Vladimir Ilyich Mussi e Josef Vissarionovich Padoa Schioppa

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Sul "Patto per l'Universita' e la Ricerca e su le "Misure per il risanamento finanziario e l'incentivazione dell'efficacia e dell'efficienza del sistema universitario".

Immaginate che uno di questi

giorni estivi in cui vi godete le vacanze in riva al mare, un rappresentante

del governo venga intervistato in televisione e faccia la seguente

dichiarazione:

"È terribile che ci siano persone che non hanno amici con cui

passare i giorni di vacanza. Queste persone sono vittime di un sistema che

emargina, attraverso l'esclusione dalle cerchie amicali, gli individui più

timidi, quelli più antipatici e quelli meno attenti alla propria igiene

personale. Nello stesso tempo, alcune persone tradiscono la fiducia dei propri

amici, in varie forme, con la menzogna e con l'inganno, lasciando l'amico

tradito infelice e segnato per sempre. Questa situazione è diventata

intollerabile, e una nazione civile si deve far carico dei suoi cittadini meno

fortunati. Non è colpa loro se la

Natura non ha dato loro un carattere espansivo; d'altronde, è

la stessa nostra societa' iniqua, divisa tra chi è naturalmente divertente e

carismatico e chi non lo è, a creare le barriere che portano al formarsi di

sacche di disagio dove gli antipatici sono esclusi; e in fondo, la questione

dell'igiene personale è una questione privata, sulla quale non dovremmo creare

discriminazioni oggi nel 2007; purtroppo la realta' è ben diversa, e chi non si

lava viene perlomeno guardato con occhio storto, quando non scacciato

apertamente dai benpensanti profumati. Pertanto, da domani partirà un programma

governativo, il Piano Amicizia, che raccoglierà informazioni su ogni singolo

per poter decidere in modo efficiente con chi egli dovrà stringere amicizia,

con due obiettivi: dare almeno un amico a tutti coloro che non ce l'hanno, e

correggere le storture create dall'inefficiente allocazione degli amici

potenzialmente infedeli.

 

A tal proposito, abbiamo

creato una apposita agenzia, che si occuperà del raccoglimento delle

informazioni sugli individui, sia riguardo alle loro preferenze che alle loro

passate performance come amici, nonché sul numero di amici attualmente a loro

disposizione; abbiamo inoltre istituito un comitato di esperti, incaricato di

stabilire i criteri di ripartizione degli amici sulla base delle preferenze,

creando un meccanismo oggettivo che non si presti ad opportunismi e frodi dei

soliti furbi, che preveda sanzioni esemplari per chi non si attenga alla

ripartizione stabilita (come chi, per esempio, tenta di stringere amicizia con

persone con le quali non deve, o magari non tratta col dovuto affetto gli amici

a lui assegnati), e che privilegi la ripartizione in modo equo degli amici, con

particolare riguardo a coloro che sono particolarmente disagiati (antipatici,

timidi e sporchi); e per concludere, a fine mese si costituirà il NuVIPA

(Nucleo per la Valutazione

e l'Implementazione del Piano Amicizia), che si occuperà, ogni semestre, di

redigere un rapporto sulla attuazione del Piano Amicizia, e proporrà misure

atte a rendere più efficace ed efficiente la sua implementazione.

Contiamo,

con questa misura, di rendere l'Italia più giusta e di recuperare quelle sacche

di disagio sociale in cui versano i nostri concittadini meno fortunati".

 

Ecco, quanti di voi si sono fatti

una grassa risata leggendo queste righe? Quanti di voi ritengono che in

tal modo tutti godranno di un maggiore benessere? Quanti di voi ritengono che

il Piano Amicizia sia solo uno spreco di soldi, tra esperti, burocrati e

ispettori vari?

 

Ora ponetevi un'altra domanda. Perché

non avete la stessa reazione quando il governo propone la medesima cosa in

altri ambiti, come per esempio la sanità o il sistema previdenziale, o

l'università? Come mai i Big Plans non piacciono nella sfera delle questioni

ritenute private, e invece piacciono tanto se si parla di questioni "economiche"?

A ben guardare della medesima cosa si tratta: si parte dalla considerazione che

il sistema non è perfetto, che presenta delle storture così come è, e che tali

storture vanno eliminate; con un intervento deciso dello Stato degno del

miglior central planning di matrice sovietica.

