I sandali di Baghdad

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I sandali erano quelli degli iracheni gioiosi di calpestare la statua di Saddam. Negli ultimi anni erano diventati meno popolari di quanto erano nel lontano 9 aprile 2003, ma forse è ora di ripensare a quello che è successo, e che ne è stato di certi miti sulla guerra in Iraq.

Questo è un pezzo che si può scrivere solo quando in Iraq non succede gran che, ed è quella la cosa notevole. Ci sono state le elezioni e ora probabilmente ci sarà uno stallo. La IHEC (agenzia che regola le elezioni in Iraq) riporta una partecipazione intorno al 62%. Minore del 78% raggiunto nelle precedenti elezioni del 2005 (legislative a gennaio e per la costituzione a dicembre) ma vicina, per esempio, a quella raggiunta nelle elezioni presidenziali americane del 2008 (63%, la più alta dal 1964).

Per il presente, alcune cose sono sicure. Primo, il paese non è precipitato nella guerrra civile. Secondo, non c'è stato un frazionamento del paese in tre tronconi, tutti troppo deboli di fronte alla potenza Iran. Per il futuro, i dati sono ancora incompleti (la comunicazione dei risultati preliminari è stata ancora rimandata) e incerti, ma non è forse azzardato fare qualche predizione.

L'Iraq è sulla strada di una democrazia incerta, fragile e corrotta. Gli equilibri politici si raggiungeranno con manovre di corridoio di cui si saprà poco, e in cui si faranno scambi di favori, di posizioni, e anche di concessioni su principi importanti. L'unità stessa del paese è in discussione, con profonde crepe fra Nord e Sud. Alcune minoranze sostanziali (i curdi) svilupperanno l'arte di mungere dalle minoranze, con la costituzione di regioni a statuto speciale. Una forte istituzione religiosa (il Consiglio Supremo Islamico) eserciterà un condizionamento pesante o una influenza diretta, in ogni momento, sulla vita politica e culturale. I leaders politici saranno combinazioni di Maria Callas e Al Capone. Non c'è male: noi abbiamo vissuto per più di sessanta anni (e nel passato anche prosperato) esattamente in questa situazione.

Per il passato invece una cosa è chiara. Tutti i luoghi comuni con cui la guerra in Iraq era stata condannata e giudicata sono stati sfatati. Ne considero qui due, i più popolari nel passato.

La prima era che la guerra era guerra per il petrolio, "sangue per petrolio". E' una tesi che ha avuto grande popolarità, anche nella stampa ufficiale italiana. Nel 2007 perfino Alan Greenspan, in cerca di una rinnovata purezza politica, affermava nelle sue memorie che "la guerra in Iraq è in larga parte una guerra per il petrolio".  La tesi era affermata e accettata come una verità ovvia; ora però è quasi sparita dalla circolazione. Forse perché la presidenza è cambiata, e quindi la tesi è meno popolare. O forse perché la verifica ora è più difficile.

Controllo americano del petrolio iracheno? Vediamo. Nei mesi recenti (fine del 2009) ci sono state due grandi aste per l'assegnazione dei diritti di estrazione del petrolio in Iraq. Nel dicembre 2009 per dieci giacimenti nei giganteschi giacimenti petroliferi di Majnoon. I vincitori: Shell (Regno Unito) e Petronas (Malesia). Qualche settimana dopo c'è stata una seconda asta, per i giacimenti di Qayara e Najmah. Questa volta ha vinto Sonangol, la compagnia petrolifera dell’Angola. L’asta precedente era stata a giugno; unici pozzi allocati quelli di Rumaila, vincitori BP e CNPC (Cina). Exxon e Royal Dutch Shell hanno vinto l’asta di giugno, e questa è al momento l’unica compagnia 'maricana. Insomma: lo sfruttamento dei giacimenti nell'anno scorso è stato concesso sull base di regolari aste. I concorrenti erano numerosi (44 nelle ultime aste) e non ci sono stati evidenti trattamenti di favore. Il prezzo di concessione è stato ragionevole.

Se il piano era quello di passare il petrolio iracheno nelle mani delle compagnie petrolifere americane, qualcosa non deve aver funzionato, o il piano non era quello.  La seconda interpretazione è la più probabile. La ragione di questa affermazione è che il punto critico nella vicenda è stata la legislazione del settore petrolifero (Draft Hydrocarbon Law). La legge definitiva non è stata ancora approvata (perché manca l’accordo con i curdi) ma ha due punti fondamentali. Il primo, che il petrolio iracheno rimane nelle mani dello stato e non viene privatizzato. Il secondo che le risorse petrolifere non vengono spezzate per regioni, ma rimangono sotto il controllo della Iraqi National Oil Company (INOC). 

Il secondo mito è riassunto in alcune affermazioni filosofico-generali come, per esempio, "Non si esporta la democrazia" o "non ci sono soluzioni militari a problemi politici".

Queste lezioni c’è qualcuno che le impara, ed è la amministrazione americana. Qualche giorno fa l'ammiraglio Michael Mullen, chairman of the Joint Chiefs of Staff nell'amministrazone Obama, ma di nomina Bush (settembre 2007) ha presentato la nuova "dottrina Mullen" che regola l’intervento militare americano (il video è qui e lo consiglio). E’ una svolta radicale rispetto alla dottrina Powell. I cardini di quella dottrina erano che un intervento militare doveva essere la soluzione estrema, quando la politica avesse fallito. E che quando questo intervento dovesse avvenire, allora le forze dovevano essere soverchianti, con l’obiettivo di una vittoria militare senza vincoli politici. Quindi un intervento solo in casi estremi, e allora orientato a un dispiegamento soverchiante di forze. La lezione del Vietnam, dove questi due principi erano stati regolarmente violati, era stata appresa bene.

La dottrina Mullen è il rovesciamento di quella Powell. I militari americani sono gli esecutori di una politica. Il loro impiego sarà non più limitato (come era implicito nella politica Powell di intervento militare come soluzione estrema), ma più esteso, più facile da realizzare, senza un preavviso. L’obiettivo non è "la sconfitta del nemico, ma la vittoria del popolo". Con conseguenze operative: i militari americani possono considerare un aumento del rischio che corrono nelle operazioni militari, con l’obiettivo di minimizzare le perdite fra i civili, di qualunque popolazione. La dottrina Mullen mette la forza militare al servizio della politica. E’ pericolosamente vicina alla dottrina (la forza militare deve essere guidata, nella conduzione tattica e strategica delle operazioni, dal disegno politico) che ha creato il Vietnam.

Resta solo da vedere se di questa dottrina si tireranno le conseguenze inevitabili: che una cessazione delle operazioni militari nel settembre 2010 rischia di vanificare tutti gli sforzi fatti a partire almeno, dal 2007, per garantite un governo stabile in Iraq, quello che Joe Biden chiama "una delle più grandi realizzazioni di questa amministrazione". Il dramma del Vietnam è stato (come ha scritto il Corriere con sublime vaghezza, dopo che "The Hurt Locker" ha vinto l’Oscar) metabolizzato. La situazione è quindi matura per una ripetizione dell’errore.

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Commenti

Ci sono 76 commenti

Si profila un secondo Vietnam, che tristezza! E come è stato dimenticato se la V di marmo nero con l'incisione dei nomi dei morti ammazzati fa bella mostra nel Mall di D.C. proprio per ricordare? Ma solo il popolo ha memoria, gli strateghi sono ottusi?

