Ricercatori, una proposta: chi ci sta?

/ Articolo / Ricercatori, una proposta: chi ci sta?
  • Condividi

I ricercatori universitari stanno protestando contro il DDL Gelmini. La protesta ha un merito e un demerito. In questo post descrivo il merito, il demerito, e faccio una proposta chiedendo, in particolare ai ricercatori che la condividono, di aderire inviando un commento.

Riassunto dei fatti rilevanti

I ricercatori universitari sono da mesi mobilitati contro il DDL Gelmini per la riforma dell'università e contro la riduzione dei trasferimenti del governo alle università pubbliche (i "tagli", insomma). La protesta ha raggiunto il culmine in questi primi giorni del nuovo anno accademico: i ricercatori hanno scelto dare esecuzione alla minaccia messa sul tavolo da tempo, ovvero il rifiuto di insegnare i corsi che gli sono stati affidati -- in Italia i ricercatori non possono essere "titolari" di corsi (peculiarità dei professori, associati e ordinari) e quindi ne diventano "affidatari".

Dettagli sulla protesta si trovano sul sito della Rete 29 Aprile, che mette appunto in rete i gruppi dei vari atenei, e in particolare nel documento del coordinamento nazionale dello scorso 10 settembre.

Uno dei motivi che hanno originato la protesta è la nuova disciplina dei ricercatori contenuta nel DDL. Questo prevede infatti l'istituzione dei ricercatori a tempo determinato (RTD), una figura che andrebbe pian piano a sostituire del tutto quella dei ricercatori a tempo indeterminato (RTI), un ruolo che il DDL mette "ad esaurimento". La carriera dei RTD procederebbe secondo il modello della "tenure-track" di origine anglosassone: i nuovi ricercatori inizierebbero con un contratto di 3 anni, con possibilità di rinnovo per altri 3 (come avviene adesso per i RTI, che sono soggetti a conferma dopo i primi 3 anni). Dopo 6 anni il RTD è soggetto a un giudizio di "tenure": se ha raggiunto certi obiettivi (primariamente in termini di pubblicazioni scientifiche) viene promosso al ruolo di professore associato (senza bisogno di un concorso), con impiego a tempo indeterminato; se non li ha raggiunti deve trovarsi un altro lavoro. Per una volta, inoltre, il trattamento economico seguirebbe una logica economica: i RTD sarebbero pagati significativamente più dei RTI. I primi infatti accettano un rischio (essere fuori dopo 6 anni) che i secondi non corrono. Si può pensare che pagarli di più aiuti anche ad attrarre ricercatori migliori, visto che gli attuali stipendi all'ingresso della carriera accademica sono miserrimi rispetto a quelli oltre qualunque confine nazionale che non sia quello a sud. Ma le grandezze di cui stiamo parlando non sono purtroppo sufficienti a questo scopo, anche se la direzione è quella giusta. Ho semplificato brutalmente, ma più o meno dovrebbe funzionare così nelle intenzioni degli estensori, anche se c'è ancora grande incertezza sui dettagli del testo finale che, dopo essere stato approvato dal Senato, deve ora passare dalla Camera.

Un altro motivo della protesta, come detto, è la riduzione del finanziamento pubbico alle università. Il governo ha infatti progettato tagli uniformi (nella stessa proporzione per tutti, cioé) che vengono definiti "lineari" -- con pessimo senso geometrico: se tracci una qualunque linea sulla distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario non otterrai mai una decurtazione uniforme del Fondo, no?

Che il DDL sia complessivamente demenziale io non ho dubbi: se devi (come governo) fare tutto 'sto casino fallo almeno per riformare per bene il sistema. Quello che dev'essere fatto è fin troppo noto. C'è dissenso sui dettagli ma la direzione non può che essere quella: legare i finanziamenti a indicatori di quello che le università sono lì per fare, cioé ricerca e didattica di elevata qualità, secondo i migliori standard internazionali, e lasciarle libere di assumere e promuovere chi vogliono, pagandolo quanto vogliono, rimuovendo la pachidermica burocrazia che va dai concorsi alle mille regole e vincoli sull'utilizzo delle risorse. Di questo si è già discusso su nFA. Però la disciplina dei RTD ha molti pregi. Il più importante, secondo me, è che permette di stabilire chiaramente i risultati che ci si attende da loro nei sei anni successivi per ottenere la promozione e l'assunzione a tempo indeterminato. Se la barra non viene fissata troppo in basso (cioé se non si fissano obiettivi che tutti possono facilmente raggiungere impegnandosi al minimo) questo non può che avere effetti positivi sulla qualità della ricerca. Una riforma di questo tipo è stata recentemente introdotta per le scuole primarie e secondarie a Washington (District of Columbia) dalla chancellor locale, Michelle Rhee. Come lei stessa spiega in questo documento (in inglese), dopo anni di declino delle scuole pubbliche la Rhee e il suo staff hanno preso il toro per le corna iniziando a riformare l'istruzione pubblica dagli incentivi degli insegnanti: chiari messaggi sulla performance attesa, un nuovo metodo di valutazione all'avanguardia tra tutti gli stati americani, un nuovo sistema di supporto all'insegnamento, e stipendi più alti assieme a contratti che permettono di non confermare gli insegnanti con valutazioni al di sotto dello standard prefissato. Questi nuovo sistema di incetivi ha consentito alle scuole pubbliche a DC di migliorare enormemente la qualità dell'insegnamento. Di conseguenza, i tassi di iscrizione che erano in declino negli anni precedenti sono oggi in aumento.

Ma queste sono distrazioni: torniamo all'oggetto del post.

Il merito

La protesta ha il merito di evidenziare un'anomalia dell'università italiana: la didattica, soprattutto quella di base, viene svolta in buona parte da soggetti, i ricercatori, che per contratto non sono tenuti ad insegnare. Questa anomalia, che riflette il doppio vizio italico di far lavorare la gente gratis e accettare di farlo, andrebbe rimossa modificando i contratti dei ricercatori. Se si vuole che insegnino li si deve trasformare in professori di terza fascia (come l'assistant professors in USA, il lecturer in UK, il profesor ayudante in Spagna, il juniorprofessor in Germania, eccetera) e li si deve pagare di più per questa funzione aggiuntiva che svolgono rispetto a quanto stabilito nel contratto nazionale vigente. Spiace dirlo, ma questo merito è non intenzionale. Infatti, da quanto capisco, i RTI non chiedono questo -- se fossero stati interessati a riscrivere i contratti in questo senso avrebbero protestato ben prima del DDL Gelmini e si sarebbero resi indisponibili all'insegnamento negli ultimi 20-25 anni, non solo quest'anno.

Il demerito

La protesta ha però un demerito, anzi due. Primo, sulla questione del RTD. Vi sarete chiesti, un po' più sopra: che cosa importa ai RTI che protestano se vengono istituiti i RTD? Questo non intacca la loro posizione. In realtà, sostengono, lo farà con elevata probabilità: la carriera dei RTI potrebbe essere influenzata dalla presenza dei RTD perché questi ultimi avranno una corsia a scorrimento veloce per la carriera (dopo 6 anni o li promuovi o gli dici che devono cambiare istituzione se vogliono continuare a fare ricerca) mentre i primi dovranno passare per le strettoie e le lungaggini di un concorso da associato, col rischio che le facoltà impieghino gran parte delle risorse per gli avanzamenti di carriera dei RTD: se sono bravi non vuoi perderli, mentre i RTI li avrai comunque. Non sono sicuro di capire del tutto la logica di questa preoccupazione (che sembra ignorare il fatto che le facoltà orientate alla ricerca hanno interesse a far avanzare la carriera dei migliori ricercatori indipendentemente dal tempo al quale sono declinati), la riporto per come la capisco -- correggetemi se l'ho capita male.

Da questa preoccupazione deriva la richiesta al Ministero di prevedere, contestualmente all'approvazione del DDL, lo stanziamento di fondi per bandire un sufficiente numero di posti da associato. Per i più maliziosi il numero "sufficiente" sarebbe quello che permetterebbe, di fatto, una sorta di promozione ope legis di gran parte degli attuali RTI. I leader della protesta ci tengono a precisare che non è così. Nel documento linkato sopra si legge, ad esempio, della

necessità di uno stanziamento straordinario nel transitorio che consenta di reclutare giovani per adeguare il rapporto studente‐docenti alla realtà europea e di permettere ai ricercatori, su valutazione e non via ope legis, di progredire verso il livello del ruolo unico corrispondente a quello degli attuali professori associati.

Questo naturalmente dipende da quanti posti da associato vengono richiesti. Se la richiesta fosse pari, che so, ai 2/3 dei RTI e fosse accordata, voi capite che ci sarebbe pure una valutazione ma si tratterebbe, di fatto, di promozione ope legis.

Secondo, sulla questione dei tagli la protesta è di retroguardia. In questo paese le risorse scarseggiano, e il governo, qualunque governo, ha pochi soldi per fare le troppe cose di cui c'è bisogno. Una protesta che guarda avanti invece che indietro è una protesta che chiede a gran voce, fornendo adeguato supporto politico: (a) di liberare risorse da altre voci di spesa pubblica (nessuno può avere la botte piena e la moglie ubriaca), e (b) di fare tagli, se tagli devono essere, non "lineari" ma differenziati, e ben differenziati, in base a indicatori di performance: piuttosto che affamare la migliore e la peggiore università italiana meglio premiare la prima e chiudere la seconda.

La proposta

Vengo alla proposta. Si tratta di un'alternativa alla richiesta dello "stanziamento straordinario" di cui alla citazione sopra, e che se introdotta farebbe un ottimo servizio alla qualità della ricerca. L'idea è questa: consentire ai RTI la scelta del regime. Chi vuole può optare per il regime RTD, avere da subito uno stipendio più alto, e giocarsela dopo 6 anni: se ci sono i requisiti si diventa associati, se no si cambia istituzione o mestiere. Chi non vuole prendersi questo rischio resta RTI e aspetta i concorsi per avanzare la propria carriera (senza concorsi riservati, straordinari, e simili), come si è fatto fino a adesso. In questo modo, per forza di cose, nessun RTI potrà ritenersi svantaggiato.

