"Abbiamo appena comprato l'Australia"

/ Articolo / "Abbiamo appena comprato l'Australia"
  • Condividi

La discussione sulla politica economica della Cina mi pare piena di fraintendimenti e confusioni - ovunque, in Italia, in Amerika, e anche in Cina. Non sono un esperto, ma proprio per questo provo a delucidare la questione, così magari mi chiarisco le idee pure io. [Cosa diavolo c'entra l'Australia - si chiederà il lettore. La spiegazione del titolo arriva a metà articolo - come incentivo alla lettura]

I fatti. Non credo che ci siano dubbi che l'economia della Cina sia un grande successo. Dopo la fame degli anni '50 e '60, ed una notevole variabilità del tasso di crescita negli anni 70, dagli anni 80 in poi il paese ha preso a girare che è uno spettacolo, come si vede dalla figura sotto.

Cina: Tasso di crescita del PIL

Stiamo parlando di tassi di crescita reale del 10%, a fronte di una ridotta crescita della popolazione, come si vede dalla figura sotto. (Come è noto la Cina ha implementato con un certo successo dal 1978 una severa politica di controllo delle nascite - un figlio a famiglia). In altre parole, questi sono (quasi) tassi medi di crescita del reddito per capita!

Cina: Tasso di crescita della popolazione

Il successo economico della Cina è anche ben rappresentato dalla sua bilancia dei pagamenti. La bilancia dei pagamenti di un paese è data dal valore delle esportazioni di beni e servizi meno il valore delle importazioni di beni e servizi. Ebbene, la bilancia della Cina ha presentato attivi enormi (442 miliardi di dollari nel 2009) e apparentemente esplosivi, da metà anni '90. La figura sotto, aggiornata al 2007, rende l'idea.

Cina: Bilancia dei pagamenti

Tipicamente, attivi di bilancia dei pagamenti di queste dimensioni e di questa persistenza nel tempo sono il frutto di una tasso di cambio sottovalutato: gli stranieri trovano prezzi relativamente favorevoli in Cina e i Cinesi trovano prezzi relativamente sfavorevoli all'estero - la Cina di conseguenza esporta molto e importa poco.

Se il tasso di cambio dello Yuan (o Renmimbi) fosse determinato liberamente sul mercato dei cambi, esso subirebbe quindi, con ogni probabilità, pressioni alla rivalutazione. Così non è; cioé, il tasso di cambio dello Yuan non è determinato sul mercato. Non lo è mai stato. Fino agli anni '80 il cambio dello Yuan era fissato a circa 2.5 Yuan per Dollaro. Ma la Cina era allora sostanzialmente chiusa al commercio internazionale e quindi il cambio era essenzialmente irrilevante. Al mercato nero lo Yuan perdeva valore fino al 1994, quando fu ufficialmente svalutato, a 8.6 Yuan per Dollaro. Da allora il governo cinese essenzialmente lo controlla con operazioni finanziarie sul mercato internazionale (lo Yuan non è convertibile).

Una leggerissima rivalutazione si osserva, nei dieci anni che seguono la svalutazione, ma occorrono gli occhiali; come si vede dalla figura sotto.

Tasso di cambio Yuan per Dollaro

Dal 2005 a oggi lo Yuan si è rivalutato ancora un po', sempre lentamente - ma un po' meno lentamente che nel passato: a oggi il cambio è di 6.7 Yuan per Dollaro.

Come hanno reagito economisti, politici, intellettuali a questa situazione economica internazionale: crescita rapida e sbilanci di commercio? Categorizzo le reazioni come segue.

La deriva protezionistica. Il dibattito sugli effetti economici del successo della Cina e soprattutto della sua bilancia dei pagamenti, è partito per la tangente, con una chiara deriva protezionistica. Un buon esempio di questa deriva è naturalmente, in Italia, la polemica suscitata dal ministro Tremonti con il suo libro su La paura e la speranza; dove la paura è la paura della Cina e la speranza è che il sistema politico europeo ci sappia proteggere dalla Cina stessa (si parla di protezione economica, naturalmente, non militare). Non voglio infierire sul ministro Tremonti nella sua veste di economista e acuto intellettuale, perché lo abbiamo già fatto. Ma la deriva protezionistica non è limitata alla periferia dell'impero, dove abita il ministro. La reazione nel centro del centro dell'impero è esemplificata da Paul Krugman sul NYTimes:

This [the Chinese one; ndr.] is the most distortionary exchange rate policy any major nation has ever followed. And it’s a policy that seriously damages the rest of the world. China, by engineering an unwarranted trade surplus, is in effect imposing an anti-stimulus on these economies, which they can’t offset. [...] we’ve been reasoning with China for years, as its surplus ballooned, [...]
It’s time to take a stand.

Non per nulla il Congresso ha appena passato una legge che, se passasse anche al Senato (cosa che succederà con ogni probabilità) darà al Ministero del Commercio estero il potere di attivare politiche protezioniste - leggi tariffe - nei confronti di quei paesi che mantengano il proprio tasso di cambio artificialmente sottovalutato - leggi la Cina.

La deriva interventistica (fino a diventare autocratica). La seconda reazione al successo della Cina è stata la rivitalizzazione di posizioni intellettuali interventiste - in politica economica in generale, non solo con riguardo ai tassi di cambio e alla politica commerciale. Queste reazioni sono generalmente supportate da giustificazioni del tenore di "vedi il successo della Cina, che tutto controlla e che produce eventi (Olimpiadi, Expo,...) e infrastrutture (autostrade, linee della metropolitana, treni veloci,...) come se piovesse; altro che mercati". I più arditi tra i commentatori arrivano, con simili giustificazioni, a cantare le doti di sistemi politici autocratici, di fronte a democrazie impallate e confusionarie. Un esempio è Anatole Kaletski, capo-economista di una società di consulenza basata ad Hong-Kong e autore di un libro su Capitalism 4.0: The Birth of a New Economy in the Aftermath of Crisis. Con riferimento ad un recente intervento sul mercato dei cambi del Giappone, Anatole Kaletski sul NYTimes scrive:

With Chinese economic policy now serving as a model for other Asian countries, Japan was faced with a stark choice: back United States criticisms that China is artificially keeping down the value of its currency, the renminbi, or emulate China’s approach. It is a sign of the times that Japan chose to follow China at the cost of irritating America.

Si potrebbe commentare che egli vede forse troppo in un singolo intervento valutario del Giappone. Ma è proprio da qui che invece il suo ragionamento prende una deriva interessante:

 

Japan’s action suggests that, in the aftermath of the recent financial crisis, the dominance of free-market thinking in international economic management is over. Washington must understand this, or find itself constantly outmaneuvered in dealings with the rest of the world. Instead of obsessing over China’s currency manipulation as if it were a unique exception in a world of untrammeled market forces, the United States must adapt to an environment where exchange rates and trade imbalances are managed consciously and have become a legitimate subject for debate in international forums like the Group of 20.

 

E ancora:

The fact is that the rules of global capitalism have changed irrevocably since Lehman Brothers collapsed two years ago — and if the United States refuses to accept this, it will find its global leadership slipping away. The near collapse of the financial system was an “Emperor’s New Clothes” moment of revelation.