Da eroi della seconda guerra mondiale a sconfitte così clamorose... E' il fallimento degli accordi o delle strategie? Intanto c'è gente che soffre e la parola "pace" che aspetta il trionfo. Non mi sembra normale che per portare democrazia o per assicurarsi il petrolio si scatenano guerre. Forse la verità è quella populista che bisogna consumare armi per poterne produrre...

Michele mi fa notare che non mi sono spiegato su questo punto.

Il Vietnam si ripeterebbe se ci fosse un ritiro prematuro. Noto che anche analisti che sono stati feroci critici della invasione dell' Iraq (come Thomas Ricks, autore di Fiasco, tanto perche' si capisca bene cose dice, parlando della guerra/invasione) ora suggeriscono  prudenza nel ritiro.

Il dibattito non mi pare che sia tanto su se sia stata una buona idea la guerra, ma se, data la situazione attuale, sia bene procedere con un ritiro rapido. Anche secondo me la questione politica interessante e' questa. C'e' anche una questione storica pero', e dalla storia c'e' sempre da imparare. 

Se il piano era quello di passare il petrolio iracheno nelle mani delle compagnie petrolifere americane, qualcosa non deve aver funzionato, o il piano non era quello.  

Forse gli basta che il petrolio finisca a compagnie di paesi non ostili.

Ho pensato esattamente la stessa cosa,

D'altra parte, chi accusa gli USA di aver invaso l'Iraq per il petrolio, sostiene anche che gli USA stanno occupando militarmente i paesi della NATO, giusto?

Dunque la domanda e': e' differente se il petrolio va agli USA, all'Inghilterra o all'Angola?

 

 

Del ``Piano del pentagono'' si diceva che fosse molto piu' ambizioso che impedire a paesi ostili di occupare i pozzi.

Per esempio al Global Policy Forum si dice

gaining privileged access to Iraqi oil for American companies was a primary objective of the Pentagon's invasion of Iraq

sulla scia del libro di Yergin . Non che Yergin dicesse questo, naturalmente: ma e' come il libro e' stato letto. 

 

Si ma i soldi dove finiscono? Non bisognerebbe seguire anche quelli? L'Iraq a quanto ho capito io è un paese che ha perso la guerra e che deve quindi ripagare i danni di guerra, giusto? Per cui tutti i soldi fatti con il pertrolio dove finiranno? Che senso avrebbe pagare con soldi americani? Si pagherebbero la guerra da soli? Mi sembra una cosa da stupidi. Da qualche parte ho letto che la Germania ha finito di pagare i danni della prima guerra mondiale nel 1989, l'Iraq quando finirà di pagare? Per quanto tempo gli USA potranno avere basi in Iraq senza che la libera democrazia (esportata) possa dire nulla?

Sbaglio qualcosa?

 

Alcune minoranze sostanziali (i curdi) svilupperanno l'arte di mungere dalle minoranze, con la costituzione di regioni a statuto speciale.

 

Può essere che qui si intendesse :

 

Alcune minoranze sostanziali (i curdi) svilupperanno l'arte di mungere delle minoranze, con la costituzione di regioni a statuto speciale.

 

altrimenti non ho capito il senso della frase.

Aldo non sono assolutamente d'accordo con quello che dici, riassumo quelli che sembrano i due punti cardine del tuo intervento:

1. In Iraq non si è andati per il petrolio.

2. Fine della dottrina Powell, inizio di una dottrina molto simile alla dottrina Johnson.

Punto uno. Non si sarà andati per il petrolio, ma per Halliburton sì.

Punto due. La dottrina Powell è esistita per lo spazio di un baleno, sostituita dalla dottrina Rumsfiled, tanto che Powell se ne è andato, proprio perchè per l'Iraq la sua dottrina non ha avuto spazio, quindi contrapporre una dottrina (Powell) che non è mai stata applicata, ad una dottrina prossima ventura mi sembra irragionevole. Sul Vietnam ti consiglio il bel libro "Vietnam una sporca bugia", dove proprio i militari suggerirono l'avventura, boicottando chi non era d'accordo, altro che "primato della politica" con "avventure militari", semmai il contrario.

Infine la fine dell'avventura irachena: se l'Iraq si destabilizzerà contraddirebbe il tuo preambolo (l'Iraq è adesso stabile), fermo restando che la fine dell'avventura irachena, figlia del totale irraziocinio di Bush Jr e la sua amministrazione sarebbe solo la fine di un bagno di sangue (in tutti i sensi) americano.

Il motivo ufficiale per avere invaso l'Iraq non e' mai stato esportare la democrazia, quanto il legame tra IRAQ e Al Qaeda (mai esistito) e le WMD (mai esistite). Considerato che le ragioni ufficiali sono sempre state farlocche credo che sia legittimo chiedersi se ce ne fossero altre piu' oscure. Legittimo ma difficile senza cadere nella fantapolitica e nella teoria del complotto, questo si'.

Per il momento i numeri del petrolio non sono grandi abbastanza da giustificare esplicitamente una invasione solo per a quei fini: BP (UK) si becca 2 $billion l'anno; Shell (US/Europe), 0.9 $billion, Exxon (US) $1.6billion. E' anche vero che non e' piu' al potere chi la guerra l'ha iniziata quindi impossibile dire se i piani iniziali fossero questi. Inoltre, la guerra non e' proprio andata cosi' come ci si aspettava quindi e' assolutamente plausibile che i piani siano cambiati durante questi 7 anni. Infine, era dal 72 che aziende occidentali non toccavano il petrolio iraqeno quindi questi numeri possono essere visti come un piede nella porta, come si dice.

Infine assicurarsi di avere, almeno in parte, il controllo sul petrolio Iraqeno (non necessariamente il petrolio stesso, basta il controllo) ha un doppio valore: vuol dire anche assicurarsi che il petrolio non vada ad una forza competitrice o nemica. Nel 2003, poco prima dell'invasione, Hussein aveva iniziato le contrattazioni per far estrarre il petrolio da Cina e Russia. Un obiettivo forse piu' strategico che economico ma pur sempre un obiettivo da considerare.

E' brutto citarsi, ma è peggio lasciare "unchallenged" una prospettiva che non si condivide. Qui ho detto quasi tutto. Riassumo: la guerra in Iraq doveva essere breve, ripagarsi (tramite il sottoprezzo provocato dall'immissione del petrolio iracheno sul mercato) e portare la democrazia in Medio Oriente. Sette anni dopo, 700 miliardi di dollari dopo, 100.000 Iracheni dopo e 4.000 soldati americani dopo, il risultato è? Che in Iraq si sono tenute le elezioni e le cose sono andate discretamente bene.

Non lo so, siete voi gli economisti, ma è così strambo pensare che gli stessi risultati si potessero ricavare in maniera più efficiente? A me non sembra proprio. Anche perchè, come dice lo stesso articolo, il risultato finora ottenuto è assolutamente fragile.

 

 

ma è così strambo pensare che gli stessi risultati si potessero ricavare in maniera più efficiente?

In effetti l'invasione dell'Iraq poteva dare origine a tre diverse evoluzioni, facendo diventare l'Iraq:

- un Libano al quadrato

- un piccolo Iran e, nei fatti, un suo satellite.

- una base per esportare la democrazia nel medio oriente.

Nei primi anni post invasione si è andati molto vicini alla prima ipotesi, oggi direi che si sta andando verso un misto tra le prime due, con una spruzzatina di democrazia tutelata.

Come dice Andrea non è un gran risultato dopo centomila morti.