La ratio della proposta è evidente e si chiama self-selection. Questa, rivelando i "tipi" altrimenti inosservabili, a volte può portare miracolosi miglioramenti nel grado di efficienza delle istituzioni.

Vuoi aderire alla proposta?

Sei un ricercatore (declinato a qualunque tempo) e vuoi aderire alla proposta o suggerire modifiche? Metti un commento col tuo nome.

Indietro

Commenti

Ci sono 178 commenti

Giulio, non per ripetermi, ma il problema della mancanza di una norma sull'accantonamento dei fondi non mi pare secondaria...

 

 

Non sono ricecatore, quindi il mio intervento può sembrare fuori luogo, ma lo sono stato e qualcosa ne so.

Mi sembra che Lorenzo centri il punto. La proposta che fai ha come prerequisito necessario la certezza dell'accontamento dei fondi per la "Tenure Track" da parte dell'Università. Troppe volte abbiamo assistito a vane promesse fatte ai ricercatori e ai precari, mai realizzate perché poi "non ci sono i fondi" oppure peggio "non è ancora il nostro turno". Se non ci sono fondi, dimmelo prima, e non dopo N anni di precariato o sciacquinaggio (e questo indipendentemente dal merito). 

Per cui: finché non si definisce questa faccenda della Tenure Track, la proposta che fai non ha senso. Supponi che l'università X abbia tanti fondi su progetti e apre N posizioni di tenure track (molto allettanti, come dici). Tu prendi la posizione, fai 300 pubblicazioni, h-index pari a 50. Poi dopo 6 anni ti dicono che andresti anche bene, ma devi aspettare un altro po' che adesso non c'è possibilità, tanti saluti e avanti il prossimo fesso. Credi non sia possibile? E' già successo troppe volte.

Chi dei TI si metterebbe a TD senza la certezza che alla fine del "tunnel" ci saranno i soldi e i punti organico per assumere l'eventuale associato? Tu lo faresti? Io no. Per cui, tanto torto ai ricercatori non mi sento di dargli. E a quelli che vogliono cominciare adesso, consiglio di andare all'estero dove c'è una vera tenure track.

Lorenzo, mi ero perso completamente il tuo commento precedente in cui mi chiedevi anche cosa ne pensavo di quella che chiami "ritorsione" a Bologna, scusami. Ti rispondo qui, per far prima e legare le due discussioni.

A me personalmente però disturba il fatto che nel testo del ddl licenziato dal Senato non vi sia (o almeno, io non vi abbia trovato) alcuna indicazione riguardo l'obbligo di accantonare i fondi necesserari per l'assunzione, in qualità di associati, dei ricercatori TD che risultassero corrispondenti ai desiderata della facoltà e/o ai (vaghi) requisiti ministeriali. Concorderai che, così come è scritta, questa norma definisce una fattispecie alquanto distante dalla tenure-track, o sbaglio?

In parte si. Di sicuro se non ci sono fondi per dare tenure la tenure-track si basa su una promessa vuota. In questo non sbagli. Ma chi l'ha detto che il modo per garantire che la promessa non sia vuota sia quello di obbligare all'accantonamento di fondi? Se una facolta' vuole tenersi i migliori ricercatori trovera' nel proprio interesse avere fondi tali da rendere la tenure-track credibile. Un ricercatore che sa di avere talento e che riceve un'offerta 3+3 da un'universita' in dissesto finanziario si insospettira' e dira' no grazie. Oppure se arrivato in fondo al 3+3 ha i requisiti ma non puo' essere promosso perche' la propria universita' non ha fondi potra' persuadere un'altra universita' con fondi che farebbe un buon affare ad assumerlo. Cosa impedisce di far questo?

Sulla "ritorsione" di Bologna, a me il termine non e' mai sembrato appropriato. Ritorsione di cosa? Che danneggerebbe chi? I fatti sono questi: uno doveva iniziare un corso la settimana prossima. Ha detto no, non lo inesgno piu'. C'e' una classe di 100 studenti che deve fare quel corso. Studenti del primo anno, tipicamente. Cosa deve fare l'universita'? Dire agli studenti che ci dispiace se avete speso soldi e avete anche preso casa a Bologna un mese fa ma non c'e' piu' il professore quindi il corso non si fa e vi dovrete laureare con 6-12 mesi di ritardo perche' tutto slitta in avanti? Hanno quindi deciso di assumere last-minute professori a contratto. Dov'e' lo scandalo? Dov'e' l'abuso? Hanno tutelato gli studenti, i propri utenti (o chiamateli "clienti" se preferite) che hanno pagato per un servizio. Non vedo ripercussioni negative per chi non ha voluto insegnare. Io negli anni passati mi sono rifiutato spesso di insegnare corsi gratuitamente. Sono sempre qui.

Per quello che posso dire, guardando da spettatore, è che la tua proposta ha fin d'ora il plauso incondizionato dei ricercatori precari. Per quanto riguarda i ricercatori di ruolo, beh, puoi sperare in qualche sostegno ideologico-personale isolato, ma le dinamiche della "vertenza", anche con riferimento agli sviluppi di questi ultimi giorni e dei prossimi, fanno piuttosto tendere verso un accoglimento "sostanziale" delle ragioni della protesta, con la promessa di posti da Associato per i prossimi 6 anni, cioè prima che il primo Tenure Trash all'italiana possa arrivare a fare concorrenza per l'immissione in quel ruolo.

RR

 

Credo che tu abbia ragione. Però una proposta del genere da parte del ministro metterebbe la protesta dei ricercatori al muro.

Il punto di vista dei ricercatori precari però un po' mi sfugge. Se gli RTI optano per posizioni RTD, che posto resterà a loro?

 

L'idea è questa: consentire ai RTI la scelta del regime. Chi vuole può optare per il regime RTD, avere da subito uno stipendio più alto, e giocarsela dopo 6 anni

 

i ricercatori che conosco io ormai hanno una età che al regime RTD non ci pensano proprio. A parte che tra sei anni dio solo sa se ci sono i soldi per la loro tenure track, se non vengono assunti non hanno altre prospettive lavorative. Il mio amico che passati i quaranta o i quarantacinque continua a tenere i corsi di base di paleografia e diplomatica, se non lo ammettono ad associato dopo i sei anni (in cui farà sicuramente più didattica che ricerca... pubblicare un fondo di documenti medievali è time-intensive) che fa, manco ha l'abilitazione per le scuole superiori...

 

forse sarà un commento stupido ed errato...ma a proposito di fondi...ma in questi anni si dice che andranno in pensione almeno diecimila docenti,alcuni dicono di piu' o sbaglio?E cosi' non si libererebbero fondi e posti?

Si tratta di un intervento interessante, ma come altri commentatori ti hanno fatto notare presenta numerosi problemi (e te lo dico da precario della ricerca a cui questa riforma non dispiacerebbe poi troppo):

1. Nel sistema legale italiano la scelta di passaggio da RTI a RTD non puo' essere che volontaria. Quindi solo i piu' bravi si prenderebbero il rischio. Diciamo che aderisca solo il 50% migliore. Dopo 6 anni arriva la selezione e non ne facciamo passare piu' del 50% (se no e' una promozione ope legis). Ergo, abbiamo il peggiore 50% che restera' ricercatore ad esaurimento, il migliore 25% che passa associato e quel dignitoso 25% di bravi ma non bravissimi che viene espulso. Non mi sembra un bel risultato.

2. Tu dici

 

In realtà, sostengono, lo farà con elevata probabilità(...). Non sono sicuro di capire del tutto la logica di questa preoccupazione (che sembra ignorare il fatto che le facoltà orientate alla ricerca hanno interesse a far avanzare la carriera dei migliori ricercatori indipendentemente dal tempo al quale sono declinati)

 

Questo e' vero se un bravo ricercatore RTI che viene superato dai RTD se ne andasse sbattendo la porta per approdare associato in un'altra sede. Ma in un paese a bassa mobilita' scientifica come l'Italia questo non mi sembra molto plausibile. Per eliminare il problema bisognerebbe PRIMA aumentare meritrocazia e mobilita' (che vanno a braccetto). Insomma, capisco i RTI che non si fidano.

3. E' vero che i ricercatori si sono bovinamente prestati per anni alla didattica non pagata. L'hanno fatto come prezzo da pagare per aumentare le chance di carriera futura. Sbagliato o giusto che sia accettare e non sfanculare tutti ed andarsene all'estero, of course. Se pero' ora arriva una riforma che gli brucia le possibilita' di carriera e' logico che non ci stiano piu' a fare lezione gratis e ad avere stipendi sensibilmente piu' bassi della media europea (per di piu' se confrontati con baroni che alla fine se la passano bene).

4. Infine, ma questo vale sia per gli RTI passanti in RTD che per gli RTD ex-novo. Che garanzie fornisce la riforma che allo scadere dei 6 anni un congro numero di meritevoli sia trasformato in associati? In Francia, ad esempio, c'e' una reale programmazione scientifica. OGNI ANNO viene aperto un numero relativamente costante di posizioni CNRS e di maitre de conf (i nostri ricercatori universitari, ma con obblighi formali di didattica). I concorsi sono ben scadenziati e vengono regolarmente espletati nel cosro della prima meta' dell'anno solare. La situazione italiana (ed i precedenti dei cervelli rientranti) mi fa dubitare.

5. La maggior parte dei sistemi europei prevede 3 livelli per i membri faculty. L'eccezione e' la Germania dove infatti si tende a restare precari fin verso i quarant'anni. Pero' in Germania i migliori tendono a diventare molto ben pagati professori, e molti dei mediocri quasi altrettanto ben pagati ricercatori del settore privato. Insomma, in Germania c'e' la ragionevole speranza di non restare fregati se verso i quaranta si viene espulsi dall'accademia. In Italia non mi sembra esista un settore privato pronto ad assorbire ex post doc quarantenni.   

