L'acqua, un bene economico

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I referendum sulla gestione delle risorse idriche si avvicinano. L'Istituto Bruno Leoni ha pubblicato un libro che cerca di compiere un'analisi economica della gestione dell'acqua. È probabilmente una battaglia persa quella di provare a ragionare su questo tema, ma è giusto provarci lo stesso.

Il tema

Anche se il tema della gestione delle risorse naturali, tra cui l'acqua, è sempre di attualità, è ovvio che l'operazione editoriale dell'Istituto Bruno Leoni è legata ai due referendum programmati per giugno. Devo confessare che non conosco bene la Legge Ronchi, quindi non sono in grado di dire quanto sia ben fatta. Ma, con l'approssimarsi del referendum, il quadro ha iniziato un po' a chiarirsi. A me è risultato utile questo articolo di Luigi Marattin, assessore al bilancio di area PD al comune di Ferrara.

Ma al di là del merito degli argomenti, ho trovato progressivamente sempre più sconcertante la retorica dei proponenti del referendum. Si legga per esempio questo intervento del padre comboniano Alex Zanotelli, di cui riporto un paio di passaggi significativi.

 

Come possiamo permettere che l’acqua, nostra madre, sia violentata e fatta diventare mera merce per il mercato? Per noi cristiani l’acqua è un grande dono di Dio, che fa parte della sua straordinaria creazione e che non può mai essere trasformata in merce.

...

Come cristiani non possiamo accettare la legge Ronchi, votata dal nostro Parlamento (primo in Europa) il 19 novembre 2009, che dichiara l’acqua come bene di rilevanza economica. Il referendum del 12 e 13 giugno sarà molto importante per bloccare questo processo di privatizzazione dell’acqua e per salvare l’acqua come un grande dono per l’umanità
Scendiamo in piazza! Così come hanno fatto i monaci in Myanmar (ex Birmania) contro il regime che opprime il popolo.

 

Francamente, la Legge Ronchi potrà avere un sacco di difetti ma pensare che sia oppressiva al pari della dittatura di Myanmar è decisamente sopra le righe. E in caso vi stiate chiedendo se questa sia una posizione confinata a poche frange del mondo cattolico, la risposta è no. L'atteggiamento ''l'acqua è un dono di Dio quindi non può essere una merce'' sembra essere condiviso almeno da parte delle gerarchie ecclesiastiche, visto che sull'ufficialissimo Osservatore Romano, il 22 marzo scorso è apparso un articolo a firma di Gaetano Vallini che, ovviamente con toni più pacati, esprime concetti simili. Anche qui, riportiamo alcuni passaggi significativi

Se è vero che spesso per i poveri non è tanto la scarsità d’acqua in sé a portare sofferenza, ma l’impossibilità economica di accedervi, allora esiste, come ha ricordato il 24 febbraio il vescovo Mario Toso, segretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenendo alla conferenza internazionale di Greenaccord a Roma, «un serio problema di indirizzo etico», perché, ha aggiunto rilanciando le parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa , l’acqua — diritto universale e inalienabile — è un bene troppo prezioso per obbedire solo alle ragioni del mercato e per essere gestita con un criterio esclusivamente economico e privatistico. Il suo valore di scambio o prezzo non può essere fissato secondo le comuni regole della domanda e dell’offerta, ovvero secondo la logica del profitto. Che è però quanto in più parti del mondo accade o si rischia in caso di privatizzazione, fino a giungere al paradosso che vede i poveri pagare molto più dei ricchi per quello che dovrebbe essere un diritto naturale.

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Ed è ciò che oggi la società civile chiede anche in alcuni Paesi occidentali, come l’Italia, dove presto si voterà un referendum che chiede di evitare di intraprendere la strada verso la privatizzazione dell’acqua. Un referendum che ha visto impegnate anche alcune realtà ecclesiali nel comitato promotore, segno dell’attenzione del mondo cattolico verso un tema delicato e cruciale.

...

Come non ricordare in questa circostanza il suggestivo messaggio che ci giunge dalle Sacre Scritture, dove si tratta l’acqua come simbolo di purificazione? Il pieno recupero di questa dimensione spirituale è garanzia e presupposto per un’adeguata impostazione dei problemi etici, politici ed economici che condizionano la complessa gestione dell’acqua da parte di tanti soggetti interessati, nell’ambito sia nazionale sia internazionale».

 

Allora, giusto per ricordare ciò che è ovvio. Se un bene è economico o meno non è determinato dalle sue qualità simboliche o da quanto sia importante per la sopravvivenza. Un bene è economico se è scarso, e quindi esiste il problema di come allocarlo. Quindi, piaccia o meno e indipendentemente dalla sua origine o meno come dono divino, l'acqua è un bene economico. Come sono beni economici il cibo (o ''il pane'', giusto per evocare altri simboli), i vestiti, l'abitazione e tanti altri senza i quali l'esistenza non sarebbe possibile.

Questa realtà elementare, la scarsità dell'acqua e quindi la necessità di ragionare in termini economici della sua gestione e allocazione, resta qualunque sia il regime di proprietà dell'acqua (che non è messo in discussione dalla legge Ronchi: l'acqua resta pubblica). La vera domanda quindi non è se l'acqua è un bene economico o meno. Lo è, almeno finché resta una risorsa scarsa. La vera domanda è quali obiettivi vogliamo raggiungere con questo bene e, soprattutto, come vogliamo raggiungerli.

Sugli obiettivi credo che ci sia in realtà ampio consenso. A nessuno piace l'idea che ci siano vasti settori della popolazione condannati alla sete e a nessuno piace l'idea che l'acqua, o qualunque risorsa naturale, possa essere usata per estrarre profitti monopolistici. I dissensi sono sul come. I referendari sembrano straconvinti che gli obiettivi possono essere raggiunti unicamente mantenendo non solo la proprietà pubblica dell'acqua (che, ripeto a costo di essere noioso, non è messa in dubbio dalla legge Ronchi) ma anche la gestione pubblica della sua distribuzione. Non ho capito bene quali argomenti teorici e quale evidenza empirica sostenga tale posizione; le cose che ho letto, come i due interventi che ho riportato sopra, sono più o meno al livello di ''il denaro è lo sterco del demonio'' e quindi non si possono prendere sul serio. Attendo migliori indicazioni. Attendo anche di sapere perché i proponenti del referendum non propongono pure la nazionalizzazione immediata di tutte le panetterie. Il pane, si sa, è una risorsa essenziale senza la quale la vita è impossibile, ed ha anche un alto valore simbolico. Come si può permettere che la sua distribuzione venga lasciata ai privati e che il capitale investito in questo settore venga remunerato?

Il libro

Non conoscevo l'autore del libro. Una rapida ricerca su internet lo indica come appartenente al think tank svedese Timbro. Il libro, originariamente scritto in svedese, è stato pubblicato in inglese nel 2005 dal Cato Institute, ed è stato ora tradotto in italiano con una prefazione di Oscar Giannino.

Il libro è incentrato sulla politica della gestione dell'acqua nei paesi in via di sviluppo, che al momento è praticamente solo pubblica. È anche in buona misura fallimentare, risultando sia inefficiente dal punto di vista tecnologico (un notevole ammontare di acqua viene sprecato) sia profondamente ingiusta dal punto di vista distributivo (i poveri sono quelli che più frequentemente pagano le inefficienze della distribuzione). La proposta è quindi di aprire il settore alle imprese private, in modo che si riescano a ridurre gli sprechi e migliorare l'allocazione.

Gli argomenti teorici sono abbastanza standard, anche se molto spesso completamente ignorati, e il valore aggiunto del libro sta quindi nella lunga serie di case studies empirici. Non starò ad aggiungere di più; se volete approfondire guardate la recensione su Amazon. Nel frattempo, prepariamoci ad una campagna elettorale dai toni ancora più demagogici del solito.

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Commenti

Ci sono 467 commenti

 

toni ancora più demagogici del solito

 

scusa Sandro, non resisto, questo mi è capitato di leggerlo per caso, tra commenti vari.

IMPORTANTISSIMO: 12-13 GIUGNO REFERENDUM 4 SI. VOGLIONO METTERCI IL NUCLEARE DENTRO CASA E PRIVATIZZARE L'ACQUA OVVERO PAGARE IL TRIPLO DELLE BOLLETTE ATTUALI, CHIUDERE FONTANELLE PUBBLICHE E SE NON ABBIAMO I SOLDI PER PAGARE LE BOLLETTE CI CHIUDONO I RUBINETTI DI CASA. GLI ANIMALI IN STRADA POTRANNO BERE SOLO L'ACQUA PIOVANA, IL COSTO DI MOLTE MERCI AUMENTERA'! SE NON AVREMO I SOLDI PER COMPRARE L'ACQUA NEI BAR! INOLTRE BERLUSCONI VUOLE SCAMPARLA CON IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO è FONDAMENTALE!

non ho capito quella sui bar...

E' l'altra faccia della medaglia. La medaglia della tragica situazione attuale. Quasi non esiste un dibattito non a base di slogan urlati.

Da una parte PDL-Lega e la loro demagogia anti immigrati, comunisti, gay e "metastasti" varie, dall'altra si contrappone il popolo viola-M5S con questa demagogia delirante: no trasporto su gomma, no tav, no all'ogm, sì all'equo e solidale (che verrà trasportato come? con le macchine all'idrogeno o all'olio di colza che il malvagio complotto capitalista non vuole far produrre?) ecc...

 

perchè nel meridione, l'acqua servita nei bar è gratis!

Qui al nord, col cavolo che te la dano...

 

Il pane, si sa, è una risorsa essenziale senza la quale la vita è impossibile, ed ha anche un alto valore simbolico. Come si può permettere che la sua distribuzione venga lasciata ai privati e che il capitale investito in questo settore venga remunerato?

 

ho usato la stessa metafora con un mio interlocutore, consigliere di opposizione in un comune di provincia, stimato professionista e figlio e nipote di laboriosissimi mugnai. non ho ottenuto grandi risultati perchè riteneva che cmq non scalfissero le ragioni del cuore, quelle che riteneva di dover esercitare anche nelle beghe di consiglio.

ho ottenuto invece molta più attenzione citando il caso del nostro ex assessore all'edilizia privata, passato in un fiat alla presidenza della municipalizzata in house, un vero gigante economico ormai. qua qualcuno, anche dei più sentimentali, si è grattato il capo.


 

Non ho capito bene quali argomenti teorici e quale evidenza empirica sostenga tale posizione; le cose che ho letto, come i due interventi che ho riportato sopra, sono più o meno al livello di ''il denaro è lo sterco del demonio'' e quindi non si possono prendere sul serio. Attendo migliori indicazioni. 

Ricordo un manifesto che, oltre alla retorica, sosteneva che:

- Sosteneva che l'acqua fosse un "monopolio naturale"

- Citava (senza fornire dati) l'esempio del comune di Parigi, e di Latina(?)

Appena torno all'università e lo ritrovo trascrivo le parti importanti

Si, stimolare una discussione è molto difficile, imperano gli slogan e la disinformazione.

Si pensi che dei colleghi mi hanno detto che voteranno si al referendum per impedire che l'acqua privatizzata venga poi distribuita solo in bottiglie...

giovannistraffelini.wordpress.com/2011/05/07/referendum-acqua-si-o-no/

 

Grazie per il post che indirizza la discussione in modo corretto.

Penso sia sotto gli occhi di tutti l'inefficienza della gestione pubblica di beni e servizi chiave. E l'aggiunta di nuovi case studies dai paesi in via di sviluppo non dovrebbe spostare ulteriormente il mio orientamento in tal senso (ma leggerò volentieri lo stesso il volumetto).

Giustamente è stato ricordato che dei due alimenti base la distribuzione dell'acqua in Italia è pubblica mentre quella del pane è privata.

Il fatto è che io però non ho particolare fiducia nemmeno nella gestione privata degli stessi beni e servizi.

In questo caso specifico dell'acqua poi si dovrebbe trattare di gestione privata di un bene pubblico, ma in regime monopolistico, immagino con controlli e sanzioni ancora operati dal pubblico, più o meno come accade oggi per il trasporto ferroviario (ci perdoni il visionario dottor Arena), dove spesso le regioni sanzionano il monopolista del servizio. Ammesso (e non concesso) che il privato sia meglio, se i controlli li effettua il pubblico non ricadiamo ancora nello stesso problema? Il funzionario indolente (o infedele) performa male (o si fa addirittura corrompere) e quindi controlla poco e male.

Ma aldilà delle carenze dei controlli del pubblico, nutro dubbi sulla gestione privata in quanto tale. Domande che ci dobbiamo porre

1. Siamo così sicuri che la gestione privata sia in sé migliore della gestione privata? Prendiamo la sanità: casi di malasanità ne troviamo sia nella sanità pubblica, sia nella sanità privata, sia in quella convenzionata. Anzi in Lombardia i due casi più clamorosi: questo e questo sono avvenuti in strutture private convenzionate.

Un altro esempio che ho sempre in mente, fresco di quest'inverno, che per me assume carattere più generale: a fronte di un grosso ingorgo una società di gestione autostradale privata non ha forse tutto l'interesse a chiudere il tratto interessato il più tardi possibile per non perdere una parte dei pedaggi? In quello stesso caso, un funzionario pubblico, indolente e demotivato finché si vuole, non ha tutto l'interesse a chiudere per precauzione un po' prima quel tratto, tanto “non ha niente da perdere”?

2. Domanda ancora più importante: ammesso (e non concesso) che la gestione privata di beni e servizi chiave sia più efficiente, questo è un dato strutturale o solo empiricamente riscontrato?

3. E infine: quali sono le condizioni che impediscono al pubblico di performare come nel privato? Investimenti? Politiche del personale (dalla selezione, agli incentivi)? Che altro?

Ti rispondo, da ignorante, sul punto 3: Il pubblico non ha ne riferimenti di prezzo, ne incentivi ad essere efficiente.

Se appalto la gestione dell' acquedotto a dei privati, i vari candidati si faranno i loro conti (piu o meno precisi) su quanto costa la gestione del servizio e poi faranno un' offerta.Visto che ne va della chiusura dell'appalto, staranno attenti a non sbagliare su quantita' e costo del personale necessario e gli altri costi.Se il bando e' ben fatto, chi vincesse sottovalutando i costi perderebbe soldi, chi li esagerasse difficilmente vincerebbe l'appalto.Visto che gli stessi conti li fanno in tanti e rispondono dei risultati, e' lecito aspettarsi che li faccian bene.

Ottenuto l' appalto, avra' interesse a fornire un servizio soddisfacente in modo da farselo rinnovare.

Se il comune decide di gestire un servizio in house, il suo ufficio tecnico fa una stima analoga, stando attento a non sbagliare per difetto che se non arriva l'acqua la gente si incazza, da questo si ricava un budget, che il responsabile cerchera' prima di gonfiare a prescindere visto che son soldi suoi, e poi di spendere fino all' ultimo, prima che qualcuno pensi che sia troppo ampio.

Anche lui avra' interesse a far funzionare la cosa passabilmente per non passar grane, ma se ha problemi chiedera' piu soldi per gestirli, e nessuno sapra' davvero se effettivamente e' a corto di risorse oppure sta solo scialando, perche' non c'e' un concorrente pronto a prendere il suo posto.Se poi, come si faceva una volta, non si usa una societa' ad hoc ma una struttura comunale esistente, nemmeno i responsabili conoscono i loro costi (l' ufficio tecnico lavora un po' per l' acqua ed un po' per i lavori pubblici: come ripartisco i suoi costi? E quelli dell' azienda che fa riparazioni e poi manda una fattura mensile al comune, senza distinguere quanto fatto per una specifica parte dello stesso?...).

Ovviamente poi nel mondo reale capita (raramente) di trovare il gestore pubblico che tratta la municipalizzata come fosse un' azienda sua e lo fa pure bene, e le stesse obiezioni fatte sopra si applicano cgli setensori dei bandi: se questi son truccati per far vincere tizio questo non teme piu la concorrenza ed ha interesse solo a spremere il cliente e risparmiare sui costi.

Aggiungerei anche i soliti problemi da impiego pubblico, tipo impossibilita' di sanzionare i dipendenti fannulloni o licenziare gli incapaci, ma direi che sono questioni di secondo ordine.

 

Risposte

1) non c'è nulla di privato nella sanità italiana, le cliniche di cui parli erano e sono convenzionate cioè pagate secondo incentivi decisi dalla regione Lombardia. L'autostrada di cui parli non poteva essere chiusa perchè si sarebbe trattato di interruzione di pubblico servizio cioè un reato.

2-3) In regime di statalizzazione è impossibile calcolare quale sia il modo piu' efficiente per risolvere un bisogno; lo stato non persegue il profitto e non conosce i costi delle risorse che impiega (cioè il loro costo opportunità) visto che vive di tasse

Ciao Marco, ho provato a rispondere a similii domande poste da Carlo Clericetti più sotto, però provo a espandere.