Ed ecco la deriva autocratica: gli uomini veri governano col pugno di ferro - come i cinesi - mentre gli amerikani non sono che dei mollaccioni.

Sarebbe fin troppo facile prendersela con l'arroganza battagliera di Krugman e del Congresso e con i voli logico-pindarici di Kaletski. Ma argomenti di questo tipo si sentono in continuazione. Nel mio piccolo modesto mondo, ad esempio, almeno due giornalisti mi hanno telefonato la settimana scorsa cercando di farmi dire esattamente questo. Non solo, ma questa è anche la posizione che molti economisti in Cina (vabbé il paio che ho sentito io) sembrano sostenere. Ad una recente cena a Shanghai, due economisti di Fudan University (uno dei quali mio ex-studente, e quindi diretto e aperto con me) hanno preso questa posizione con passione e senso dell'umorismo. Riguardo all'autoritarismo del governo la reazione è stata:

We got unlucky with the first one, but the second was a genius,

suggerendo che non c'è ragione per cui non possa continuare la botta di fortuna (iniziata con Deng, per coloro che hanno perso la battuta).

Riguardo alla possibilità che la Cina possa continuare a crescere, la reazione è stata che l'unico problema potrebbe essere la disponibilità di materie prime, ma

We just bought Australia! [risate generali, ndr.] Seriously, we did.

E allora vale forse la pena di provare ad argomentare che entrambe le reazioni ai fatti, sia quella protezionistica che quelle autocratica, sono ingiustificate. Non sono certo l'unico a sostenere una posizione di questo tipo. A me pare che Gary Becker sul WSJournal lo abbia fatto con chiarezza. Ma anche Becker tende a lasciarsi andare a posizioni ideologiche e apodittiche:

No country in the modern world has managed persistent economic growth without considerable reliance on private enterprise and decentralized private markets. All centrally planned economies failed to achieve sustained development, including the Soviet Union before its collapse, China before market reforms began in the late 1970s, and Cuba since Castro's revolution in the late 1950s.

(Prendi e porta a casa, caro Kaletski!) Proverò quindi a spingere un po' gli argomenti di Becker (il sogno della mia vita: fare l'assistente di Becker - e nemmeno scherzo).

Alcune cosette che sappiamo di economia. Non ho alcuna intenzione di vendere “leggi economiche”. Però un paio di “cosette” che sappiamo ci sono. Sapere - in economia - significa avere una teoria (coerente con i requisiti che la disciplina richiede) e dati solidi a supporto delle implicazioni della teoria stessa. E’ il meglio che possiamo fare. Può sempre succedere che le teorie diventino obsolete, perché i requisiti richiesti dalla disciplina evolvono, o che nuovi dati invalidino quelli precedenti. Ma è comunque meglio che (far finta di) non riconoscere quello che sappiamo, per lasciarsi andare ai pregiudizi ideologici o alla paura.

Provo a fare una lista delle cosette che sappiamo e che sono rilevanti per la questione della Cina.

1. Rendimenti decrescenti e convergenza nei tassi di crescita. La crescita di un paese è ostacolata da rendimenti decrescenti (cioé rendimenti di scala costanti con uno o più fattori relativamente fissi). Come conseguenza, ci aspetteremmo tassi di crescita più alti per paesi relativamente in via di sviluppo rispetto ai paesi più sviluppati, diciamo i paesi OCSE. Il primo modello di crescita moderno, dovuto a Bob Solow, ha essenzialmente formalizzato questo punto, generando l’implicazione che i tassi di crescita dei paesi tendano a convergere. Naturalmente le cose non sono così semplici, l'evidenza empirica della convergenza nei tassi di crescita è abbastanza elusiva (e non è chiaro se la convergenza si abbia a zero, o a un tasso di crescita positivo costante). Alcuni modelli implicano o assumono rendimenti crescenti ed esternalità, trappole di crescita e altre amenità. Le “trappole” sono importanti, perché è ovvio che molti paesi in via di sviluppo non crescono affatto. Ma quando escono dalla trappola ... i rendimenti decrescenti iniziano a operare. Che i rendimenti decrescenti siano una forza fondamentale da affrontare nei processi di crescita è una di queste “cosette” che sappiamo. Gli economisti fanno fatica a predire quando un paese inizi a crescere, ma si aspettano che quando questo succede la crescita sia rapida e poi lentamente si riduca. Questo è successo/sta succedendo ovunque. La mappa del mondo sotto (dati Wolfram alpha), relativa al 2009, dimostra che tassi di crescita relativamente elevati (è un anno di crisi) - diciamo l’area ocra - si hanno a sprazzi in Africa, Sud-est Asia e anche America Latina e Centrale.

Mappa dei tassi di crescita nel mondo

Per chi preferisce serie storiche, ecco i tassi di crescita di Israele, ovviamente “in via di sviluppo” nel dopoguerra; e dell’Italia, che anch’essa partiva indietro rispetto al resto dell’Europa dopo la guerra (dati Penn World Tables; sapessi come presentare medie per stirare i dati senza perdere un pomeriggio lo farei - e cosi' ve li beccate rozzi - stirateli con gli occhi, per favore).

Un altro esempio interessante, Taiwan dagli anni ‘70 in poi.

Potrei continuare. Preferisco invece ripetermi per chiarezza: non intendo argomentare che rendimenti decrescenti siano l’unica o anche solo la più importante forza che agisce sulla crescita; dico che è una forza importante, di cui è necessario tener conto nell’analisi dei processi di crescita.

2. Vantaggi da free-trade. I “gains from trade” di Ricardiana memoria sono anche essi una delle “cosette” che sappiamo. Anche qui, la teoria naturalmente ha esplorato situazioni nelle quali l’apertura al commercio internazionale può avere effetti perversi, negativi, per una parte o anche tutti i paesi che si aprono. Tutto interessantissimo, ma i “gains from trade” sono ancora una volta uno degli effetti fondamentali del commercio internazionale. Lo sono teoricamente ed empiricamente. Per varie rassegne della correlazione tra apertura al commercio e crescita, si veda qui e qui e qui e qui,..

Uno dei migliori argomenti, in principio, a favore del protezionismo come misura temporanea, è quello detto dell’industria nascente: Agli albori dello sviluppo di un paese, le imprese manifatturiere sono tipicamente non competitive rispetto a quelle del resto del mondo (ad esempio per mancanza di capitale, conoscenze, infrastrutture) e quindi è buona cosa proteggerle fino a quando non possano competere da sole. Questa è una strategia provata ovunque negli anni 60 e 70, con scarso successo, dal Sud Italia all'Africa all'America Latina. Un bel racconto dei fallimenti di questa argomentazione - nei dettagli - è il libro di Bill Easterly:

La ragione per cui la strategia è fallita, tipicamente, è che una volta protette le industrie rimangono dipendenti dai sussidi, nella forma di sussidi diretti o di cambio sottovalutato, e non arrivano mai a competere alla pari col resto del mondo.

3. Inefficienza degli oligopoli protetti. Onestamente non vorrei nemmeno discutere questo punto, scrivendo nella lingua del paese che ha prodotto e mantenuto l’IRI (e le partecipazioni statali in generale; ma anche la Fiat). L’oligopolio è inefficiente per conto suo - perché permette alle imprese, grazie al loro potere di mercato, di ridurre a proprio profitto la quantità prodotta. Se poi è sussidiato o protetto secondo l’(ir)ragione politica invece della ragione economica, allora le distorsioni si cumulano e l’inefficienza esplode.