 

Back to USSR

 

L'ultimo Big Plan salvifico lo

hanno proposto qualche giorno fa Mussi e Padoa-Schioppa, tirando fuori dal cilindro

magico del governo Prodi la soluzione dei problemi delle università

nostrane, ovvero il

"Patto per l'Università e la Ricerca",

nonché le http://www.governo.it/backoffice/allegati/35884-4047.pdf

"Misure per il risanamento finanziario e

l'incentivazione dell'efficacia e dell'efficienza del sistema universitario".

 

La nostra Università è piena di

problemi. In particolare qui Mussi e Padoa Schioppa prendono di mira due

fenomeni: quello dei finanziamenti uguali per tutti e basati sulla spesa

storica, per cui una università non viene né premiata né punita

finanziariamente a seconda dei risultati didattici e di ricerca che consegue;

e quello della solidità finanziaria, per cui gli Atenei non si preoccupano

dei vincoli di spesa imposti dal ministero visto che comunque i loro

eventuali deficit vengono ripianati.

 

Per risolvere il primo problema, il

già esistente CNVSU (Comitato Nazionale per la Valutazione del

Sistema Universitario) ha formulato dei criteri ai quali il finanziamento delle

università si deve attenere. Questi criteri esistono già da alcuni anni, ma

erano rimasti lettera morta sinora. Mi pare istruttivo andare a citare i

dettagli dal documento originale, per comprendere meglio la mentalità che sta

dietro questa proposta (il lettore che si annoi a legger tutto può saltare la

gran parte delle prossime righe e andare direttamente a vedere i "difettucci"

nel paragrafo successivo):

 

"Il modello, formulato nel

2004 e modificato nel 2005 accogliendo parte delle osservazioni formulate dalla

CRUI, tiene conto dei seguenti elementi:

  • 30% - domanda da soddisfare (numero di iscritti);
  • 30% - risultati di processi formativi (CFU acquisiti dagli studenti);
  • 30% - risultati della ricerca scientifica;
  • 10% - incentivi speciali.

 

 

 

La domanda è espressa in termini di studenti full time equivalenti (FTE) pesati

per la classe di Corso di laurea (i C.L. sono raggruppati in classi omogenee),

ulteriormente pesati per un fattore di correzione di Ateneo, Ka, legato al

rispetto dei requisiti minimi dei corsi e al "fattore qualita'" nella fornitura

del servizio."

 

Se vi sembra eccessivamente

burocratico, non avete ancora visto nulla. Andate avanti nella lettura:

 

"Dal 2004 al 2006, tuttavia,

gli studenti part-time, non essendo omogenee tra le Universita' le possibilita'

di iscrizione, hanno avuto lo stesso peso degli studenti full time. Si sono

ignorati, inoltre, gli iscritti al primo anno, perché i numerosi abbandoni

entro il primo anno potrebbero creare distorsioni (sono possibili comportamenti

opportunistici delle Universita'miranti alla massimizzazione delle entrate

derivanti da nuovi immatricolati che non proseguono gli studi). Si è quindi

tenuto conto solo degli studenti iscritti agli anni successivi. I risultati dei

processi formativi sono misurati:

• per il 20%, dai CFU guadagnati (si considerano solo i CFU guadagnati in n+1

anni di corso, dove n indica la durata legale del corso di laurea);

• per il 10%, dal numero di laureati dell'anno ponderati con dei coefficienti

che tengono conto del tempo impiegato per conseguire il titolo rispetto alla

durata "normale" del corso di studi."

 

Vediamo come si calcola il "fattore

qualità didattica":

 

"In applicazioni successive,

quando saranno pienamente operative le Anagrafi degli studenti e dei laureati,

il "fattore qualita' didattica" dovrebbe tener conto, secondo quanto indicato

dal CNVSU, di:

  • accreditamento del corso;
  • riscontro occupazionale dei laureati;
  • successo negli studi successivi;
  • gradimento ex post da parte dei laureati.

 

 

 

Nel 2004, 2005 e 2006 il fattore correttivo di ateneo KA è stato utilizzato

soltanto per modulare la "domanda", e i coefficienti di ponderazione dei C.L.

nel calcolo dei risultati sono stati assunti uguali a 1."

 

E come viene valutata la ricerca,

o meglio, il potenziale di ricerca?