6. Contrariamente a quanto si creda, il ruolo di ricercatore neo-assunto non e' a vita:

 

Come precisato all'Art. 31, I ricercatori universitari, dopo tre anni dall'immissione in ruolo, sono sottoposti ad un giudizio di conferma... Se il giudizio è favorevole, il ricercatore è immesso nella fascia dei ricercatori confermati. Il giudizio, se sfavorevole, può essere ripetuto una sola volta. Se anche il secondo giudizio è sfavorevole, il ricercatore cessa di appartenere al ruolo... e può avvalersi, a domanda, della facoltà di passaggio ad altra amministrazione.

 

Ora, a parte il problema che per la legge i poco meritevoli continuerebbero comunque a pesare sulla pubblica amministrazione, il problema e' che di fatto la conferma e' automatica. Che bisogno c'e' di fare una riforma? Non basterebbe iniziare ad applicare questo meccanismo non confermando i peggiori dopo 3 o 6 anni?

Questo fermo restando che la situazione italiana e' disperante e qualcosa andrebbe fatto. Pero' cercando di migliorare e non di peggiorare le cose.

 

La maggior parte dei sistemi europei prevede 3 livelli per i membri faculty.

Il modello su cui si stanno assestando, con questa riforma è pero quello francese [con l'aggiunta più strutturale del Tenure Trash dei nuovi RTD]

Francia

Glielo scrissi anch'io che dal punto di vista amministrativo, e della sociologia docente, è quello il sistema più simile da guardare.

Contrariamente a quanto si creda, il ruolo di ricercatore neo-assunto non e' a vita:

Come precisato all'Art. 31, I ricercatori universitari, dopo tre anni dall'immissione in ruolo, sono sottoposti ad un giudizio di conferma... Se il giudizio è favorevole, il ricercatore è immesso nella fascia dei ricercatori confermati. Il giudizio, se sfavorevole, può essere ripetuto una sola volta. Se anche il secondo giudizio è sfavorevole, il ricercatore cessa di appartenere al ruolo... e può avvalersi, a domanda, della facoltà di passaggio ad altra amministrazione.

Ora, a parte il problema che per la legge i poco meritevoli continuerebbero comunque a pesare sulla pubblica amministrazione, il problema e' che di fatto la conferma e' automatica. Che bisogno c'e' di fare una riforma? Non basterebbe iniziare ad applicare questo meccanismo non confermando i peggiori dopo 3 o 6 anni?

 

Il problema principale individuato dalla riforma è l'esistenza dei ricercatori "a vita", che di fatto non puoi usare come docenti se non schiavizzandoli, non tanto il Tenure Trash fasullo. Per avere un Penured Trek serio devi comunque togliere il neo assunto dalla situazione giuridica in cui si trova adesso, che è già quella di funzionario pubblico a tempo indeterminato.

RR

 

 

Grazie, Francesco, sono tutte obiezioni molto serie. Inizio a rispondere. Il mio post e' evidentemente provocatorio, ma l'effetto e' quello che speravo, cioe' la provocazione ci fa riflettere ed elaborare idee.

Quindi solo i piu' bravi si prenderebbero il rischio. Diciamo che aderisca solo il 50% migliore. Dopo 6 anni arriva la selezione e non ne facciamo passare piu' del 50% (se no e' una promozione ope legis). Ergo, abbiamo il peggiore 50% che restera' ricercatore ad esaurimento, il migliore 25% che passa associato e quel dignitoso 25% di bravi ma non bravissimi che viene espulso. Non mi sembra un bel risultato.

Piano, piano, perche' deve essere cosi'. La barra e' assoluta, non relativa. Se il miglior 50% alla fine dei 6 anni ha i requisiti, il contratto tenure-track prevede (o dovrebbe prevedere) la promozione. Punto. Se la University of North Dakota assume 4 nuovi assistant professors e gli dice che la tenure si da' dopo 6 anni se hanno almeno 3 top-5 e 5 top-field e alla fine del sesto anno tutti e 4 hanno centrato l'obiettivo non e' che gli dice ah no, scusate do tenure solo a 2 di voi. Tutti e quattro ricevono la tenure.

Lo so che la questione della disponibilita' dei fondi pesa come un macigno su questo ragionamento. Il fatto gl'e' che se ci fosse volonta' di creare un sistema tenure track meritocratico i fondi si troverebbero eccome.

Questo e' vero se un bravo ricercatore RTI che viene superato dai RTD se ne andasse sbattendo la porta per approdare associato in un'altra sede. Ma in un paese a bassa mobilita' scientifica come l'Italia questo non mi sembra molto plausibile. Per eliminare il problema bisognerebbe PRIMA aumentare meritrocazia e mobilita'

Tu dici: aumentiamo la meritocrazia e aumenteranno mobilita' e concorrenza. Io vedo anche la possibilita' inversa. Se rendiamo il sistema competitivo aumenteranno sia la mobilita' sia il grado di meritocrazia.

 

 

6. Contrariamente a quanto si creda, il ruolo di ricercatore neo-assunto non e' a vita:

Come precisato all'Art. 31, I ricercatori universitari, dopo tre anni dall'immissione in ruolo, sono sottoposti ad un giudizio di conferma... Se il giudizio è favorevole, il ricercatore è immesso nella fascia dei ricercatori confermati. Il giudizio, se sfavorevole, può essere ripetuto una sola volta. Se anche il secondo giudizio è sfavorevole, il ricercatore cessa di appartenere al ruolo... e può avvalersi, a domanda, della facoltà di passaggio ad altra amministrazione.

Ora, a parte il problema che per la legge i poco meritevoli continuerebbero comunque a pesare sulla pubblica amministrazione, il problema e' che di fatto la conferma e' automatica. Che bisogno c'e' di fare una riforma? Non basterebbe iniziare ad applicare questo meccanismo non confermando i peggiori dopo 3 o 6 anni?

 

Esatto, questo e' un punto importante. Perche' la conferma dei ricercatori (o degli associati, o degli ordinari) e' solo pro-forma e non viene usata come occasione per una seria valutazione della ricerca? Perche' dovrebbe essere diverso per i RTD? Sinceramente non lo so, perche' il meccanismo sarebbe lo stesso, come la tua citazione dimostra. Una differenza importante pero' e' questa, anzi sono due: primo, la "conferma" dei RTD sarebbe una decisione locale e non presa da una commissione nazionale come per i RTI. Secondo, la barra per la conferma sarebbe ben nota per i RTD, mentre non c'e' nessun criterio chiaro per i RTI, il giudizio e lo standard sembrano essere puramente soggettivi.

 

Giulio, grazie di questo post.

Sono d'accordo con te, questo è esattamente quanto mi aspetto per fare un passo indietro dalla protesta.

Capisco che per i miei colleghi questa non sia una opzione appetibile, e anche per me sarebbe un bel rischio, ma come sottolinei, è un rischio pagato con un meccanismo di mercato (stipendio più alto). Io mi piglierei i soldi e mi giocherei i miei numeri, e come bonus mi sentirei moralmente più a posto. Se va male, vabbè, avrò dei soldi da parte.

Quindi aderisco.

E' un po' che non seguo il percorso della legge, c'è un aspetto cruciale che ora mi sfugge: quali sono i compiti didattici dei RTD? Ci sono degli obblighi o la didattica obbligatoria è meno che per un RTI o un associato?

> quali sono i compiti didattici dei RTD?

saranno gli stessi degli associati

> Ci sono degli obblighi o la didattica obbligatoria è meno che per un RTI o un associato?

Gli attuali RTI non sono obbligati a fare didattica, se non didattica di supporto (esercitazioni, laboratori in presenza del docente, seguire studenti laurea e dottorato etc) ma NON didattica frontale, come recentemente chiarito da una nota del CUN.

I nuovi RTD, per quanto capisco dall'ultima versione della legge, avranno gli stessi obblighi degli associati, mentre nessun cambio e' previsto dalla legge per gli RTI (ovviamente nessun RTI accetterebbe di firmare un nuovo "contratto" con piu' obblighi e stesso stipendio ...).

Ovvero i RTD avranno si' piu' stipendio ma anche piu' obblighi rispetto ai RTI ...

Ciao Giulio,

non sono completamente d'accordo con la tua proposta/provocazione. Ma non per il motivo che sono contrario alla "liberalizzazione" del "mercato" della ricerca/docenza, anzi proprio perche' la tua proposta limita questa liberalizzazione solo ai ricercatori. Perche' aprire (solo) l'ennesima lotta tra poveri (ricercatori TD vs ricercatori TI) ???

Ti faccio un esempio ... io sono ricercatore in italia da tre anni (dopo aver fatto 9 anni di ricerca all'estero: Spagna, USA, Svizzera, mi domanderai perche' mai sono tornato ... e me lo sto domandando pure io !!!). Ma perche' mai dovrei fare una "competizione" al ribasso con i RTD ?? E senza nessuna possibilita' di avanzamento ?? Io la competizione la vorrei fare con associati ed ordinari ... non con i RTD !!! Se ci deve essere una competizione aperta ... allora si aprano alla competizione tutte le posizioni ... e i ricercatori meritevoli possano competere per le posizioni di associato/ordinario. Troppo facile adesso per quelli che sono entrati 30 anni fa a 24-25 anni (molti dei quali hanno a tutt'oggi meno titoli dei RTD o RTI che vogliono assumere) farsi propugnatori della bellezza della precarieta' (senza che loro la abbiano mai sperimentata) ed arbitri di questa lotta tra poveri (senza che loro debbano mai rischiare qualcosa). 

Credo che la protesta di (molti) ricercatori non sia tanto (o solo) per la paura dell'arrivo dei nuovi RTD rampanti ... quanto per la paura che pseudo-riforme e mega-tagli compromettano qualsialsi possibilita' di avananzamento ...