L’argomento principe (unico) a favore dell’oligopolio è quello che esso sia necessario per permettere alle imprese di recuperare ex-post i costi della loro attività innovativa (brevetti, etc.). Questo argomento, anche a volere essere molto cauti, è estrememente debole empiricamente. Come molti sanno, Michele docet:

4. Governi autocratici, probabilmente, non aiutano la crescita nel medio-lungo periodo. Questo è un punto delicato. Per questo ho aggiunto il “probabilmente”. La teoria sul rapporto tra democrazia e crescita è debole debole. Mi par ragionevole ipotizzare che il rapporto, se esiste, non sia lineare. L’analisi empirica invece è nella gran parte composta di regressioni lineari che comunque, in quanto regressioni, mostrano solo una correlazione tra democrazia e crescita. Tale correlazione appare (debolmente) positiva, come si vede dalla figura.

Robert Barro, che di queste regressioni è uno degli autori più convinti, riassume così i risultati:

These results strongly confirm the idea that a higher standard of living goes along with more democracy. Moreover, the effects are predictive.

Ma queste regressioni sono silenti sulla direzione del rapporto causale, tra democrazia e crescita, che è quello che ci interessa: è la democrazia ad aiutare la crescita, o è la crescita che induce una domanda per la democrazia (che viene poi soddisfatta, pacificamente o come effetto di una rivoluzione)? Non lo sappiamo. Non sappiamo nemmeno se la domanda sia ben posta. Ma sappiamo che la correlazione non è negativa.

Cosa ci dicono allora queste cosette che sappiamo di economia? Ci suggeriscono che gli inni alla forza distruttrice della Cina potrebbero essere mal riposti. Ma anche senza l’abilità di utilizzare la “sapienza” economica per analizzare le questioni geo-economiche del momento, basterebbe saper imparare dai propri ed altrui errori passati. Qualcuno si ricorda il Giappone negli anni '70 e '80? Niente male come crescita, come si evince anche dalla figura sotto. Non sarà la Cina, ma... davvero niente male. Nel periodo inserito nella finestra rossa del grafico, tra il 1970 e il 1990, il Giappone ha fatto molto bene. Poi no. Ma entriamo un po' più in dettaglio.

Giappone: Tasso di crescita del Pil

Qualcuno ricorda gli strilli di politici, intellettuali e giornalisti sulla necessità di proteggersi dal Giappone nel corso degli anni '80? Per non parlare delle società di elettronica e dei sindacati dell'automobile. [Ricordo male io, o Krugman - che allora era e ragionava da economista - era contro tariffe e altre amenità?] E tutte le acute osservazioni sul fatto che i giapponesi supportavano la propria industria, maledetti, e noi (amerikani) invece lasciavamo la nostra al proprio (triste) futuro. Addirittura Ronald Reagan - dico Reagan, proprio lui - all'inizio degli anni '80 dichiarava, parlando a Detroit (!):

"Japan is part of the problem. This is where government can be legitimately involved. That is, to convince the Japanese in one way or another that, in their own interests, that deluge of cars must be slowed while our industry gets back on its feet..."

E poi impose una tariffa del 100% su alcuni prodotti elettronici. [Ah, forse Krugman non era contro le tariffe, ma semplicemente contro Reagan. Direi che Occam sta dalla parte di quest'ultima spiegazione.]

E tutti quei discorsi sulla governance delle grandi imprese giapponesi che ci affonderanno? La cultura manageriale giapponese, tutta fatta di lavoro a vita, alti salari, fedeltà all'impresa, ginnastica al mattino al suono dell'inno dell'azienda ... altro che questi egoisti edonisti amerikani, che non hanno più valori, che disperatamente e tristemente vanno al bowling da soli. E i keiretsu(系列), gruppi supportati dal governo, grandi imprese che agiscono in sintonia con il governo stesso nel controllo dell'economia. Tutta questa struttura da macchina da guerra che avrebbe affondato l'occidente. E la bilancia commerciale, naturalmente: il Giappone ha continuato ad accumulare avanzi annuali di circa 40-50 miliardi di dollari per tutta la seconda parte degli anni 80. Qualcuno vuole spezzare una lancia per l'industria giapponese e i suoi successi, ora? L'industria giapponese va meglio del paese nel suo complesso, ma comunque l'indice della produzione industriale, fatto 100 nel 1995, era 103 nel 1990 e 98 nel 1998 (i dati sono di fonte OCSE, ma quelli riportati sono di seconda mano, che il sito OCSE ha dei problemi - non appena possibile aggiorno con dati freschi).

Oops, l'84% del reddito pro-capite amerikano non è poco, ma molto meno del 150% raggiunto a metà anni 90. Qualcuno vuole alzarsi e raccontarci cos'è successo alle banche giapponesi da 15 anni moribonde? Il 4 Ottobre il Financial Times riportava, ad esempio, la notizia seguente:

The Topix Bank Index in Japan just closed at an all-time low, lower than during the financial crisis.

 

Per non parlare dell'efficienza del sistema produttivo. Il "lean manufacturing" di Toyota pubblicizzato da John Krafcik in "Triumph of the Lean Production System," per la Sloan Management Review, 1988. Forse è un colpo basso, ma vogliamo parlare dell controllo qualità di Toyota, oggi?

Insomma, è ovvio che il fatto che il terrore per la crescita del Giappone fosse malriposto non dimostra in principio che sia malriposto anche il terrore per la crescita della Cina. Se è per quello, anche il Giappone potrebbe risvegliarsi da un momento all'altro. Per non parlare della Turchia, mamma li turchi!! Però il terrore per la crescita del Giappone era dovuto proprio al mancato riconoscimento delle cosette che sappiamo (e sapevamo) di economia. Da lì provenivano gli errori E gli errori tali sono, anche se giustificati e avvolti dalla paura. Gli urli al protezionismo nel caso del Giappone dimenticavano che free-trade dà vantaggi, di solito; e le grandi imprese protette dallo stato invece sono inefficenti. E questo era il sistema produttivo giapponese che tanto temevamo. Il Giappone quindi, proteggendo le proprie imprese faceva del male a se stesso, non agli Stati Uniti.

E questo sì è lo stesso per la Cina, oggi. E lo so, lo so, la Cina ha uno zilione di abitanti! Mi esce dalle orecchie il mantra dello zilione di abitanti. È vero, nessuna intenzione di dubitare dei conti dei demografi, ma il numero di abitanti nulla ha a che fare con il fatto che la Cina è un paese in via di sviluppo e quindi gode del vantaggio di rendimenti decrescenti (anzi, lo zilione di abitanti rende questo argomento molto più rilevante), e che l'oligopolio semi-statale non funziona. La questione del numero di abitanti mi pare sabbia negli occhi lanciata dal bambino che ha finito gli argomenti, giusto prima di tornare in lacrime dalla mamma sotto l'ombrellone.