 

"[...] la formula del CNVSU

considera il "potenziale di ricerca" in base al numero di docenti, ricercatori,

borsisti, assegnisti, ecc., opportunamente pesati secondo la categoria di

appartenenza e ulteriormente ponderati per indicatori di partecipazione e di

successo nella richiesta di fondi PRIN nel triennio precedente, cui si aggiunge

il numero di ricercatori "virtuali" calcolato in base ai fondi esterni ottenuti

dall'ateneo per attivita' di ricerca. Per il 2006 la valorizzazione del fattore

"ricerca" tiene conto dei risultati della valutazione operata dal CIVR."

 

E ora passiamo al secondo

obbiettivo, la stabilità finanziaria. Nel documento, si nota come molti

atenei siano in pericoloso stato di indebitamento e abbiano costi di

funzionamento esagerati. Si stabilisce quindi un criterio su cui basare il

finanziamento, che segue queste linee:

 

"Nel definire la formula per

l'indicizzazione, occorre pensare all'incidenza tipica di tali oneri [costi del

personale, NdR] sul FFO, astraendo dai casi anomali per eccesso e per difetto.

La misura dell'85% appare allora appropriata. Occorre peraltro scomporre la

spesa tra personale docente, soggetto ad aumenti di legge, e personale tecnico

amministrativo, soggetto ad aumenti in base a contratto nazionale. In mancanza

di indicazioni prescrittive, conviene basarsi sulla media del sistema e

adottare quindi le percentuali del 68% per docenti ( pari a circa il 58% sul

FFO) e del 32% per i tecnici e amministrativi ( circa il 27% sul FFO). La

regola tendenziale ( restando aperta la questione se la situazione di finanza

pubblica consenta o meno di applicarla interamente gia' per il 2008) implica quindi

una dinamica del FFO per l'intero sistema universitario pari almeno alla media

ponderata delle variazioni dei seguenti indici: indice delle retribuzioni del

personale non contrattualizzato delle pubbliche amministrazioni, stabilito con

DCPM (peso 0,58); indice delle retribuzioni del personale tecnico

amministrativo ( peso 0,27); indice generale dei prezzi al consumo (peso 0,15).

[...] Sarebbe inoltre auspicabile un ampliamento dell'autonomia degli atenei per

quanto riguarda le tasse universitarie. In coerenza con il livello medio della

contribuzione studentesca negli altri paesi europei, si suggerisce di

consentire che gli atenei aumentino le tasse, fino ad un'incidenza pari al 25%

del FFO, con vincolo di destinazione di almeno il 50% dei maggiori introiti ai

servizi agli studenti e alle borse di studio per i meritevoli."

 

Si stabilisce quindi un livello

massimo dei costi del personale sul totale (si noti: 85% è un numero che

farebbe impallidire qualunque manager privato), e si rende possibile anche colmare

la lacuna alzando le tasse (ma non troppo, mi raccomando!). Le conseguenze

sulle Università che superano il famoso limite e sono in dissesto finanziario "[...]

perché negli ultimi due anni hanno avuto un saldo di bilancio negativo (al

netto delle poste finanziarie), devono presentare un Piano di risanamento di

durata non superiore a 10 anni da sottoporre alla approvazione congiunta del

MUR e del MEF. Il Piano deve prevedere la limitazione delle assunzioni entro il

20% delle cessazioni e l'aumento obbligatorio e graduale delle tasse di

iscrizione fino al 25% del FFO. E' fatto obbligo al collegio dei revisori, in

cui va ovviamente mantenuto il rappresentante del MEF ( con spese a carico

dell'Universita', anche se da queste lasciato in soprannumero), di certificare

con cadenza almeno trimestrale l'osservanza del Piano. L'inosservanza del

suddetto Piano dovrebbe comportare adeguate sanzioni, senza escludere nel caso

estremo il commissariamento dell'ateneo."

 

I "difettucci" del Big Plan di

Mussi e Padoa-Schioppa

 

Lascio al lettore la valutazione

complessiva. Mi preme solo far notare come tutta l'impostazione sia basata

sulla fallace idea che il merito e il demerito sarebbero incentivabili con

questo tipo di schemi centralisti. Si crea un gruppo di esperti, si stila

una classifica delle università in base a determinati criteri, e si procede a

distribuire i finanziamenti secondo tale classifica. Si determina poi un

criterio contabile su cui basarsi per dire chi è virtuoso e chi no.