Per chi è già nel sistema da un po' di tempo la differenza di stipendio è negativa o non sufficiente ad accettare un posto a TD. Il nodo è quello della carriera. Credo che aumentando la quota di finanziamento per il dipartimento (o il super-dipartimento che originerà dalla riforma) distribuita sulla base della qualità della ricerca incentiverebbe ad assumere il ricercatore migliore indipendentemente dal fatto che sia a TD o meno.  

 

 

Condivido la tua proposta ma il problema principale che vedo é la completa incertezza sui metodi di valutazione. Non si sa se l'asticella sará posta in alto o in basso (basta un AER dopo sei anni? Bastano tre Rivista di Politica Economica? I requisiti sono gli stessi a Bologna e a Cagliari?) e non si sa chi valuterá (commissioni di facoltá, di universitá o nazionali?). Addirittura non si capisce se l'asticella sará fissata in anticipo oppure se dovrai aspettare la fine dei 6 anni per sapere come ti valuteranno. La mia previsione é che alla fine i criteri non saranno ben definiti e la maggior parte passerá (esattamente come la conferma attuale dopo il primo triennio). E credo che questo sia il motivo principale per cui i ricercatori attuali vedono la posizione di RTD come "corsia preferenziale". 

Condivido i dubbi di Alessio sulla discrezionalita' delle "tenure decision" nell'ambito accademico in Italia.

Sono convinto (e qui potranno piovere critiche) che l'accademia italiana necessita di importare il concetto di ranking dall'estero. Certo, si puo' intuire per vie informali che l'univerisita' X fa ricerca in maniera piu' seria che l'universita' Y, ma 1) dal punto di vista dello studente e del mondo del lavoro (con le dovute eccezioni) due lauree conseguite a X e Y sono equivalenti e 2) dal punto di vista dell'attrazione di nuovi ricercatori... beh, finche ci sono i concorsi non e' che il "ranking" possa influenzare molto.

Durante il mio jobmarket le universita' con cui ho fatto i colloqui (nessuna italiana) mi hanno subito detto cosa si sarebbero aspettate da me nei primi 6 anni per ottenere tenure. E la correlazione tra la richiesta e il ranking dell'universita' nel panorama internazionale era molto alto.

Secondo me tenure decision, ranking, salari, fondi disponibili per la ricerca sono tutti concetti molto legati tra di loro. Che purtroppo sono lontani anni luce dal mondo accademico italiano. Per questo introdurne anche uno sulo (in questo caso la tenure track position) senza gli altri presupposti e' come cercare di aggiustare la barca che affonda con un cerotto.

 

Alessio (spero il tu non ti dispiaccia), sono pienamente d'accordo con te e in disaccordo con Giulio Zanella sulla tenure track. Sembrerebbe una cosa buona ...ma prima bisognerebbe avere il sistema americano in Italia. In realta' quello che si fara' e' che si cerchera' di dare la posizione TI a tutti i RTD. Su questo i timori dei RTI credo siano fondati.

Sono perfettamente d'accordo invece con l'autore del post sul fatto che dopo che si e' alzato tutto questo polverone con la riforma tanto valeva farla bene ...che e' come tutti sappiamo.

Quando si parla di ricerca in Italia non posso fare a meno di riflettere sul fatto che l'Italia e' l'unico posto dove una persona con contratto a tempo determinato si considera precario: puo' sembrare un formalismo ma e' implicita l'aspettativa che debba seguire una posizione a TI che ancora non c'e e quindi si e' in una situazione di precariato.

All'estero in una posizione a TD non c'e' nulla di precario si sa quando inizia e quando finisce e non c'e' nessuna aspettativa di posizione permanente. All'estero quelli che in Italia si chiamano ricercatori precari, si chiamano post-doc.

 

 

Una nota sull'accantonamento dei fonti, che mancherebbe per i RTD che ricevano tenure. E' vero, ma per la sicurezza sociale, le pensioni, credo anche la Cassa Integrazione....

Non si puo' richiedere che il contribuente tratti i ricercatori con i guanti che non usa per nessun altro. 

E' solo parzialmente vero, Alberto. D'accordo, nessuno mette via i soldi per le pensioni ma è conventional wisdom che se a un certo punto il governo non le paga o le riduce drasticamente scoppia la rivoluzione. Se invece l'ateneo XY dice a 10 ricercatori che non ci sono i soldi ci sarà un po' di mugugno ma niente di terribile. Vista questa banale realtà di political economy a me non pare così strano che i potenziali ricercatori a tempo determinato siano più preoccupati dei potenziali pensionati.

Concordo con Bisin,
in Italia chi ha lavorato e pagato i contributi non puo' aspettarsi una pensione,
chi pubblica e vince un concorso non puo' aspettarsi che la sua universita' abbia i soldi per dargli
la tenure, per contro chi porta i capitali all'estero puo' senz'altro aspettarsi di godere di uno scudo
fiscale (pagando pure meno del poco dovuto), o chi construisce abusivamente di usufruire di un condono. Evidentemente qualcuno c'e' che viene trattato con i guanti dal "contribuente". Ma stiamo ancora a parlare di incentivi? Ciao.

 

 

 

Giulio, se la tua proposta venisse applicata in un mondo ideale penso che forse potrebbe funzionare, ma vedo comunque delle criticità che non hai considerato perché sei un inguaribile idealista.

Ma facciamo un esempio chiaro e concreto. Ci sono molti RTI che hanno accumulato anni di esperienza e hanno ottime pubblicazioni, ma che a causa dei continui blocchi ai concorsi e del fatto che la maggior parte dei concorsi sono pilotati si trovano ancora ricercatori. Per quale ragione queste persone dovrebbero passare a RTD e aspettare altri 6 anni per FORSE diventare associati quando già allo stato attuale hanno un profilo da associato? Oltre tutto chi garantisce che tra 6 anni a valutare quello che i RTD hanno pubblicato ci sia una commissione formata da persone competenti? Sappiamo benissimo, per esperienza, che spesso capita che le valutazioni dei commissari vengano fatte secondo ranking del tutto irrazionali e slegati da qualunque validità accademica....avremmo moltissimi esempi da fare, ma per comodità rimando al sito di Roberto Perotti.

Io sono dell'idea che la miglior riforma sia quella di attribuire i fondi alle università sulla base dei risultati in termini di pubblicazioni utilizzando ranking internazionalmente riconosciuti. Lasciamo agire il mercato...ogni università potrà assumere chi vuole...riempire le facoltà di parenti e amici (a proposito interessante l'articolo su La Repubblica di oggi), ma puoi dovrà rispondere di chi ha assunto.

Perché dovrei passare a RTD oggi senza avere la certezza che le mie pubblicazioni tra 6 anni verranno valutate secondo criteri corretti e senza sapere se tra 6 anni ci saranno i fondi per la mia eventuale assunzione a professore associato? Se vivessimo in un mondo perfetto non avrei problemi ad aderire alla tua proposta, ma viviamo in Italia...

 

 

 

paolo, una volta eri idealista anche tu: sono sicuro che a un certo punti avevi i capelli piu' lunghi di ora, barba incolta, e cantavi "be the world you want to see" :-)

Per quale ragione queste persone dovrebbero passare a RTD e aspettare altri 6 anni per FORSE diventare associati quando già allo stato attuale hanno un profilo da associato? 

se hanno gia' un profilo da associato entrano in un contratto che gli garantisce la promozione con molta meno burocrazia e con tempi certi.

Io sono dell'idea che la miglior riforma sia quella di attribuire i fondi alle università sulla base dei risultati in termini di pubblicazioni utilizzando ranking internazionalmente riconosciuti. Lasciamo agire il mercato...ogni università potrà assumere chi vuole...riempire le facoltà di parenti e amici (a proposito interessante l'articolo su La Repubblica di oggi), ma puoi dovrà rispondere di chi ha assunto.

Su questo non ho dubbi. Il DDL Gelmini mette una serie di pezze (i RTD sono una di queste) a un vestito che va buttato e rifatto nuovo. Riformare un pezzo di sistema (assumete e promuovete facilmente chi volete) senza fare la riforma complementare (i finanziamenti vanno in base alla performance) e' nonsense.

 

le modalità di assunzione dei RTD all'inizio dei sei anni come avverrebbe? per chiamata diretta? in base ai titoli?

 

Giulio, sarei abbastanza d'accordo con la tua proposta, che, tuttavia, è soltanto uno dei numerosi aspetti che andrebbero riformati. Ai miei tempi, una cosa del genere era stata iniziata con i borsisti e i contrattisti ed è andata come sappiamo. Temo che l'università italiana, così come la società sia irriformabile. Come sarebbe possibile, senza una "rivoluzione" dell'intera società, mettere le università italiane in reale concorrenza tra loro, lasciando decidere al "mercato" per la raccolta dei finanziamenti, pubblici e privati, per la valutazione della qualità e per la scelta delle università migliori da parte di studenti che ottengono un titolo con valore legale uniforme? Altro che protesta dei Ricercatori, scoppierebbe, appunto, la rivoluzione.

Io ci sto. Mi piace la fantascienza ;)

 

Scherzi a parte, guarda che leggo sul Sole24Ore (!):

http://intranews.sns.it/intranews/20100924/MI25010.PDF


Dove si dice che nei prossimi 5/6 anni verranno banditi 9.000 posti da PA

(a fronte di 26.000 ric) perche'


" ... pensiamo che questa sia la reale platea dei ricercatori con i

requisiti per essere stabilizzati (sic!)" visto che dei 26.000 ricercatori

esistenti "una parte sono sulla via della pensione, una parte sono

troppo giovani".


W la meritocrazia!

Quando leggo queste cose, mi vengono i capelli bianchi (il che, potrebbe rappresentare un vantaggio evolutivo, ora che ci penso ;)

Cheers,

 

c

 

PS: io ci sto davvero. Comunque, affinche' la proposta fosse attraente per una fascia ampia, sarebbe bene avere maggiore chiarezza su come viene condotta la valutazione. E' per questo che mi sembra fantascienza.