Mi chiedo perchè mai a Saddam non è stato riservato lo stesso trattamento che ha avuto Gheddafi: in fondo si trattava di due dittatori, con provati legami col terrorismo (soprattutto Gheddafi) e profonde tendenze criminali. Oggi uno è finito impiccato e l'altro è diventato un amico dell'occidente. Era così difficile seguire la medesima procedura con Saddam ? 

 


Mi sorprende - se ho letto bene - che sia nel post che nei commenti fin qui pervenuti non sia stato fatta menzione dei Neocons. Questo gruppo di "intellettuali" un tempo di sinistra ed in gran parte ebrei, si erano costituiti negli anni 90 come un gruppo di pressione per difendere Israele usando la forza egemonica degli Stati Uniti.  Fin dal 1997 richiedevano a gran voce la rimozione di Saddam Hussein che consideravano il maggior pericolo di Israele.

Si può avere un idea dei Neocons consultando questo sito (ce ne sono molti altri anche ufficiali dei Neocon stessi.  Ho i file pdf scaricati nel 2003).  

Quando Bush 41 è arrivato, sono entrati in molti posti chiave dell'amministrazione.  Quando poi è successo l'evento del 9/11 non gli pareva vero.  E tanto hanno fatto, usando ogni scusa: Al Qaeda, WMD, nation building, ecc. per attuare il loro progetto egemonico (l'hanno scritto nei loro manifesti e libri) quando ancora pensavano che gli Stati Uniti fossero l'unica super-potenza e nulla sarebbe stato impossibile.

Gli "intellettuali", ancora una volta e con le loro idee strampalate, sono stati la vera causa della guerra in Iraq.  Le dottrine varie e le ragioni economiche sono state solo delle scuse o semplici corollari.

L'Iraq di Saddam un pericolo maggiore dell' Iran ?

Sottoscrivo.

Come si valuta negli USA la condanna di Joe Biden ai nuovi insediamenti israeliani in Gerusalemme Est? E' forse l'inizio di una nuova era nelle relazioni USA-Medio Oriente, meno filo-israeliana?  

Certamente. Il vero motivo politico della guerra in Iraq e’ l’idea di ispirazione Neo-Con di ``esportare la democrazia’’.  Una interpretazione meno benevola dei Neo-Con e’ che sono semplicemente ``gli amici di Israele’’. Io non voglio entrare qui in QUESTA questione. Mi domando pero’ dove siamo in disaccordo nella seguente serie di punti:

1.  C’e’ un pericolo (per i paesi europei e per gli Stati Uniti) proveniente da teocrazie nel mondo arabo e in Iran.

2. Questo e’ anche un problema dell’ Italia, come paese europeo. I paesi europei danno i problemi di sicurezza in appalto agli Stati Uniti, quindi per ora possono far finta che il problema non esista. Se gli Usa non ci fossero, o se avessero una politica isolazionista (all Ron Paul) dovrebbero farlo direttamente.

3. Un modo stabile di risolvere questo problema e’ la diffusione di sistemi politici democratici ed economie di mercato in quel mondo. Questo punto dice solo che le democrazie entrano in guerra fra di loro piu’ rararmente, e che l’ intolleranza religiosa e’piu’ difficile quando c’e’ libera circolazione di idee.

4. Non ci sono ragione storiche, di cultura, o altro (genetiche, per esempio) che rendano il mondo arabo e Iran impervi alla democrazia e alle economie di mercato. Per esempio, i giovani che hanno manifestato in Iran nei mesi passati hanno avuto coraggio e visione politica, tanto quanto chi lottava per la resistenza in Italia.

5. Come in Italia-Germania-Giappone, un intervento esterno (USA, o dei paesi occidentali) e’ un’arma a doppio taglio, perche’ da’ aiuto a chi vuole liberta’ e sviluppo economico gli elementi, ma crea risentimento nazionalista o religioso. Se l’ intervento non ha  interessi economici diretti, questi effetti negativi sono piu’ che compensati dagli effeti positivi che la liberta’ e lo sviluppo sono sapori che non si dimenticano.

Io sospetto che il disaccordo sia sul punto 4, e non sul 5. Ed e’ il punto che sto ribattendo da un pezzo, che gli uomini, tutti, aspirano a liberta’ e felicita’, e quando hanno istituzioni che permettono la realizzazioni di queste aspirazioni lo fanno senza essere condizionati troppo da pregiudizi, timori, irrazionalita’, stupidita’. Questo almeno per le persone giovani, ma in Iraq la percentuale di eta’ inferiore ai 14 anni e’ il 38.8 per cento (in Italia e’ il 13.5 per cento, e si’, la fonte dei dati e’ la CIA)

 

Sul petrolio, condivido quanto scritto più sopra. Il "costo-opportunità" di far rimanere Saddam al potere era rappresentato dal pericolo che potesse diventare alleato di Cina, Russia o altri (seguendo la logica di soft-balancing - che, in soldoni, significa che se sei il più forte a livello internazionale, gli altri inizieranno ad allearsi e usare i metodi a loro disposizione per indebolirti. R. Pape from UChicago e S. Walt from Harvard hanno illustrato il processo).

Se Zakaria (per citarne uno) ha ragione (e non c'è motivo di credere che non sia così), e l'influenza americana è destinata a diminuire con il crescere di Cina, India e Brazile (e altri), allora privare a questi l'accesso esclusivo al mercato petriolifero iracheno è geopoliticamente sensato. 

La geopolitica è un zero-sum game: una perdita del tuo nemico è una tua vittoria. 

Anch'io pensavo che la tesi "la guerra è stata fatta in larga parte per il petrolio" fosse una cazzata. Ma purtroppo per te e per me, non è così. Quella tesi è ormai assodata e fa parte della Storia; è un dato di fatto! I ragionamenti a prioristici del tipo "non è logico quindi non può essere" non reggono di fronte ai fatti. Bush non faceva molte cose logiche e di buon senso... che ti piaccia o meno! Infatti... che quella del petrolio sia stata una delle motivazioni principali della guerra in Iraq è ahimé documentato da tutti gli insider della Casa Bianca di quell'epoca, con racconti coerenti e impressionanti. Sono usciti diversi libri di memorie che raccontano anche questo aspetto, forse ti sono sfuggiti, dei piu stretti collaboratori d Bush... Uno che mi ricordo è "Against all enemies" di R.Clarke.

Quanto al ragionamento sul petrolio che c'era dietro, non mi pare che hai capito bene qual'era. A parte il fatto che comunque nell'amministrazione Bush non c'era chiarezza completa di idee, neanche loro avevano chiaro come sfrutare il petrolio; ma cmq ora non c'è più Dick Cheeney!! (quindi quel che accade nel 2009 non dimostra che le motivazioni del 2003 non fossero relative al petrolio!!). Ma il ragionamento di Cheeney era presidiare il golfo e i suoi pozzi con una presenza militare (più che arraffare i profitti), far calare il prezzo del petrolio se sale troppo rompendo il cartello dell'OPEC con sovrapproduzione iraqena, ecc.. Poi gli è andata male: Bush e Cheeney hanno scoperto che nel paese occupato c'era il caos, che l'infrastruttura petrolifera è crollata (attentati, impossibilità di manutenerla, ecc.) e con essa la produzione di greggio irakeno... ben sotto i livelli del 2002: e così il ruolo del petrolio è scemato di fronte a tutti i casini inattesi che si sono trovati davanti.