1) È ovvio che non si può dire in generale che la gestione privata è meglio di quella pubblica. Alcuni enti pubblici, per tradizione, perchè gli incenitivi sono stati ben disegnati, perché per caso sono guidati da persone particolarmente in gamba o per altri motivi ancora, sono efficienti e funzionano bene. Alcune imprese funzionano male; se operano in settori concorrenziali vengono rapidamente costrette a chiudere, ma in settori monopolistici o sussidiati riescono a sopravvivere. Ma il punto della legge non è questo. La legge stabilisce l'obbligo di gara in caso di concessione ai privati. Che si possa sperimentare tra gestione pubblica e gestione privata a me pare inmportante, esattamente perché non sappiamo a priori qual è la miglior soluzione. A volte il servizio pubblico è così compromesso che è meglio darci un taglio e passare al privato, a volte è vero il contrario. Perché imporre a priori la camicia di forza di una soluzione unica per tutti i comuni?

2) La questione, a mio modo di vedere, è empirica. Stiamo parlando di monopoli regolati, un mondo di second best in cui non esistono soluzioni perfette. La differenza interessante in questo caso è che invece di avere un unico monopolio nazionale abbiamo tanti monopoli locali. È quindi l'ambiente ideale per permettere che diverse realtà sperimentino con diverse soluzioni.

3) Sul punto 3 ti ha risposto Marcello. Aggiungo che nel caso specifico (condizioni di monopolio) non esiste garanzia che il privato operi al meglio. È un complicato problema di disegnare bene gli incentivi, sia che la gestione sia publica sia che sia privata.

Se posso vorrei aggiungere una cosa che non è stata detta. In pratica comunque vada, anche se vincesse il si, non sarà proibito dare in gestione gli acquedotti ai privati. perchè la legge che vogliono abolire stabilisce solo che:

a) la prassi per la gestione degli acquedotti è l'affidamento con gara pubblica

b) le società totalmente pubbliche devono essere cedute per almeno il 40% delle quote a privati

c)si può andare in deroga ai punti a) e b) semplicemente segnalandolo con una relazione all'antitrust, che esprimerà un parere preventivo a quanto pare non vincolante (mi sono letto la legge da capo a piè, non v'è menzione di vincoli in questo senso).

la legge sta qui:

www.regione.calabria.it/ambiente/allegati/raccoltadifferenziata/documentazione/testo_art_23-bis_mod.pdf

mentre invece la possibilità di dare l'acquedotto in gestione ai privati è sancita dalla normativa UE sulla gestione dei servizi pubblici, e per questo il quesito referendario che la aboliva è stato rifiutato dalla corte costituzionale.

quindi che si stia fermando la privatizzazione è una balla pazzesca: quello che si ferma sono le gare pubbliche, ma se vogliono i sindaci possono dare in gestione a loro arbitrio a chi gli pare.

 

per quanto riguarda l'altro quesito, quello sulla remunerazione del capitale, pare che sia una norma suggerita dalla UE ai fini della trasparenza: perchè sennò i privati potrebbero cercare di entrare lo stesso nella gestione e fare dei ricavi per vie traverse. (tra l'altro, se non ho capito male, votare si a questo quesito impedirebbe anche alle aziende pubbliche di emettere obbligazioni, perchè l'interesse sarebbe considerato remunerazione del capitale... o sbaglio?)

 

io sinceramente per questo motivo ho deciso di votare no a entrambi i quesiti. spero che si riesca a far girare queste informazioni il più possibile, la campagna di disinformazione che hanno fatto è stata sfacciata e capillare.

I risultati della gestione combinata pubblico/privato in Toscana, attuata in anticipo rispetto alla Legge Ronchi, ha portato a costi elevatissimi, a fronte di zero investimenti. Non sono convinto quindi sulla bonta' della Legge che si vorrebbe abrogare, ne' certo che il risultato dei Referendum rappresenti la soluzione al problema, che forse e' altrove...

Alessandro, due cose:

1) Secondo il link che hai messo, la vicenda della gestione idrica ad Arezzo (di cui non so nulla) inizia nel 1999, quindi ben prima della legge Ronchi. Mi pare che questo confermi quanto dice nel commento qui sopra Orazio Angelini: la possibilità di dare in gestione la distribuzione dell'acqua ai privati, o a partnership pubblico-privato, esisteva prima della legge e continuerà a esistere dopo. Io non ci vedo niente di male che alcuni comuni decidano di fare la cosa in modo totalmente pubblico e altri sperimentino con il privato; decideranno gli elettori in base ai risultati qual è il sistema più opportuno. Se veramente tutto quello che fa il referendum è eliminare l'obbligo di gara mi pare che veramente sia una pessima idea. Attendo lumi da chi conosce i dettagli giuridici meglio di me.

2) Il link che hai messo è veramente un esempio di come non si fa informazione. Contiene unicamente dichiarazioni di esponenti del ''comitato acqua pubblica''. Non c'è alcun numero solido. La signora Maria Rossi ci informa che la sua bolletta è aumentata del 400% in dieci anni, senza spiegarci quale era la base di partenza e se la distribuzione dell'acqua, ai tempi delle tariffe più basse, era in attivo o in perdita. Non ci spiega nemmeno qual è stato l'aumento medio delle bollette e se il suo aumento è rappresentativo. E non è vero, persino prendendo per oro colato quello che dice il comitato per l'acqua pubblica, che l'aumento è a fronte di zero investimenti. Invece, sempre secondo la signora Maria Rossi, “Gli investimenti non sono cresciuti rispetto a quanto è cresciuto il prezzo”, ossia gli investimenti sono cresciuti ma non quanto piacerebbe a lei. E anche qui, qualche numero preciso in più non farebbe per niente male. Il pezzo finale sul know how infine è incomprensibile.

Si può fare di meglio, dai.

 

Caro Sandro, qualche piccola differenza tra aprire una panetteria e costruire un acquedotto c'è, e non dovrebbe sfuggirti. Secondo, i gruppi in grado di partecipare alle gare per la gestione sono assai pochi e, viste le loro dimensioni, le possibilità di new comers sono praticamente nulle. Dubito quindi che ci sarebbe una grande concorrenza, mentre sarebbero assai probabili collusioni oligopolistiche. Le comcessioni, per questi tipi di servizi, sono molto lunghe (per Autostrade mi sembra, ma vado a memoria, 20 anni), quindi non è che se il gestore non funziona lo mandi subito via e ne prendi un altro. E in vent'anni, hai voglia a fare la cresta su un servizio a cui nessuno può rinunciare. La lunghezza delle concessioni dipende dal fatto che i concessionari dovrebbero investire per rendere più efficiente il servizio e poi devono avere il tempo per rifarsi: giusto in teoria, ma quello che abbiamo visto in pratica è assai meno edificante, sia su Autostrade (la cosa più simile agli acquedotti dove questa misura è già stata applicata da tempo), sia per i pochi - per ora - casi di gestione privata degli acquedotti: in Toscana, come si diceva sopra, in Sicilia (Agrigento e qualche altro Comune che ora non ricordo) e nella provincia di Latina, dove l'acquedotto degli Aurunci è stato dato alla società Acqua Latina che ha moltiplicato il costo delle bollette senza alcun miglioramento del servizio, provocando rivolte in vari Comuni della zona. Non mi risulta che finora ci siano esempi di gestioni date ai privati che brillino per efficienza (se qualcuno ne conosce...), mentre ce ne sono vari per le gestioni pubbliche: una per tutte, l'eccellente municipalizzata di Milano. Con questo non voglio dire che la gestione pubblica è necessariamente meglio di quella privata, ma che abbiamo le prove che può benissimo esserlo. Quanto poi alla remunerazione degli investimenti, chiunque si sia occupato un po' di price cap sa che non è per niente facile determinare quali sono gli investimenti corretti e in che modo debbano riflettersi sulla tariffa per dare al gestore un equo ritorno senza depredare gli utenti: è invece alto il rischio di "cattura del regolatore", che di norma non ha mezzi sufficienti (finanziari e di competenze) per controllare davvero il concessionario. A mio parere gli investimenti per un servizio pubblico essenziale dovrebbero essere a carico della fiscalità generale: in fondo i politici, se fanno male, possono essere mandati a casa più facilmente di un concessionario, visto che si vota ogni 5 anni.

Ciao Carlo, alcune risposte.

1) Per come la vedo io, la differenza tra aprire una panetteria e gestire il servizo idrico per la città di Milano è che il secondo è un monopolio naturale mentre il primo no. E mi sarebbe tanto piaciuto che la discussione si incentrasse su questo. Invece ci siamo beccati i toni messianici sul'acqua dono di dio (versione cattolica) o bene indispensabile alla soprevvivenza (versione laica), che sono al più irrilevanti e che si applicano esattamente nella stessa misura al pane. Se la distribuzione dell'acqua è, come è, un'attività economica che manifesta rendimenti crescenti di scala allora il problema è come regolare apppropriatamente tale attività. La proprietà pubblica è un'opzione, così come lo è l'assegnazione in concessione a un privato che comunque resta regolato. Ma il dibattito non è stato su questo, anche se l tuo intervento sì.

2) Può essere che ci sia scarsa concorrenza e collusione nel settore, non lo conosco bene. Appunto per questo è importante che quando si danno in gestione gli acquedotti questo venga fatto mediante gara e che le aziende in house non possano sentirsi tranquillamente al riparo da qualunque concorrenza. È un po' che gli economisti studiano sisetmi d'asta e sistemii di gara e si possono sicuramente disegnare tali meccanismi in modo da minimizzare le inefficienze. Il non so quanto bene lo faccia la legge Ronchi, come ho detto nel pezzo non ho studiato approfonditamente la cosa, ma indicare almeno l'obbligo di gara mi pare un passo in avanti. Ma non c'è stata nessuna discussione del genere, invece ci siamo trovati con la grottesca diatriba su privato cattivo e pubblico buono. Magari si fosse discusso delle procedure d'asta, della durata ottima delle concessioni e di altre amenità.

3) Tu dici che non abbiamo prove che la gestione privata sia migliore di quella pubblica. Può darsi, anche perché l'esperienza italiana al riguardo è molto limitata e non è detto che gli acquedotti dato in gestione costituiscano un unbiased sample. Ma qua la questione è diversa: è opportuno o meno lasciare spazio ai comuni per sperimentare? Da quel che ho capito la legge Ronchi non obbliga proprio nessuno a dare in appalto a privati la gestione della rete idrica. Chi pensa che sia opportuno lo farà, chi non lo pensa opportuno non lo farà. La legge stabilisce che l'appalto vada dato mediante gara. Ora, se pensiamo che un comune sia governato da ladri e cialtroni (e sì, alcuni lo sono) i quali cercheranno di dare l'appalto ai loro amichetti allora mi si deve spiegare a) perché tali ladri e cialtroni non possono al pari sfruttare la società pubblica b) perché l'obbligo di gara dovrebbe aiutare tali ladri e cialtroni nelle loro nefaste manovre, rispetto alla situazione attuale in cui possono dare la concessione senza gara . 

4) È tutto vero quello che dici sulla difficoltà di regolare un gestore in regime monopolistico soprattutto quando, in una prospettiva dinamica, occorre determinare gli investimenti. Ma lo stesso si applica alla gestione pubblica. Finanziare gli investimenti con la fiscalità generale per poi ignorare la remunerazione del capitale nella determinazione delle tariffe significa semplicemente vendere l'acqua sottocosto. Significa quindi fare un regalo a carico della fiscalità pubblica a chi usa l'acqua in modo massiccio. Non so esattamente chi siano i beneficiari di una simile politica, ma dubito fortemente che siano i poveretti che usano l'acqua semplicemente per bere e lavarsi.

Ma potreste piantarla di tirare in mezzo il pane? Per decenni il pane (quello nel formato piu' consumato nella provincia) e' stato venduto a prezzi calmierati, dal 1944 fino al 1993.

Tentativi di fare intervenire lo stato direttamente nell'ìindustria alimentare non hanno portato grossi benefici (Cirio e Motta vi ricordano qualcosa?) ne' ai consumatori, ne' allo stato.

Si dubita che la gestione dei privati possa portare beneficio ai consumatori. Sicuramente la gestione pubblica ha portato disastri negli ultimi 40 anni. E' meglio lasciare la gestione degli acquedotti in mano a chi ha fatto sempre e solo disastri (e quindi continuera' cosi'), oppure possiamo provare a cambiare radicalmente le cose, nella speranza che ci sia maggiore efficienza?

I controlli da parte delle USL e dell'ARPA. Secondo voi, l'ARPA competente, i cui vertici sono nominati dai politici, si "mette di traverso" alla societa' di gestione dell'acquedotto, i cui vertici sono nominati dagli stessi politici o parte un giro di telefonate per coprire i problemi e non mostrare che le scelte dei politici sono state inadeguate? Il conflitto di interesse dei politici responsabili della nomina dei dirigenti dei gestori degli acquedotti e della nomina di chi deve fare i controlli e' evidente e foriera solo di controlli ammorbiditi, mentre se chi controlla dipende dal pubblico, mentre chi gestisce dipende dai privati, questo problema di controlli aggiustat non c'e', perlomeno non per queste motivazioni.

Uno de due referdum sull'acqua, quello relatvo all'assegnazione dell'appalto, le ripercussioni ci sarebbero su tutte e municipalizzate, con grande gioia di Alemanno e della sua schiera di clientes.

Per questi motivi io non andro ' a votare a quel referendum, rifiutando di ritirare le scheda o restando a casa direttamente.

ps se qualcuno ritiene che gli acquedotti italiani siano gestiti bene, sappia che sicuramehte quello di Bologna e quello di Milano hanno pozzi che mettono in comunicazione tutte le falde, da quelle superficiali a quelle profonde (cosa che l'ARPA ora non ti lascia certo fare), non disdegnando a Bologna di pescare pure un po' di acqua termale e non ci sono i soldi per sistemare le cose. E non voglio parlare dell'acqua che si perde, sia per allacciamenti abusivi, sia per perdìte dovute alla vetusta' delle condutture.

 

ma in E.R. è privatizzata da tempo.

I servizi idrici sono gestiti da HERA quotata in borsa.

Conosci i giudizi degli utenti?

 

Grazie a Sandro per il link all'articolo di Marattin, che mi sembra chiaro anche se non esasustivo (sia lì che altrove sembra impossibile trovare un numero uno che permetta di capire la realtà della situazione, la grandezza delle inefficienze, la possibilità tecnica di superarle).

Detto questo e detto anche che, se fossi in Italia, di certo non voterei "Sì" ai due referendum (esattamente per le ragioni che Marattin chiarisce) vorrei però provare a fare qualche riflessione aggiuntiva perché mi sembra che la discussione sia, almeno in parte, fuori strada.

- Che l'acqua (potabile in casa) sia un bene economico, quindi scarso e costoso, non ci piove.

- L'analogia con il pane non è appropriata, per una semplicissima ragione: rendimenti di scala crescenti nella tecnologia di produzione/distribuzione. Quindi, retorica a parte, l'analogia corretta è con l'energia elettrica e/o con il servizio di telefonia fissa o di trasmissione dati via cavo. Come in questi casi la "parte cruciale" della tecnologia che produce/distribuisce l'acqua potabile è un monopolio naturale: difficile avere otto tubi di diverse compagnie di distribuzione che arrivano in casa con la scelta di aprire il rubinetto 5 se il prezzo di 5 è migliore in quel momento per passare poi al numero 3 il giorno dopo nel caso che i prezzi vari. Acquedotti paralleli sono, socialmente parlando, uno spreco gigantesco e quindi da evitarsi.

- Quanto sopra implica che (1) la concorrenza in questo mercato è impossibile e, (2) la regolamentazione pubblica del monopolista naturale è inevitabile. Insomma, la diatriba pubblico/privato è demenziale. Ma proprio demenziale-demenziale.

- Il problema è quindi complesso assai. Dove comincia il monopolio naturale? La questione è tecnologica e la risposta cambia al cambiare della tecnologia di potabilizzazione e trasmissione. Suppongo (a naso) che si potrebbe pensare ad un mercato quasi concorrenziale di "potabilizzatori" che hanno accesso a falde e pozzi da loro acquistati, che potabilizzano l'acqua e competono per portarla a "centrali di smistamento" dell'acquedotto dell'entità territoriale X (comune? area metropolitana? provincia? regione? boh ... parlino gli ingegneri!) dove inizia il monopolio naturale della distribuzione.

- Il problema quindi è di "disegno di meccanismi", due: uno per i potabilizzatori, che possiamo cercare di far concorrere uno contro l'altro, ed uno per la distribuzione, che vogliamo "efficiente".

Queste riflessioni suggeriscono che, eliminata l'ideologia, il problema economico serio è quello di disegnare i due meccanismi in questione. Per farlo cercherei di partire da quanto abbiamo appreso dal caso dell'energia elettrica, che mi sembra decisamente quello più appropriato.

Caro Michele, credo che l'analogia con l'elettricità funzioni solo limitatamente, per due ragioni: 1) nel mercato elettrico (dal punto di vista della struttura dei costi) la struttura dei costi è dominata dal costo del "bene", mentre in quello dell'acqua è dominata da quello dell'infrastruttura; 2) il mercato elettrico è per sua natura molto ampio (nazionale o internazionale) e quindi ha economicamente senso mettere in competizione diverse centrali o portafogli di centrali; il mercato idrico invece è intrinsecamente locale, quindi è più sensato trattare tutto il ciclo (dalla captazione alla restituzione all'ambiente dell'acqua usata e depurata) in modo integrato. In sostanza: per ragioni tecniche ed economiche, siamo di fronte a un monopolio naturale. 