 

ecco, grazie per il link.

QED!

A me la proposta di Giulio sembra molto intelligente e ben fondata da un punto di vista di 'giustizia' astratta.

Corrisponde grosso modo al principio del no-envy di Duncan Foley: un allocazione e' envy free se nessuno giudica, secondo i propri gusti, di essere in una situazione peggiore di quella di un altro. In altre parole, se siamo seduti a tavola e ho l'opzione di scambiare il piatto con un commensale a piacere, preferisco (debolmente) tenermi il mio piatto.

Secondo la proposta di Giulio, i TD non potrebbero invidiare i TI perche' l'essere TD rientrerebbe nel loro insieme di scelta, quindi gli unici a rimanere TI sarebbero quelli che preferiscono esserlo (rispondo all'obiezione che i due gruppi hanno storie disomogenee nell'ultimo paragrafo).

C'e' il problema che alcuni TI potrebbero invidiare i TD. Forse i piu' avversi al rischio e i piu' scarsi preferirebbero avere basse remunerazioni e basso status (TI) in cambio della pratica certezza del posto.

Si potrebbe dire che per ragioni di efficienza queste persone dovrebbero essere comunque tenute fuori dal sistema, e quindi e' giusta la riforma che tende ad esaurire i TI. In realta', pero', in linea di principio potrebbe essere desiderabile un meccanismo che garantisse la sopravvivenza nel sistema dei piu' avversi al rischio che fossero pero' sufficientemente talentuosi. Lascio la soluzione del problema di trovare questo meccanismo come facile esercizio per il lettore (altrimenti chiedete a Sandro Brusco :)).

Nel sistema US, e pur con mille bastoni fra le ruote in parte anche negli UK, mi sembra che il mercato funzioni come meccanismo senza bisogno di avere i TI, nel senso che chi non prende tenure nella propria universita' ma e' sufficientemente dotato trovera' comunque posto in un'universita' un po' peggiore (o se proprio gli va storta in Europa...) per cui non c'e' un vero rischio di salto nel buio (conditional on being sufficiently talented).

Un'ultima considerazione: simpatizzo con tutti quelli che dicono: ma come! io ho lavorato cosi' sodo e ora mi trovo, se volessi passare a TD, ad aspettare altri anni senza criteri chiari la cui soddisfazione garantisce la promozione. Pero', ragazzi, questa e' l'Italia, lo sapevate, e voi avete scelto di starci, in questo sistema marcio. Avrete avuto sicuramente tutte le vostre buone ragioni, la famiglia, l'amor di patria, la fidanzata e quant' altro. Pero' avete anche risparmiato i costi (che ci sono) di trapiantarsi all'estero. Quindi...

Caro Giulio,

                rileggendo il tuo post, mi sembra che nell'analisi inverta i termini della questione. Mi spiego meglio.

Personalmente (ma parlo per me) io protesto innanzitutto per i tagli, e per come sono stati fatti: la norma sui RTD non mi tocca (se va bene ai precari, e' affar loro). Io vedo un problema di prospettive (il mio punto di vista l'ho espresso qui); il nodo principale non e' certo il DDL di un governo perennemente sull'orlo  di una crisi di nervi.

Anzi, il problema e' che questo DDL non arrivera' mai a compimento (non basta che passi, visto che in molti punti rimanda a regolamenti successivi - e conosciamo tutti i tempi della burokrazia Gelminiana).

Inoltre, nel DDL accanto a parti abbastanza positive (valutazione delle performance - quando ci sara') ci son parti controverse: la messa ad esaurimento dei ricercatori (un pretesto per l'ope-legis?) ma, soprattutto, pericolosi cambiamenti sul lato della Governance.

Mi direte che la struttura ricalca quella degli USA (ma negli USA  la struttura e' imposta dall'alto?).  Se dobbiamo adottare il sistema amerikano, allora pretendo che ci siano anche le stesse condizioni al contorno: non mi sembra che questo sia il caso.

Faccio alcuni esempi:

1) negli USA gli esterni che siedono in CdA puntano al rendimento; in Italia gli esterni saranno politici trombati (scommettiamo?) che useranno la poltrona in CdA per distribuire favori;

2) negli USA i funzionari  puntano a rendere efficiente il sistema; in Italia il burocrate punta innanzitutto a cercare di giustificare la propria esistenza producendo procedure bizantine (noi ne sappiam qualcosa riguardo al recente regolamento delle missioni all'estero);

3) negli USA qualcuno con un curriculum come quello di Mariastella Gelmini non potrebbe mai accedere ad un posto di responsabilita'; negli USA una come Mariastella Gelmini farebbe un altro lavoro. Non so quale ma, credete a me, farebbe un altro lavoro.

 

3) negli USA qualcuno con un curriculum come quello di Mariastella Gelmini non potrebbe mai accedere ad un posto di responsabilita'; negli USA una come Mariastella Gelmini farebbe un altro lavoro. Non so quale ma, credete a me, farebbe un altro lavoro.

 

 

Sarah Palin? George W Bush?

La Palin e' stellare rispetto a MSG.

A Bush, ci avevo gia' pensato, ed avevo avuto un momento di incertezza prima di scrivere. Dipende se si pensa in termini relativi o assoluti: in termini assoluti mi sembra molto meglio di MSG (certo, la responsabilita' non e' la stessa).

Certo: Bush probabilmente era stato messo li' a far da controfigura proprio perche' era (relativamente) poco capace (governava Cheney), pero' dietro c'era una squadra che funzionava (anche se son estremamente critico su quello che tale squadra ha combinato).

Mi dirai che anche Mariastella e' stata messa li' perche' e' capace solo di dar aria alla bocca, le cose serie le decide Giulietto. OK, pero'  le manca una squadra e, nonostante l'Aprea le faccia da maestra di sostegno, produce solo danni.

L'unica consolazione e' che, per ora, i danni non si contano in migliaia di morti.

PS: se me lo avessero detto, non avrei mai creduto che avrei mai dovuto prendere le difese di GWB e del sistema amerikano :)

 

Giovanni io ne riparlerei quando MSG avrà preso il suo MBA ad Harvard. Sulla Palin non mi esprimo, certo a vedere come ha chiamato i figli il dubbio si pone...

Vorrei chiedervi un paio di cose. A quel che si sa ad oggi:

1) nei prossimi anni il numero di RTD sarà

- significativamente superiore a chi verrà confermato professore in quanto c'è un'esigenza di didattica

oppure

- tendenzialmente uguale a chi verrà confermato? e quindi la valutazione del merito scientifico di fatto avviene al momento dell'assunzione RTD, ossia - al meno in principio - più sul potenziale (che è più opinabile) che su risultati concreti, se i candidati sono neo phd/post-doc.

 

2) con gli RTD si chiude di fatto la possibilità di rientrare in Italia come associato per chi fa ricerca all'estero?

Grazie mille.

 

con gli RTD si chiude di fatto la possibilità di rientrare in Italia come associato per chi fa ricerca all'estero?

 

...domandone!

Non ho le risposte, mi dispiace, ma questa tua è davvero una domanda ficcante. Immagino che sia relativamente più semplice per un estero accedere alla tenure track (cioè ottenere un posto da RTD), ma molto più difficile accedere a una posizione permanente. Non mi pare terribile, ammesso che l'accesso alle posizioni di RTD diventi meno drogato di quanto avviene oggi per i RTI.

 

 

1) nei prossimi anni il numero di RTD sarà

- significativamente superiore a chi verrà confermato professore in quanto c'è un'esigenza di didattica

oppure

- tendenzialmente uguale a chi verrà confermato? e quindi la valutazione del merito scientifico di fatto avviene al momento dell'assunzione RTD, ossia - al meno in principio - più sul potenziale (che è più opinabile) che su risultati concreti, se i candidati sono neo phd/post-doc.

 

be', direi la seconda.  gran parte dei commenti al post sottolineano, giustamente, che il problema potrebbe essere avere risorse per promuovere un numero sufficienti di RTD dopo il sesto anno.

2) con gli RTD si chiude di fatto la possibilità di rientrare in Italia come associato per chi fa ricerca all'estero?

Perche' mai? Gli altri canali per diventare associato (inclusa la chiamata diretta dall'estero) restano intatti.

Anche io ho qualche domanda.

In questi anni sta arrivando alla pensione il picco degli assunti negli anni '70, per cui col blocco del turn over (ed i perenni problemi finanziari) e' realistico prevedere che il numero di docenti si contragga considerevolmente.

In questo contesto gli attuali RTI diventerebbero ovunque essenziali per fare didattica, il che potrebbe essere una fortissima spinta verso una sorta di ope legis (specialmente con le elezioni dietro l'angolo).

Secondo voi ho ragione?

Altro dubbio: non mi e' chiaro come, secondo il DDL Gelmini, verra' determinato lo stipendio (e la ricostruzione delle carriere) dei PA.

 

Sono un ricercatore all'inizio del terzo anno, in una facolta' che non mi sfrutta, non mi fa insegnare piu' di un corso all'anno e mi lascia libero di passare periodi di ricerca all'estero. 

La formula RTD ha mille motivi validi per essere accettata....Grazie Giulio per esserti fatto promotore di questa iniziativa. 

 

 

Giulio, c'e' un typo nel tuo testo: la Rete 28 Aprile non esiste, pero' c'e' la Rete 29 Aprile!

Si tratta di un piccolo refuso, ma e' meglio evitare di aumentare la confusione.

 

A proposito di confusione (mentale), leggete cosa dice il Tempo a proposito di R29A e Cnru:

www.iltempo.it/roma/2010/09/26/1204106-studenti_tornati_casa.shtml

 

ohps! corretto, grazie :-)

ma siamo sicuri che con le solite leggi e leggine si possa risolvere una situazione strutturale?