Lo so, quelli di Bush e Cheeney furono ragionamenti assurdi per persone razionali, per degli economisti. Ma è Storia!

A parte questo, la tua mi pare una ricostruzione della vicenda un po' faziosa. Le WMD che non c'erano dove le metti? La priorità sbagliata data alla guerra contro l'unica rogue nation che non creava problemi all'occidente (contrariamente a Al Quaeda-Afghanistan, Corea e Iran) - scelta che ha immobilizzato la potenza USA nel posto sbagliato aprendo delle autostrade ai rogue + pericolosi - dove la metti? E la minaccia di regime change esemplificata dalla guerra in Iraq ma rivolta a diversi regimi ostili, che ha spinto alla corner solution o del disarmo (Libia) o del riarmo massimo (Iran), con conseguente crisi del TNP, dove la metti? E il boom dell'antiamericanismo, il boom delle reclute/attacchi del terrorismo, documentato dagli istituti internazionali di analisi sul terrorismo, registrato dopo l'Aprile 2003, dove lo metti? E i costi economici, le vittime (solo USA più che nel 9/11) dove le metti? E il crollo delle alleanze e delle regole internazionali (come Berlusconi che le calpesta in Italia, fa un disastro di lungo termine: le regole sono "capitale sociale", fondamentale per lo sviluppo armonico) dove li metti? Ecc. ecc.

Comunque la si vede, l'impresa Iraqena è stata un disastro. Ci manca solo che non ne esce almeno una democrazia da quarto mondo! Ti accontenti di poco!

Ma qui facciamo notte, dunque ti saluto così. DIcendo che ho apprezzato almeno le informazioni contenute nel tuo pezzo.

PS Anche la tua soddisfazione nel registrare un Iraq non diviso in tre mi lascia perplesso, perché sembri non sapere che la questione (se era meglio o no dividere/ consentire di dividere l'Iraq in 3 parti) era ed è del tutto aperta, ci sono studi ed analisi nei due sensi.

Voglio fare il provocatore (del resto l'ho fatto per 60 anni...  e mi viene bene specialmente di notte).

Per cominciare, voglio ricordare il contributo originario di Ronald Coase (1959): In assenza di costi di transazione, non ha importanza, per l'efficienza del mercato, chi detenga i diritti di proprietà. Una pura intuizione economica. Ci vollero parecchi anni per trasformarla in un "teorema" (Stigler). E, più tardi, per rimuovere anche la condizione "assumendo zero costi di transazione".

Veniamo al petrolio. Se Saddam voleva farsi ricco, non poteva bersi il petrolio a colazione. Doveva - per forza di cose - venderlo, non importa a chi. Il petrolio sarebbe finito nelle mani di chi avesse inteso pagare di più perché la produttività della propria economia avrebbe permesso di offrire un prezzo maggiore degli altri. Allora, che il petrolio iracheno fosse finito - in prima battuta - nelle mani dei francesi, dei cinesi, degli angolani o di chichessia,  ALLA FINE sarebbe finito in quelle di coloro che avrebbero offerto il prezzo migliore.  A quel tempo, la produttività degli Stati Uniti si poteva ritenere superiore a quella di quasi tutti i paesi del mondo. Dire che la guerra in Iraq fu causata dal desiderio di garantire agli Stati Uniti le fonti di petrolio equivale a dire che gli Stati Uniti volevano garantire i diritti di proprietà alla Exxon, Texaco, Mobil, eccetera.

Non sarebbe servito a  nulla, come è stato dimostrato dalla realtà e come il "teorema" di Coase (ampliato e modernizzato) aveva predetto da lungo tempo. Il suo è davvero un premio Nobel ben meritato, a differenza di quello di Obama.

Aspetto le sparate... 

Aldo, apprezzo il tuo sforzo di trovare una razionalità ex post nelle teorie e pratiche dei neo-cons filo-israeliani di Bush, ma faccio fatica a seguirti.

1) Non tanto perché la guerra fosse per il petrolio, qui hai ragione da vendere. Avevamo visto giusto allora ed i fatti ci hanno dato poi ragione. Alcuni argomenti qui addotti per giustificare che la guerra fosse per il petrolio, essendo del tipo "È così perché è così, non capite la storia e Bush era pazzo" non meritano d'essere dibattuti. Ugualmente poco solida è l'idea di Mauro Gilli secondo cui la geopolitica sia uno zero-sum game: ma da quando? I trattati, tipo WTO, cosa sono? Puramente redistributivi, no gains from trade? Ma chi teorizza tali fantasie? La guerra era per il petrolio per impedire che russi (russi? ma se ce lo vendono il petrolio!) e cinesi avessero accesso privilegiato al medesimo? Se usi questa logica, c'era e c'è ancora mezza Africa da invadere dove i cinesi si riforniscono di tutti i tipi di materie prime strategiche: com'è che non l'abbiamo invasa?  Dai, Mauro!

2) Ma perché l'ipotesi di fondo a cui anche io avevo, con te, creduto si è rivelata alquanto erronea sul piano storico. Si è rivelato erronea l'ipotesi che un circolo virtuoso si potesse/volesse avviare che avrebbe da un lato introdotto "facilmente" una qualche forma di democrazia in Iraq (facilmente qui è parola chiave: i costi di questa "cosa", invece, sono enormi) e che dall'altro questo avrebbe sciolto l'impasse Israele-Palestina, permettendo l'avvio di un processo di pace credibile. Mi sembra ovvio, sette anni dopo, che così non è stato e che non c'erano né la volonta (di parte USA ed Israeliana) né le condizioni socio-culturali (in Iraq e fra la popolazione arabo-palestinese) perché questo succedesse. La mancanza di volonta USA e, soprattutto, israeliana mi sembra l'elemento chiave per spiegare il fallimento, ma altri daranno ai diversi fattori pesi diversi dai miei. Non è quello il punto. Il punto è che il circolo virtuoso non si è avviato. Su quel tema aveva ragione il buon Juan Urrutia, per dirne uno, ed avevo torto io (tardai tre anni ad ammetterlo, ma lo ammisi Juan) ...

Vi sono poi questioni ipotetiche e controfattuali, quindi forse irrisolvibili. Tipo:

- La crescita di un'opposizione al folle regime iraniano è influenzata (positivamente o negativamente?) dalla presenza USA in Iraq?

- Sette anni d'invasione americana dell'Iraq, quanto han fatto bene ad Al Qaeda, ed alle follie "guevariste" più un generale, in giro per il mondo (vale la pena di notare che il "giro" anti-USA in LatAm inizia allora, e continua tuttora ...)?

- Esiste una relazione ragionevole fra costi (delle due guerre, in IraQ e Afghanistan) e benefici (presunta riduzione dell'attività terroristica)? Lo dubito sempre di più, specialmente ogni volta che vengo sottoposto a torture aeroportuali da parte del selezionato 5% più stupido della popolazione umana, mentre leggo di un altro attentato a Kabul ...

- Se non avessimo gettato quei soldi, quanto debito pubblico in meno avremmo?

Ma queste sono questioni complicate, lo ammetto ...

Rimangono i fatti: oggi come oggi il costo sociale di GWBush e della cricca pro-Israele che controllava la politica estera nella sua amministrazione, sono molto ma molto alti. Se nel lungo periodo si ridurranno son disposto a cambiare di nuovo idea, ovviamente. L'ho già cambiata due volte, quindi son diventato molto elastico su questo tema ...