Il problema, come è ovvio, sta (a) nella scelta del soggetto che gestisce l'infrastruttura (e investe nel suo sviluppo) e (b) nel disegno degli incentivi (incluso il rischio di perdere il diritto a riscuotere tariffe, a copertura dei tuoi costi operativi e remunerazione dei capitali investiti, nel caso tu venga ai tuoi obblighi contrattuali sanciti nella convenzione). La strada scelta in Italia con la legge Ronchi (peraltro già individuata nel ddl Lanzillotta dal governo Prodi, che però non lo approvò) è quella di mantenere pubblica la proprietà delle infrastrutture (e del bene acqua) affidando però a soggetti, indifferentemente pubblici o privati, la gestione. Il livello tariffario viene negoziato tra il soggetto concessionario e un'autorità di regolazione che, fino a oggi, è stata l'Autorità d'ambito territoriale ottimale (cioè i sindaci o loro rappresentanti) e, in futuro, potrebbe essere un regolatore più o meno indipendente e più o meno adeguato (questo è ovviamente un punto cruciale, ma non è oggetto del referendum).

Il problema non è, dunque, di per sé tra proprietà pubblica e privata, ma tra modalità di affidamento, meccanismi tariffari e di sorveglianza, incentivi, ecc. Nella sostanza, però, confesso di avere un pregiudizio a favore dell'affidamento privato per la banale ragione che il privato, male che vada, fa extraprofitti, che sono relativamente semplici da individuare, mentre il gestore pubblico la rendita di monopolio la traduce in costi più alti e/o nel perseguimento di fini politici su richiesta del sindaco di turno (per esempio investimenti inutili, assunzionid i personale incompetente o in eccesso, preferenza per i fornitori amici dei politici, ecc.). In più, il privato ha quanto meno un vincolo di bilancio da rispettare, il pubblico non necessariamente - e, paradossalmente, non potendo fallire è considerato un soggetto comunque liquido, quindi le stesse banche non esercitano pienamente la funzione di controllo che gli spetta.

Qualche numero, comunque, lo trovi qui:

http://www.oecd.org/document/26/0,3746,en_2649_37465_39255962_1_1_1_37465,00.html

http://www.rpieurope.org/Research/Report%20on%20Competition%20in%20Water%20Services.pdf

http://portale.unibocconi.it/wps/allegatiCTP/Water_Services_final_report_IEFE_5.pdf

E, per l'Italia, qui:

http://brunoleonimedia.servingfreedom.net/BP/IBL_BP_93_Acqua.pdf

http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=14652

una domanda...perche' nel petrolio a fronte di un 'oleodotto' esistono differenti 'produttori, lifters, investitori' che dir si voglia (pur avendo quasi sempre un solo operatore del terminale/oleodotto) e nell'acqua no, o almeno...non che io sappia. a me sembrano realta' assolutamente similari...sulla carta. sempre di pozzi, tubi, e serbatoi di stoccaggio si parla.

Non che la realta' del petrolio sia un modello di efficienza e trasparenza, ma monopolistico proprio no...basti pensare al North Sea.

Forse stavolta ho detto una cagata galattica?

Qui una bella lettura sulla mitologia del monopolio naturale sia sotto il profilo teorico sia sotto quello storico.

Purtroppo è l'ultima spiaggia per la statalizzazione dell'acqua nonostante sia la politica che oggi ne assicuri l'esistenza di quello legale

L'autore omette di dire che l'acqua é prima una risorsa naturale, come l'aria, non come il pane....Come tale é poi un bene pubblico con tutte le sue caratteristiche.

L'acqua dovrebbe essere non escludibile (non discriminare nessuno, non sul prezzo) e non rivale (chi ne consuma troppa anche a pagamento la esaurisce e c'è chi resta senza o la paga appunto di più perché scarsa). Come si evince da quanto sopra l'acqua é per lo men un bene economico un po' particolare...Mi ricordo in Africa il problema in un villagio di un proprietario di bestiame, appunto un capo villaggio, che per abbeverare il suo bestiame prosciugava i pozzi del villaggio...

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che riconosce l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari tra i diritti umani fondamentali...non esattamente come il pane...

 

A leggerti hai spiegato che l'acqua è un bene economico e non pubblico visto che chi la consuma esclude gli altri dal farlo. A dire il vero è ben difficile riuscire a trovare un bene pubblico visto che persino i fari erano costruiti per trarne un profitto e fu lo stato quando ne assunse la gestione e provocarne scarsità

L'ONU è quindi sulla giusta via per assetare un bel po' di gente :-)

1) l'acqua (potabile al rubinetto di casa) e' sia escludibile che rivale (come ti e' gia' stato fatto notare da phileas, l'esempio che porti conferma la cosa); che secondo te "dovrebbe essere" diversamente (e.g., non escludibile) non cambia cio che e'.

2) l'acqua (potabile al rubinetto di casa) non e' come l'aria; forse la pioggia e' come l'aria, ma portare l'acqua al rubinetto di casa ha anche bisogno di qualcuno che costruisca e operi reservoir, tubi, pompe, filtri, etc.

3) non far pagare l'uso di una risorsa scarsa porta sempre a sprecarla, quindi rendere l'acqua non escludibile significa far mancare l'acqua a qualcuno che ne aveva bisogno senza che ci fosse bisogno di fargliela mancare.

4) "l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari" puo' essere ottenuto in diversi modi, sia con proprieta' pubblica che privata; il problema e' come organizzare la cosa (vedi il commento di michele boldrin piu' sopra);

5) "una risorsa naturale e quindi un bene pubblico!!!" Really??? Sono non escludibili e non rivali anche il ferro, il platino, il carbone (anche nella forma di diamanti), il petrolio, ecc.? Anche se avessi inteso dire "bene prodotto dal settore pubblico", ma davvero vorresti nazionalizzare tutte le industrie estrattive? o magari anche la terra e l'agricoltura? 

O forse avevi lasciato il computer acceso e qualcuno a casa ti ha fatto uno scherzo.

Sembra un buon libro per chi vuole capire come far funzionare a gestione dell'acqua nei paesi in via di sviluppo.

Postp che il Noise viene dall''Amerika industrializzata, non sarebbe interessante sapere come funziona la gestione privata  pubblica del servizi di distribuzione dell'acqua in città come New York, Los Angeles , Ames , Parsippanny, MacMinnville , Philadelphia, Montoursville  o Saint Louis ("the Best Tasting City Water in America", wow)?

 

Domanda: il primo quesito riguarda la modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Ma sbaglio o questi non sono solamente le risorse idriche?

Non è che si stanno eliminando gli obblighi di gara anche per la gestione rifiuti, tanto per fare un esempio?

 

Non è che si stanno eliminando gli obblighi di gara anche per la gestione rifiuti, tanto per fare un esempio?

Buona domanda

Confermo: il primo quesito non riguarda solo l'acqua ma anche altri servizi pubblici locali, quali la gestione dei rifiuti e il trasporto pubblico locale, allontanando qualunque prospettiva di riforma. Il secondo, invece, è relativo solo all'acqua e dice che la remunerazione del capitale investito non può essere conteggiata in tariffa, ovvero che essa deve essere trasferita sulle finanze pubbliche (quindi fiscalità generale, fiscalità locale o debito). Va da sé che, in un paese con l'evasione fiscale che abbiamo in Italia, l'effetto - dal punto di vista redistributivo - è molto probabilmente regressivo.

Mi associo a Marco Ardemagni e altri sui dubbi sulla "privatizzazione" del servizio idrico.

I dubbi riguardano la legge, non il concetto pubblico-privato, che in questo caso, secondo me, non c'entra.

1. La gara. Non c'è alcuna indicazione su come dovrebbe essere svolta. Io, per esempio, avrei scritto che la gara è affidata a chi si offre di investire di più e far pagare di meno, perchè il concetto da cui si parte oggi è che il 40 % circa dell'acqua immessa viene persa, se investi è per recuperare quel 40 %, se recuperi quel 40 % non hai assolutamente bisogno di alzare le tariffe, anzi le devi abbassare. Di questo concetto non c'è traccia nella legge, tra l'altro per superare il referendum bastava indicare le modalità di gara in maniera minuziosa, invece c'è la genericità più totale. Allora io voto SI' all'abrogazione, perchè siamo in Italia, e non in Finlandia, perchè non è vero che gli Enti Pubblici possono fare quello che vogliono, essendo anche loro soggetti al Patto di Stabilità, e le assunzioni devono avvenire per concorso (teoricamente, come le aggirino non lo so).

2. La renumerazione del capitale investito. 

 

Il  quesito che sarà sottoposto a referendum abrogativo riguarda l’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto dell’adeguata remunerazione del capitale investito.

 

Tale renumerazione è fissata dalla stessa legge (?) al 7% annuo (non abroga la possibilità di fare debiti, chi ha scritto questo è fuori strada), e non capisco proprio perchè "investire nelle reti idriche", un'attività sostanzialmente priva di rischio, visto che se non paghi ti tagliano l'acqua e senza, pare, muori, debba rendere più dei titoli di stato portoghesi, in cui c'è un elevato rischio di default.

Allora, giusto parlare del "come vorremmo fosse", ma guardiamo ai fatti: i due quesiti riguardano aspetti cruciali del modo in cui si fanno gli affari in Italia: nessuna trasparenza e rendimenti più che garantiti, che i poveri cristi nemmeno si sognano.

Quindi, favorevoli al NO, non guardate il dito che indica la Luna, ma guardate la Luna: è giusto che un monopolio naturale sia gestito così ? Poca trasparenza e rendimenti (e che rendimenti !! il 7 % annuo!!) garantiti ? se è giusto, per favore non parlate più, ma proprio mai più, di Alitalia, Ferrovie, Poste, Banca del Sud, e qualsiaisi altra amenità partorita dai finti liberisti.

 

In realtà, se ho capito, il post di Sandro parlava del concetto pubblico-privato e di come si stava svolgendo il dibattito.

Se però vogliamo parlare del referendum sarebbe il caso di far chiarezza su cosa si vota con il SI' e con il NO.

E' vero quel che dice, in un commento sopra, Orazio Angelini? Riporto:

 

Se posso vorrei aggiungere una cosa che non è stata detta. In pratica comunque vada, anche se vincesse il si, non sarà proibito dare in gestione gli acquedotti ai privati. perchè la legge che vogliono abolire stabilisce solo che:

a) la prassi per la gestione degli acquedotti è l'affidamento con gara pubblica

b) le società totalmente pubbliche devono essere cedute per almeno il 40% delle quote a privati

c)si può andare in deroga ai punti a) e b) semplicemente segnalandolo con una relazione all'antitrust, che esprimerà un parere preventivo a quanto pare non vincolante (mi sono letto la legge da capo a piè, non v'è menzione di vincoli in questo senso).

la legge sta qui:

www.regione.calabria.it/ambiente/allegati/raccoltadifferenziata/documentazione/testo_art_23-bis_mod.pdf

mentre invece la possibilità di dare l'acquedotto in gestione ai privati è sancita dalla normativa UE sulla gestione dei servizi pubblici, e per questo il quesito referendario che la aboliva è stato rifiutato dalla corte costituzionale.

quindi che si stia fermando la privatizzazione è una balla pazzesca: quello che si ferma sono le gare pubbliche, ma se vogliono i sindaci possono dare in gestione a loro arbitrio a chi gli pare.

 

quindi, se questo è vero, il rammaricarsi Brusco dei toni demagogici con cui si è portata avanti la campagna referendaria mi sembra più che giustificato, perchè si andrà a votare una cosa ottenendone un'altra!

 

perchè siamo in Italia, e non in Finlandia,

 

Finlandia?

http://www.hsy.fi/en/abouthsy/decisionmaking/Pages/DesicionmakinginHSY.aspx

http://www.turunseudunvesi.fi/?pageKey=company

In effetti bisognerebbe fare un pensierino per fuori tutte le municipalizzate che distribuiscono acqua anche da lì.

 

 

 

e le assunzioni devono avvenire per concorso (teoricamente, come le aggirino non lo so).

 

prova a sentre all'azienda municipalizzata trasporti di Roma, dove gli amici del sindaco trovano una sicura poltrona quando sono a fine carriera.

 

 

marco esposito wrote:

2. La renumerazione del capitale investito.

(...)

Tale renumerazione è fissata dalla stessa legge (?) al 7% annuo

 

 

Per piacere, puoi indicare dove sta scritto che il rendimento è fissato al 7%? io mi sono spulciato varie leggi da capo a piedi e non ho trovato nulla, concludendo che questa cifra doveva stare in qualche comma sperduto e a me intellettualmente inaccessibile. Poi una persona che ritenevo attendibile mi ha spiegato che il 7% è un tetto massimo di rendimento, e non una cifra fissata a priori.

Se puoi indicarmi il riferimento preciso te ne sono grato, perchè sto redigendo un documento informativo e non posso scrivere nulla se non ho la certezza che sia vero - e riguardo a quanto dici, al momento, non ho fonti.

 

Un'altra cosa. Avevo perfettamente capito che la legge non abroga la possibilità di contrarre debiti, ma l'interesse sul debito non è considerato remunerazione del capitale investito? e se si, allora da dove dovrebbero venire questi soldi se non li si possono mettere in bolletta? La risposta a queste due domande mi aveva convinto che delle due l'una: o il capitale si remunera a suon di tasse, oppure la possibilità di fare debiti è abrogata "di fatto". sbaglio? (premetto che non sono un esperto di queste questioni, e ho molta difficoltà a informarmi a proposito)

 

EDIT: ho aggiunto la citazione, perchè se no non si capiva di cosa parlo, e una domanda in più.

 

Aggiungo anche io i miei dubbi. Mi par di capire che, almeno in parte, il ciclo produttivo/distributivo dell'acqua potabile e' un monopolio naturale: allora non solo il disegno delle norme e delle regolamentazioni e' fondamentale; lo e' parimenti anche l'applicazione delle stesse.

Il rispetto della durata e dei termini delle convenzioni nel nostro paese e' tutt'altro che ovvio.

Guardate questa puntata di Report: mi rifersico alla cattura del regolatore, al mancato rispetto dei termini contrattuali, alla diffusa illegalita' e impunita su cui gli imprenditori del gioco d'azzardo possono contare, alle proroghe delle concessioni senza bando pubblico, alle multe conseguenti che rischiamo di beccarci dalla UE per infrazione delle regole sulla concorrenza e che pagheremo con le nostre tasse.... Che questo accada per il gioco d'azzardo mi disturba assai. Che questo accada per la distribuzione di un bene primario come l'acqua, mi terrifica.

Non mi e' chiaro poi cosa si voglia privatizzare: la potabilizzazione? La distribuzione? Nel secondo caso, mi aspetto che la durata delle concessioni, su un bene a basso valore aggiunto, debba essere piuttosto lunga per giustificare gli investimenti anche ingenti per migliorare l'efficienza della distribuzione di una rete idrica piuttosto antiquata. Visto che di monopolio naturale si tratta, preferirei la gestione pubblica perche' gli amministratori pubblici li posso mandare a casa al piu' dopo 5 anni tramite il giudizio diretto degli utenti/elettori. Un privato che prenda una concessione ventennale, non lo schiodi piu'....

la norma sottoposta a referendum riguardo alla remunerazione del capitale investito (che deve anche coprire il costo degli eventuali interessi,se il capitale investito viene preso a prestito),non contiene il riferimento al 7%:quel riferimento è in un dpr approvato il primo agosto 1996 dal governo Prodi di allora (fimato,udite udite,proprio dal Di Pietro ministro dei lavori pubblici www.ato-bo.it/atoStore/File/Normativa/DM_1-8-96.pdf),che contiene il metodo normalizzato per il calcolo della tariffa (la norma sottoposta ad abrogazione dice solo che deve essere remunerato il capitale investito,non da una percentuale).

Si passa dall'analogia col pane all'analogia con l'elettricità...Il pane che sia anche un classico panino al prosciutto é un bene privato escludibile e rivale. L'elettricità era une bene pubblico o meglio definito quasi pubblico per di più in regime di monopolio. Ora con la liberalizzazione non lo é più. Ognuno puo' prodursi poi la propria elettricità. La trasmissione dati o la televisione via cavo sono non-rivale e escludibile, non certo un bene pubblico. Questo per dire che quello che fa la differenza é la produzione e quindi la struttura dei costi. Nelle analogie citate e non calzanti esiste la concorrenza nel mercato e sono appunto beni economici. Ora per l'acqua l'unica concorrenza possibile é per il mercato cioé per averne la proprietà, appunto tramite gare (ahimé da fare in Italia...allorché le più grosse aziende da coinvolgere sono straniere...). Vale la pena passare da un monopolio pubblico , ancorché locale, ad uno privato? Guardando all'estero e alla gestione pubblica dei servizi idrici pare di no. Anzi chi come Parigi aveva privatizzato ha fatto marcia indietro...E dove funziona bene (Olanda, Svezia, ecc.) la gestione é pubblica.

Non vuoi/puoi proprio capire, vero?

Ti rendi conto che hai scritto una sequenza di insensatezze?

No? Allora lasciamo stare, che è meglio.

P.S. E tu, secondo la tua pagina web, saresti un economista ... Ma dove hai fatto finta di studiare?

 

La concessione ai privati a Parigi finiva nel 2009 e hanno deciso di non uscirne. Secondo quanto dicono loro la bolletta era aumentata del 200% (dal 1984 però..detto così ha poco senso anche perchè non si sa di quanto siano aumentate le altre bollette) e la condizione del servizio idrico era buona (negli ultimi tempi un po' meno perchè si sapeva della decisione di rimunicipalizzare il servizio e quindi i privati non ci hanno investito più di tanto).