E veniamo al tasso di cambio dello Yuan. È sopravvalutato. E tale sopravvalutazione è alla radice dell'avanzo commerciale della Cina. Siamo tutti (credo) d'accordo. Questa è un'indiretta misura protezionistica della Cina. Ma mentre a tutti questa sembra buona ragione per tirare fuori i carri armati, ad un economista questo dovrebbe parere proprio il primo segnale importante che l'oligopolio semi-statale non funziona nemmeno in Cina. Il cambio sopravvalutato per la Cina significa vendere i propri manufatti a basso prezzo e pagare cari quelli degli altri. Messa così non pare una gran mossa di strategia militare. Ed infatti non lo è. C'è una sola giustificazione per una strategia di questo tipo, atta al mantenimento del cambio debole: si chiama protezione dell'industria nascente. Abbiamo già visto che non funziona. La politica del cambio della Cina, nel lungo periodo danneggia soprattutto la Cina (nel breve periodo danneggia i lavoratori nell’Occidente che competono con i Cinesi; problema grosso di cui non discuto qui, perché mi sono posto l’obiettivo di affrontare soprattutto gli argomenti di lungo-periodo - quasi millenaristici - che si continuano ad ascoltare).

E guarda caso, ma proprio per caso, la situazione in Cina è esattamente questa: le grandi imprese semi-pubbliche chiedono al governo che le supporta di non permettere una rivalutazione dello Yuan perché non sarebbero competitive altrimenti e sarebbero costrette a licenziare in massa. Tout se tien: il protezionismo, le grandi imprese oligopolistiche, e semi-pubbliche, che portano un paese alla rovina.

E poi tutti questi argomenti in osanna ai meravigliosi risultati dell’interventismo cinese sembrano dimenticare opportunisticamente due fatti della recente storia economica della Cina (niente di sofisticato, che io ne so pochissimo):

1. La crescita della Cina è iniziata a Shenzhen, con la creazione di una "zona economica speciale" di free-trade nel 1961, e la metafora del gatto di Deng (il genio di cui sopra):

non importa se sia bianco o nero, basta che prenda i topi.

E ne ha presi di topi,

a giudicare dal comune di Shenzhen.

2. La seconda botta di crescita viene dalla creazione della nuova area di Pudong (cioé la liberalizzazione dell'economia di Shanghai) del 1992, associata a un'altra affermazione del nostro genio, questa volta più diretta, senza metafore, e forse apocrifa:

diventare ricchi è glorioso.

E così è stato,

a giudicare da cosa è diventato Pudong. Ma altro che interventismo. Libero mercato puro e duro.

Passiamo poi all'autocrazia. Ebbene sì, la Cina ha un regime autocratico. Come dicono gli amici cinesi già citati sopra quando gli occidentali si stupiscono per l'efficienza e la qualità delle infrastrutture,

it helps not having a political opposition.

Un mio studente cinese ama raccontare a mò di parabola la storia di un agricoltore del suo villaggio che alla richiesta di esproprio del suo terreno da parte del governo rispose "over my dead body" (in Cinese, in italiano non esiste) e il giorno dopo si trovò sotto uno schiacciasassi ed ora riposa sotto il manto dell’autostrada.

È chiaro che un sistema autocratico aiuta a organizzare Olimpiadi spettacolari ed efficienti. E mi pare anche che, quanto a sistemi autocratici, quello cinese sia abbastanza efficiente. I leader politici sono ingegneri e probabilmente molto intelligenti (anche qui aiuta non avere una opposizione) e non sembrano avere particolare tendenza a investire mogli, amanti, figli, figlie, nipoti di posti al sole del potere. Ma i regimi autocratici hanno tendenze faraoniche, fanno bene le cose grandi ma non quelle piccole. Siamo proprio sicuri che per la Cina sia diverso?

PS Michele mi fa notare giustamente che la risposta implicita alla questione cinese in questo post e' "aspettate e verranno giu' anche loro". Il che e' vero, ben detto. E' vero anche che forse molti di noi non hanno nessuna voglia di aspettare 30 anni. Non credo ci sia molto altro da fare. Ma se ci fosse, sentiamo le proposte, senza drammatizzare la questione, invidiare l'autocrazia, o il socialismo capitalista, o il protezionismo. Io per ora ho sentito solo tutte ste cose qua, in una qualche combinazione. Proposte per limitare i costi mentre aspettiamo non ne ho sentite. Io aspetto.

Indietro

Commenti

Ci sono 70 commenti

Quando ero in Cina, non trovai il sistema economico così efficiente. Sì, è vero, costruivano palazzi e ponti ogni tot mesi, ma non ho visto molto altro.

Per dire, rimasi di stucco a sapere che una piccola azienda cinese che conobbi andava avanti per autofinanziamento. Poi, ho letto un po' in giro e pare che le banche in Cina finanzino principalmente le società statali o ex statali.

Poi, vogliamo parlare di innovazione? Io non ho ancora ben capito dove sia l'innovazione in Cina e se ci sono le condizioni per crearla. A me pare che l'individuo sia incentivato a farsi i cazzi suoi e trovare sempre qualche politico/potente che lo aiuti. Insomma, se c'è o ci sarà innovazione in Cina, non penso verrà dalle stesse condizioni di quella che vediamo in Occidente.

Infine, quanta parte della crescita cinese dipende dagli investimenti esteri? Perché da quello che ho capito la percentuale è grossa (a 2 cifre). Io non so fino a che punto questo sia "strategico". Primo, fa dubitare della "pura" crescita cinese. La Cina è stata capace di attrarre investimenti, questo si, ma di produrre innovazione e tecnologia?  Secondo, bisogna capire come queste società estere son state convinte ad andare in Cina. Se questo vantaggio comparato della Cina è acquisibile facilmente da altri Paesi, il rischio che gli investimenti esteri diminuiscano in futuro è forte.

 

Ottimo articolo. Per me un'analisi didattica molto chiara e comprensibile. Grazie.

Mi rimane da capire (insufficienza mia) perchè il tasso di sviluppo delle economie nei paesi sia decrescente, una volta raggiunto un buon livello, come regola generale.

 

"Mi rimane da capire (insufficienza mia) perchè il tasso di sviluppo delle economie nei paesi sia decrescente, una volta raggiunto un buon livello, come regola generale."

 

La risposta, stile Bignami, è che i paesi sviluppati sono vicini alla frontiera tecnologica mentre i cosiddetti sottosviluppati sono lontani. Ad esempio un'industria tessile indiana potrebbe raddoppiare la produzione adottando i metodi di produzione di un'italiana, mentre l'italiana, probabilmente in questo settore all'avanguardia nel mondo, non ha modo di "copiare" uno più avanzato di lui.

Il discorso nella realtà è un più complesso, ma come risposta in pillole dovrebbe andare.

 

 

provo ad arrivare primo nel consigliare  Helpman: "il mistero del

la crescita economica" è quello che ci vuole per noi non-accademici.

Mi rimane da capire (insufficienza mia) perchè il tasso di sviluppo delle economie nei paesi sia decrescente, una volta raggiunto un buon livello, come regola generale.

cmq, la prima secchiata di diserbante ha grandi effetti, le successive meno...però non ricordo di chi sia, mi prenoto da lei per una visita?

 

 

Mi rimane da capire (insufficienza mia) perchè il tasso di sviluppo delle economie nei paesi sia decrescente, una volta raggiunto un buon livello, come regola generale.