P.S. Come vedi non discuto la questione "uscire o rimanere". È inutile dibatterla: rimarremo, come rimarremo a Kabul. Erroneamente a mio avviso, ma è irrilevante: è questione di faccia USA e di protezione d'Israele. L'unica differenza, in politica estera, fra Obama e GWBush sono le chiacchere: GWBush era molto più franco e mentiva molto meno frequentemente.

Michele, scrivi:

"Ugualmente poco solida è l'idea di Mauro Gilli secondo cui la geopolitica sia uno zero-sum game: ma da quando?"

Non so... da sempre? Che ti devo dire, se credi che la geopolitica non sia zero-sum game, te lo lascio credere, ma non è così.  

Per te il golpe in Venezuela nel 2002 da cosa era dettato? Dall'antipatia per Chavez? Possibile che gli USA, nell'arco di due anni (2002 e 2003) abbiano tentato di mettere le mani su due paesi che hanno le maggiori riserve petrolifere al mondo (il Venezuela scoprì in quel periodo nuove risorse off-shore che, se rese disponibili, lo renderebbero il paese con le più grandi dotazioni petrolifere, prima ancora dell'Arabia Saudita)?

E guarda caso, cosa ha fatto Chavez una volta tornato al potere? Ha iniziato a parlare di "diversificazione" della clientela (ergo: smettere di vendere il petrolio agli USA), e ha stretto rapporti con Cina e Iran. E guarda a cosa ha fatto l'Iran. Chi sono i due alleati principali del'Iran? Cina e Russia (già, la Russia che produce il petrolio). E sull'Africa, guess who's started going there? Proprio la Cina. 

Non c'entrano le aziende americane. Un mercato libero è più affidabile di un mercato chiuso controllato da un tuo nemico. Questa è la mia bottom line. 

 

Non voglio dire che l'articolo di Rustichini attacca uno straw man, perchè sarebbe ingiusto (in quanto contraddici tesi molto popolari). Però sicuramente non mette in questioni le obiezioni più serie alla guerra in Iraq.

Intanto, qualsiasi siano stati i risultati, non giustificano una simile spesa economica e soprattutto umana. Gli Stati Uniti non sono un ente benefico che porta la democrazia in un paese a caso spendendo trilioni di dollari e migliaia di vite. Le ragioni dell'invasione dell'Iraq sono evidentemente geostrategiche (sulle motivazioni ufficiali meglio calare un velo pietoso; perchè o erano balle pietose, o siamo stati per otto anni in mano a gente che caricava i mulini a vento). Il petrolio non poteva non essere una variabile importante in qualsiasi considerazione geostrategica.

La storia dell'Angola mi pare un po' curiosa; anche se è da almeno vent'anni che l'MPLA non è un partito marxista-leninista (è solo uno dei tanti governi autoritari africani, e neanche dei più inaffidabili; comunque ha accettato in toto le condizioni FMI a mia conoscenza), la sua politica petrolifera per quanto ne so è legata a doppio filo con la Cina.

post interessante.

secondo me quando si parla di Iraq non si può non tenere conto di tre cose fondamentali:

numero di morti civili. L'ottimo sito www.iraqbodycount.org riporta tra 95000 e 104000 vittime civili accertate.

costo. più fonti parlano di più di due trilioni di $ di costo per questa guerra.

motivazioni. Avere proprie truppe nella zona col più alto potenziale di crescita di produzione petrolifera in un periodo dove, secondo il rapporto IEA, fino al 2015 la produzione petrolifera mondiale sarà in calo, è sicuramente più importante rispetto a quale compagnia gestisce il singolo campo petrolifero. Il rubinetto lo controllano loro. Aggiungo che grazie a questa guerra, gli USA hanno truppe nel più importante paese produttore di petrolio.

 

 

secondo me quando si parla di Iraq non si può non tenere conto di tre cose fondamentali:

numero di morti civili. L'ottimo sito www.iraqbodycount.org riporta tra 95000 e 104000 vittime civili accertate.

costo. più fonti parlano di più di due trilioni di $ di costo per questa guerra.

motivazioni. Avere proprie truppe nella zona col più alto potenziale di crescita di produzione petrolifera in un periodo dove, secondo il rapporto IEA, fino al 2015 la produzione petrolifera mondiale sarà in calo, è sicuramente più importante rispetto a quale compagnia gestisce il singolo campo petrolifero. Il rubinetto lo controllano loro. Aggiungo che grazie a questa guerra, gli USA hanno truppe nel più importante paese produttore di petrolio.

 

A mio avviso occorre anche considerare che tutti i paesi circostanti (arabi, islamici) non hanno reagito contro gli USA ma hanno sostanzialmente approvato (chi più chi meno) l'intervento.
Hanno anzi ospitato in alcuni casi le basi militari americane necessarie per le prime fasi di attacco aereo. Se non hanno approvato sono stati zitti, organizzando solo qualche sporadica manifestazione di facciata (di regime). Poca roba rispetto invece alle manifestazioni in europa. Per me significa che tutto sommato i paesi confinanti e vicini vedevano positivamente l'eliminazione del regime di Saddam ed erano felici che farlo non dovessero essere loro ma un qualcosa chiamato USA a cui poter eventualmente dare la colpa se andava male. Questo mi induce a pensare che per l'intera regione la caduta di Saddam fosse vista come un gioco a somma > 0.

Francesco

numero di morti civili. L'ottimo sito www.iraqbodycount.org riporta tra 95000 e 104000 vittime civili accertate.

Se si vanno a contare le "morti in eccesso" con stime epidemiologiche tipo quella proposta dal Lancet, il numero è superiore (fino a 600.000). Il metodo è però controverso, e inoltre poco utile per i confronti con altri conflitti. Iraqbodycount invece si basa solo sui lanci di agenzia, se non erro.

In ogni caso, anche limitandosi a considerare le vittime dirette irachene (civili e militari) dell'invasione e dei bombardamenti, quindi le vittime prevedibili (non quelle degli attentati e delle violenze settarie successive al 2003), si ha di fronte una cifra non indifferente e certamente non giustificabile dalle giustificazioni ufficiali taroccate e neanche dalla discutibile visione globale dei neo-con americani.

Che poi io sono sicuro che gli iracheni (superstiti) vivranno decisamente meglio oggi che non sotto Saddam. E lo dicevo anche all'indomani dell'invasione (nonostante la mia totale contrarietà), all'apice del terrorismo e della libanizzazione del paese. Ma a che prezzo?

 

Vista la situazione descritta da Aldo Rustichini, potremmo provare a "esportare la democrazia" nella forma di qualcuno dei nostri politici (Mastella? Bassolino?).

Sono sicuro saprebbero creare un elaborato sistema di clientele per spartirsi la rendita petrolifera senza eccessivi spargimenti di sangue.

In cambio potremmo chiedere agli Iracheni che non ce li rimandino indietro.

"Sono sicuro saprebbero creare un elaborato sistema di clientele per spartirsi la rendita petrolifera senza eccessivi spargimenti di sangue."

Questo è quasi un assioma...

Mah io provo a dire la mia. Ditemi dove sbaglio.

