Nelle scuole internazionali il problema “studenti stranieri” è parte quotidiana del lavoro di ogni insegnante. Molto spesso i professori stessi sono stati stranieri a loro volta e quindi possono mostrare empatia verso i problemi di adattamento alla nuova scuola e cultura dei giovani a cui insegnano. Contemporaneamente però, un individuo passato attraverso due o tre sistemi culturali diversi (come avviene nell’arco della carriera per un insegnante internazionale) raggiunge un’assuefazione e irrigidimento a vedere le difficoltà di adattamento dello studente che si trova nella condizione di straniero per la prima volta. Nella scuola statale italiana l'arrivo di studenti stranieri e' un fenomeno recente e mi domando come i professori affrontino questa nuova sfida.
Nella rivista "IS" dell' ECIS (European Council of International School) volume 13 issue 3 un articolo di E.T. Ranger dal titolo "How Strange is a Stranger" parla proprio di queste problematiche. Nel suo incipit E.T. Ranger mette a confronto gli aggettivi "stranger" ed "etranger"; i vocaboli hanno la stessa radice ma il significato diverge: in inglese si da maggiormente peso alla "diversita' dalla norma" in francese "alla diversita' di nazionalita' ". In italiano (derivando dal francese) questo aggettivo in prima istanza definisce chi appartiene ad uno stato estero, e solo in un' accezione letteraria lo si usa per indicare l'estraneo e in forma arcaica lo strano. E a scuola, quale valore assume uno studente straniero? Ci si preoccupa piu' della sua diversita' dalla norma o della sua appartenenza ad una diversa nazionalita'?
Durante un simposio sponsorizzato dall’“Osservatorio Permanete Giovani Editori di Firenze” mi sono confrontata con due presidi di scuola secondaria del bresciano (scuole italiane statali), e questa necessità di mediare tra la cultura originaria praticata in famiglia e cultura italiana inculcata a scuola e sperimentata in concreto dai giovani nelle interazioni quotidiane fuori casa, è un argomento molto vivo e sentito da quelle parti. Mi raccontavano le presidi che la scuola pubblica si rende conto di essere in prima linea specialmente per i problemi delle adolescenti scolarizzate nella società italiana ma forzate dalla famiglia a vivere comportamenti culturali estranei alla società italiana. Come viene incontro la scuola italiana ai bisogni degli studenti stranieri che convivono giornalmente con una cultura familiare di provenienza talvolta agli antipodi con la cultura della società italiana? Come si opera la mediazione?
L’anno scolastico è appena iniziato e già si vede sui giornali dare spazio alla percentuale sempre più alta di figli di immigrati nelle classi. Non solo nelle grandi citta', anche nei piccoli centri le direttive della Ministra Gelmini si scontrano con proporzioni all’inverso: classi dove sono maggioritari gli stranieri agli autoctoni. Questo crea inevitabilmente attrito con le famiglie e l’amministrazione: problemi di ordine organizzativo e didattico. Sono sicura che un insegnate di ESL e uno di ISL (english as a second language/italian as a second language) hanno molto in comune dovendo lavorare con uno studente che non parla la madrelingua che sta alla base dell’istruzione scolastica impartita.
Mi piacerebbe leggere le esperienze di insegnanti e genitori da tutte le zone italiane: quelli con piu' mezzi a disposizione e quelli che lavorano in realta' anche penalizzate economicamente.
Nel meridione il fenomeno è assai più ridotto che al Nord. Mi piacerebbe conoscere gli esiti di questo confronto ma temo di non potervi contribuire molto, perché nei Licei in Puglia (per i quali ho esperienza), il fenomeno è abbastanza limitato.
Per quel che riguarda le disposizioni della Gelmini, io credo che vi sia un problema di fondo da chiarire subito. Se non ricordo male, la Gelmini e le sue disposizioni tengono soltanto conto della nazionalità dello studente, e non del suo luogo di nascita o del tempo passato in Italia.
Alcune classi hanno percentuali altissime di non-italiani che sono perfettamente integrati e parlano l'italiano come madre lingua, ma sul passaporto dei genitori non risultano come italiani. In quel caso costituiscono un problema praticamente soltanto per la burocrazia, ché la vita di classe non ne è intaccata.
Dove scusa?
Altissima % di immigrati di seconda generazione integrati... In Italia?
Nel meridione non so, ma a Mazara, ed in minor misura in tutte le città costiere della provincia di Trapani (Trapani, Marsala, Castelvetrano, anche Alcamo volendo) c'erano una marea di ragazzini di famiglia nordafricana già quando andavo io alle elementari, oltre 30 anni fa.