 

La cosa che non capisco è quando Anne Le Strat dice:

"Abbiamo stabilizzato il prezzo dell’acqua grazie ai guadagni economici della gestione pubblica, e l’abbiamo abbassato, mentre negli ultimi 25 anni aveva subito un rialzo del 200%."

 

Cosa sono questi guadagni economici della gestione pubblica?  E poi, ma non sono loro che dicono che l'acqua non deve portare profitto? 

Scusa ma hai idea di cosa sia un bene pubblico?

L'elettricità non è un bene pubblico: se un cliente finale non paga può essere "staccato" ed escluso dal consumo (con i contatori telegestiti è ancora più facile, non c'entra nulla la liberalizzazione).

La televisione terrestre invece è un bene pubblico: se un utente ha un televisore e un'antenna, come gli impedisci di guardare i canali in chiaro? L'unico modo è piombargli in casa e portargli via la TV. E' proprio per questo motivo che il servizio non può essere prezzato (non puoi impedire di consumare a coloro che non pagano) . Se la tecnologia lo permettesse anche la televisione via cavo cesserebbe di essere un bene pubblico.

Un bene non nasce pubblico o privato, dipende dalle caratteristiche tecniche relative alla sua fornitura che cambiano con il progresso tecnologico.

Forse confondi il concetto di bene pubblico e con quello di servizio di pubblica utilità...

Mi sa che le insensatezze le state scrivendo voi sedicenti economisti accademici, certo ci mettete la firma di professors... Evidentmente qualcuno vi deve rifare un corso per la definizione di bene pubblico e costi di produzione e struttura in regime di monopoli più o meno naturali. Sarebbe stato interessante rispondere nel merito...con esempi e invece si passa subito alle fallacie all'italiana...too much noise...anche se si vive oltreoceano...

Hai argomenti? Esponili.

Per il momento stai solo facendo vuota polemica e scrivendo cazzate incoerenti.

Davvero vuoi che perda tempo a spiegarti che parli a vanvera? Basta uno studente del primo anno di dottorato (purché non sia nello stesso posto dove hai studiato tu, temo) per spiegarti l'ABC che evidentemente non sai.

Ma ho imparato da tempo che con quelli come te non c'è via d'uscita: non so se è perché non potete ma di certo capire non volete.

Anyhow, se mi avanzano due minuti domani che sono in maledetta judy duty ti spiego dove sono le tue cazzate. Nel frattempo, pensaci: magari le trovi da solo.

a costo di perdermi un potenziale dibattito comico tra MG e phileas vorrei fare notare che si sta facendo una grande confusione tra:

a) beni di proprieta' pubblica, e

b) public goods e derivati (nel senso classico in economics)

ci sono beni di proprieta' pubblica che sono privati perche' escludibili (che vuol dire potenzialmente escludibili) e rivali, come le natural resources, e beni di proprieta' pubblica che sono public goods* 

penso che a questo punto siamo tutti d'accordo che l'acqua possa considerarsi un bene privato a proprieta' mista, sia pubblica che privata. a mio avviso e' proprio sulle conseguenze in termini di equita' (to be defined) del fatto che molta acqua sia proprieta' pubblica che potrebbe esserci da discutere. ma il discorso e' piu' sottile e we are not yet there.

a quanto sopra si aggiunga che la distribuzione dell'acqua (non l'acqua stessa) e' un monopolio naturale. ma questo aspetto credo possa essere accantonato. la soluzione standard gia' menzionata varie volte e' la regolamentazione dei prezzi di trasporto al fine di evitare l'esercizio del potere di mercato (pubblico o privato come ricordava nel suo chiaro intervento Stagnaro).

 

*nota: la tassonomia dei public good non mi e' mai piaciuta ed e' alquanto artificiosa. per esempio, pressoche' tutti i beni per esempio sono escludibili, dipende a che costo.

 

Non è vero ! L' acqua è un dono di Dio! Anzi, per il Vaticano, dell' Italia: quando l' ACEA si quotò, come contribuenti, abbiamo saldato € 25 milioni di arrtetrati che la santa sede aveva per forniture e depurazione. Certo che hanno orrore del mercato: col mercato i giardini vaticani si sarebbero diovutamente seccati.

E' solo a me che la societa' mista sembra un' assurdita'?

  • in quanto partecipata dall' ente pubblico otterra' la gestione del servizio a prescindere, pure se confondesse acquedotto e fognature
  • i soci privato godranno del monopolio indiscusso grazie al punto precedente

Quale vantaggio dovrebbero portare questi soci privati? Finanziamenti? Un monopolista pubblico non dovrebbe aver problemi ad ottenerli dalle banche.

Non sei solo, pare lo stesso anche a me Marcello.

Solito fenomeno italiano: l'esistente fa schifo perché c'è sotto il trucco di quelli che ci marciano. L'alternativa fa schifo pure perché basata su follie ideologiche.

Avanti così.

Nessun vantaggio per il consumatore. Questa cosa la vedo come un accordo di scambio fra politici e imprenditori: i primi si ritrovano un bel ufficio di collocamento per parenti/amici (o per se stessi se trombati), i secondi una mucca da mungere per un servizio a cui difficilmente si puo rinunciare.

 

sia la Ronchi,sia la normativa europea,prevede la gara per la scelta del socio privato nella società mista.

scusate ragazzi ,intervengo nella discussione chiedendo spiegazioni ad uno dei tanti prof di economia,in quanto la delicatezza del tema merita quante piu informazioni corrette possibili.mi scuso in partenza per il fatto che causa scarsità di tempo non ho potuto informarmi approfonditamente,  e quindi magari pongo questioni sulle quali  avrete potuto già  esprimervi

consideriamo  l'acqua  un bene privato  che venga scambiato attraverso le regole del libero mercato,in questo caso anche in presenza di un mercato perfettamente concorrenziale non resterebbero esclusi ugualmente  quei consumatori che non avessero la capacità di acquisto per soddisfare tutti i loro bisogni?a meno che il prezzo il prezzo di vendita non sia così basso da assicurare a tutti l'accessibilità a tale bene

nel caso il bene venisse prodotto e distribuito da un 'azienda monopolistica  pubblica  permettendone il consumo a chiunque ne faccia richiesta,a prescindere dalle capacità d'acquisto,le perdite di quella azienda,finanziate dalla fiscalità generale ,non sarebbero comunque minori delle esternalità negative prodotte da quei consumatori esclusi a cui faccio riferimento nel caso a?

quindi a mio parere la questione dovrebbe diventare :come rendere piu efficiente la produzione e la distribuzione e l'utilizzo?l'ente erogatore non potrebbe fissare delle quantità di consumo   sulla base di determinati criteri,non so,mediamente quanto consuma un abitazione composta da 1,2 ,3 4,5,ecc, individui?un altro criterio potrebbe essere rappresentato dalla grandezza dell'abitazione ? in maniera tale da responsabilizzare i consumatori?

 

domande legittime la cui risposta temo sfugga a molti prof di economia presenti qui e altrove....

Potresti avere ragione oppure torto se costi e benefici fossero comparabili tra individui diversi. Il fatto è che un costo è sempre un costo opportunità cioè il beneficio mancato riveniente dall'impiegare una risorse in un modo anzichè in un altro.

Qui pero' la domanda mi sorge spontanena: sino a che punto la società dovrebbe "permettere" a chiunque di accedere all'acqua "a prescindere dalle capacità di acquisto". Se io decido di vivere su una bella isola magari deserta, tu dovresti essere chiamato a pagare per fornirmi l'acqua? Posso scegliere io la modalità (acquedotto anzichè nave cisterna)?

io ci provo a dare una risposta, senza pretese, per carita', che non mi sembrano domande dell'altro mondo.

non resterebbero esclusi ugualmente  quei consumatori che non avessero la capacità di acquisto per soddisfare tutti i loro bisogni?

costantino, bene pubblico e bene privato hanno una precisa definizione in questa discussione, vedi commenti sopra. riconoscere che l'acqua e' un bene non "pubblico" (nel senso di escludibile e rivale) non significa che la si puo' "produrre" e "vendere" (nel senso di renderla potabile e portarla nelle case della gente) come si producono e vendono le biciclette, cioe' con produttori privati in regime di concorrenza. vedi la discussione sopra sul significato di monopolio naturale: gestita da un soggetto pubblico o privato, il mercato dell'acqua sara' sempre regolato. lo scenario in cui qualcuno non puo' lavarsi, bere e annaffiare i fiori perche' l'acqua, pur abbondante, costa troppo a causa dell'avido monopolista che come l'OPEC chiude i rubinetti per massimizzare il profitto e' semplicemente ridicolo.

questo risponde anche alla seconda domanda.  e la terza dice:

l'ente erogatore non potrebbe fissare delle quantità di consumo medie sulla base di dterminati criteri

se fosse facile farlo l'unione sovietica sarebbe oggi il paese piu' ricco del mondo: e' impensabile che un'autorita' centrale (al di fuori della famiglia, forse) possa stabilire efficientemente chi deve consumare quanto (anche di acqua). i requisiti informativi sono pressoche' divini -- questi si dell'altro mondo.

 

 

l'ente erogatore non potrebbe fissare delle quantità di consumo   sulla base di determinati criteri,non so,mediamente quanto consuma un abitazione composta da 1,2 ,3 4,5,ecc, individui?un altro criterio potrebbe essere rappresentato dalla grandezza dell'abitazione ? in maniera tale da responsabilizzare i consumatori?

 

il ricordo mi commuove, anche mia nonna usava gli stessi argomenti per le partite di calcio, di cui non capiva che era l'agonismo il solo mezzo a generare, non sempre, il fine dell'alto livello tecnico e del bello spettacolo. auspicava che l'arbitro favorisse l'accordo fra le squadre, un gol a testa, a ciascuno secondo i suoi bisogni, cose del genere.

stabilito, una volta per tutte, dal comitato di probiviri che ho diritto  a n docce a prezzo calmierato, se la mia igiene personale fosse deprecabile andrebbero sprecate, mentre il mio vicino-buonino non avrebbe la possibilità di curare il giardino come vorrebbe. l'odioso, ai più, mezzo del prezzo di mercato consentirebbe a Homer di vendere la sua acqua a Flanders, senza sprechi. e soprattutto gli enti erogatori, o aspiranti tali, spinti dalla ricerca del profitto e dal timore di perderlo, si darebbero da fare a contenere le spese, a programmare investimenti di lungo , a correggere per tempo gli errori di programmazione:-)  a seconda degli sviluppi futuri della tecnica o del cambiamento della domanda ecc.

che sia facile da fare per gli acquedotti, non è affatto chiaro, però provarci, no? lo stato di fatto attuale è  molto sospetto di inefficienza, e comunque lo si può sempre  ripristinare in un attimo.

 

Aspettavo un articolo del genere da settimane per chiarirmi le idee , invece la discussione mi sembra oziosa (come le ruote ... ).

A me servirebbe avere un punto di partenza. Ovvero se vincono i no al referendum come rimane la situazione in Italia ? Cosa il Pubblico e il Privato possono fare ?

Il problema dell'acqua mi sembra diviso in due parti :

1) Il prelievo mi sembra regolato da concessioni : a chi rimangono le concessioni ? 

2) Le infrastrutture per portare il prelievo a noi.
Oggi come oggi queste infrastrutture sono di proprietà pubblica ( almeno così credo ) . Quindi un azienda che prende in gestione un sistema di infrastrutture ne diventa proprietaria ? Paga quest'infrastruttura ? Chi fissa il prezzo ? Se non rispetta alcune regole può essere espropriata in futuro ? Se danneggia l'infrastruttura paga una penale? Gli investimenti che farà su queste infrastrutture rimarrano di sua proprietà anche nel caso perdesse il rinnovo della"gestione" ? oppure può essere espropriata anche di questo ?

 

Secondo me , le domande che mi pongo sono le stesse che si dovrebbe porre anche un eventuale azienda intenzionata ad entrare in questo mercato delle gestioni dell'acqua.

 

 

incidentalmente, tutto il dibattito sembra condizionato da alcuni "blind spot".

Voerò sì ai referendum, ma non credo alla retorica sull'acqua dono di Dio ecc. L'acqua per gli usi civili entro un certo importo è un diritto. Non solo senz'acqua si muore, ma senza abbastanza acqua per usi sanitari si compromette l'igiene pubblica. Però questo non vuol dire che l'acqua debba essere gratis, e dietro c'è tutta una filiera di captazione, potabilizzazione, distribuzione, riciclaggio, che non è gratis. 

Invece è sicuramente un bene economico e un fattore di produzione l'acqua per usi agricoli e industriali, dove si potrebbero fare due ragionamenti opposti e egualmente validi:

tenere basso il prezzo dell'acqua perché riduce i costi di produzione dell'agricoltura e dell'industria;

tenere alto il prezzo perché stimola al risparmi e all'efficienza nei processi produttivi

Due domande forse stupide:

1) L'acqua adesso è gratis?

2) Se non pago la bolletta me la danno comunque?

Perché se la paura è che una volta data in gestione la distribuzione ai privati il prezzo aumenti troppo si può sempre prevedere un buono acqua che il comune darà ai bisognosi e la possibilità ogni X anni di mandare a quel paese il privato troppo "avido".

Perché se la paura è che una volta data in gestione la distribuzione ai privati il prezzo aumenti troppo si può sempre prevedere un buono acqua che il comune darà ai bisognosi

a parte la macchinosità del tutto, scommettiamo che poi il buono se lo prende il gioielliere che ci lava il SUV?

Il problema centrale rimane quello: ammesso che il modo meno costoso per garantire la fornitura d'acqua sia l'appalto a gara competitiva della concessione, come si fa a rendere effettivamente competitiva la gara? Mi sembra che ci sia l'assunzione che a ogni gara si presenteranno soggetti diversi in concorrenza tra di loro, ma è realisitico? O non è più realistica una situazione di oligopolio collusivo in cui poche grandi società si spartiscono il mercato?


Sono riuscito a ritrovare una bella lettura su cosa ci sia all'origine dei monopoli "naturali". Questa volta sulla telefonia ma ne ricordo una anche sull'elettricità

Mi sa che non è tutto così scontato

 

L'acqua è un bene pubblico.

Non c'è dubbio su questo aspetto della facenda e il fatto che Parigi sia tornata sui suoi passi è perchè il privato ha esagerato con le pretese.

D'altronde, è naturale. Un azienda privata è costituita per fare utili. Raramente, si ricorda di avere una mission che possa avere un senso per mobilizzare i propri dipendi al raggiungimento di un obiettivo, preferibilmente ambizioso.

Lascio anche completamente stare il discorso degli Stake Holders.

Negli anni 80 e 90 , in Francia, abbiamo asssistito a massice privatizzazioni del "bene pubblico" e ci siamo innervositi non poco alla lettura delle bollette degli anni successivi. I rincari erano esponenziali, e c'è ben poco da dire che bisogna valutare il costo dell'acqua di partenza (nel senso, se prima era giusto) per verificare se i rincari erano giustificati.

Io, all'epoca che potevo anche esercitare la mia nascente curiosità per la collettività, mi chiedevo: "il gusto e la purezza dell'acqua non sono mica migliorati nelle stesse proporzioni in cui mi fanno schizzare i prezzi.." e in effetti, era un sentimento molto diffuso che questi rincari non erano affatto giustificati, nel senso che non c'erano investimenti cosi importanti da giustificare il fatto che il costo dell'acqua fosse molteplicato più volte.

Il passo successivo alla privatizzazione dell'acqua è quello dell'aria, perchè dopo non c'è più niente altro su cui mangiare!

Come sempre, osservo che spesso si vuole percorrere le strade già percorse dagli altri, e magari con la pretesa non legittima di poter commettere gli stessi errati ragionamenti dopo aver beccato le simile fregature. Onestamente, non vedo grande utilità al percorso nel suo insieme: l'acqua di tutti dovrebbe essere tutelata da ns rappresentanti.

Peccato pero' non chiudere con: "lo stato siamo noi"

 

 

Il passo successivo alla privatizzazione dell'acqua è quello dell'aria, perchè dopo non c'è più niente altro su cui mangiare!

 

Qualcuno ci fece un film italiano già nel 1994

http://www.imdb.com/title/tt0111296/plotsummary

 

 

 

 

 

 

 

Il passo successivo alla privatizzazione dell'acqua è quello dell'aria, perchè dopo non c'è più niente altro su cui mangiare!

 

Con i certificati verdi e con le future probabili tasse sulle emissioni di CO2 la direzione è proprio quella. Non una privatizzazione ma la mano al portafogli ce la faranno mettere.

 


EDIT: Boh.. c'è finito qua il post...

 

Ma era diretto a me?

Capisco che Mario Merola sindaco di Bologna sia un trauma, ma ci dai delucidazioni sui costi di potabilizzazione, di rete idrica, così (me per primo) smettiamo di dire fregnacce ?

Guarda che se non intervieni a Siena ti metto l'acido solforico nel serbatoio della moto -).

Non sono Gilberto, come è ovvio. Tuttavia ho qualche limitata cognizione di causa e mi permetto di insistere su questo punto, che ho - sembra inutilmente - già sottolineato: non si può parlare di costi parametrici di potabilizzazione e di rete idrica nella situazione italiana che vede un'infinità di reti di diversissime caratteristiche, ampiezza, età etc. etc.