1) Il petrolio. Aldo dimostra un punto non banale, secondo me. Nel senso che la motivazione principale che i critici alla guerra in Irak adducevano era che la guerra fosse fatta per ragioni eminentemente economiche: appunto accaparrarsi il petrolio. Se le cose non vanno così, almeno inizialmente, qualcosa vorrà pur dire. In più da un punto di vista generale, la progressiva autonomia delle istituzioni irakene porterà certamente a una gestione del petrolio irakeno secondo progetti che sono quelli degli irakeni non quelli americani. Già le truppe americane si stanno riducendo. Abbiamo controesempi storici di paesi conquistati da americani che ora sono liberi e decidono autonomamente la destinazione delle loro risorse naturali. Inoltre, ma su questo non so davvero, i trattati commerciali cui i paesi occidentali aderiscono, impongono che le gare di aggiudicazione avvengano secondo criteri non alla Bertolaso? O le gare in Irak per i diritti di estrazione si possono fare "alla carlona" o alla "francesca" (per usare una espressione italiana). Cioè queste gare internazionali devono rispettare un certo diritto internazionale, o lo stato che le bandisce può aggiudicarle come vuole? Vorrei capire.

2) Motivazioni reali o presunte. Le armi di distruzione di massa l'Irak le possedeva. Non erano bombe atomiche? Erano armi batteriologiche o gas che peraltro aveva già usato. Sbaglio? Non mi pare. Era un responsible stakeholder dell'equilibrio mediorientale? Non mi pare. Finanziava con cospicui assegni di denaro i martiri che si facevano saltare in aria a Tel Aviv. Si è proprio così: finanziava e copriva organizzazioni terroristiche internazionali. Non è Alqaeda? E' vero non sappiamo se è Al Qaeda, ma sappiamo che mandava assegni alle famiglie dei martiri di Hamas. Diciamo che ha giocato col fuoco troppo a lungo.

3) Questione dei prezzi di una guerra. Una guerra si combatte ovviamente anche guardano ai costi e ai benefici che ne derivano. Ma non è solo quello il punto. Ovviamente ci sono sempre dei modi di organizzare una guerra in modo razionale ed efficiente, ma a) una guerra prende pieghe e direzioni che non si possono prevedere sempre (le guerre hanno sempre richiesto mobilitazioni eccezionali, costi umani esorbitanti, sospensioni dello stato di diritto-penso alla situazione bellica italiana durante la prima guerra mondiale, oppure alle mobilitazioni in america durante la seconda: tutte situazioni, di nuovo-alla Francesca nel senso di Bertolaso, cioè dove c'è gente che ci smanetta per ottenere vantaggi su commesse e altro, capitò anche durante il Terzo Reich...quindi la cosa è vergognosa ma è sempre successa). La guerra è guerra non bisogna aver letto Schmitt per capire che non è una cosa totalmente organizzabile nella forma costi-benefici. Questo significa che io approvi la  cricca Bush? Manco per sogno, ricordo solo che nella guerra, queste cose succedono. Del resto: silent enim leges inter arma.

4) Questione dei valori. Uno può studiare relazioni internazionali in maniera scientifica e va bene. Quello che non capisco, però è perchè si debbano sostenere posizioni del tutto asettiche. Voglio dire (anche se gli americani mi hanno rifiutato non è che adesso faccio lo sdegnoso e ne parlo male ;))...però dal mio punto di vista non è indifferente che il controllo delle risorse sia nelle mani degli americani o degli occidentali, piuttosto che del Venezuela o della Cina. Se la Cina acquisisce, fra le altre cose, anche il potere materiale che le consente di proiettare con ancora più forza i suoi (dis)valori politici nell'arena mondiale, io mi preoccupo e mi chiedo se non sarebbe meglio se quelle risorse fossero nelle mani di paesi (Usa e Uk, ma non solo) che hanno istituzioni e sistemi giuridici e politici che considero migliori di quelli cinesi. Perchè devo fare finta che il punto del controllo delle risorse irakene da parte americana non sia qualcosa che incide o potrebbe incidere nel tipo di valori politici che si andrebbero ad affermare nel mondo? Perchè devo dire: "gli americani stanno solo controllando il petrolio contro la Cina o altri competitors come se io fossi sugli spalti di una partita finita la quale tutti torniamo a casa senza problemi?". Ci sono in gioco interessi materiali? Certo che ci sono! Ma ci sono anche questioni di valore che non sono facilmente eliminabili. Veramente questa idea degli interessi materiali come sempre disdicevolmente dietro la maschera dei valori politici proclamati è una cosa che non mi convince: ci sono gli uni e gli altri in misture che rendono un competitor preferibile a un altro. O no?

4) Una guerra si porta dietro tante brutture chi può negarlo? Ma consideriamo che la guerra conduce a modificazioni che possono essere positive almeno in misura tale da controbilanciare gli effetti negativi ad essa associati. Voglio dire. L'ex Urss è crollata anche perchè il fronte afghano ha creato costi e problemi all'Unione Sovietica, anche perchè si sono usati i combattenti islamici poi ritortisi contro gli stessi Usa ecc ecc. Tutta quella pratica di uso strumentale dei talebani ha attirato le solite considerazioni morali su come "quelle cose non andassero fatte" ecc ecc. Ma mai si considera che anche da quei fatti, discutibili, è venuta un'estensione della libertà per intere zone dell'Est Europa. Questo per dire cosa? Che la libertà non nasce sempre da un atto performativo che dichiara: Sei libero e democratico! Alle volte, ci vuole il sangue con vie molto traverse per arrivare a quella.

5) Quando Napoleone veniva in Italia a portare elementi di organizzazione giuridica che hanno poi prevalso, la plebe specie al sud rispondeva contro le truppe napoleoniche in favore del feudalesimo ecc ecc. La Rivoluzione Francese ha conosciuto il suo Termidoro e la conservazione monarchica ha preso il soppravvento. Sostenere che la democrazia in Irak è fragile o è estranea alla cultura del luogo, mi ricorda quei trascorsi. Vada come vada, le strutture giuridiche e politiche che gli americani hanno introdotto sono migliori di quelle precedenti e nessuno può dire che la loro fragilità attuale, o il fatto che esse abbiano bisogno di tutela speciale da parte di una forza occupante sia misura della loro discutibilità o non  preferibilità o irrealizzabilità. Dimostra solo la difficoltà di introdurre idee impegnative come la democrazia e lo stato di diritto.

6) Le velleità o, a seconda dei giudizi, i piani americani sono geostrategici almeno quanto quelli dei rivali o alleati. Forse una valutazione obbiettiva di quello che fanno questi altri potrebbe essere accompagnata da quello che fanno cinesi et alii. Perchè a me queste descrizioni degli americani che tramano, mentre tutti sono seduti in poltrona a mangiarsi le unghie a pensare: "oddio e mo cosa ci faranno questi yankee?!" non mi ha mai convinto. Sul solito Economist leggo degli accordi commerciali che i cinesi fanno in Africa. E' roba da brividi, sia in senso commerciale (concessioni di decenni per risorse minerarie, in cambio di strade o ponti) sia per come coprono i governi locali dai loro crimini (oltre che nelle sedi internazionali).

Ps: mi sono riletto e mi sento come se avesse scritto Giuliano Ferrara, sono troppo triste...ma io queste cose le penso davvero  :(

Motivazioni reali o presunte. Le armi di distruzione di massa l'Irak le possedeva. Non erano bombe atomiche? Erano armi batteriologiche o gas che peraltro aveva già usato. Sbaglio?