 

Già, ma non è detto che sia una regola prettamente economica. Nel senso che si osserva un fenomeno (e questo per ora è un dato di fatto) ma non è detto che la causa sia legata ad una legge economica. Potrebbe essere legata a considerazioni di ordine diverso, politico, sociale, biologico, storico ... e anche economico. Osserviamo che gli esseri viventi hanno un periodo di crescita iniziale abbastanza esplosivo, poi non si cresce piu' ed infine si muore. E' il ciclo della vita. Osserviamo che in passato sono sorti imperi di cui pero' oggi osserviamo solo le rovine. Anche qui c'è un ciclo. Cade un impero e ne sorge un altro. Non mi pare stupefacente che nazioni ed imperi economici si sviluppino rapidamente, a seguito di un'innovazione, che poi questa innovazione si diffonda ovunque, limitando il vantaggio iniziale del posto in cui l'innovazione era partita, e che poi altri inneschino una nuova crescita partendo da altre innovazioni.

Francesco

 

 

"over my dead body" (in Cinese, in italiano non esiste)

 

Come non esiste? Esiste, si dice "dovrete passare sul mio cadavere"!

Che figura!  Il mio italiano non c'e' piu'... che figura!

In relazione con la politica del singolo figlio per famiglia, oltre alla naturale riduzione della fertilità che era iniziato già prima, ho letto da qualche parte la predizione che "la Cina invecchierà prima di diventare ricca".

Tuttavia, mi sembra che la situazine cinese

http://it.wikipedia.org/wiki/File:China_population_pyramid_2005.png

non sia poi così diversa da quella degli Stati Uniti o dell'Italia

http://it.wikipedia.org/wiki/File:Uspop.svg

 

Splendido articolo, Alberto. Documentato e razionale, dunque ...... inaccettabile per il governante medio(cre) italiota che dove trovare un nemico esterno al quale attribuire la colpa di ogni male, dal momento che l'alternativa è confessare la propria inadeguatezza.

Perché la logica conseguenza dei tuoi ragionamenti è che, in attesa di una soluzione che venga dalla naturale (?) evoluzione del ciclo economico cinese, abbiamo un'unica possibilità: ridurre al massimo gli sprechi di risorse derivanti dall'intermediazione politica - spacciati truffaldinamente per necessari a fini perequativi - e, comunque, accettare riduzioni di benessere medio - almeno come percezione - e dei cosiddetti "diritti acquisiti". Concentrando l'attenzione sulla creazione di ricchezza. Esattamente ciò che non piace a detentori di privilegi varii, lobbies protette, percettori di rendite di posizione ....

Ah, già ...... ma qui siamo biechi ed insensibili liberisti!

Messa così è talmente ovvia da trovare l'approvazione anche mia, che sono della CGIL :) Il problema però, in prima apparenza, sembra essere la mancanza di consenso su che cosa sia, per esempio, "spreco di risorse... spacciato truffaldinamente per necessario", perché tutti siamo bravi ad accorgerci che macroscopicamente sulla politica si lucra, ma quando si scende nel particolare diventa complicato; ma non è questo il punto (che opporrebbe le nostre posizioni dai due lati di un falso problema, secondo me). Approfondendo lo sguardo si può ipotizzare, semplicemente, che nella fase post-boom di un'economia le persone siano del tutto assuefatte alla ricchezza e non riescano ad adeguarsi al fatto che in certi periodi per produrre occorre rimboccarsi le maniche, come invece appare naturale e scontato nelle fasi di partenza; troppi tra quelli che prendono le decisioni sono nati dopo il boom, e quindi non hanno idea del fatto che se pranzi gratis potresti dover pagare il conto in seguito. 

La mia conclusione, già da tempo, è che rimedio non c'è. Ma è anche che sia un'illusione ottica il pensare che noi stiamo peggio e i cinesi stiano meglio, o che i nostri genitori stessero meglio di noi perché crescevano a tassi cinesi. Uno sguardo onesto alle condizioni materiali di vita ci dice il contrario. Perciò, la soluzione non c'è, ma forse non c'è nemmeno il problema. Io, di mio, ho messo al sicuro i risparmi e aspetto, relativamente tranquillo.

 

 

A parte che

 

"over my dead body" (in Cinese, in italiano non esiste)

 

esiste anche in italiano (importato dall'Amerika?): "dovrete passare sul mio cadavere!".

Il vecchio detto popolare italiano "Al contadino non far sapere quant'è buono il formaggio con le pere" penso che si adatti benissimo alla realtà cinese. Basterebbe far vedere ai contadini come vivono i cittadini o gli alti papaveri del regime, et voilà, si incazzerebbero come furie, specie i figli dei contadini-operai, che non accetteranno più di considerarsi dei cinesi di serie B.

D'altra parte lo sviluppo socio-economico dell'occidente è stato puntellato in più parti ed in più modi da rivolte sociali da parte di chi (a torto o a ragione?) pensava di lavorare molto di più di quanto poi non ne ritornasse indietro in termini di benessere personale.

Certo la retorica occidentale (vedasi premio nobel 2010) punta molto di più sul richiamo al rispetto dei diritti civili e politici in Cina, ma è chiaro per me che rivendicazioni di carattere socio-economico sarebbero molto più destabilizzanti per l'ordine autocratico cinese. Perché non lo si fa, se si ha tanta paura della Grande Cina?

Non per niente lo stesso "socialismo reale" in Est Europa è caduto anche perché le persone sono diventate *un po'* impazienti per i tempi lunghi del socialismo e per i sacrifici necessari per raggingerlo: tanto che nel frattempo l'europa occidentale si era molto più sviluppata con sacrifici nettamente minori (nonostante 50 anni prima più o meno si partiva tutti dallo stesso livello). E lo stesso Gorbaciov ammette una certa ammirazione (sincera?) per il sistema socialdemocratico nordico: più ricchi, più liberi, nessuno viene lasciato indietro: "e a me chi me lo fa fare di costruire il comunismo?" (chissà quando poi)...

Bah, adesso mia zia da povera contadina è diventata una "ricca" agricoltrice del ricco nordest. E a fine pasto non manca mai un cubo di grana con mezza pera. Per pulirsi i denti, dice...

 

 

 

 

 

Qualcuno ricorda gli strilli di politici, intellettuali e giornalisti sulla necessità di proteggersi dal Giappone nel corso degli anni '80?

 

Sì, mi ricordo benissimo e mi ricordo come, completamente indottrinato, contestavo l'entusiasmo dei miei amici adolescenti per la Svizzera che consentiva la vendita di auto giapponesi senza sovrattasse !!

Memore di quanto fosse sciocco il mio atteggiamento allora, non mi sono mai preoccupato troppo del "pericolo cinese". Ho sempre pensato alla Cina come alla riproposizione dell'ascesa giapponese. Si stanno riprendendo il posto che compete loro nell' economia mondiale ed al quale hanno dovuto abdicare causa rivoluzione.

Ritengo che l'ascesa giapponese abbia portato vantaggi a tutti (elettronica a prezzi competitivi, rottura di cartelli consolidati in Europa) spero che anche della Cina si potrà dire lo stesso.