Il costo di una rete non è parametrizzabile perchè dipende dalla sua estensione, dall'alimentazione (pozzi, sorgenti, fiumi etc.) dall'altimetria, dalle caratteristiche del suolo. Analogamente il costo della potabilizzazione varia enormemente sia per il fattore di scala che per le caratteristiche della materia prima.

Costruire o ristrutturare un acquedotto, o razionalizzare una rete accorpando (se ragionevole) alimentazione, bacino etc. è un intervento che può essere valutato seriamente in termini di investimento necessario solo se lo si progetta nel suo contesto. E salvo casi geograficamente molto simili (pianure alluvionali di identica idrologia) i progetti delle opere di ingegneria civile sono molto raramente replicabili.

GD

Ben tentato Phileas, però troppo semplice attribuire al privato il senso del collettivismo non mercantilistico, che sarebbe un bel paradosso.

Trattare le perdite, e come lo dici molto giustamente, misurarle, individuarle, non c'entra niente con la fatturazione del servizio: parliamo di volumi e basta.

La resa di una rete, nel senso volume di acqua che passa nella rete e volume complessivo di acqua fatturata agli utenti, non è un indicatore squisitamente riservato ai privati. Anzi, se ne infischiano proprio, fino a quando l'acqua non viene a mancare del tutto, perchè, sennò, come fanno a fatturare l'acqua agli utenti?.

Invece, la colletività spera proprio non dover sprecare questa risorsa per via della condizione della rete stessa.

Dopo, mi allaciavo (visto che siamo in tema :) ) al discorso dei paesi cosidetti civili, perchè di + civile di quanto possiamo osservare qui, in modo spontaneo, non c'è niente: c'è stato un processo lungo e pesante di educazione del singolo al rispetto del bene comune, con le buone e le cattive.

Questo è un fatto semplicemente misurabile  a livello delle campagne governative per questi comportamenti: n° di campagne, n° di passaggi in tv, radio, 4x3 e cosi via. Adesso provate a ricordarvi delle campagne governative focalizzate sul miglioramento del comportamento dei cittadini...

Stavo leggendo i commenti all'articolo di Boitani e Massarutto sulla Voce e ho trovato opinioni contrastanti sugli effetti legali complessivi di un eventuale successo del Sì.

c'è chi afferma che

abrogando il 23 bis lasceremmo il nostro ordinamento privo di una normativa nazionale su TUTTI i servizi pubblici locali con conseguente ritorno alle normative previgenti non compatibili con le direttive comunitarie sugli affidamenti con il rischio di una(ennesima) procedura di infrazione nei confonti dell'italia in questo settore. Il 23 bis è frutto di una travagliatissima evoluzione normativa che parte dalla legge 142 del 1990 e che consente al nostro ordinamento di essere finalmente in liea coi paramentri comunitari ed abrogarla sarebbe un errore.

e invece altri sostenevano che comunque il principio della messa a gara dei servizi, previsto nelle normativa europea continuerebbe ad applicarsi agli altri servizi. Quale sarebbe l'ipotesi più ragionevole?


Provo ad inserirmi qui , è il terzo tentativo che faccio , qui sotto cito me stesso del 16 e 17 maggio . Forse non sono stato visto o forse ho stufato. Se ho stufato , ditemelo per favore...

Ovvero, la prima domanda da farsi è : se vince il no , cosa succede ?

Chiedo scusa se mi cito ,ma sembra che nessuno ha visto quello che avevo scritto ieri alle 17.12 e mi sembra che tu abbia voglia di informare. Qui sotto trovi le mie perplessità
 
A me servirebbe avere un punto di partenza. Ovvero se vincono i no al referendum come rimane la situazione in Italia ? Cosa il Pubblico e il Privato possono fare ?
Il problema dell'acqua mi sembra diviso in due parti :
1) Il prelievo mi sembra regolato da concessioni : a chi rimangono le concessioni ? 
2) Le infrastrutture per portare il prelievo a noi.
Oggi come oggi queste infrastrutture sono di proprietà pubblica ( almeno così credo ) . Quindi un azienda che prende in gestione un sistema di infrastrutture ne diventa proprietaria ? Paga quest'infrastruttura ? Chi fissa il prezzo ? Se non rispetta alcune regole può essere espropriata in futuro ? Se danneggia l'infrastruttura paga una penale? Gli investimenti che farà su queste infrastrutture rimarrano di sua proprietà anche nel caso perdesse il rinnovo della"gestione" ? oppure può essere espropriata anche di questo ?
 
Secondo me , le domande che mi pongo sono le stesse che si dovrebbe porre anche un eventuale azienda intenzionata ad entrare in questo mercato delle gestioni dell'acqua.
 
 
Aggiungerei quanto durano le concessioni ?
Vedo che tanti si propongono di disegnare il miglior meccanismo economico-politico per far arrivare l'acqua alla popolazione , mi accontenterei di capire cosa succede e cosa mi aspetta nel mio paese.
 
La mia posizione è del tipo di quella di Marco Esposito. Confesso che non ho ancora letto il documento linkato da Marco , vado ad intuito. 

 

Aspettavo un articolo del genere da settimane per chiarirmi le idee , invece la discussione mi sembra oziosa (come le ruote ... ).

 

 

Marco, confesso che questo è il post di nfa su cui ho speso più tempo da quando ho iniziato a frequentare il blog. E confesso anche di essere passato da un "sì" istintivo e vittima della "propaganda", a un blando e sofferto "no", peraltro ancora ampiamente challengeable.

Avevo trovato il riassunto di Orazio Angelini, più sopra, abbastanza utile e mi ero basato su quello nel delineare le eventuali conseguenze di un sì, ma ora mi accorgo che ci sono alcune piccole precisazioni da fare e dubbi ancora aperti. Spero di avere capito bene e di riuscire a spiegarmi bene (qui parlo solo del primo quesito). 

Il primo quesito referendario punta ad abrogare l'Art. 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112, (confluito poi attraverso alcuni passaggi e modifiche successive nell'art.15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135 e poi nella legge 20 novembre 2009, n.166 il cui testo definitivo è quello risultante dalla sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale).

Se ho capito bene in estrema sintesi la legge al comma 2 prevede che la gestione dei servizi pubblici venga conferita in via ordinaria A) a privati tramite gara oppure B) a società miste a partecipazione pubblica e privata, in cui il socio privato venga scelto sempre tramite gara e abbia almeno il 40% delle quote. 

Però in situazioni eccezionali (peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali, geomorfologiche, vedi comma 3 e comma 4) in deroga a quanto sopra l'affidamento può avvenire  C) a una società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale. Attenzione: In questo caso non si fa riferimento a gare, ma solo all'obbligo della relazione all'Antitrust. Giusto?

Mi sembra quindi, ma sono disposto a cospargermi il capo di cenere qualora sbagliassi, che non sia del tutto corretto dire, come fa Angelini, che con la vittoria del sì "che quello che si ferma sono le gare pubbliche, ma se vogliono i sindaci possono dare in gestione a loro arbitrio a chi gli pare".

Perché già ora con la Legge Ronchi, sia pure in casi eccezionali, nel caso C) l'affidamento in house viene fatto senza alcuna gara. Quindi le gare si fermano negli altri casi, mentre nel caso C) si fermerebbe solo l'obbligo della relazione all'Antitrust e gli altri obblighi minori del comma 4 (vedi testo qui), ma non le gare. Giusto?

E poi l'eventuale vittoria del sì come spiegano Boitari e Massarutto sulla voce.info "riporterebbe in vigore le normative pre-vigenti" secondo le quali " la possibilità di affidamento dei servizi in house, al di fuori di un chiaro quadro di regolazione, era assai più ampia". Più ampia non significa obbligatoria!

Quindi, in altri termini: se ho capito bene qualora vincesse il sì, un "sindaco" particolarmente illuminato potrebbe lo stesso, senza alcun obbligo di doverlo fare, indire una gara per l'assegnazione dei servizi idrici a soggetti privati. O sbaglio?

 

O sbaglio?

 

Sbagli, anche tu vittima della propaganda. Mi ripeto: la sentenza della Corte Costituzionale sull'ammissibilità del quesito dice chiaramente che se vince il Sì in Italia entrerebbe in vigore la normativa comunitaria, cui la Legge Ronchi si riferisce, che prevede la gara e/o società consortili, oltre a varie deroghe, per la gestione della rete idrica. La Legge Ronchi, in particolare l'Art. 23 bis (ma nessuno si pone la domanda: perchè bis ? Perchè quest'articolo fu posto dopo...) prevede SOLO la gara fra soggetti di diritto privato.

Certo, la gara è ancora possibile, ma è una scelta del sindaco (illuminato ??), di cui poi risponderà ai cittadini, con la Legge Ronchi nessuna scelta: gara e basta. Gara i cui criteri sarebbero completamente in mano ai sindaci, poichè la legge non stabilisce alcun criterio per la gara, così, per esempio assurdo, a Milano la Moratti potrebbe indire un bando di gara di questo genere: Società con ventennale esperienza nel settore della distribuzione tramite condotte di liquidi in genere, che siano operanti in più paesi, e abbiano esperienza di stoccaggio di liquidi, oltre che della depurazione degli stessi, e siano quotate alla Borsa di Milano. A questo bando manca solo il nome del destinanatario, lo aggiungo io: SARAS. Ok, è per assurdo, ma senza linee guida tutto è possibile in Italia.

E allora meglio la normativa comunitaria (che entrerebbe automaticamente in vigore: leggetevi la sentenza della Corte Costituzionale!), che lascia la responsabilità "politica" della scelta: gara, consorzio, in house (in particolari condizioni). Io voto Sì.

 

Ciò non significa, però, che alla Corte sia inibita l’individuazione della cosiddetta normativa di risulta conseguente all’abrogazione referendaria. Al contrario, l’individuazione di tale normativa è necessaria per valutare se essa comporti un significativo inadempimento di specifici ed inderogabili obblighi internazionali, comunitari o, comunque, direttamente imposti dalla Costituzione (sentenze
n. 35, n. 20 e n. 19 del 1997, n. 35 e n. 17 del 1993, n. 27 del 1987). In tali ipotesi, sempre nell’àmbito del giudizio di ammissibilità del referendum, la normativa di risulta va sottoposta da questa Corte non già ad un pieno ed approfondito scrutinio di legittimità costituzionale, ma ad una mera «valutazione liminare ed inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme
costituzionali, al fine di verificare se […] il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all’applicazione di un precetto costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005,confermata dalla sentenza n. 15 del 2008) o di una norma comunitaria direttamente applicabile.
Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto,meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica. Ne deriva l’ammissibilità del quesito per l’insussistenza di impedimenti di natura comunitaria.

 

Pag. 6 del documento linkato (visto che nessuno se lo è letto). Più chiaro di così...

 


Spostato. Per favore admin, cancella questo post

 

dopo aver letto gli ultimi commenti sono molto perplesso, io nel mio piccolo ho cercato di informarmi sui quesiti relativi all'acqua, facendo riferimento a fonti che reputo affidabili (nfa, la voce, ibl ecc), e mi ero facilmente convinto per il NO dal momento che le tesi dei promotori sono pura follia ideologica. eppure a quanto pare anche gli argomenti a favore del no escono malconci dagli ultimi sviluppi della discussione. 

Marco, io ci volevo fare un post sull'acqua, poi ho capito che è inutile perder tempo: l'ideologia supera le idee,

perché inutile? a me sembra davvero preoccupante che ci sia così poca informazione valida su questo argomento. ripeto, io ci ho messo almeno un minimo di interesse e di sbattimento, eppure non è semplicissimo formulare una preferenza in queste condizioni.. penso che se c'è confusione anche su siti e fonti "specialistiche" come può essere NfA, non voglio immaginare in base a quali deliri gli italiani andranno a votare.

se tu o gli autori di nfa scriveste un post riassuntivo, che permettesse di distinguere gli argomenti validi da quelli ideologici e/o non rilevanti, imho sarebbe una cosa utile, anche per linkarlo in giro e tentare di diffondere un po' di informazione sensata dato che siamo a poche settimane dal voto..

:ciao:

 

Mi aggiungo alla richiesta di Giovanni. Anche io stavo semprepiù intraprendendo la strada verso il NO, ma gli ultimi commenti di MARCO ESPOSITO mi hanno destabilizzato.

Perche non dai luogo alla tua intenzione di scrivere un post sul tema, chiarendoci (defnitivamente?) le idee su questo tema?

 

Grazie

Purtroppo, è sempre cosi, in sede di applicazione di una legge europea: si va avanti con un bel pò di ritardo (leggi del 92 e 93!!!) e si cerca di inserire personalizzazioni specifiche locali: il  7% di rendimento, non lo da nessuno.

Chiaramente, il Si diventa una beffa annunciata, il No masochismo puro.

Praticamente, il No dovrebbe essere votato da titolari e dipendendi delle aziende "pronte" ad inserirsi sul nuovo mercato creato a tavolino. Cosi andiamo a scoprire che saranno tantissimi!

Il 7% per quanti anni ?

Se ho una gestione per 10 anni , al tempo 0 faccio un investimento di 1.000.000 di Euro in tubazioni. Magari poi li ordino ad una ditta amica , in realtà il vero valore delle tubazioni è 900.000 Euro e così 100.000 Euro tra me e i miei amici li intascheremo con comode rate aggiuntive del 7% fino a .... vedi sotto ....

Alla fine dei dieci anni però avrò incassato solo 10 x 70.000 = 700.000 Euro e quindi chi subentra ha diritto ancora a 70.000 Euro per altri dieci anni e così avanti per milleni ? oppure alla fine dei dieci anni sono proprietario in ogni caso della tubazione?

Ho scritto dieci anni perchè mi sembra l'ordine di grandezza che si vuol dare a queste "gestioni".

Io darei gestioni ( whatever it means gestione ) di un anno solo.

 

Poi ogni tanto comprerei, .... scusate farei un investimento , qualche pompa , qualche filtro , un po di valvole , non servono ma tanto se investo poi mi danno il 7%....

Guardate che c'e' una letteratura immensa su Rate of Return regulation, non e' una fesseria che si sono inventati i legislatori italiani. 

Si puo' discutere se il 7% sia troppo (mi dicono che in UK e' attualmente il 5.4%) e se il rendimento debba essere determinato dal regolatore/legislatore o dagli esiti di un asta (con un massimo pre-stabilito, magari legato al costo atteso della gestione in-house), ma il capitale investito va remunerato, sia se e' capitale pubblico che privato. In ogni caso, direi che e' meglio se questa remunerazione va in bolletta che se le tasse corrispondenti sono nascoste nelle pieghe dei bilanci comunali.

C'e' anche un po' di letteratura sulla durata ottimale delle concessioni - un anno e' quasi sicuramente troppo poco.

La discussione ferve, ma le risposte sono altrove. Consiglio l'articolo di Boitani e Massarutto su la voce.info e la risposta ai commenti.

Stavo per consigliarlo anch'io: questo il link all'articolo. E questo il link all'inequivocabile risposta ai commenti. Con buona pace di tutte le pretestuose inesattezze - quando non frottole belle e buone -  che si sentono/leggono in giro, e che paiono aver convinto persino alcune persone normalmente molto più attente ai fatti. Dal che deriva che l'unica scelta razionale è non andare a votare: è triste doverlo dire, ma è così.

Mi dispiace dover affermare che anche La Voce è incappata nell'errore di tutti:

 

referendari pensano all’acqua, però l’abrogazione della legge riporterebbe in vigore le normative pre-vigenti non solo per i servizi idrici, ma anche per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti

 

Questa affermazione è falsa, la Corte Costituzionale ha scritto chiaramente nella sentenza che non si torna alle norme precedenti, ma entra in vigore in Italia direttamente la normativa europea.

Inoltre l'articolo de La Voce rafforza il mio Sì, con la sua serie di ipotesi.

 

Se la regolazione è costruita in modo che il profitto rappresenti l’eventuale premio per l’impresa che si dà da fare per ridurre i costi, il cittadino ne può (potrebbe è più appropriato, ME) trarre beneficio

Il tema dell’incidenza tariffaria non va certamente banalizzato, ma può essere affrontato in modo adeguato, costruendostrutture tariffariediverse da quella attuale

 

Il primo SE rappresenta il mio "Big if", leggetelo 10 volte a voce alta e ripetete fra voi : "Vivo in Italia, qui si regalano case a propria insaputa" e cercate anche di trovare le "regolazioni". Tutta la logica dell'articolo de La Voce poggia su questo Big If, ed è per questo che voto Sì, perchè voglio dare un NO al solito sistema di spartizione della torta.

Il secondo punto è addirittura tautologico, il problema è che il legislatore NON ha previsto un altro sistema tariffario, parla solo di costi e rendimento garantito "in bolletta".

Il referendum, immettendo nell'ordinamento italiano questi Se e Forse evidenziati anche dalla Voce, probabilmente sarebbe stato annullato, o comunque sarebbe di impatto ridotto, anche io voterei NO o non andrei a votare, come tanti. Ma se in questi mesi NULLA è stato fatto vuol dire che al legislatore non interessa formulare delle leggi in tal senso. E io voto Sì. A maggior ragione dopo questo articolo.