Possiedo una azienda che ha il suo cuore in un piccolo laboratorio di ricerca. Se siamo vivi è perchè produciamo annualmente un paper regolarmente accettato in congressi internazionali (IEEE, Associazioni internazionali di ingegneria, etc) da cui poi discendono i nuovi prodotti software. Non a caso dalla Cina e dalla Corea mi scrivono per avere posizioni Post-Doc nel laboratorio.

Questo è raggiunto perchè chi ci lavora quando va al gabinetto (scusate l'esempio non fine ma calzante) si porta sul tablet qualche proceeding di congresso. Se un piccolo risultato scientifico è raggiunto con così poche risorse, perchè organizzazioni di massa che totalmente non producono molto (escluse anomalie di pochi santi) devono sopravvivere?

Io penso che la riforma sia tutta lì, se la facciano i ricercatori da soli la riforma sito per sito, si vadano a cercare i fondi  soprattutto all'estero, rifiutino la gestione dei fondi statali dati ai baroni per scopi clientelari, escano dalla logica burocratica statalista dei livelli: junior, senior, .... Poi si sà che i giovani sono più produttivi quindi loro dovrebbero comandare, non gli anziani. Basta con i contratti nazionali collettivi e le leggi per tutti. La ricerca è anarchica e senza regole: parola di imprenditore.

Facciano i ricercatori una sana rivoluzione dal basso e non puniscano gli studenti bloccando i corsi.

Prima ti risolvo il dubbio

 

non capisco poi cosa dovrebbero aver a che fare le esigenze didattiche  con le progressioni di carriera (semmai delle esigenze didattiche bisogna tener conto in fase di reclutamento)

 

La Rete 29 Aprile chiede che i "ricercatori" (o comunque vengano chiamati) insegnino meno dei professori. QUindi una promozione implica un aumento del monte-ore complessivo - indipendentemente dalle esigenze didattiche

E poi veniamo al punto. Vedo che sei un ricercatore a Matematica - presumo abbastanza giovane. Io ho 56 anni e mi occupo di legislazione universitaria dal 1974, come studente attivo nell'allora sezione universitaria del PCI. Ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare - ma tre leggi sono rimaste sempre valide

a) le valutazioni comparative a numero predeterminato (vulgo concorsi)  sono "truccati" nel 99% dei casi (nel senso che vincono i candidati appoggiati dai "baroni" di turno)

b) alle valutazioni individuali non comparative (come quelle per la conferma in ruolo) passa il 99% dei candidati

c) l'aumento della spesa ha aumentato il numero e/o gli stipendi dei professori, senza alcun chiaro miglioramento della qualità della ricerca

Se la proposta della rete 29 Aprile passasse, gli attuali associati e ricercatori avrebbero la via spianata per diventare ordinari (o prima fascia o comunque sarebbero  chiamati) - ed il reclutamento continuerebbe ad essere "truccato". Solo invece dei baroni, deciderebbe l'assemblea dei docenti. Si chiama ope legis.

La proposta CNRU è solo più furba: invece di chiedere subito un aumento di stipendio, suggerisce ai ricercatori di "accontentarsi" di essere chiamati associati di serie B, salvo poi far partire ricorsi ed azioni politiche per farsi riconoscere anche lo stipendio

Se i ricercatori volessero  veramente la valutazione (e non l'ope legis) dovrebbero chiedere una valutazione degli atenei (o anche meglio dei dipartimenti) basata sulla performance scientifica con incentivi  finanziari seri. Ma, guarda caso, ogni volta che si parla di valutazione, i professori e ricercatori trovano mille scuse per rinviare, ripensare, ridiscutere etc

Concordo, e' un ottimo riassunto della situazione.  Comunque a me sembra che almeno Universitas Futura abbia proposto una valutazione seria focalizzata sui Dipartimenti (vedi documento programmatico).

Sono conscio, come Matematico, di vivere un po' in un mondo a parte: comprendo quindi il tuo punto di vista.

Puo' darsi che le proposte della R29A, senza ulteriori modifiche, non siano ottimali; tuttavia non mi sembrano incompatibili con una riforma seria. R29A mi sembra abbastanza aperta al dialogo: p.es. alla recente assemblea parlo' anche C.Procesi (un altro matematico! - ma forse con una visione un po' piu' ampia di quella che posso aver io ;)

 

Se i ricercatori volessero  veramente la valutazione (e non l'ope legis) dovrebbero chiedere una valutazione degli atenei (o anche meglio dei dipartimenti) basata sulla performance scientifica con incentivi  finanziari seri.

 

Su questo sono totalmente d'accordo. Tanto che la parte del DDL che riguarda la valutazione mi sembra abbastanza positiva. Il problema e' che finche' non si sa quali siano i criteri per valutare (e la cosa -obiettivamente- presenta alcuni problemi reali) non si muovera' mai un solo passo avanti. Anzi: io trovo che con le classifiche arrafazzonate della Gelmini si siano mossi passi indietro, dando alibi ai nemici della valutazione.

 

 

Ricercatori, una proposta: chi ci sta?

 

Pare che avrai più tempo per raccogliere adesioni alla tua proposta; però ti consiglio di riformularla perché con quella non andrai lontano comunque.

UNIVERSITÀ: POLEMICA IN CAPIGRUPPO CAMERA SU DL UNIVERSITÀ, GELMINI
RESTA FUORI = FINI MEDIA, DISCUSSIONE IL 14 E VOTO DOPO SESSIONE
BILANCIO Roma, 30 set. (Adnkronos) - La calendarizzazione della
riforma dell'Università è stata oggetto di un dibattito tra
maggioranza e opposizione nel corso della conferenza dei capigruppo di
Montecitorio. Un dibattito cui, però, non ha assistito Maria Stella
Gelmini. Il ministro dell'Istruzione si era presentata alla riunione
per partecipare ma non è stata fatta entare, ed è rimasta alla porta.
Come è stato spiegato al termine della capigruppo, il governo è
rappresentato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, presente
alla discussione, e non può essere rappresentato da più ministri. «Noi
abbiamo chiesto di non soffocare i tempi di discussione di una riforma
così importante e di non portarla in aula il 4 ottobre», ha spiegato
il capogruppo del Pd Dario Franceschini al termine della riunione
replicando ad una ipotesi di calendario avanzata dalla maggioranza.
Fini, tra due fuochi, ha deciso di fissare la discussione generale il
14 ottobre, ma per il voto bisognerà attendere la fine della sessione
di bilancio. «Una scelta obbligata», ha detto il presidente della
Camera. Pur riconoscendo come «comprensibili le ragioni del governo»,
Fini ha infatti ricordato che durante la sessione di bilancio non è
possibile esaminare provvedimenti onerosi.

UNIVERSITÀ: GELMINI, RAMMARICATA SLITTAMENTO TEMPI RIFORMA
POL S0A QBXB UNIVERSITÀ: GELMINI, RAMMARICATA SLITTAMENTO TEMPI
RIFORMA (RIPETIZIONE DA ALTRA RETE) (ANSA) - ROMA, 30 SET - «Sono
rammaricata, ma rispetto qualunque scelta farà il Parlamento». Lo ha
detto il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, dopo il suo
intervento in Commissione Istruzione alla Camera e alla luce della
decisione presa oggi dalla riunione dei capigruppo di rinviare al 14
ottobre la discussione del ddl di riforma dell'università in Aula. «Il
governo - ha spiegato il ministro - più che proporre un testo di
riforma e trovare le risorse altro non può fare. Per mesi mi sono
sentita dire che non si possono fare le riforme senza risorse, che non
si fanno le nozze coi fichi secchi. Oggi abbiamo la riforma e le
risorse. Questo pare non bastare. Ha determinato comunque un rinvio
dei lavori. E ripeto - ha concluso il ministro - sono rammaricata, ma
rispetto le decisioni del Parlamento».

Dichiarazione del Presidente della CRUI, Enrico Decleva

La calendarizzazione in Aula per il 14 ottobre del DDL di riforma dell’Università, alla vigilia cioè dell’inizio della Sessione di Bilancio, se confermata, equivale molto probabilmente, nella situazione politica che stiamo attraversando, alla rottamazione del provvedimento.

Forse non ci si rende conto degli effetti che ne verrebbero anche rispetto alla protesta dei ricercatori in quel che essa ha di legittimo e di giustificato, ma che può trovare soddisfazione all’interno della legge in discussione, modificata nei termini condivisi ampiamente emersi, non certo nel suo tracollo. Il conseguente vuoto legislativo potrebbe per contro prolungarsi di nuovo per anni, bloccando, tra l’altro, le procedure sul reclutamento che interessano tanti giovani studiosi meritevoli.

E’ indispensabile un atto di responsabilità; è indispensabile che si ritorni sul calendario dei lavori in Aula garantendo lo spazio per la discussione in tempo utile del provvedimento.

 

 

Qualcuno avra' notato la notizia. Quante sono le probabilita' che a questo punto il DDL Gelmini venga risucchiato dal nulla eterno? Secondo me sono molte.

Insomma, molto rumore per nulla. O meglio, quando c'e' molto rumore le riforme finiscono nel nulla.

Nel caso specifico forse meglio cosi'. La parte triste e' pero' la conferma della quasi irriformabilita' dell'universita' italiana. Tutto e' affidato alla buona volonta' dei volenterosi.  Ma gli incentivi restano sballati dal primo all'ultimo :-(

 

Sono d'accordo al 90%.

Il 10% mancante si riferisce al fatto che, per quanto ne so, sembra che l'ANVUR sia sul punto di nascere (non mi sembra sia piu' in balia delle paturnie della politica - ministro permettendo).

Sono troppo ottimista?

Uno dei 2 vincitori del Nobel per la fisica, Konstantin Novoselov, è un collega precario.

E' titolare di un ERC Starting Grant, e conduce le proprie ricerche a Manchester.