Sì. L'Iraq in passato possedeva armi sia batteriologiche (antrace, che tra l'altro per come la vedo io difficilmente utilizzabile a scopi militare nonostante quello che si pensi, però potrei sbagliarmi. Il giorno in cui un gruppo terrorista disporrà di un ceppo stabile di virus emorragico tipo Ebola o Marburg allora sì mi comincerò a preoccupare) che chimiche (utilizzate contro i curdi), tutte eliminate in seguito al primo conflitto del Golf. Non c'era nessuna prova che ne stesse producendo di nuove, se non una serie di testimonianze di dubbia provenienza; dopo l'invasione non è stata trovata traccia di armi chimiche, nè di stabilimenti per la loro produzione. Che l'Iraq disponesse di armi atomiche neanche il neo-con più spannato l'ha mai suggerito (a quanto mi ricordi).

Finanziava con cospicui assegni di denaro i martiri che si facevano saltare in aria a Tel Aviv. Si è proprio così: finanziava e copriva organizzazioni terroristiche internazionali. Non è Alqaeda? E' vero non sappiamo se è Al Qaeda, ma sappiamo che mandava assegni alle famiglie dei martiri di Hamas.

Penso che anche il cittadino britannico di origini pakistane che compra la Mecca Cola in via più o meno indiretta paga le famiglie dei martiri di Hamas. E con lui centinaia di governi medio-orientali, associazioni politiche islamiche, milionari musulmani di ogni etnia e nazionalità. Inoltre, le simpatie di Saddam per l'islamismo erano recenti e non particolarmente profonde. Per quanto riguarda l'equilibrio medio-orientale a me pare, ragionando in cinici termini di real-politik, che un avversario dell'Iran numericamente consistente (se non altro) come l'Iraq aveva la sua utilità.

 Diciamo che ha giocato col fuoco troppo a lungo.

Prova a dire questa cosa a un militare pakistano, o a un principe saudita, e avrai una risposta esauriente (sempre che riescano a smettere di ridere).

Le velleità o, a seconda dei giudizi, i piani americani sono geostrategici almeno quanto quelli dei rivali o alleati. Forse una valutazione obbiettiva di quello che fanno questi altri potrebbe essere accompagnata da quello che fanno cinesi et alii. Perchè a me queste descrizioni degli americani che tramano, mentre tutti sono seduti in poltrona a mangiarsi le unghie a pensare: "oddio e mo cosa ci faranno questi yankee?!" non mi ha mai convinto.

Il problema è che il dibattito sulla guerra in Iraq viaggia su diversi piani. Quello etico-morale, quello di opportunità geopolitica, quello economico, quello strategico...

Se dovessi riassumerli in un unico pensiero direi che l'entourage di Bush ha agito in maniera immorale nonchè imprevidente, e in ultima analisi non ha ottenuto i risultati geopolitici sperati (qualunque essi fossero).

Collateralmente: la politica cinese in Africa (per quanto ne so) non è da manuale di cooperazione allo sviluppo, però non è che l'ipocrisia europea (e in minor misura americana, visto che tutto sommato siamo coinvolti più noi con quel continente, specie i francesi) sia alla resa dei conti tanto meglio; almeno loro investono sul serio e quindi forse hanno interesse a promuovere dei miglioramenti nel lungo termine. Sicuramente, nel bene o nel male, l'aumento dell'influenza cinese nell'Africa subsahariana è uno dei fenomeni più importanti di questi anni. Io conosco persone che lavorano periodicamente come pediatri in Angola (ci sono stato anch'io), e per dire l'impatto anche culturale ora i volontari europei vengono scambiati dalla popolazione per cinesi.

... di precisare che la "dottrina Mullen" altro non e' che la versione afgana della "dottrina Petraeus" irachena, descritta per la prima volta nel Counterinsurgency Field Manual di cui Petraeus e' co-author (amazon e versione free sul web). Siccome questo e' un sito di nerds -spero nessuno si offenda :P- aggiungo l'aneddoto che di fatto la dottrina Petraeus fu gia' esposta, in nuce, dallo stesso Petraeus nella sua tesi di dottorato in relazioni internazionali a Princeton.

Credo sia corretto riconoscere la paternita' della dottrina a Petraeus perche' appunto e' stato rivoluzionaria e ha completamente incorporato le (corrette) lezioni del Vietnam.

" Beh, insomma questo scott Ritter è una figura un po controversa"

Non ho detto che non lo sia o non lo sia stato. Però, Ritter diceva delle cose ben precise sulle armi irachene. Si poteva ascoltare. Non lo so se aveva motivo di risentimento, ma anche fosse ( e io non credo, ma non importa ora qui ), ciò non toglie che potesse fornire informazioni e anche opinioni interessanti sulla questione. Invece, si è dismesso ciò che diceva a PRIORI, e sulla base di quell'accusa di parlare per " risentimento".

 

"Finchè è stato ispettore aveva una posizione molto dura sulle armi irachene"

 

Per la verità ha sempre avuto una posizione molto dura verso l'Iraq e verso Saddam, da cui è stato anche, se non ricordo male, fisicamente maltrattato. Solo che ad un certo punto non lo riteneva più un pericolo incombente.

e infatti, tu scrivi

"

ha cambiato idea quando non era più ispettore da anni,"

Lui sosteneva che si dovesse ANCORA continuare con le ispezioni, perchè non c'era sicurezza al cento per cento, però riteneva che il vecchio arsenale di Saddam fosse ormai distrutto e fuori uso. Prendo dalla pagina di wikipedia che tu mi citi la sua affermazione

 

 

There’s no doubt Iraq hasn’t fully complied with its disarmament obligations as set forth by the Security Council in its resolution. But on the other hand, since 1998 Iraq has been fundamentally disarmed: 90-95% of Iraq’s weapons of mass destruction capacity has been verifiably eliminated... We have to remember that this missing 5-10% doesn’t necessarily constitute a threat... It constitutes bits and pieces of a weapons program which in its totality doesn’t amount to much, but which is still prohibited... We can’t give Iraq a clean bill of health, therefore we can’t close the book on their weapons of mass destruction. But simultaneously, we can’t reasonably talk about Iraqi non-compliance as representing a de-facto retention of a prohibited capacity worthy of war. (page 28)

 

 

We eliminated the nuclear program, and for Iraq to have reconstituted it would require undertaking activities that would have been eminently detectable by intelligence services. (page 32)

 

 

If Iraq were producing [chemical] weapons today, we’d have proof, pure and simple. (page 37)

 

E quanto al fatto che Ritter non poteva essere molto informato perchè non era più ispettore da un po', non significa molto, visto che comunque anche dopo che lui è stato mandato via non sono state evidenziate prove di una ripresa del programma militare e anzi è stato escluso.

 

Per curiosità; c'è qualcuno fra i frequentatori di NfA che crede che la ricerca nucleare iraniana sia diretta a scopi civili anzichè militari?

http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/03/13/AR2010031302258.html

 

Pakistani scientist Khan describes Iranian efforts to buy nuclear bombs

By R. Jeffrey Smith and Joby Warrick
Washington Post Staff Writer
Sunday, March 14, 2010; A14

 

The father of Pakistan's nuclear weapons program has written an official account that details an Iranian attempt to buy atomic bombs from Pakistan at the end of the 1980s.

Bombmaker Abdul Qadeer Khan states in documents obtained by The Washington Post that in lieu of weapons, Pakistan gave Iran bomb-related drawings, parts for centrifuges to purify uranium and a secret worldwide list of suppliers. Iran's centrifuges, which are viewed as building blocks for a nuclear arsenal, are largely based on models and designs obtained from Pakistan.

Khan's narrative calls into question Iran's long-standing stance that it has not sought nuclear arms. Iranian President Mahmoud Ahmadinejad said last month that "we won't do that because we don't believe in having them."