Provo a indovinare. Secondo me il punto fondamentale è il seguente:

Ma se in questi mesi NULLA è stato fatto vuol dire che al legislatore non interessa formulare delle leggi in tal senso.

 

E quindi voto SI per mandare un segnale.

 

Non è un post, è un copia e incolla di miei vari commenti, riorganizzati, e spiega i miei due SI' ai referendum "sull'acqua". In questi giorni leggo commenti e analisi di quelli del NO (quelli del SI' non li leggo, alcuni sono anche demenziali..) che rasentano l'ignoranza e l'ideologizzazione di quelli del SI', l'ultimo sul Sole24Ore in cui si spiegava che l'agenzia di rating Fitch scrive che in caso di vittoria del Sì le banche potrebbero smettere di finanziare le società idriche. Fesseria immane, primo perchè già le finanziano con un'altra legge in vigore, secondo perchè le banche finanziano gli Enti pubblici a prescindere. Di fronte a bugie così palesi mi cascano le braccia, e penso che come al solito ci siamo ridotti alla solita gazzarra destra-sinistra con l'elmetto in testa e i paraocchi, avendo cura di aver disinserito il cervello.

Punto 1: ma i servizi idrici, con l'attuale livello di tariffazione sono in perdita? Non sembra proprio: qui, quo e qua i bilanci di ARIN,ACEA (quotata in borsa) e Acquedotto Pugliese, che da soli raggiungono quasi il 50% degli italiani, se ci aggiungiamo anche HERA e MM (metropolitana Milanese, gestisce l'acqua a Milano, grazie a Mario Seminerio per la segnalazione) credo che superiamo l'80%, HERA e ACEA non distinguono chiaramente nel bilancio fra acqua e altro, ma non credo siano diventati enti di beneficenza, salvo evidenza contraria, MM invece lo fa.

Quindi partiamo da una situazioni in cui l'Ente pubblico già realizza profitti ed investimenti, e il livello delle tariffe non è percepito come "salato". Allora vorrei capire perchè devo "affidare" una rete (pagata da noi), a un privato, che me la ritornerà in X anni, facendomi pagare (sembra che tutti siano d'accordo a un "inevitabile" rincaro delle tariffe) di più, quello che è già mio ed è soddisfacente.

Parliamo di un settore che "dovrebbe rendere" il 7% annuo del capitale investito. Niente male, visto che i titoli di stato hanno rendimenti del 3.6%, e quel 7% è un ROI garantito al 100%. Ancora meglio, mi faccio da solo un modellino: i soliti "capitalisti senza capitali, ma amici degli amici" si fanno prestare i soldi dalle banche (al 4%, vi va bene?) e lucrano sempicemente sulla differenza fra soldi prestati e soldi ricavati dall'attività svolta. E questa è una "liberalizzazione" ? Mercato ?

Ancora: facciamo finta che il servizio sia poi affidato a un privato con un contratto di appalto minuzioso e fatto veramente bene (mmmm, in italia?), poi si dovrà svolgere un'opera di controllo altrettanto scrupolosa, e questi controlli costano o sono gratuiti ?

Insomma, su questa storia della "privatizzazione" delle reti (affidamento ai privati della gestione della rete idrica) io ho visto subito il solito connubio affari-politica: ditemi dove oggi, AD 2011 trovate un business a rendimento garantito del 7% senza alcun rischio di impresa, anche per gli anni a venire, e dove grazie a qualche giochetto contabile potete guadagnare una marea (notare la sottile ironia..) di denari, senza il sudore della fronte.

 

Punto 2. La gara. Non c'è alcuna indicazione su come dovrebbe essere svolta. Io, per esempio, avrei scritto che la gara è affidata a chi si offre di investire di più e far pagare di meno, perchè il concetto da cui si parte oggi è che il 40 % circa dell'acqua immessa viene persa, se investi è per recuperare quel 40 %, se recuperi quel 40 % non hai assolutamente bisogno di alzare le tariffe, anzi le devi abbassare. Di questo concetto non c'è traccia nella legge, tra l'altro per superare il referendum bastava indicare le modalità di gara in maniera minuziosa, invece c'è la genericità più totale. Anche su LaVoce.Info Massarotto parla dei sistemi per fare le gare evitando le furbate, ma è un dibattito teorico, la legge NULLA CI DICE.

Punto 3.  La renumerazione del capitale investito. 

Il  quesito che sarà sottoposto a referendum abrogativo riguarda l’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto dell’adeguata remunerazione del capitale investito.

Tale renumerazione è fissata da un'altra legge al 7% annuo (non abroga la possibilità di fare debiti, chi ha scritto questo è fuori strada), e non capisco proprio perchè "investire nelle reti idriche", un'attività sostanzialmente priva di rischio, visto che se non paghi ti tagliano l'acqua e senza, pare, muori, debba rendere più dei titoli di stato portoghesi, in cui c'è un elevato rischio di default.

Allora, giusto parlare del "come vorremmo fosse", ma guardiamo ai fatti: i due quesiti riguardano aspetti cruciali del modo in cui si fanno gli affari in Italia: nessuna trasparenza e rendimenti più che garantiti, che i poveri cristi nemmeno si sognano.

Punto 4. Se vincono i SI' si torna alla situazione in cui gli Enti Pubblici spendono allegramente (premessa falsa, leggetevi i bilanci!), ma anche qui c'è del falso: qui la sentenza della Corte Costituzionale sull'ammissibilità del referendum che spiega tutto, e la Corte parla esplicitamente di cosa succede se vincono i Sì :

 

Ciò non significa, però, che alla Corte sia inibita l’individuazione della cosiddetta normativa di risulta conseguente all’abrogazione referendaria. Al contrario, l’individuazione di tale normativa è necessaria per valutare se essa comporti un significativo inadempimento di specifici ed inderogabili obblighi internazionali, comunitari o, comunque, direttamente imposti dalla Costituzione (sentenze
n. 35, n. 20 e n. 19 del 1997, n. 35 e n. 17 del 1993, n. 27 del 1987). In tali ipotesi, sempre nell’àmbito del giudizio di ammissibilità del referendum, la normativa di risulta va sottoposta da questa Corte non già ad un pieno ed approfondito scrutinio di legittimità costituzionale, ma ad una mera «valutazione liminare ed inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme
costituzionali, al fine di verificare se […] il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all’applicazione di un precetto costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005,confermata dalla sentenza n. 15 del 2008) o di una norma comunitaria direttamente applicabile.
Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto,meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica. Ne deriva l’ammissibilità del quesito per l’insussistenza di impedimenti di natura comunitaria.

 

La normativa comunitaria parla solo di: gara, in house e consorzio, la legge italiana, MOLTO PIU' RESTRITTIVA, parla solo di gara, senza specificare di che tipo. Certo, la gara è ancora possibile, ma è una scelta del sindaco , di cui poi risponderà ai cittadini, con la Legge Ronchi nessuna scelta: gara e basta. Gara i cui criteri sarebbero completamente in mano ai sindaci, poichè la legge non stabilisce alcun criterio per la gara, così, per esempio , Pisapia a Milano ha detto che le gare devono essere indette a favore di aziende che rispettano i "principi equi e solidali" (ad esempio la Coop....) .

E allora meglio la normativa comunitaria (che entrerebbe automaticamente in vigore: leggetevi la sentenza della Corte Costituzionale!), che lascia la responsabilità "politica" della scelta: gara, consorzio, in house (in particolari condizioni),che d'altronde è chiara: le due direttive europee 92/50/CEE e 93/38/CEE, punto di partenza per l'apertura alla concorrenza dei servizi pubblici nazionali e locali, escludono il servizio idrico dagli obblighi di mercato e consentono gli affidamenti "in house".

Un concetto ribadito dalla direttiva Bolkestein al cui articolo 17 esclude esplicitamente dalla regola della "libera circolazione dei servizi" (ovvero l'apertura al mercato comunitario) proprio il servizio idrico.

Credo che i Comuni, o gli Ato, abbiano interesse ad andare a gara laddove i costi del servizio idrico vanno a incidere troppo pesantemente sulle casse dell'Ente, e con i vincoli del Patto di Stabilità nessuno ha interesse ad aumentare le tasse, ma soprattutto a dover tagliare le spese da qualche altra parte. Diciamo che la gara diventa una scelta, e molti comuni, consorziandosi ed andando a gara ci potrebbero perfino guadagnare, ma farebbero, appunto, una scelta. L'obbligo è di utilità, non di legge.

Invece se vince il NO abbiamo : gara con i paletti scelti dagli Enti Locali (ho un amico sindaco che proporrà come criterio di gara quello che ti devi chiamare Marco Esposito, oltre ad altri dati sensibili, chissà chi vince..), inoltre con la L. Ronchi la tariffa non è in discussione: ti prendi tutti i tuoi costi (a nessuno viene in mente il costo, ade esempio, degli amministratori della SARAS ?) più il 7% garantito annuo (io sto cominciando a mettere i soldi da parte: il 7% annuo garantito non te lo dà nessuno sul pianeta Terra, solo in Italia, quindi investirò in una società che dovesse vincere una gara. Minchia, il 7% senza nessuno sforzo, altro che mattone!).

Chiudo la solfa: da liberista mi piacerebbe che la legge dicesse: si va a gara e vince chi offre la tariffa più bassa a parità di investimenti per il recupero delle perdite delle condutture (40% secondo gli Industriali..), quindi avremmo una gara a favore dei cittadini, ma anche del più capace e innovativo che si aggiudicherebbe la gara, invece qui si garantisce il 7%, a prescindere. Adesso convincetemi che il 7% è giusto, a prescindere, in una situazione di monopolio.

Tutti i miei convincimenti si sono rafforzati dopo aver visto chi ha fatto ricorso contro il referendum sul "rendimento garantito": l'UNIDA (Unione Nazionale Industriale degli Acquedotti) , adducendo che l'eventuale abolizione della renumerazione del capitale in bolletta avrebbe comportato la decadenza del beneficio per un privato a investire. Lo dicono loro, non io. Allora faccio 2+2, una lobby dice: se non mi dai il 7% io non investo, con il piccolo particolare che dovrebbe essere una lobby che è interessata a costruire acquedotti, chiunque sia il committente. A meno che.....

Finisco, con il gioco del vero e falso, giusto per divertirmi in una giornata piovosa, prima che qualcuno mi faccia pagare la pioggia -).

Il referendum riguarda l'acqua "bene di tutti". FALSO. Il referendum riguarda solo le reti idriche, ovvero la distribuzione dell'acqua.

Se vince il NO avremo meno tasse, perchè le mie tasse finanziano l'acqua. FALSO. Fermo restando che l'80% almeno degli italiani è servito da S.p.a., o addirittura società quotate in Borsa, non c'è alcuna evidenza nella legge e nella prassi. Ad esempio sulla benzina si paga ancora una tassa "per la missione in Libano". Del 1982. Finita la missione, la tassa resta. Siamo in Italia.

In tutta Europa le reti idriche sono andate a gara. FALSO. Anzi, alcune comunità sono ritornate al servizio "in house".D'altronde la normativa europea esclude l'obbligo di gara, solo in Italia è previsto.

Se vince il SI' la distribuzione dell'acqua rimarrà pubblica. FALSO. E' escluso l'obbligo di gara, non la facoltà, inoltre già adesso l'acqua è distribuita da società quotate in Borsa, una di queste è contendibile.

Se vince il SI' sul secondo quesito nessun privato investirà. FALSO. Sia perchè l'Ente Territoriale potrebbe decidere di offrire un rendimento (difficile..), sia perchè le gare non si fanno "a rendimento garantito" (tranne che per l'acqua, che o paghi o muori), ma a "offerta economicamente vantaggiosa", altrimenti non è una gara, ma una festa.

Se vince il NO sul primo quesito l'acqua finirà in mano ai privati che ce la venderanno più cara della benzina. FALSO. L'obbligo di gara non esclude che una società pubblica possa partecipare e vincere, dipenderà sempre dai famosi requisiti di gara (che non sono scritti da nessuna parte).

Adesso reinserisco il cervello, mi auguro anche gli altri facciano altrettanto. Io voto due volte SI'.

 

Punto 2. La gara. Non c'è alcuna indicazione su come dovrebbe essere svolta. Io, per esempio, avrei scritto che la gara è affidata a chi si offre di investire di più e far pagare di meno, perchè il concetto da cui si parte oggi è che il 40 % circa dell'acqua immessa viene persa, se investi è per recuperare quel 40 %, se recuperi quel 40 % non hai assolutamente bisogno di alzare le tariffe, anzi le devi abbassare. Di questo concetto non c'è traccia nella legge, tra l'altro per superare il referendum bastava indicare le modalità di gara in maniera minuziosa, invece c'è la genericità più totale. Anche su LaVoce.Info Massarotto parla dei sistemi per fare le gare evitando le furbate, ma è un dibattito teorico, la legge NULLA CI DICE.

Poi segue:

La normativa comunitaria parla solo di: gara, in house e consorzio, la legge italiana, MOLTO PIU' RESTRITTIVA, parla solo di gara, senza specificare di che tipo. Certo, la gara è ancora possibile, ma è una scelta del sindaco , di cui poi risponderà ai cittadini, con la Legge Ronchi nessuna scelta: gara e basta.

Non riesco a connettere la prima considerazione (non sono specificati i criteri della gara) con la seconda (comunque in caso di vittoria dei si la gara verrebbe comunque assunta come criterio prevalente, ma in maniera meno restrittiva). Se la prima ipotesi è vaga e lascia eccessiva disrezionalità, la seconda non lo è ancora di più? perché la seconda dovrebbe essere preferibile alla prima?

Poi, d'accordo che il 7% garantito è una sciocchezza, ma senza renunerazione chi parteciperebbe a queste benedette gare che passerebbero in automatico (senza interventi del legislatore? siamo sicuri?) in caso di vittoria dei si? babbo Natale? O solo chi ha la certezza di venire ancor meglio remunerato a pié di lista? Anche queste somigliano più a feste che a gare.

Quel 7% di rendimento garantito del capitale investito disturba pure me, tant'è che è probabile che su quello io voti sì.

I bilanci che citi non mi sembrano però indicativi della situazione media italiana. Si tratta di società che gestiscono reti che hanno acquisito in buona parte già esistenti e in condizioni passabili, in territori relativamente facili.

La pesante situazione degli acquedotti nelle aree orograficamente sfavorite, cioè in gran parte del territorio nazionale, ha storie che vengono da lontano e che esigerebbero ristrutturazioni di ampio respiro, che non si vede chi possa fare, e infatti nessun Ente locale le fa nè le farà mai. Lì ci vogliono tanti soldi e si ricava poco. SE non si incentiva qualcuno ad occuparsene mettendoci dei capitali non si va lontani.

Pensiamo poi al caso della Sicilia, dove il disastro acquedottistico nutre schiere di parassiti locali, di reputazione spesso molto equivoca, che lucrano (ben altro che il 7%!) fornendo l'acqua che il Sindaco non riesce a dare, o dà a singhiozzo e poca.

Quel che manca, e che il governo si è ben guardato dal costituire (aprendo a tutti i sospetti che giustamente nutri) è una autorità tecnico-economica di garanzia, fornita di robusti mezzi e competenze professionali, che stabilisca le specifiche del servizio, dettando norme di gara e di fornitura. Senza una autorità tecnica garante, che abbia il potere e la capacità di individuare chi si comporta bene e chi fa il furbo, segnalandolo alle Procure, tutto il sistema appare monco, da qualsiasi parte lo si guardi.

GD

 

Marco, a proposito d'inserire il cervello ..... dire che la gara sarebbe costruita con requisiti atti a favorire un contendente rispetto ad altri è - scusa - abbastanza sciocco: si tratta di un bando PUBBLICO, e significa che le condizioni sono note a chiunque le voglia conoscere ed eventualmente contestabili con grande facilità, dunque chi le decide deve quanto meno stare attento a non rendere evidenti le proprie intenzioni scorrette. In altri termini, è molto - ma proprio molto, dai - più probabile che sia l'opacità di una decisione d'affidamento non in base ad una gara a consentire le manovre che tu paventi.

È anche il medesimo discorso dell'inserire in fattura tutte le singole voci che compongono il prezzo: ciò che è pagato con la fiscalità rimane un costo, solo ripartito con criteri diversi dal consumo - tra l'altro, favorendo cosi gli sprechi che non sono a carico di chi ne ha responsabilità - e soprattutto non trasparente. La mancanza di trasparenza è proprio il quadro che consente qualunque porcheria, dunque dovrebbe esser benvenuta ogni norma che la favorisce.

Marco,

L'ho gia' chiesto in altri commenti, ma visto che non ho avuto risposta ci provo di nuovo.

Capisco che i criteri di gara non siano scritti nella legge (btw, pero' gare sono gia' state fatte no? con quali criteri), ma come e' logicamente possibile avere un'asta con un rendimento sul capitale pre-stabilito?

Se e' un'asta (e non un beauty contest) allora sara' il vincitore dovrebbe essere quello che promette di far pagare le tariffe di meno a parita' di investimenti o che promette di fare piu' investimenti a parita' di tariffe (o una qualche media delle due cose). In ogni caso il rendimento sul capitale investito e' determinato dall'asta, non garantito.

grazie per l'intervento,completo e convincente,  ma purtroppo NON è un post, e non ha un suo link autonomo, mi piacerebbe farlo circolare ma "andatevi a vedere l'intervento di Marco Esposito del... intitolato... sul thread 'l'acqua ecc." di NoisefromAmerika" è molto più complicato di un tinyurl.

e copiarlo e incollarlo nei blog che leggo ... uno si trova un "commento" sesquipedale e lo salta a piè pari, temo.