 

La Svizzera "consentiva" perché non aveva e non ha tutt'ora un'industria automobilistica nazionale.
Diciamo che invece in altri campi (formaggi, prodotti agricoli....) è un po' meno "consenziente".
Tuttavia quando l'industria orologiera giapponese mise in crisi quella svizzera, quest'ultima non reagì invocando dazi ma con quella incredibile innovazione che fu lo Swatch
Francesco

 

Fantastico post. Fra l'altro, oltre al Giappone, gli USSR hanno creato timore nel mondo occidentale per lungo periodo riguardo al loro inevitabile sorpasso in termini di ricchezza delle altre economie di mercato. Ricercavo su internet un articolo che avevo letto (tanti e tanti anni fa) nel corso di politica economica di Giavazzi-Tabellini, ma mi sono imbattuto in cose piu' interessanti:

i. in questo articolo, gli autori analizzano le proiezioni su crescita USA e USSR pubblicate sui libri di testo d'economia americani. A quanto pare anche Samuelson prevedeva un sorpasso dell'economia sovietica. La cosa interessante e' che i libri di testo analizzati, nelle loro diverse edizioni attraverso gli anni, non hanno mai cambiato le previsioni di crescita nonostante negli anni passati non si fossero mai realizzati i favolosi tassi di crescita sovietici.

ii. Easterly e Fisher sul mito sovietico. Non ho letto molto piu' dell'abstract dell'articolo, ma penso contenga la frase fondamentale:

The declining Soviet growth rate over 1950-87 is explained by the declining marginal product of capital.

 

 

L'analisi di Alberto è condivisibile, anche perchè di "innovativo" le aziende cinesi hanno ben poco, qui dei dati (notare che l'Italia è dodicesima nel mondo), se rapportiamo il numero dei ricercatori, il numero delle aziende e il PIl la Cina non è assolutamente all'avanguardia, ma anzi arranca molto dietro.

La Cina è molto forte in comparti tutto sommato "maturi", dal tessile alla elettronica di consumo (in quest'ultima soprattutto per gli investimenti eseteri), già si sente parlare di casi di delocalizzazione in Vietnam di strutture produttive prime in Cina (soprattutto scarpe e tessuti), e comunque in settori ad alta intensità di capitale le aziende solo cinesi sono molto indietro e hanno produzioni di scarsa qualità (provare per credere), anche se dando tempo al tempo saliranno di qualità.

La nostra (di occidentali) miopia consiste nel non capire che la Cina è un mercato, in cui vendere quello che sappiamo fare e facciamo bene, invece pensiamo di andar lì, metter su "la fabbrichetta" e vendere ai cinesi: non funziona. L'errore del Giappone (a cui la Cina assomiglia molto per certi versi) è stato proprio quello di esser chiuso ai prodotti esteri (ricordo un'intervista a Carlo De Benedetti negli anni '80 in cui si vantava che la Olivetti era la più grossa multinazionale presente in Giappone. Capii tante cose..), se la Cina commetterà lo stesso errore è finita. La Cina, intendo.

Sta nel fatto che ci si lamenta se i nostri fornitori esteri ci vendono i loro prodotti a buon mercato. E  non si tiene in considerazione che il fine delle esportazioni è di poterci pagare le importazioni, lasciandoci infinocchiare dalla considerazione del fine immediatamente percepibile di fornire un reddito e un lavoro agli esportatori. Si tratta di un' applicazione della circostanza generale per cui l' interesse dei produttori fa premio su quello dei consumatori, anche se il fine della produzione dovrebbe essere quella di consentire il consumo. Sul perchè di tutto questo basta citare Mancur Olson. All' epoca del Comecon nessuno dei partecipanti si sarebbe lamentato perchè i loro fornitori praticavano prezzi troppo bassi, anzi il contrario. Ma le assurdità del Comecon e del commercio di stato, come ben noto, erano altre e non certo inferiori a quelle delle nostre schizofrenie. Ci sono buoni motivi per essere scontenti del fatto che i nostri concorrenti internazionali praticano prezzi più bassi dei nostri, ma per questo il nostro protezionismo ovviamente non offre rimedio. Grazie alla fornitura di beni-salario a basso prezzo dalla Cina durante il periodo della great moderation la politica accomodante di Greenspan ha permesso per parecchi anni crescita elevata e benessere agli USA. Dove è cascato l' asino è stata l' idea sbagliata del potere di autoregolazione dei mercati delle attività e la tolleranza verso il potere di creazione incontrollata di prodotti finanziari incompatibili rispetto gli incentivi. Per quanto riguarda la Cina, la sua crescita va vista nel contesto del precedente disastro economico del periodo maoista (se si rettificano delle enormi cazzate il risultato non potrà essere che brillante) e del successo del modello economico di sviluppo del sud est asiatico, mutuato armi e bagagli dalla Cina del dopo Mao, fondato sulle esportazioni e sul learning by doing.

La "colpa" dei cinesi è di venderci quello che vogliamo comprare a prezzi bassi.

Enunciandolo così si rivela tutta la sua assurdità. Ma non è un assurdità del capitalismo, è un' assurdità dell'opinione pubblica o se preferisci un limite umano. Un disturbo bipolare: ci sta bene che ci vendano a basso prezzo quel che dobbiam comprare, ma non vogliamo che facciano lo stesso con quel che dobbiamo vendere. Come le operaie della Calzedonia che non vogliono che la ditta si trasferisca in Serbia ma, credo, non vogliono nemmeno pagare le loro calze 10 euro in più al pezzo per farle produrre in Italia.

Non so perche' ritieni il fattore dello zilioni di abitanti come poco importante. A me pare cruciale, e secondo me e' questo che preoccupa i politici del resto del mondo: non il tasso di sviluppo, non il metodo di sviluppo, il tasso di cambio, tutte le altre cose, etc..., etc...

Con lo zilione di abitanti appena hai un minimo di funzionamento dell'economia riesci a comprarti l'australia (e l'africa, il tuo amico se l'era dimenticato che si sono comprati anche l'africa), cosa che italia e francia non riusciranno mai a fare separatamente. Ma soprattutto, quando sara' il momento e appena il pil pro capite sale un altro po'e quando avranno i soldi, mandare 50mila troups in iraq, afghanistan, israele, per loro sara' un niente (per gli usa mandarne 20mila e' un casino). La cosa mi preoccupa non poco. Di fronte a questo tipo di preoccupazione, l'unica via di salvezza e' uno scenario da guerra fredda con due poli contrapposti, o sperare che la dimensione endogena ottima di un paese sia inferiore (ma non so perche' lo debba essere). 

Mi aggancio qui al post di Andrea perché ha portato l'attenzione su alcuni punti ai quali pensavo anche io, ovvero il fattore popolazione.

