
blog.iodonna.it/scuola/2012/05/22/ugolini-linvalsi-conviene-ai-genitori/
(15) Lo Stato "regala" 138.000.000 di euro all'Invalsi?
http://www.retescuole.net/contenuto?id=20120510174521&query_start=201

articolo e link: http://www.retescuole.net/contenuto?id=20120728183127

se vi fosse sfuggita la copio e incollo

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L'istruzione italiana e il modello inglese

Caro Beppe, sono uno tra i tanti (credo e spero) lettori del tuo nuovo libro, “Italiani di domani”; diciannovenne romano, studio Scienze politiche e Relazioni internazionali – per passione, predisposizione, interessi lavorativi (ebbene sì, voglio diventare giornalista) – a “La Sapienza” di Roma – per comodità –, una di quelle che tu definisci simpaticamente «università tascabili»: ho preferito scegliere di rimanere nella mia città, infrangendo uno dei consigli profusi (l’importante è sognare, no?). Detto ciò, reo confesso, mi preme soffermarmi sul sig. Carlo Pedretti, preside di liceo a Milano («elementari e medie non preparano ai licei»). A dir la verità, mi sembra un po’ il caso del bue che dice cornuto all’asino; mi spiego: a mio giudizio, l’onta più grande dell’istruzione italiana è proprio quella drenata dal dislivello – didattico, tecnico, attitudinale – che intercorre fra formazione liceale e apprendimento universitario, il cui approccio è reso impossibile dalla scarsa preparazione dispensata, in questo senso, dalla scuola secondaria (specialmente quella di secondo grado, essendo immediatamente prospiciente il medesimo). Lo chiedo a te, col tentativo di spillarti un’opinione più sintomatica, ma il riferimento è, più in generale, a tutti coloro che possono qualcosa, in senso lato: è così impossibile uniformare l’istruzione italiana al modello inglese, capace di formare giovani studenti e lavoratori competenti in un periodo di tempo anche minore?

Andrea Capati

 

Non sono d’accordo. La scuola secondaria superiore, in Italia, è migliore di quella americana, più giusta di quella tedesca, più equilibrata di quella britannica. Cerchiamo di far funzionare quello che abbiamo, Andrea.

La mia convinzione non nasce da antichi ricordi liceali, da letture frettolose, da testimonianze parziali o interessate. Questioni familiari a parte, per questo nuovo libro sono tornato nelle scuole superiori (Vicenza, Verona, Urbino, Roma, Modena, Milano; andrò a Sassari, Nuoro e altrove). Ne sono uscito entusiasta. I nostri ragazzi valgono oro. Gli insegnanti devono ricordarsi d’essere cercatori di talento: non sempre è facile da trovare, ma c’è.

La nazione dia loro il modo di lavorare bene (retribuzioni, regole, strutture) – sono soldi ben spesi. E pretenda in cambio aggiornamento, dedizione, elasticità. Sapete quante sono le risorse destinate all’istruzione? 4,5% del PIL, quanto il costo degli interessi sul debito pubblico (lo ricordo oggi nel fondo del «Corriere»). In un caso e nell’altro, circa 1.150 euro per ogni italiano. Interessante, no?

P.S. La Sapienza è immensa, non è una “università tascabile”! Ma che tasche avete, a Roma?!

 

aspettiamo che vada a Sassari, Nuoro e altrove... poi tiriamo le somme. Poi sinceramente, mi pare abbia poca idea di cosa si faccia veramente all'estero

A me Severgnini piace, ma qui se l'è cavata con un po' di furbizia: dire che siamo meglio della media delle scuole americane è po' come dire che abbiamo spezzato le reni alla Grecia (che l'istruzione pubblica americana in media sia carente è cosa nota), e ci vuol poco ad essere più equi della scuola inglese. Cosa poi voglia dire essere più giusti della Germania lo sa solo lui.

 

Poi è ovvio che ad un incontro con Severgnini i ragazzi fanno bella figura: è un dibattito, e i nostri studenti mica sono imbecilli (e quelli che prendono la parola sono generalmente i migliori): il punto non è quel che si dice negli incontri con le personalità esterne, ma quel che si fa in classe. E Severgnini su questo non può saperne molto.

La valutazione di Severgnini appare basata esclusivamente su impressioni personali  qualitative aneddotiche di scuole superiori dei capoluoghi di provincia e prevalentemente se non esclusivamente del centro-nord. Temo che Severgnini non abbia una sufficiente esperienza della media italiana estesa alle province e al Sud.

Cio' che dovrebbe contare e' il livello medio italiano confrontato, con criteri oggettivi / quantitativi, con la media estera. Finora in questo confronto l'Italia risulta perdente, rispetto a quasi tutti gl iStati avanzati.