Come dire, non nascondere la fiaccola sotto il moggio, per dirla coi vangeli e D'Annunzio... :-)

domanda:

il referendum non abroga il rendimento garantito del 7%, ma la norma per la quale il capitale non deve essere remunerato (assurdo, se mai andrebbe impedito l'extraprofitto derivante dal fatto d'esser monopolista). Per quale motivo allora si dovrebbe votare si al secondo quesito?

Gran bel post. In questo articolo di Mario Tozzi su La Stampa si chiedono "Chi ci guadagna dai referendum". Si smonta anche l'idea di "rinnovare la rete idrica da parte dei privati". Non ci ho mai creduto, cosi' come non ho mai creduto che la gestione a privati delle autostrade sia stato un fatto positivo per gli automobilisti. Fra Telecom ed Autostrade gli unici che ci hanno guadagnato (e parecchio, visto che sono passati dal rosso in bilancio all'attivo in pochissimo) sono stati Tronchetti-Provera e Benetton. Siamo, in effetti, in Italia.

Non ci sto  nemmeno alle equazioni (pubblico=inefficienza privato=efficienza) o (pubblico=bene privato=male), per i cittadini. Se solo i dirigenti pubblici facessero il loro dovere....

Marco, dato che non ho trovato un email: solo per dirti GRAZIE per questo ottimo commento. Sarebbe bello avesse più visibilità, in qualche maniera.

Stuzzicato da Marco Esposito, sono andato a leggermi l'altra sentenza della corte, quella sul secondo quesito  (adeguata remunerazione). Al punto 5.2, pag 8:

 

Infatti, attraverso l’abrogazione parziale del comma 1 dell’art. 154, e, in particolare, mediante
l’eliminazione del riferimento al criterio della «adeguatezza della remunerazione del
capitale investito», si persegue, chiaramente, la finalità di rendere estraneo alle logiche
del profitto il governo e la gestione dell’acqua. Dunque il quesito incorpora l’evidenza
del fine intrinseco all’atto abrogativo[...]Invero, il quesito in
questione risulta idoneo al fine perseguito, perché, come sopra si è notato, coessenziale
alla nozione di “rilevanza” economica del servizio è la copertura dei costi (sentenza n.
325 del 2010), non già la remunerazione del capitale
.

 

Son cretino io, o i signori della Suprema Corte non intendono correttamente la distinzione tra remunerazione del capitale (un costo) e profitto? Cioè, cosa diavolo succede se passa il quesito referendario? Se prescindiamo dal "significato politico" del voto (e prescindo volentieri) a me sembra che la remunerazione del capitale resti parte dei costi e vada quindi imputata in tariffa (vedi il seguito dell'articolo). Salterebbe il famoso 7% garantito e l'adegata remunerazione sarebbe stabilita (eventualmente implicitamente, in caso di gara vera) affidamento per affidamento. Ma forse mi sbaglio, perché se la corte pensa che la remunerazione del capitale sia sinonimo di profitto, basterà fare un ricorso...

Mi unisco al ringraziamento per l'intervento: davvero le migliori cose sentie in giro a favore del SI'.

Scusami Marco ma l'attuale legislazione non parla di "gara e basta". In particolare la gestione in house è ammessa dall'art. 23 bis comma 3 e 4, secondo i criteri specificati dal DPR 168/2010 art. 4 valevoli appunto solo per il settore idrico. Quindi i sindaci possono continuare con gestioni virtuose...

 

Finalmente mi sono imbattuto, per la prima volta, in un documento per il sì al referendum che va al di là delle solite frasette retoriche. Questo qui (pdf). Non l'ho trovato molto persuasivo, ma non essendo esperto d'economia mi sento abbastanza in difficoltà nello spiegare il perché ed il percome. Qualcuno se la sente di commentare?

 

Non me la sento... ma generalmente parlando, l'autore di economia capisce poco. La solita idea che l'etichetta "not for profit" equivalga alla francescana donazione di se (anziche' al perseguimento di interessi personali o di gruppo sotto altri metodi, magari agevolati fiscalmente), che l'interesse di profitto sia negativo mentre quello politico no. Poi, boiate random senza nessuna logica, come "il profitto guarda al breve periodo, non al lunghissimo come si dovrebbe fare con l'acqua"

La cosa piu' interessante pro-si l'ha scritta qui Marco Esposito. 

 

Ma perché, ignoranza imbarazzante a parte, questa gente non ha il coraggio delle proprie idee?

Perché non hanno il coraggio di dire: siamo social-comunisti, vogliamo il pauperismo (per gli altri). Lo stile di vita e l'organizzazione socio-economica che più ci piacciono sono quelli della Corea (del Nord) dove, ovviamente, noi facciamo la parte dei governanti e degli amici del capo?

Se avessero l'onestà di dirlo il dibattito sarebbe più franco e persino più utile.

 

Ho letto pero' solo l’articolo del docente della Bicocca

Quello che fa è assumere supposte imperfezioni di mercato confrontandole con un ideale di perfezione che non puo’ esistere sulla terra: equilibrio, competizione perfetta, etc. Assume inoltre che non esistano costi per perseguire questo ideale e alla fine sconfina nel solita assunzione che certi individui, nel caso i politici, sarebbero diversi dal resto del genere umano. In realtà politici e burocrati alla testa di imprese possono per statuto non perseguire il profitto come in genere lo intendiamo monetariamente ma perseguono comunque i loro interessi: ri-elezioni, potere, visibilità, etc

C’è il rimando a beni comuni e beni pubblici ma basta leggersi qualche indagine storica per scoprire che persino il bene pubblico per eccellenza (i fari) sono stati forniti privatamente. Questa signora ha preso il Nobel per aver dimostrato empiricamente che la gestione di beni comuni non implica assolutamente l’intervento dello stato.

Se anche questi beni esistessero come nel caso richiamato della difesa resterebbe comunque da decidere come difendersi: affrontiamo gli invasori in campo aperto, sul mare, lo fronteggiamo con la guerriglia, etc.  Come ha scritto Pascal Salin questi supposti beni servono solo a far pagare il loro costo a qualcun altro.

Da ultimo (...e qui potrei essere fucilato senza processo) il conflitto tra costo individuale e sociale, tra ottimo individuale e ottimo sociale suonano come chimere: tranne che nel fantastico mondo dell’equilibrio, i costi in economia sono sempre costi opportunità quindi non confrontabili tra individui diversi, come al solito sono confusi con il termine colloquiale di "spese" (in tema aggiungo un bell'articolo per chi volesse dilettarsi ma questo libricino è imbattile sebbene piu' lungo)

 

 

 

 

 

 

Gara i cui criteri sarebbero completamente in mano ai sindaci, poichè la legge non stabilisce alcun criterio per la gara, così, per esempio , Pisapia a Milano ha detto che le gare devono essere indette a favore di aziende che rispettano i "principi equi e solidali" (ad esempio la Coop....)

 

Marco, qui ho un problema di logica: dici che la gara potrebbe dare adito a manovre poco chiare. Certo, puo' essere possibile. MA davvero non ti fici del sindaco per i bandi di gara e come soluzione gli vuoi dare la possibilita' di affidare il servizio a chi pare a lui, senza dover neanche perdere il tempo di stilare un bando di gara su misura e senza dover spiegare il perche' della sua scelta? A me un discorso cosi' mi perturba le sinapsi, ci deve essere qualcosa che "tocca".

Quanto alle finalita' di chi gestisce gli acquedotti (o meglio i servizi pubblici interessati dal referendum), ti posso fare parlare con un ex dirigente di quella che ora si chiama Hera a proposito della delocalizzazione degli uffici e delle officine. Un'operazione che avrebbe reso una bella quantita' di soldi, avrebbe permesso di ammodernare gli uffici stessi, avrebbe avuto un senso anche urbanistico spostare uno stabilimento produttivo dai viali alla periferia, recuperando gli spazi per farci qualcosa di piu' interessante, da un parcheggio sotterraneo con sopra un bel parco a qualsiasi altra cosa che fosse utile per la citta'.

L'operazione non si fece mai. Sai perche'? Perche' in AMGA (il nome di quella che era l'Azienda Municipalizzata Gas e Acqua) gli operai erano assunti in funzione della loro appartenenza politica e della loro prestanza fisica perche' fungevano da servizio d'ordine/massa d'urto nella manifestazioni dell'allora PCI. Quindi se c'era da organizzare una "manifestazione spontanea improvvisa" (notare la bellezza della manifestazione "spontanea organizzata", roba da Guareschi, ma i termini usati sono stati proprio questi) in piazza a Bologna, o se c'era da intervenire per fare "servizio d'ordine" (cioe' sprangare), dai viali gli operai avrebbero potuto andare in centro a piedi senza problemi, mentre dalla periferia non avrebbero potuto, perche' troppo lontani. In effetti a Bologna tutti sapevano che quando arrivavano i "gasisti", era meglio smettere di fare casino e filare, se non si voleva rimediare una manica di botte.

E sto parlando di vicende degli anni '80, dopo il casino che ci fu nel '77 a Bologna, in cui i "gasisti" si schierarono a difesa di Piazza Maggiore, che in effetti fu risparmiata dalle devastazioni.

Ecco, io non andro' a votare al referendum sull'acqua, perche' anche adesso i personaggi che dirigono Hera a Bologna hanno comunque da rispondere agli ordini, anche demenziali, del partito al potere. E voglio che i partiti si cavino dalla gestione di queste imprese e sopratutto dei posti di lavoro e di comando.

 

 

Se viene abrogata la legge Ronchi subentra la normativa comunitaria, siamo sicuri che sia garantita questa totale autonomia di decisione da parte dei sindaci?

Rispetto poi alla Hera quale sarebbe l’incentivo per un privato di razionalizzare i costi se per legge gli viene garantito un 7% di rendimento sugli investimenti? Forse non ho ben capito io, pero’ per come e’ strutturata la legge Ronchi mi sembrebbe ragionevole che qualsiasi privato sia interessato a gonfiare gli investimenti per garantirsi un rendimento assoluto maggiore piuttosto che rendere piu’ efficiente la situazione esistente. Dove sbaglio in questo ragionamento?  

Il fatto è che non sbagli affatto. Il problema evidente è che non si prevedono sistemi di controllo delle esecuzioni degli impegni.

Alla fine, queste organizzazioni private che sono in mano a personaggi ben collocati nei consigli di amministrazione delle cose pubbliche e delle banche, e dei consorzi di bonifica ecc ecc., non si scompongono minimamente se gli impegni presi non sono stati assunti.

Loro, imperturbabili, poggiando il loro operato sulla "legittimita" conferata dalla loro nomina nel cda, continuano a decidere a senso unico.

Se queste loro decisioni sono prese a discapito degli interessi degli utenti, è solo una coincidenza: mica possono occuparsi di curare gli interessi di tutti eh...

Quindi, alla fine, se i politici danno una mano con un tasso d'interesse stranamente più alto della media europea per la stessa attività, mica sono responsabili loro. Tanto, alla fine, dovessimo ridurre tale percentuale (7%), niente paura, le prime decisioni da prendere comporteranno la modifica di valorizazzione della rendita.

Da profano di Economia (intesa come scienza economica) vorrei fare alcune considerazioni e porre delle domande agli economisti del sito (dopo ovviamente aver letto tutto il dibattito di cui sopra).

L'acqua è un bene comune? A naso... risponderei di si. Non so se in Economia "bene comune" abbia una valenza diversa dal significato che assume nel senso comune. Per intenderci: il pane serve per cibarsi, ma volendo ci sono anche altre cose da mangiare, l'elettricità (o il gas) serve per tantissime cose, fra cui anche scaldarsi, ma volendo quattro mura e delle coperte possono risolvere il problema... ma l'acqua? E' possibile sostituirla con qualcos'altro? A me personalmente non sembra. Ovvero: in termini assoluti, senza acqua si muore. Questa è la differenza fondamentale. Ovviamente non sto dicendo che con questo referendum, si decida se assetare o no la popolazione. Volevo solo far notare che le differenze fra acqua e altri beni è piuttosto rilevante almeno in punto di principio.

A tutti gli effetti la gestione dell'acqua sembra essere un mopolio naturale. Anche qui è meglio spiegare cosa intendo: se l'acquedotto è uno, e non ha senso costruirne due o tre, quello che vince l'appalto di fatto diventa il monopolista. Al momento attuale insomma, chi vince un appalto potrebbe fare il bello e il cattivo tempo. Perchè se i controllori (lo stato) sono gli stessi che hanno malgestito gli impianti fino ad ora... dovremo aspettarci l'onestà delle società che vincono gli appalti e sperare in Dio.

Le mie domande:

1) Se la gestione dell'acqua è un monopolio naturale ha senso cercare di inserire elementi di mercato? Ovvero: la società privata (che deve fare profitti) se non ha concorrenti al momento di fare le bollette, cosa gli impedisce di far pagare il servizio più di prima?

2) Se il comune gestisce male l'acqua, dopo 4 anni un candidato avversario può vincere l'elezioni puntando sulla cattiva gestione dell'acqua e cercare da subito di migliorare il servizio. Se è la società privata a gestire male (visto che non ha concorrenza non mi sembra così difficile che accada) cosa si può fare per cambiare le cose? Quanti anni dovrebbero passare prima che la concessione termini?

3) Se il privato ammoderna la rete e ricarica il costo delle spese sulla bolletta, la pensionata che di acqua ne usa meno pagherà in proporzione molto di più rispetto ad una famiglia di cinque persone, mentre la famiglia "ricca" di tre persone pagherà come la famiglia "povera" di tre persone (almeno di non voler sostenere che i ricchi si lavano di più!). Non sarebbe più giusto che i costi di ammodernamento delle reti idriche vengano prelevati dalle tasse (che sono di natura progressiva, se non sbaglio) invece che ricaricarli sulla bolletta? (Gli sprechi si potrebbero combattere cmq, mica è vietato...)

4) Siamo sicuri che le gestioni private siano migliori in regime di monopolio? Se non hai concorrenti e hai il guadagno garantito, cosa ti impedisce di fare assunzioni clientelari, magari pe tenerti buoni i controllori?

Scusate se sono stato prolisso, ma la domande erano tante (e mica le ho scritte tutte!) e meritavano un minimo di argomentazione.

No, in economia il concetto di bene comune non c'è, c'è quello di bene pubblico, che puoi guardare su wikipedia, ma è una cosa diversa da quella che dici tu, sostanzialmente si tratta di un bene che viene necessariamente consumato collettivamente. Il caso esemplare di bene pubblico è quello della difesa militare. Difficile difendere una persona senza difendere anche il suo vicino. L'acqua non è un bene pubblico, non ci piove. 

Nel senso che ci dai tu non so, il fatto che non sia sostituibile non significa nulla, tranne il fatto che la domanda è rigida (varia poco rispetto al prezzo). È rigida anche la domanda della benzina, ma nessuno si sogna di nazionalizzarla (beh qualcuno sì, ma sorvoliamo). Poi non è proprio insostituibile: ci si può lavare sui fiumi, si può bere l'acqua piovana... lo si faceva sino a pochi decenni fa e lo fanno miliardi di persone oggigiorno. Il fatto che per *noi, ora* sia insostituibile indebolisce un po' l'assolutezza del tuo discorso. 

Il fatto che sia un monopolio naturale, cosa probabilmente vera, dipende da fattori tecnologici. I monopoli naturali sono una brutta bestia, per vari motivi

1) la concorrenza si crea rendendo le concessioni limitate nel tempo e rinnovandole solo in casi di performance adeguate. 

2) quel che stai dicendo e' che la concorrenza elettorale si equivale puo' attenuare le inefficienze tipiche del settore pubblico. In teoria e' vero, anche nel "mercato" della politica c'e' concorrenza e questa serve ad attenuarne le inefficienze. Il problema e' che il meccanismo elettorale non risponde in modo sempre efficiente al segnale dei prezzi. In ogni caso, le elezioni dipendono da diversi fattori, non solo dalla gestione dell'acqua. A meno di non voler eleggere un parlamento per ogni servizio fornito dal pubblico, il risultato non puo' essere efficiente per tutti i servizi forniti. Sulle altre domande leggiti le risposte di sandro brusco su questo post. 

3) perche? se il ricarico e' proporzionale al consumo, chi consuma di piu' paga di piu'. Se si vuole questo basta metterlo nei bandi. Se si vuole che le vecchiette non paghino, basta dire che le loro bollette le paga il governo. 

4) Non siamo sicuri. Per i dettagli, vedi risposte di sandro brusco in uno dei commenti sopra. 