Per quello che mi ricordo dalle mie letture ci sono questi aspetti:

-la politica della famiglia nucleare ha creato scompensi gravi sia nelle differenze di genere (troppi maschi, laddove si poteva o voleva scegliere) sia rispetto all'invecchiamento della popolazione. Su questo ho letto coloriti e drammatici reportage dei casini letterali che i russi costruiscono sopra l'Amur per offrire donne abbondanti visto che gli uomini in Russia non ci sono (semplifico eh);

-la popolazione è potenza Ok, ma se consideri solo le eventuali spese pensionistiche e di assistenza che presumibilmente si dovrà fornire al zillione, credo che la potenza si rovesci in problema;

- la popolazione cinese non è culturalmente né storicamente omogenea. La cosa non è per nulla un problema in sé, ma se io considero nell'ordine: Tibet e Xinjang e considero che sono zone sinizzate con la forza e con problemi di vere e proprie sollevazioni sociali periodiche, beh allora mi pare che la situazione non sia così stabile da poter parlare di un paese che addirittura si può permettere di proiettare la sua forza fuori dai confini nazionali. Numericamente mi pare gli Han sopravanzino tutti, ma rimane un problema di stabilità: zone estesissime del paese, importanti per ragioni strategiche o economiche sono una polveriera, non mi sembra poco.

A me personalmente poi incuriosisce parecchio comprendere, nel caso ci siano, i parellelismi tra ascesa economica USA e ascesa cinese:

a) la prima domanda è capire se l'ascesa americana in termini di ricchezza e sviluppo industriale può essere raffrontata a quella cinese, sia per intensità temporale sia per condizioni di partenza e di arrivo. Qui ci stanno bene gli economisti a rispondere :).

b) poi mi piacerebbe capire come era raccontata in Europa l'ascesa americana, se era vista con timore e preoccupazione. Vorrei sapere come era raccontata nei giornali e nella discussione pubblica  la costruzione di quella nazione.

Certo, mi rendo conto che sono paragoni che potrebbero essere forzati però sarei curioso lo stesso.

Poi un po' di altre cose, visto che qui bazzicano persone come Andrea Gilli (del quale ho letto da poco proprio una cosa sulla Cina) e Enzo Michelangeli, che è lì sul posto.

Ma la Cina sta anche costruendo un soft power almeno nell'area asiatica? Oppure viene percepita come un paese che cresce e basta e si imporrà per i soli suoi numeri? Come è vista la Cina dai suoi vicini? Perché da quello che leggo (stampa come Economist o FT) sembra che nei costumi la Cina sia una specie di sottoprodotto dell'americanizzazione più estrema sia a livello urbanistico che culturale ma che alla fine non sia percepita come qualcosa di autonomamente nuovo. Dico: aziende cinesi innovative tipo Apple ce ne sono? Non mi viene in mente nessun brand cinese che sia uno di livello globale (forse solo Lenovo), ma magari sono io che sono provinciale. 

Cioè a me sembra molto appropriata l'idea che i dirigenti cinesi danno di se: come di un paese in via di sviluppo, non vedo questo paese così potente sul piano politico o militare. Ma magari sbaglio.

 

 

 

Parlando da profano: l'articolo è molto interessante, ma nel paragone che si propone con il Giappone manca l'aspetto suggerito dal titolo, e cioè l'ambizione geopolitica della Cina.

Il Giappone degli anni '80 era un paese militarmente e strategicamente tarpato dagli esiti della Seconda Guerra Mondiale. La Cina sta allargando il suo raggio di influenza a mezzo mondo; è solo una conseguenza, o una possibile concausa, della crescita economica?

Su questo tema: si dice nei commenti che

Si stanno riprendendo il posto che compete loro nell' economia mondiale ed al quale hanno dovuto abdicare causa rivoluzione.

E' proprio vero? Cioè, è ovvio che la rivoluzione maoista ha fatto fare un grosso passo indietro alla Cina (per usare un understatement), ma mi pare l'attuale espansionismo commerciale (penso soprattutto all'Africa) sia una novità storica assoluta. L'impero cinese era sì fino al 1700 (mi pare) la prima economia del mondo, ma anche un paese fermamente isolazionista.

 

 

Si stanno riprendendo il posto che compete loro nell' economia mondiale ed al quale hanno dovuto abdicare causa rivoluzione.

E' proprio vero? Cioè, è ovvio che la rivoluzione maoista ha fatto fare un grosso passo indietro alla Cina (per usare un understatement), ma mi pare l'attuale espansionismo commerciale (penso soprattutto all'Africa) sia una novità storica assoluta. L'impero cinese era sì fino al 1700 (mi pare) la prima economia del mondo, ma anche un paese fermamente isolazionista.

 

E' indubbiamente una grossa novità ma, come autore della frase, specifico che "riprendere il posto" non va inteso come un ritorno a dove erano rimasti, ma in senso più ampio: erano una delle maggiori economie del mondo e stanno tornando ad esserlo. Nel frattempo lo scenario mondiale è cambiato (sono cambiate le politiche economiche, sono cambiate le tecnologie) questo rende coerente (anche se non obbligatoria) pure una politica espansionistica.

Articolo veramente interessante;

condivido la preoccupazione di Andrea Moro, perche' se nel lungo periodo (oltre ad essere tutti morti, e questo e' davvero un dato di fatto) Madre Cina si trovera' ad affrontare una serie di problemi dovuti all'ordine di grandezza della sua popolazione (ben esposti da Marco Boninu), nel medio io non sottovaluterei la sua forza potenziale (economica, militare, mineraria).

Io che sono un nerdaccio da guinnes (non la birra) avrei un consiglio: se qualcuno ha mai giocato ad Alpha Centauri, ci andrei piano a far incazzare Sheng-ji Yang...nessun catastrofismo, ma Cina+India (che non sono assolutamente un Bicefalo, ma sono comunque vicini) contano circa un terzo di esseri umani sul pianeta, e io non lo trascurerei.

;-)

 

 

I leader politici sono ingegneri e probabilmente molto intelligenti (anche qui aiuta non avere una opposizione) e non sembrano avere particolare tendenza a investire mogli, amanti, figli, figlie, nipoti di posti al sole del potere.

 

Sicuro su questo punto? Chiaramente i cinesi non è ci tengano a lavare i panni sporchi in pubblico, ma periodicamente filtrano episodi di corruzione collegati agli apparati del Partito Comunista. Questo articolo su Wikipedia è il primo riferimento che ho trovato, per il resto l'articolo è ben scritto e molto chiaro.

Grazie Alberto per l'articolo.

Ma se con un tasso di crescita del PIL del 10% quasi costante da 20 anni il tasso di disoccupazione in Cina è ancora del 10%, cosa succederà quando il PIL crescerà "solo" del 5%?

E quando un 15% dello zilione di abitanti sarà non solo disoccupato, ma anche un minimo ricco e "libero" per poter protestare?

Mi sembra dunque difficile pensare che nel lungo periodo lo yuan si possa rivalutare  significativamente sul dollaro.  

Bell'articolo, tutte cose di buon senso, salvo forse l'attacco a Krugman che anche nei suoi libri divulgativi, come ad esempio "Un'ossessione pericolosa. Il falso mito dell'economia globale", ridimensionava il fenomeno Cina negli stessi termini dell'articolo di AB, con gli esempi di Urss e Giappone, la crescita estensiva ed intensiva ed i rendimenti decrescenti oltre a minimizzare l'impatto, temporaneo, sull'occupazione dei settori manifatturieri "maturi" nelle economie odierne con settore terziario fortemente preponderante. Se ricordo bene in quel libro diceva che l'apertura commerciale era positiva mentre lo era un po' meno la politica della "moneta forte". Quindi non mi sembra che abbia cambiato totalmente idea dal '97 ad oggi e rimane preoccupato per gli effetti dello yuan sottovalutato sull'occupazione manifatturiera nel medio periodo anche se, come dice giustamente AB, questo è più un segno di debolezza della Cina che altro.