 

Primo problema: i criteri

utilizzati sono criticabili e ovviamente soggetti a scelte che non possono che

essere in parte discrezionali (per esempio: perché didattica e ricerca hanno lo stesso peso

nell'indice?). Come gia' sottolineato in altre occasioni, i ranking universitari

negli USA sono numerosi e diversi tra loro, proprio perché seguono criteri

differenti. Non esiste un criterio perfetto, ovviamente, e i criteri

dipendono anche da cosa si vuole misurare e come lo si misura. Per questo,

basarsi su un ranking per assegnare i fondi è rischioso: perché la scelta

stessa dei criteri non può tenere conto di tutti gli aspetti coinvolti.

Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: esistono università enormi come Harvard,

che fanno didattica e ricerca a livelli eccelsi, e che hanno molte facoltà; ma

esistono anche università che si dedicano solo all'insegnamento; e università

di nicchia che insegnano e/o fanno ricerca solo in alcune materie; altre università

eccellono in alcuni campi ma sono mediocri in altri. Come può un indice

sintetico tenere conto di tutti questi aspetti, che, si noti bene, non sono

esogeni e determinati una volta per sempre, ma vengono determinati dalle forze

economiche in gioco (domanda e offerta didattica e di ricerca, finanziatori,

nuovi campi di ricerca, innovazione tecnologica, mercato del lavoro nazionale e

internazionale, ecc.) e cambiano nel tempo?

E la soluzione non è nemmeno un indice più complicato che tenti di inglobare tutti

gli aspetti indicati sopra: perché anche questi aspetti cambiano nel tempo e si

modificano per l'interazione delle persone coinvolte nel sistema economico.

Secondo voi, un indice di questo genere avrebbe privilegiato le universita'

della Silicon Valley nel momento in cui avevano maggiore bisogno di fondi?

 

Secondo problema: da anni in Finanziaria i governi mettono

nero su bianco la regola che i debiti delle ASL non saranno ripianati; e

puntualmente, tutti gli anni, tali debiti vengono ripianati. Chi ci garantisce

che, analogamente, il commissariamento eventuale di una università in dissesto

sia attuato realmente? Una università è politically too big to fail,

nel senso che lasciarla al suo destino è politicamente costoso; ma è costoso

anche commissariarla avviando delle durissime misure finanziarie che

ricadrebbero inevitabilmente sugli elettori. Qualsiasi politico con un minimo

di raziocinio farebbe i patti col diavolo per evitare il commissariamento.

Non solo: un piano di risanamento di dieci anni va oltre il mandato di

qualunque rettore (in alcune università è di quattro anni, ci sarebbe tempo

per vedere tre rettori avvicendarsi...). Ancora peggio: va oltre il mandato di

qualsiasi governo, di qualsiasi giunta regionale, di qualsiasi organismo

elettivo. Davvero è credibile che per dieci anni nessuno cambi nulla? O

piuttosto è lecito ritenere che, dopo qualche anno di enormi sacrifici, e sotto

elezioni, il governo, o la giunta regionale, o la comunità montana faccia un

bel favore ai propri elettori chiudendo un occhio sul bilancio della tal

università o (peggio) finanziando il suo deficit, magari con un bel contratto

per corsi di formazione per i propri dipendenti?

 

Terzo problema: il criterio

contabile citato sopra è facilmente aggirabile. Per esempio, si immagini una situazione in cui

una Università deve assumere un certo numero di nuovi dipendenti, ma che tali

assunzioni facciano sforare i limiti di spesa. Rinuncia ad assumerli? Neanche

per sogno: può costituire una società esterna, controllata finanziariamente dall'Università,

che fornisca servizi all'Università stessa e che assuma tali nuovi dipendenti.

In tal modo la forma è salva. I conti no, ovviamente, ma quella che era spesa

per dipendenti diventa magicamente spesa per servizi.

 

Quali sono le alternative?

 

Anche a costo di ripetere per l'ennesima volta cose già

dette: la soluzione è

più mercato. Mettere le università in competizione tra loro, per contendersi ricercatori e studenti; lasciare liberi i privati di creare università a loro piacimento: ci

penserà poi il mercato a decretare quelle che sono buone e quelle che sono

mediocri, alcune più scadenti sopravvivranno fornendo il servizio a

studenti scadenti per un prezzo basso, mentre altre diventeranno eccellenti e

forniranno educazione di elevato livello a prezzi più elevati; si può e si deve discutere, e lo si è fatto anche su questo sito, sui dettagli , e sui pregi e difetti di varie forme istituzionali o di finanziamento dell'istruzione superiore.

 

Ma pensare che un Big Plan

burocratico salvi il nostro sistema universitario, francamente, è una idea che

poteva venire solo a Mussi e Padoa-Schioppa.

 

 

 

 

 

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