1) Ci andrei piano a rifilare il concetto di monopolio naturale a destra e a manca: sino a qualche anno fa erano considerati tali telecomunicazioni, elettricità, treni e mi sa anche linee aeree. Ritenere di poter definire quante aziende debbano o possano essere presenti in un'industria è uno dei tanti miraggi del mainstream

2) Se la politica avesse in se questo sistema di incentivi bisognerbbe spiegare come sia stato possibile che l'amministraione della cosa pubblica ci ha invece condotto al fallimento e non solo al disastro della gestione pubblica degli acquedotti

3) Con la stessa logica dovremmo forse applicare la stessa regola a qualsiasi acquisto? Pane, pasta e perchè no vacanze, abiti, etc. Piuttosto bisognerebbe che ci fossero restituiti i balzelli che oggi paghiamo in tasse per il trattamento dell'acqua nel caso di passaggio al privato di quell'attività

4) Salvo quanto esposto al punto 1) un monopolio è molto meglio privato che pubblico: in caso di extraprofitti o di servizi scadenti qualche privato puo' sempre intervenire nel settore cio' che ovviamente è proibito per legge nel caso dell'istituzione di un oligopolio/monopolio legale  

Ah scusa! Mi accorgo ora che un concetto l'ho espresso in modo diverso da quello che volevo dire. Non è tanto il fatto che la famiglia ricca e quella povera paghino uguale, è più che altro che per la famiglia povera una bolletta troppo alta è un problema, per la famiglia ricca no. Quindi sarebbe meglio, secondo me, che l'ammodernamento delle reti non ricada direttamente sulle bollette, ma sulla tassazione generale (che è progressiva), mentre il consumo è uguale per tutti. Poi chiaramente chi spreca paga di più (per via dell'aumento progressivo del costo al mc).

Secondo me e' preferibile un sistema completamente trasparente, nel senso che mette in chiaro tutti i punti: i costi dell'acqua ricadono completamente sulla bolletta e l'assistenzialismo viene gestito dallo stato, prendendo i soldi dalla tassazione generale.

In questo modo, tra l'altro, si disincentiva lo speco, dato la gente si puo' rendere di quanto costa effettivamente l'acqua. La tariffa e' una cosa tangibile, la percentuale delle tasse che paghi che viene utilizzata per compensare una tariffa bassa no. Come risultato di una tariffa bassa si ha la percezione che l'acqua costa poco, e questo porta a sprechi.

Potremmo anche immaginare un comune che decidesse di riversare i costi dell'acqua completamente sulle tasse, e di far pagare una tariffa di 0 (zero) euro/mq. Se la tassazione e' scelta correttamente, a parita' di consumo un utente pagherebbe esattamente la stessa cifra in questo modello e nel modello prezzo pieno+assistenzialismo. Pero' tu pensi che con una tariffa nulla la gente consumerebbe la stessa quantita' di acqua? Semplicemente avremmo gente che spreca acqua mentre si lamenta delle tasse troppo alte, senza associare le due cose.

 

Comunque il modello prezzo pieno+assistenzialismo non e' nulla di nuovo, qualche anno fa (magari anche adesso, non lo so) il prezzo dei libri di testo delle medie era quello stabilito dalla casa editrice (costo+profitto, direi), ma agli studenti poveri venivano dati gratis dallo stato. Anche l'esenzione sui farmaci dovrebbe funzionare allo stesso modo, se non erro.

Spero di essere stato abbastanza chiaro.

Genrally speaking, se il tuo obiettivo e' diminuire i disagi ai poveri, trasferimenti -in kind- (acqua gratis o sussidiata) sono meno efficienti di trasferimenti monetari. Intanto, incentiva piu' uso d'acqua anche da parte dei ricchi. Ma anche se limitassi il sussidio ai poveri, distorce le loro decisioni a favore del consumo d'acqua, mentre loro magari preferiscono per esempio comprarsi una coperta in piu' e lavarsi una volta ogni due settimane invece che ogni settimana. Poi ci sono varie eccezzioni a questa regola, ma per queste occorre un corso di phd. 

Per tutti "quelli che" la gestione pubblica è meglio: avete visto cos'è successo alle Poste? 

perchè l'IBM è stata nazionalizzata?

a parte che le poste sono una società di diritto privato, per l'acqua facciamo come a Cuba:?

 

 

Nella capitale di una delle ultime nazioni comuniste del mondo, L’Avana, la gestione delle risorse idriche è affidata a una società mista pubblico-privato. Il socio privato è il gruppo Agbar, che ha una convenzione fino al 2024 per fornire l’acqua nella capitale del paese e nella località turistica di Varadero. Socio al 41 per cento: praticamente come vorrebbe il decreto Ronchi. A Cuba.

 

ps: ROFLMAO

 

 

 

 

i dirigenti cubani non hanno scelto un bel niente, anzi avrebbero continuato a fare sempre come i sacri testi predicavano. i duri fatti, cioè la necessità di avere acqua, anche per i turisti pare, li hanno costretti nel 2000 a questa giravolta. mica è la prima, neanche sarà l'ultima.

noi, per ora possiamo scegliere, probabilmente su una legge di non grande portata pratica; a mio avviso è meglio il no  per provare a diminuire il peso del pubblico nell'economia. l'altro significato politico, dare un calcio nel sedere a berlusconi, mi vedrebbe daccordo ma è troppo surrettizio ed indiretto rispetto al primo.

 

 

le poste sono una società di diritto privato

 

Certo, Poste italiane S.p.A. è una società per azioni il cui capitale è posseduto al 100% dal Ministero dell'Economia e gode di privilegi incompatibili con un'economia di mercato. Ciononostante, i risultati son quelli sotto gli occhi di tutti. Qui.

Somiglia molto a parecchie altre realtà, guarda caso proprio quelle di proprietà pubblica che gestiscono quasi ovunque magnificamente i servizi di base ai cittadini ed alle imprese, tanto da meritare - senza dubbio - di mantenere il bastone del comando. E chi si mostra scettico e preferisce l'apertura del mercato non può che essere un turboliberista selvaggio, naturalmente .... :-)

Curioso... Andrebbe bene per una locandina:

Referendum sulla gestione del servizio idrico in Italia:

Meglio pubblica o privata?

I modelli di New York e L'Avana a confronto.

se il numero dei partecipanti al voto per il legittimo impedimento fosse abbastanza maggiore di quello a tutti gli altri, quorum e non quorum, il calcio sarebbe fortissimo.

C'è da dire che gli altri referenda, e in particolale quello sulle centrali, sono richiami per aumentare i sì anche per il legittimo impedimento.

 

Io ho dei dubbi su come considerare la scelta di non votare ad un referendum, a seconda di come sia impostato, nelle domande e nel (mancante) dibattito pubblico , il referendum stesso. Nei fatti vedo nel referendum uno strumento di vera democrazia quando questo oltre a dare alla popolazione la possibilità di esprimere il proprio parere le dà anche quella di formarsene uno. Non mi sembra che nel caso della domanda sull’acqua questo sia successo e, anche se non ho la sfera di cristallo, ho l’impressione che molte persone voterebbero diversamente se solo il dibattito pubblico fosse stato un po’ più serio in merito (anche se mi rendo conto che solo di un’impressione si tratta). Quindi mentre mi sento di condannare , oltre ovviamente chi da una posizione di particolare potere e visibilità cerca di sfruttare per fini strategici un referendum, anche chi non va a votare per far mancare il quorum in una situazione in cui il referendum è pienamente democratico (nel senso inteso sopra), ho una posizione molto più incerta nei confronti di chi decide di non votare in consultazioni farsesche come questa.

 

 

ecco chi causa le code ai seggi! a giudicare dalle premesse che hai espresso, nell'intimità della cabina elettorale ti ci vorrà una buona mezz'ora solo per stabilre da che scheda cominciare. :-)

coraggio, un po' di fiducia anche nella bontà del voto di noi analfabeti irriflessivi.

 

un post interessante dal sito IMille.

http://www.imille.org/2011/06/il-re-e-nudo-le-realta-locali-e-i-referendum/

 

in particolare: 

In Francia, la privatizzazione – dominata da tre grandi conglomerati privati, Vivendi (precedentemente Générale des Eaux), Suez-Lyonnaise des Eaux e SAUR/Bouygues – è stata bastonata ripetutamente dalla Corte dei Conti francese. Ad esempio, nel 1997 la Corte dei Conti ha denunciato l’alto livello di concentrazione, la conseguente “competizione organizzata” e l’elusione delle regole della concorrenza tramite “l’uso ripetuto di procedure negoziate”. Ma non si privatizzava per aumentare la concorrenza?

e come funzionano i servizi in Olanda e Svezia

 

I casi più virtuosi sembrano dunque essere quelli che hanno mantenuto pubblico il servizio, ma hanno ridotto gli utili, investito in sviluppo e applicato il principio del “chi sbaglia paga”.
Questo è, ad esempio, il caso dei Paesi Bassi. In Olanda, la gestione dell’acqua è affidata a public limited companies, i cui azionisti sono per lo più municipalità e, in alcuni casi, province. L’industria olandese dell’acqua risulta competitiva anche in relazione ad altri indicatori di performance: si è impegnata in iniziativeenvironmentally-friendly, come il monitoraggio di sostanze nocive e la riduzione dell’inquinamento. Servizio pubblico, dunque, ma chi sbaglia paga. Ad esempio, l’Amministratore Delegato di queste compagnie gode di ampie libertà, ma è responsabile delle perdite causate. Non solo, il sistema olandese consente ai cittadini di dire la propria sulla gestione dell’acqua, tramite la rappresentazione degli interessi dei consumatori attraverso organi eletti a livello locale.
Risultato? Il rispetto di costi limitati è applicato pienamente, un fatto che non ha impedito di investire in programmi di sviluppo e rinnovamento. Però c’è un però. Molto spesso le compagnie non ricavano grandi profitti, a causa del limitato interesse degli azionisti pubblci nel massimizzare il ritorno dei propri investimenti e della pratica di restringere il pagamento dei dividendi. Dunque, efficienza sì, ma non accumulazione di profitti!
Come nel caso olandese, anche il modello svedese è considerato un modello virtuoso. In Svezia, le infrastrutture idriche sono per la maggior parte compagnie municipali. Alcune di esse sono per statuto public limited companies. In generale le compagnie svedesi vantano costi operativi molto bassi e alte performance, che escludono l’accumulo di grandi profitti. Il modello municipale svedese dimostra che le forniture pubbliche di acqua sono altamente competitive dal punto di vista degli standard qualitativi e ambientali, ma anche dal punto di vista degli indicatori economici e finanziari. Nel 1995, la Stockholm Vatten ha avviato una massiccia ristrutturazione finalizzata ad aumentare l’efficienza operativa e lo sviluppo sostenibile di lungo periodo. Al tal fine,si è puntato alla copertura dei costi piuttosto che all’ottimizzazione del profitto. Questo ha garantito di liberare le risorse necessarie per il miglioramento della qualità dell’erogazione dell’acqua e per i servizi di impatto ambientale.

 

http://pensatoio.ilcannocchiale.it/2011/06/08/la_forma_logica_dellacqua.html

Una riflessione sulla definizione di "bene pubblico" con riflessioni riguardanti alla questione dell'acqua

Mi piacerebbe leggere un commento del prof. Boldrin a quello sforzo di negare il valore di scienza all'economia, per il solo fatto che intende fornire un modello neutrale dell'attività umana. 

La definizione di bene pubblico è quella che è, e da essa si ricavano le conseguenze che si ricavano. Che sia un nome semanticamente sbagliato o fuorviante è opinione di cui si può anche discutere, ma ormai quello è il nome e ce lo teniamo. 

 

Cerco di fare un riepilogo più per cercare di chiarirmi le idee all’alba del voto che per chiarirle a voi, quindi aiutatemi smontando senza pietà quel che sto per scrivere J

PRO e CONTRO del decreto Ronchi, a quanto mi pare di aver capito.

PRO: - il quasi-obbligo di andare a gara dovrebbe ridurre la discrezionalità dei politici locali nel processo di affidamento, andando ad incrinare quella logica di clientela che aiuta a tenere al loro posto i suddetti politici e modificando almeno in parte gli incentivi dei gestori.

CONTRO: - il processo di gara non è chiaramente descritto nella legge, il rischio è che si continui de facto ad assegnare l’appalto all’amico del fratello del cugino, se non peggio (amen, non mi sembra comunque un peggioramento rispetto a prima, e lo stesso dovrebbe valere secondo la direttiva comunitaria, che continua a prevedere l’assegnazione in-house, no? Almeno il bando di gara è pubblico e porcate eccessive dovrebbero venire a galla)

PRO: - è più facile che inefficienze e irregolarità nella gestione dell’appalto siano messe in luce, sanzionate e via dicendo quando il responsabile di queste non è al contempo il censore, o comunque qualcuno che è stato direttamente scelto dal suddetto.

CONTRO: -Ci vorrebbe una qualche autorità super partes che si occupi di questi controlli etc…

CONTRO:- il famigerato 7% … che ho capito a metà come funziona

DOMANDE:

 - essendo la gara un’asta immagino che i concorrenti dovranno dichiarare più o meno in dettaglio cosa intendono fare in caso di vittoria e quanto intendono farlo pagare… quanto margine ha il vincitore per modificare questo contratto una volta che ha vinto?

- Se questo margine è 0 o comunque molto basso, chemmenefrega di quanto ci sta guadagnando? A me quel che interessa è che tra tutte quelle possibili questa fosse la scelta migliore per quanto riguarda il profilo degli investimenti e le tariffe. Nella peggiore delle ipotesi anche qui vincerà l’impresa pubblica scassona ma che se ne frega di far profitto o comunque l’impresa che avrei selezionato io in-house…

- complessivamente mi sembra più facile regolare meglio per legge le gare ed istituire un ente di controllo dopo che il referendum non sia passato, piuttosto che fare dei passi avanti dopo una vittoria del SI , che di fatto mi sembra darebbe una discreta mazzata all’affidamento del servizio tramite gara in sé, regolamentata bene o male che sia.

Se mi son perso dei pezzi importanti o se i miei ragionamenti fanno paurosamente acqua da qualche parte (cosa che mi aspetto essere, anche perchè ho scritto il tutto in uno stato abbastanza sonnolento)  ringrazio in anticipo chi dopo più di 400 commenti ha ancora voglia di farmelo notare. 

 

 

Ho votato SI' perchè ritengo la Ronchi una pessima legge, fatta per favorire i soliti noti,e, come ho più volte scritto,la normativa comunitaria migliore della pessima legge italiana. Ho più volte detto che non era vero che si tornava indietro, che la Corte Costituzionale era esplicita: se vince il SI' in Italia entra in vigore la normativa comunitaria.

Adesso se ne accorgono anche i sostenitori del NO. Mi auguro maggior coerenza con le idee liberiste, e il sostegno ad una cosa banale: la gara eventuale deve essere tale: vince chi fa pagare di meno e garantisce il miglior servizio. Ai concorsi di bellezza (come erano previsti dalla Ronchi) non sempre vince la più bella, spesso la più disponibile con la giuria.

My last two cents on this matter.

Come ho già detto altrove a me pare che, all things together, quello di Marco su questo argomento sia un classico slum dunk.

E faccio meaculpa, visto che ho votato NO. Cadere vittima dell'ideologia e delle posizioni aprioristiche, per tenue che possa essere stato il fattore ideologico in tutto questo, è sempre un errore.

Ciapa su e porta a cà!

P.S. Doverosa mi sembra anche una tirata d'orecchie a Carlo Stagnaro, che di certo ci legge. Per due ragioni: uno, non aver fatto autocritica (IBL e Carlo erano fra quelli che invitavano il popolo ad andare in spiagga, o mi sbaglio?) che invece l'autocritica e' buona e fa bene; due, non aver riconosciuto, nell'articolo in questione, che gli argomenti di Marco pubblicati qui erano quelli piu' corretti fra quanti pubblicati.

Sono in pochi ad aver capito realmente la Ronchi. Confesso di aver imparato e capito molto (come scritto prima) dal post di Marco Esposito. Grazie.

Proprio il sottilissimo tentato imbroglio rafforza la convinzione che l'esecutivo ha raggiunto dei livelli inaccettabili per uno stato democratico. Spero se ne siano accorti tutti. Politici in primis.

Ti chiedo un ultimo cent. Ci ho provato sopra (risposta al tuo Non è un post ma quasi)ma non ho avuto risposte, faccio un ultimo tentativo. Carlo Clericetti su Repubblica descrive così l'esito del referendum n 2:

 

Il referendum della scheda gialla ha stabilito che il gestore del servizio non può aumentare la bolletta per remunerare gli investimenti, ma questo non significa che la tariffa non debba tener conto di tutti i costi, compresi quelli del capitale necessario agli investimenti, senza di che questi ultimi semplicemente non si farebbero.

 

Mi sembra  una descrizione corretta degli effetti del referendum. Peccato che per me questa frase non abbia alcun senso: O si tiene conto di tutti i costi O non si remunerano gli investimenti. Qualcuno me la spiega?

 

 

L'acqua comincia già a sporcarsi?

 

il calo in borsa fa il paio con l'aumento di EnelGreenPower sono reazioni emotive.

per gli investimenti sospesi faccio fatica a capire: il risultato del referendum riporta in vigore la legge pre "Ronchi"; Hera esisteva ben prima della "Ronchi", allora non investiva? Non ho tempo ma mi piacerebbe consultare il bilancio di un esercizio antecedente la "Ronchi" 

Guardate un po' quando ha cominciato a impennarsi lo spread btp-bund... Che il referendum abbia influito?

Spread BtpBund

 

Che il referendum abbia influito?

 

Non credo tu intenda per via del "battito d'ali di una farfalla che provoca un uragano ecc ecc" :-), quindi hai in mente un rapporto causa-effetto che io non riesco a vedere. Puoi spiegarlo?


rimosso.