Sulla democrazia, beh, questa è un imperativo categorico, una cosa di principio. Anche se l'autocrazia fosse più efficiente non sarebbe desiderabile, perchè la vita non è fatta soltanto di efficienza o di decisionismo, ma anche di confronto e pluralismo. 

 

 

 

 

Bell'articolo, tutte cose di buon senso, salvo forse l'attacco a Krugman che anche nei suoi libri divulgativi, come ad esempio "Un'ossessione pericolosa [...]

 

PK è unagguerrito sostenitore della legge Sandar Levin, ome recentemente dichiarato dallo stesso sul NYT ( e riportato sul numero 869 di Internazionale). K dichiara che " per quanto riguarda la politica monetaia cinese, la diplomazia non otterrà niente finchè non sarà accompagnata da qualche minaccia di ritorsione[il protezionismo]"

 

 

La teoria sul rapporto tra democrazia e crescita è debole debole.

 

Una curiosità: ma gli studenti cinesi che avete, buona parte dei quali immagino andranno un giorno a far parte delle élites culturali del loro paese, dopo aver visto il mondo "libero" ed aver avuto accesso ad un' informazione libera, che idea si fanno della democrazia? Fanno autocritica o restano fieri del proprio paese?

Per lo piu' studiano e lavorano e non si curano del resto... e anche io del resto ho avuto tempo di guardarmi attorno quando ero studente. Ma per i cinesi la cosa e' estrema. 

Si comportano esattamente come noi.

Fra i miei studenti cinesi, ne avrò avuto una dozzina, i migliori son tutti rimasti negli USA, da Duke a Honolulu, da SUNY Albany a USC o Miami. In Cina son tornati o i mediocri, accademicamente parlando, o quelli con forti connessioni politiche.

Vivono una grande contraddizione, a mio avviso. Fra un nazionalismo estremo e colmo di un desiderio di "revanche" (mi sorprende Alberto non abbia notato questo) e la realizzazione che a vivere liberi si vive meglio, anche se si è cinesi.

Se osservate le interessanti note del "mandato del cielo" si compreranno Samo, l'Albania e Creta.

Poi quando passano l'adriatico, si compreranno Venezia che tanto ruppe i cosidetti co ' Marco Polo.

La Cina deve fare attenzione : l'Italia la cui crescita è stata nel 2009 -5% e sarà +1% nel 2000 crescerà quindi , secondo Studio Aperto , del 6%.

 

se volete divertirvi

"Musi gialli" tremate !!! XD

Omammamia. Quindi, applicando la stessa logica, se la Cina cresce un anno del 10% e l'anno seguete del 9% in realtà sta calando dell'1%!A un certo punto Voltremont ha imparato cje le percentuali non si sommano, qua bisogna anche insegnare che non si sottraggono...

La giornalista che dice questa immonda pirlata si chiama Safiria Leccese, sarà bene ricordarsi il nome. Non ho colto il nome della bionda che le tira la volata annunciando ''buone notizie per l'economia italiana''. Santiddio, che squallore.

non ci credevo, poi l'ho visto.

Mi ritiro...

No g'ho paroe

Essendo il Pdc dell'Italia annoiato dalla mancanza di spirito di festa in patria, passo' con geometrica chiarezza, alla politica estera.

Cito (non sto prendendo per il fondello):

 

 

7. "CON ESERCITO UNICO EURPEO RISPARMI OLTRE 50%"... 
(ANSA) - Ricordando il "mare di gol" del governo in Europa, Berlusconi ha citato la proposta dell'esercito unico europeo: "se vogliamo risparmiare nel bilancio - ha affermato nel corso dell'inaugurazione del Salone del ciclo e motociclo - si può ridurre di oltre il 50% le spese per la difesa di ciascun paese, mettendo in campo una forza importante, più forte dell'esercito degli Usa, che possa contare insieme alla Russia e alla Cina nel mondo".

e piu' bello e superbo che pria!

Qualcuno aveva citato Nerone qui?

Chiedo a chi ci vive,che influenza ha sulla cultura,il fatto che il cinese sia formato da diversi dialetti mutualmente inintellegibili fra loro?

La stessa influenza che ha il fatto che i lucani non parlino il danese.

Con un vantaggio, tutto cio' che e' (chiamato dai bianchi) cinese e' scritto in modo leggibile a tutti i parlati di "cinese" (che e' appunto forse 8 --forse di piu' dipende dai criteri di identita' di "linguaggio"-- linguaggi diversi.)

 

Nein, Schatzie, i cinesi non sono una etnia, sono una nazione. Per la cronaca i cinesi sono al 50% Han e ce ne e' una miriade che e' Han quanto me. La dinastia Ch'ing (lultima precente la rivolzuione del 1911 e' di Manchu -- la contea del Nord dove visse il regno effimero di Manchu'Kuo sotto lPuyi) per non parlare di Hakka.  E i cinesi di Canton (che hanno 8 toni o 9 o 10, dipende dalla tua fonologia) sanno benissimo che l'imperatore e' quello del Nord, e non qualche zotico in Korea, a Tokyo (dove abitano scimmiette) o a Hanoi. 

 

Risulta che (ma posso controllare) chi parla "cinese" e' 1.550.000.000 (numero di parlanti, non di telefono.)

 

Due osservazioni:

Prima:

mi ha colpito "l'attacco" di Krugman alla cina e alla svalutazione della moneta cinese.

Mi pare infatti che la Fed, tenendo tassi di interessi a zero (o quasi) spinga per un ampiamento della base monetaria e quindi, abbastanza direttamente, all'abbassamento del prezzo del dollaro tramite un aumento dell'offerta. Insomma a naso mi pare che sia un po' la storia del bue che da del cornuto all'asino.

Dico giusto o straparlo? (Chiedo conferma a NfA perhé oramai siete una delle poche certezze rimaste :) ).

Seconda osservazione:

Pensado a un altro regime poco democratico penso agli Emirati Arabi e a Dubai in particolare. Dalle mie limitate osservazioni, ho notato che le cose sotto protezione statale (e.g. telecomunicazioni) fanno abbastanza schifo (a livello della cara e vecchia SIP). Questo duopolio praticamente non compete con nessuna azienda e i servizi ai clienti sono piuttosto scadenti.

Aziende più aperte al mercato internazionale mi pare invece abbiano maggior successo (e.g. Emirates group). Di recente accusati di avere supporto dal governo, che invece, a mio parere, non c'è.

Un ulteriore esempio dell'inefficienza della protezionismo di stato.

 

Segnalo questo post:

http://moraliaontheweb.com/2010/11/04/lutopia-cinese-perche-il-regno-di-mezzo-non-dominera-il-pianeta/

un po' troppo tranchant dire mai, però fa delle considerazioni interessanti, sulla falsariga di quanto sosteneva fareed zakaria in post-american world: un sogno americano c'è, uno cinese no.

Segnalo un articolo di Alesina e Zingales che inidviduano nell'eccessivo risparmio cinese e nella mancanza di liberta la causa del surplus commerciale cinese.

China needs a US lesson