Stamattina eravamo, qui a Bruxelles, ad un evento organizzato da EURAXESS, il servizio di assistenza alla mobilità dei ricercatori che ha la forma di rete di uffici nazionali, e ad un certo momento, verso l'una, arrivata trafelata una funzionaria dell'ERC a prendere il microfono dalle mani di Quentin Cooper, il presentatore-divulgatore della BBC che era stato ingaggiato per condurre l'evento, e annunciare che "avevamo il primo Nobel con Grant ERC" (e tra l'altro eravamo i primi a saperlo, perchè la notizia non era ancora stata resa pubblica).

Grandi applausi, tutti contenti, e poi, più tardi, comunicato stampa dell'ERC per suonare la tromba.

Che Novoselov sia un collega precario se n'è accorto Sylos Labini nel suo blog (anche se è un po' fuori luogo affermare che abbia "una borsa di studio").

Amen

RR http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/05/nobel-ad-un-precario/68170/

"Collega" di chi ed in che senso?

Ok, lasciamo stare.

E "precario", in quale altro misterioso senso?

Io capisco che il bisogno disperato di apparire ciò che non si è riusciti ad essere e di appropriarsi di meriti altrui tu non riesca a contenerlo, ma davvero delle volte passi il limite del ridicolo.

Sul commento di Francesco SL all'intera vicenda, poi, stendiamo un pietoso velo ... è meglio.

Ormai sulla soglia del dormiveglia, ben oltre la mezzanotte ho partorito questa riflessione che vi espongo (sperando che non sia il frutto di un delirio da carenza di riposo)


Premessa: il nuovo status a me pare molto più rischioso di quello vecchio per diversi motivi

    -1 rischio di non essere confermati al termine dei sei anni perché non si viene giudicati bravi (rischio "endogeno")


    -2 rischio di non venire confermati (in alcune discipline) perché nel frattempo è morto il tuo barone di riferimento (rischio "esogeno")

    -3 rischio di non essere confermati perché nel frattempo sono intervenuti nuovi tagli di bilancio che bloccano le conferme ("rischio sistemico"), o è cambiato il governo, o è cambiato drasticamente il meccanismo di promozione, o per via di una qualunquea altra follia tipicamente italiana di vostra scelta.


Se non sono troppo in errore, all'atto della scelta fra il vecchio e il nuovo regime il ricercatore non deciderà solo sulla base della propria bravura (valore atteso della propria produzione scientifica da quì a sei anni) ma anche sulla base una qualche misura del rischio "esogeno/sistemico". In tal caso è probabile che un ricercatore, anche se bravissimo potrebbe mantenere il vecchio status se è molto avverso al rischio.

Scenario/Ipotesi 1:
assumiamo una correlazione negativa fra bravura e avversione al rischio "esogeno/sistemico". In questo caso la tua proposta, Giulio, (quantomeno in media) fornisce un meccanismo di separazione fra buoni e cattivi ricercatori: i bravi opterano per il nuovo status, i meno bravi rimarrano a t.d.

Scenario/Ipotesi 2: l'avversione al rischio è indipendente dalla bravura ma ha una forte (e positiva) correlazione col fatto di avere figli (o con l'idea di farne). In questo caso col meccanismo suggerito, in equilibrio, coloro che hanno figli (o che pensano di farne) opteranno per rimanere a t.i. indipendentemente dalla bravura e passeranno a t.d. i single. In questo caso l'idea di Giulio fornisce un meccanismo di separazione fra coloro che tengono ad avere figli (o già ne hanno) e coloro a cui non interessa (o non pensano di farne da quì a 8-10 anni). Per inciso osservo che, pur non avendo dati precisi, ho l'impressione che in media le donne sviluppino il desiderio di avere figli ad un'età più bassa degli uomini per cui mi aspetto che, se non son troppo in errore, dovrebbero optare per il nuovo regime (t.d.) più gli uomini che le donne, le quali rimarrebbero sovrarappresentate fra i ricercatori a t.i., con tutti i rischi di ulteriore segregazione delle donne nell'accademia italiana che questo comporta.

Scenario/Ipotesi 3: l'avversione al rischio è indipendente dalla bravura ma ha una correlazione negativa con la ricchezza della famiglia di origine. In questo caso col meccanismo proposto da Giulio opterebbero per il t.i. i figli degli "operai" e per il t.d. i figli dei "liberi professionisti". Sarebbe de facto un meccanismo di autoselezione sulla base del censo della famiglia di origine.

Probabilmente nessuna delle ipotesi succitate (o delle loro possibili varianti) è una corretta rappresentazione della realtà per cui per capire se la proposta risolve il problema forse sarebbe prima utile capire empiricamente con cosa è correlata l'avversione al rischio del ricercatore "tipo".

Ok, questi son i miei 2 cent.

 

 

Non so se il seguente "commento" è già stato riportato prima, forse è fuori tema (opzione per i ricercatori), ma.... ed i PA e PO? Non sarebbe bene, anche per loro, cioè per tutti, che ci fosse un meccanismo di rischio (economico o altro) legato alla produttività? Un incentivo?

Fra le n cose che chiedono i ricercatori non vi è l'ope legis, ma una cosa molto semplice: meritocrazia. Ma perchè è così difficile implementarla in Italia?

Ho da poco finito di ascoltare Oscar Giannino su Radio24. Sara' pure un buon economista, ma di universita' non ci capisce una cippa (anche se tromboneggia proprio come un Professore ;)

Pero' e' arrivato a far credere che il DDL contenga la proposta di Giulio (lo potete risentire in streaming o podcast).

Una cosa giusta pero' l'ha detta: siamo un paese di buffoni.

B.Oscar

Come dargli torto?

 

PS: e' intervenuto anche Valditara che, tra tutti gli invitati (Giannino, Frassinetti, ma anche Augello...), giganteggiava.

 

Giannino fa confusione su punti di dettaglio, ma nella sostanza ha TOTALMENTE ragione. Basta confondere gli  investimento nella ricerca con il benessere dei professori (come continua a dire il tuo eroe Valditara). E nessun finanziamento sarà mai sufficiente se l'obiettivo dell'università è assumere tanti più docenti possibile e farli fare più carriera possibile.

Finora ho tentato di difendere la legge Gelmini, sperando che potesse essere un inizio di  un percorso di riforma, nonostante tutte i suoi difetti. Ma l'emendamento Valditara sarebbe uno spreco assoluto, solo per contentare i ricercatori. E data la situazione finanziaria, l'affossamento totale di ogni possibilità di miglioramento. A questo punto, gli aspetti negativi prevalgono su quelli positivi.

Se il governo ha soldi da spendere propongo che tutti i fondi disponibili siano allocati in un fondo per progetti di ricerca - da assegnare con peer review con referee esclusivamente stranieri - e che i percettori dei fondi abbiano diritto ad uno stipendio aggiuntivo pari al doppio di quello di un ordinario agli inizi della carriera, per la sola durata del progetto. Magari con un meccanismo di pagamento differito di parte della somma sulla base dei risultati scientifici. Così i ricercatori e gli associati bravi avranno uno stipendio molto alto per quattro anni - rinnovabili se vincono due, tre progetti di fila. E poi avranno i titoli per vincere la cattedra (se proprio vogliamo

I ricercatori si sentono e sono docenti? Giusto, si dia a tutti quelli che fanno richiesta il titolo di professore di III fascia. Si oppongono solo pochi baroni di alcune facoltà per ragioni, temo, poco nobili.

Mancano i soldi? Faccio un'altra proposta. Riesumiamo i criteri CUN sui requisiti minimi per vincere i concorsi, abilmente nascosti non appena pubblicati, e applichiamoli a tutti i professori e ricercatori e prepensioniamo (o licenziamo) tutti quelli che non li superano.

 

Sentito. Quelli che negano che i 9mila nuovi posti da associato non sarebbero promozione ope legis degli attuali RTI (inclusa Paola Frassinetti) o mentono sfacciatamente o non conoscono i fatti (caliamo un velo pietoso sulla giornalista che interrogando Tremonti ha definito i RTI "precari": se questo e' il livello della comprensione dei fatti di chi deve informare stiamo freschi).

Mi spiego. In Italia ci sono 23mila ricercatori e di questi il 42% ha tra 35 e 44 anni (tabelle 1.4.1 e 1.4.2 qui). Pochi di quelli sotto i 35 anni sono competitivi in concorsi da associato. E se uno e' ancora ricercatore a 45 anni e' molto probabile che non abbia piu' interesse a una promozione (potete immaginare perche'). Quindi i veri candidati ai posti di associato sono quelli in questo 42% tra 35 e 44 anni.

Guardacaso 23000*0,42 = 9660, cioe' quei 9mila posti sarebbero sufficienti a promuovere pressoche' tutti in questo gruppo. Come si fa a negare che sarebbe una promozione ope legis?

A questo punto e' meglio non farne di nulla (che era comunque l'esito piu' probabile gia' da diverse settimane, dopo il primo annuncio di rinvio): se passa questa cosa dei 9mila nuovi associati in 6 anni (che guardacaso e' il tempo sufficiente a escludere i nuovi RTD dalla competizione) non ci saranno mai le risorse per far funzionare il sistema dei RTD.

Rimarco, senza alcuna pretesa che qualcuno laggiu' all'Eur la trovi interessante, che la mia proposta avrebbe disinnescato questa miccia.

La morale di questa vicenda (cioe' il completo naufragio della Gelmini, perche' questo e' il fatto), per come la vedo io, e' che l'universita' italiana e' irriformabile con riforme fatte a pezzetti, come quella della Gelmini oggi, quella del suo predecessore Gui 50 anni fa e tutte le altre naufragate in mezzo. L'unica riforma possibile e' quella che rivolta il sistema come un calzino e sostituisce tutte le inutili leggi, leggine, regolamenti e procedure in materia universitaria con pochi incentivi piazzati al posto giusto. Non c'e' neppure da faticare tanto, basta copiare i posti dove funziona: se lo facessimo non metteremmo in discussione il ruolo pubblico dell'universita' ed eviteremmo che le persone restino intrappolate in carriere senza sfondo -- un evidente spreco di risorse umane prima ancora che finanziarie.

