L'odore acre. L'angoscia, al primo passo fuori, ogni mattina quando porto Vitto a scuola. I primi giorni si diceva fosse carne bruciata, ma è durato per mesi. Ogni tanto passava, ma poi un giramento di vento riportava crudelmente odore e angoscia. Oggi ci dicono fosse amianto.
I capannelli su B'dway attorno alle auto ferme colla radio accesa, pochi minuti dopo. Il silenzio da day after (su B'dway!). Le voci che si rincorrono su altri aerei e altri obiettivi.
La cerimonia a Grace Church la settimana dopo - GC School ha perso 4 genitori. Sobria. Controllata. Il pianto a dirotto mentre la chiesa canta America the beautiful.
I ponti bloccati da Ashcroft le settimane successive, a singhiozzo - la realizzazione di vivere su un'isola - la paura di vivere su un'isola! - e il pianto di mio figlio per la sua compagna che non può tornare a B'klyn e dorme a scuola.
La gente in coda per donare il sangue a St. Vincent; manderanno via me e Giorgio perché sono finiti i recipienti - o perché poco è il bisogno di sangue.
Il disegno di mio figlio sul patchwork della scuola - col la gente che si getta dalle torri. E le sue domande; cui non so rispondere.
La storia di Varadhan: il figlio all'ultimo piano di una torre che chiama per l'addio. Ancora oggi non ho la forza di parlargli in ascensore.
La storia di Glauco e Maria Teresa: la corsa via da Battery Park fino al West Village dove una famiglia li ospita nel basement. La storia simile di Hamid, che ha lasciato i vestiti al Club Quarters.
Il caffè con Giovanna e Antonia al No Place Coffee (o come si chiamava? a Soho, piaceva anche ad Ariel - peccato abbia chiuso) il pomeriggio del giorno stesso. Le ore perse a fare le prime analisi strategiche.
I piani di trasferimento delle famiglie a Princeton, con Giorgio.
L'email di Paul Willen dopo la cosa dell'anthrax: could this be Warsaw 1939? Should we leave to protect our children?
Shachar che alla mia incredulità nei confronti di un attentato mentre guardiamo la prima torre in fiamme dice: do you know how hard it is to hit a building with a big plane like that?
Luca che entra in classe e sommessamente mi chiede di smettere di insegnare che sono cadute le torri. Come ho potuto iniziare a insegnare?
La mancata consegna del NYTimes il giorno dopo. Il posto di blocco su Houston che mi costringe a mostrare il passaporto ogni volta che porto o prendo Vitto da Leo. Il poliziotto sotto casa (perché?) per varie settimane.
Nessun aereo tranne i caccia nel cielo di NY. E il nervosismo ancora mesi dopo quando permetteranno agli aerei di linea di tornare a volare sopra la città.
L'ilarità infantile - con Giorgio - al vedere un ciclostile su Bleecker con un disegno rappresentante Osama e un missile con scritto: we are coming, motherfuckers (motherfuckers non era epiteto così comune allora).
Il bisogno in questi anni di andare a ground zero - ogni tanto - a riflettere. La forza di non andarci - con gli studenti di NYU - la sera dell'uccisione di Osama. Il disprezzo per quelli che hanno condannato gli studenti per averlo fatto.
Le stazioni dei pompieri, frequentissime, le liste dei caduti, i fiori.
Le file di Suv neri giù per B'dway tutte le mattine mentre porto Vitto a scuola, per mesi. I camion di detriti su Houston, avanti indietro, in fila, per molti più mesi.
Il viso, che lentamente vado scordando, di una studentessa che tre anni prima era andata a lavorare da Cantor Fitzgerald. Ma non mi ricordavo il nome e non ho mai saputo/voluto sapere nulla.
La telefonata di Cristina che ci invita a Minneapolis.
Allora
io che dalla radio non capisco cosa stia succedendo e cerco disperatamente di chiamare mio zio che avrebbe dovuto essere li' quel giorno
l'arrivo a casa e la vista di quelle immagini, la pelle che si accapona e la domanda :"chi puo' essere stato''
Oggi
le telefonate alla radio di gente che dice che era contenta perche' gli USA se lo meritavano
Espresso che ha il coraggio di allegare Zero ridicolo e sbugiardato documentario complottista di Chiesa passando per un'inchiesta
Popular mechanics pazientemente smontamolte, se non tutte le teorie complottistiche.