The account also conflicts with the Pakistani government's assertion that Khan proliferated nuclear know-how without government approval.

Pakistan has never disclosed Khan's written account. A summary of interrogations of Khan and four others in 2004, conducted by Pakistan's intelligence service and later provided to U.S. and allied intelligence officials, omitted mention of the attempt to buy a nuclear bomb. But Pakistan's former top military official in 2006 publicly hinted at it.

In interviews, two military officers whom Khan links to the bargaining with Iran denied that finished nuclear weapons were ever on the table. Spokesmen for Iran's mission to the United Nations and the Pakistani Embassy in Washington did not respond to requests to comment.

However, a top Pakistani government official at the time said Ali Shamkhani, the senior Iranian military officer named by Khan, came to Islamabad, Pakistan, seeking help on nuclear weapons. The former official also said Khan, acting with the knowledge of other top officials, then accelerated a secret stream of aid.

The U.S. ambassador to Pakistan at the time, Robert Oakley, separately said in an interview that he thinks Pakistan's top military officer urged and approved Khan's bomb-related assistance to Iran.

Who directed the deal?

Khan is a controversial figure, and he has complained bitterly about long-standing restrictions on his movements by Pakistan's government, which says it seeks to ensure he does not restart his nuclear dealings. Several U.S. experts have noted that as a result, Khan is eager to depict others as more culpable than he was in those dealings.

Most observers now think Khan's work for Iran was directed by "senior elements of Pakistan's military, if not by its political leaders," said Leonard S. Spector, director of the James Martin Center for Nonproliferation Studies. "Khan is clearly out to vindicate his reputation, but the issues remain murky enough that you can't be certain when he is telling the truth and when he is embellishing."

Khan's 11-page narrative, prepared in 2004 during his initial house arrest, states that "at no time did I seriously believe that they [Iranians] were capable of mastering the technology." But Western intelligence officials say his assistance was meaningful and trace its roots to a deal reached in 1987.

Pakistan has said little about that deal. Iran later told international inspectors that a Pakistani "network" in 1987 offered a host of centrifuge-related specifications and equipment, and turned over a document detailing how to shape enriched uranium for use in a bomb.

Pakistan's intelligence service sought to explain the cooperation partly by noting that "due to religious and ideological affinity, Pakistanis had great affection for Iran." But Khan also cited Iran's promise of financial aid, as well as the government's ambition of forever thwarting Western pressure on both countries.

"It was a deal worth almost $10 billion that had been offered by Iran," Khan wrote.

Khan's account and related documents were shared with The Post by former British journalist Simon Henderson, now a senior fellow at the Washington Institute for Near East Policy. The Post had no direct contact with Khan, but it independently verified that he wrote the documents.

The intelligence service's summary said Gen. Mirza Aslam Beg, a former army chief of staff who was arguably Pakistan's most influential figure, was "in favour of very close cooperation [with Iran] in the nuclear field in lieu of financial assistance promised to him toward Pakistan's defense budget."

Khan's written statement to Henderson states that after Shamkhani's arrival in Islamabad on a government plane, he told the chairman of Pakistan's Joint Chiefs of Staff committee that "he had come . . . to collect the promised nuclear bombs."

When the chairman, Adm. Iftikhar Ahmed Sirohey, proposed to discuss other matters first and then "see how Pakistan could assist the Iranians in their nuclear program," Shamkhani reportedly became irate, Khan wrote. He reminded Sirohey that "first Gen. Zia [ul Haq, the Pakistani president until 1988] and then Gen. Beg had promised assistance and nuclear weapons and he had specifically come to collect the same."

Such a transfer was theoretically feasible. Although Pakistan exploded no nuclear bombs until 1998, the U.S. intelligence community concluded it had the capability to make weapons by 1986.

Shamkhani, a founding leader of Iran's Revolutionary Guard Corps, was long active in the country's nuclear program, according to U.S. officials. A longtime defense minister and presidential candidate in 2001, he now runs a Tehran think tank. The Iranian mission in New York did not respond to questions about him.

Khan said that after hearing Shamkhani's demand for three finished weapons, Sirohey demurred and that other ministers backed him up. But Beg pressed then-Prime Minister Benazir Bhutto and her top military aide "to honour [Beg's] . . . commitment," Khan wrote.

Under pressure, the aide asked Khan to "get components of two old (P-1) discarded machines and pack them into boxes with 2 sets of drawings," which were passed to Iran through an intermediary, he said. P-1 is the designation for the centrifuge model used in Pakistan.

Asked to comment, Sirohey said he did not recall the meeting "or ever hearing about a deal to sell nuclear weapons to Iran."

In an interview, Beg denied bartering nuclear weapons for cash. He said that when an Iranian delegation "asked me about nuclear technology" in 1988, he advised discussing it with Bhutto.

A 2006 Associated Press article reported Beg's recollection of a 1990 visit by an Iranian delegation: "They asked, 'Can we have a bomb?' My answer was: By all means you can have it but you must make it yourself." But on a Pakistani television program in June, Beg said he has "always" urged the transfer of nuclear arms to Iran.

The former Pakistani official said, "Shamkhani thought he had a deal when he came to Pakistan." Various top officials, the former official said, were aware that Beg told the Iranians, "You have the money, we have the technology. Beg saw this as a win-win . . . a way to take care of the Army's endless budget problems."

'The supply network'

U.S. intelligence officials say Khan's initial exports of disassembled P-1 centrifuges disappointed his Iranian counterparts; the International Atomic Energy Agency states that Iran reported a 2003 offer of new parts by "the supply network."

In his narrative, Khan states that his next direct contact with Iranian officials was at a meeting in 1994 or 1995, when some Iranian scientists complained about their lack of progress.

Khan said in a note to Henderson that he subsequently agreed to send centrifuge parts to Iran. The IAEA says Iran admitted that Khan's network in 1996 also turned over the design for a more advanced centrifuge that Pakistan had constructed, known as P-2.

Malaysian police reported in 2004 -- based on interrogations of a Khan associate -- that the parts were shipped aboard an Iranian-owned ship after first passing through Dubai. In return, the associates were paid $3 million.

The Pakistani intelligence service report differs slightly: It said Iran paid $5 million for drawings of equipment used in enriching uranium. Some funds were deposited in a Dubai bank account controlled by Khan and two associates under the name "Haider Zaman," the report said. Khan used that name in a government-issued passport to conceal some foreign travel.

Khan has told Henderson that the funds went to associates and that he never retained any, which some U.S. officials consider implausible. Khan also said in a separate note that he supplied "the names and addresses of suppliers" to the Iranians. Western officials say that act could have given Tehran access to companies that possessed drawings of Pakistani bomb parts and to components of the more advanced P-2 centrifuges used by Pakistan.

Iran last month promised to install such advanced centrifuges, which it calls IR-2s, at two sites this year.

Warrick reported from Islamabad. Staff researcher Julie Tate contributed to this report.

Veramente il piu' grosso mito era quello secondo cui l'Iraq aveva, o stava costruendo, "armi di distruzione di massa", di cui non si e' trovata traccia. Subito dopo c'era quello dei presunti legami tra il regime iracheno e Al Qaeda, che fino a prova contraria sono rimasti aria fritta.

 

 

Nei mesi recenti (fine del 2009)

 

Però la guerra è scoppiata nel 2003. Nell'analisi mancano solo sei anni di appalti e sei anni di oscillazioni in borsa.