L'hanno fatto in Inghilterra, ad esempio, com'e' che non si puo' fare da noi? Se ci sono soldi da spendere spendiamoli per far questo.

 

sono RTI da 8 anni a Milano-Biocca. Settore CHimica Generale ed Inorganica.

L'analisi fatta è corretta tranne che in un punto: mentre concordo che 2/3 rappresenterebbe un'ope legis mascherata, ricordo che l'emendamento Valditara presentato nell'ultima versione alla Camaera, parla di 9000 posti. Ora, essendo i RU (o RTI) in Italia 25000, si fa presto a capire che stiamo parlando di circail 36%, ovvero poco più di 1/3. Non è un'ope legis, è lo sarà tantomeno qualora i criteri d'idoneazione nazionale saranno stringenti.

La proposta: la proposta sarebbe ottima in un mondo a mercato del lavoro DAVVERO (sottolineo "davvero) liberalizzato...in cui...se esci da una posizione e dimostri di valere non hai problemi a rientrare in altre collocazioni. NON è l'Italia di oggi (e di ieri). Non nascondiamoci ipocritamente dietro un dito. Forse sul mercato anglosassone è così. Non da noi in Italia. Se applichiamo la proposta ad un 45enne RTI, post-periodo-di-6-anni (=51enne) questi non troverà lavoro, qualora dovesse andargli male solo perchè, magari, l'Ateneo non ha fondi (e non dimentichiamo che NON è il non merito -non solo perlomeno- a determinare la "non-tenure" del singolo Ricercatore...ma anche la presenza o meno di fondi, e il testo anche emendato del ddl parla chiaro in merito). Sto banalmente dicendo che, anche se meritevole, il ns 51enne, una volta non promosso ad Associato per "semplice mancanza di fondi, in Italia...(e secondo me anche altrove) si troverebbe eufestimicamente "messo in una brutta posizione".

saluti

 

Mi permetto di rispondere due cose da collega (RTI in dipartimento italiano)

 

circa il 36%, ovvero poco più di 1/3. Non è un'ope legis, è lo sarà tantomeno qualora i criteri d'idoneazione nazionale saranno stringenti.

 

Boh. Non voglio addentrarmi nella definizione di cosa sia una ope legis. Però i soldi o ci sono o non ci sono. Perché prevedere a livello nazionale quante progressioni di carriera? Ogni struttura dovrebbe fare il proprio progetto di sviluppo ed eventualmente decidere di non assumere per i prossimi 20 anni se necessario. Quei soldi preferirei andassero in fondi di ricerca (valutati come Dio comanda, se possibile).

 

la proposta sarebbe ottima in un mondo a mercato del lavoro DAVVERO (sottolineo "davvero) liberalizzato...in cui...se esci da una posizione e dimostri di valere non hai problemi a rientrare in altre collocazioni. NON è l'Italia di oggi (e di ieri)

 

Al terzo anno del mio PhD ho imparato che il mio mercato del lavoro non era Italia ma Mondo. In particolare Europa, nord America e Giappone. No, questo argomento non mi pare corretto: quando uno vuole fare ricerca se la mette via che si viaggia. Questo in alcune nazioni è formalizzato in leggi (es. Spagna: per accedere a una posizione permanente bisogna avere fatto 3 anni di estero), ed in ogni caso la mobilità è un valore positivo nel mondo della ricerca ovunque al di là dei confini nazionali.

Mi rendo conto che questo stride con una nostra concezione della famiglia. Ma accidenti, fare ricerca non è come ogni altro lavoro, si suppone che una nazione selezioni tra il meglio del meglio i propri ricercatori, a costo di sacrificare un po' di politiche della famiglia. Poi chi ha i soldi riesce a fare entrambe le cose, ma da noi che siam poverelli non pretendo tanto.

 

Detto questo resta il fatto che in questa proposta di riforma i ricercatori T.I. sono rimasti tra incudine e martello, e questo non è giusto. Alcuni dei precari nel nostro ateneo si sono accorti che non sono loro quelli che restano "fregati", e infatti si sono smarcati dalla protesta dei ricercatori. A loro la riforma Gelmini tutto sommato conviene.

Ma in fondo, che ci potrà mai succedere? Di certo non perderemo il lavoro, e nessuno ci chiederà mai di timbrare un cartellino. Un operaio della FIAT non se la passa altrettanto bene.

 

c'e' mai stato in questa riforma Gelmini un qualcosa che andasse in questa direzione? A me non sembra

 

 

Nell'articolo 5.2 del testo approvato al Senato si parla esplicitamente di attribuire "una quota non superiore al 10%" del FFO sulla base della valutazione da parte dell'ANVUR di una serie di criteri, compresa la  produttività dei professori e ricercatori. Ripeto, sarebbe un inizio molto  modesto, quasi impalpabile - ma c'e'. Fra l'altro è logicamente sbagliato per tre motivi

a) ci sono troppi criteri - oltre alla produttività altri quattro, molto meno rilevanti o molto discutibili, tipo l'internazionalizzazione del corpo docente (comprese le amanti straniere dei baroni?)

b) meno del 10% è poco

c) la valutazione è individuale. Come tutti quelli che sono all'università sanno (ma i burocrati no), i baroni, col ricatto, possono costringere i brillanti ricercatori a co-firmare i papers - e quindi avere una buona valutazione personale anche se non hanno fatto nulla. Con una valutazione di dipartimento, il potere si sposta, almeno in parte dai  baroni ai membri produttivi del dipartimento stesso.

 

Aggiungo che e' inutile prenderci per il culo. Le buone riforme a costo zero non esistono.

 

 Non so in altri campi anche se la sua sicurezza mi sorprende. All'università esisterebbero, anzi si potrebbe risparmiare - se ci fosse la volontà politica. Ma non c'è, perchè i baroni (ed i docenti universitari in genere) trovano sempre un Valditara di turno che presenta gli emendamenti giusti, sempre in nome della ricerca, of course.

 

 

 

 

 

Non so in altri campi anche se la sua sicurezza mi sorprende. All'università esisterebbero, anzi si potrebbe risparmiare - se ci fosse la volontà politica. Ma non c'è, perchè i baroni (ed i docenti universitari in genere) trovano sempre un Valditara di turno che presenta gli emendamenti giusti, sempre in nome della ricerca, of course.

 

Per non parlare del mitico Mario Pepe!

Scherzi a parte, perche' ce l'hai con Valditara?

La situazione e' trasparente: dopo gli screzi di quest'estate, tutti quelli che sono migrati in FLI hanno chiara una cosa: ne restera' soltanto uno. Quindi elezioni a primavera, riforma a puttane, e guerra di logoramento (anche se ad intensita' variabile). Se l'emendamento Valditara e' risultato fatale alla riforma, non si tratta di omicidio ma di eutanasia.

I baroni -stavolta- non c'entrano: finche' c'era fiducia nella maggioranza Valditara era un vero panzer. Forse, tra i politici, e' una delle poche teste pensanti - poi c'e' Schiesaro che pero' e' (ancora) un tecnico.

 

 

Aggiungo che e' inutile prenderci per il culo. Le buone riforme a costo zero non esistono.

 

 

 Non so in altri campi anche se la sua sicurezza mi sorprende. All'università esisterebbero, anzi si potrebbe risparmiare - se ci fosse la volontà politica. Ma non c'è, perchè i baroni (ed i docenti universitari in genere) trovano sempre un Valditara di turno che presenta gli emendamenti giusti, sempre in nome della ricerca, of course.

 

Ma dai, e come si puo' fare nel mondo reale? Lo so anche io che bisognerebbe bastonare i casi di corruzione e malgestione del patrimonio universitario e mettere gli ordinari di diritto, medicina e architettura con studio privato davanti all'opzione a) Versi il 50% del tuo reddito privato all'universita' che ti assume o b) Diventi professore a contratto pagato (molto bene) per le tue ore effettive di lezione. Parimenti potremmo licenziare in tronco gli strutturati non all'altezza. Ma questo in Italia e' impossibile (e comunque questa riforma non lo fa).

Nel mondo reale non resta che legare gran parte dei finanziamenti a valutazioni sulla produzione scientifica dei dipartimenti, assicurarsi che queste funzionino bene e non vadano solamente a vantaggio dei temi "alla moda" (come se fosse facile), garantire un afflusso sicuro di fondi per la ricerca ed un rate costante di assunzioni per i giovani, magari con stipendi iniziali a livello europeo per poter minimamente competere sul recruiting. Tutto questo, capirai, ha un costo. Poi magari, tra un decennio, si inizieranno a vedere anche i risparmi.

Sono completamente d'accordo con Giulio,  fino a che le opposizioni saranno strumentali e lasceranno spazio a personalismi eccessivi,  anche la protesta sarà poco credibile.

La ratio della proposta è evidente e si chiama self-selection.

Stavo facendo una ricapitolazione della situazione della protesta dei ricercatori per il mio blog, e mi sono imbattuto in questo articolo del periodico Università-Notizie dell'USPUR, il maggiore sindacato dei Professori Universitari, dove si dà conto della proposta enunciata qui a pag. 11[Sesta proposta. L'idea, formulata da G. Zanella su noise-FromAmerika (24-09-2010), è questa: consentire ai ricercatori a tempo indeterminato (RTI) la scelta del regime...].

RR

 

 

... ma non avete mai osato chiedere.

Vi segnalo che il coordinamento dei ricercatori dell'universita' di Pisa ha aperto un blog 'collettivo' che vuole essere uno spazio di discussione (locale, ma non solo) tra colleghi (ricercatori, ma non solo): http://unipiblog.wordpress.com/

Inoltre abbiamo in programma un incontro con alcuni membri della Commissione Culturadella Camera, se volete potete anche suggerire qualche domanda da fare agli esponenti
politici che incontreremo il 12 novembre:
http://unipiblog.wordpress.com/2010/11/09/12-nov-incontro-con-i-politici/

 

Ciao,

Carlo


PS: chi sta a Pisa puo' approfittare e venire a fare le domande in diretta.