Un'amica, insegnante di scuola media nata in famiglia medio-borghese - madre anch'ella insegnante, padre dirigente di una grande azienda, entrambi in pensione - e moglie di medico, aveva appena acquistato un paio di nuovi sandalini per l'estate ormai avviata. Sfruttando l'occasione della vendita promozionale che un grande centro commerciale stava proponendo, al fine di rimpinguare gli attualmente insoddisfacenti ricavi, aveva goduto di uno sconto particolarmente interessante. Così, le erano costati pochissimo, solo una decina di euro in luogo dei venti segnati a listino.
Quando l'ho incontrata, era scandalizzata. Aveva notato lo stesso paio di scarpe, proposto ad un prezzo più che doppio rispetto alla quotazione piena del precedente esercizio commerciale, nella vetrina di un negozio situato nella principale strada dello shopping della località turistica nella quale ci trovavamo: "Si dovrebbe chiamare l'Unione Consumatori" chiosava. A me, francamente, son girati subito gli zebedei: "E perché mai?" le ho chiesto. Eccitata, ha risposto: "Perché sono ladri!"
Il teatrino è andato avanti qualche minuto, nel vano tentativo di spiegarle che esiste una strana cosa chiamata "mercato", in cui ciascuno prova a vendere beni, servizi o prestazioni al prezzo migliore che riesce ad ottenere. Il che significa che deve trovare qualcun altro disponibile a pagare quel prezzo, pena l'impossibilità di concludere la transazione e la conseguente necessità di abbassare le proprie pretese, volendo trarre di che vivere dal proprio lavoro. Fondamentale corollario, la ricerca di efficaci modalità di vendita, in termini di migliore qualità o servizio (o anche solo fascino), tese ad evitare una pura - per quanto legittima - competizione sul prezzo, non sempre praticabile né desiderabile.
L'amica in questione non è seguace di colui che vorrebbe portare la salma di Lenin a Roma, anzi ha sempre votato guardando moderatamente a destra, dichiarando la propria collocazione politica contraria all'appiattimento coatto dei ruoli sociali, aspettative e retribuzioni. Eppure, evidentemente, le sembrano normali prezzi imposti uguali per tutti, in perfetto stile soviet.
Non ho idea se una potente motivazione possa risiedere nel suo essere dipendente pubblica - sospetto fortemente che, anche qui nel Nordest, la cosa abbia la sua influenza - e se ne potrebbe discutere a lungo, ma non sta qui il problema. Il fatto è che, quando noi menti belle ci si straccia le vesti stigmatizzando la miserrima qualità della classe politica che mandiamo a rappresentarci, non teniamo presente che quella è la materia grezza della quale son fatti gli elettori, e che a tali elettori chiedono il consenso.
Sarà dura, davvero ...
Penso che sia una questione culturale. Mi piacerebbe portare la ricerca di un perché un pò più a fondo. In questo caso penso che le cause si rifacciano principalmente a due matrici: quella marxista e quella cattolica.
Detto questo, l'episodio citato da Franco mi fa venire in mente che c'è un grande bisogno di sporcarsi le mani. Ho notato che i liberali sono individualisti da questo punto di vista. Cercano di capire le cose meglio, ma non "diffondono" la conoscenza, perchè non hanno voglia, perché preferiscono la precisione alla banalizzazione (che spesso è però necessaria per la divulgazione) oppure perché non capiscono come mai gli altri non ci arrivino da soli. Certe persone sono orientate al socialismo in economia in maniera pienamente convinta, ma penso che la maggior parte lo sia in maniera inconscia. In pratica non si può pretendere che qualcuno diventi liberali se non ha i mezzi concettuali per esserlo (e.g. se è cresciuto in un'ambienta permeato di valori molto diversi, che sono giudicati giusti, o come minimo legittimi). Siccome in democrazia è importante la maggioranza, se vogliamo che le idee liberali si diffondano, dobbiamo appunto sporcarci le mani. Non è facile, spesso non funziona neanche, però se non lo facciamo, è difficile che la gente ci arrivi da sola.
Da questo punto di vista, noto una differenza con gli Stati Uniti, dove è più difficile rispetto all'Italia far passare pacificamente alcune affermazioni palesemente contro il mercato.
O forse perchè, essendo liberali, trovano normale e ragionevole che altri abbiano idee diverse. Tutti quelli che conosco amano difendere le loro posizioni in pubblico, specie con gli amici, ma non ne conosco uno dotato del "sacro fuoco" tipico di altri movimenti.Lo notava anche Montanelli, che aggiungeva che spesso le discussioni più feroci le hanno tra di loro, perchè mancando di una ortodossia codificata spesso sono in disaccordo su molte cose.Qui puoi vederne esempi quasi quotidiani: per esempio Alberto e Michele, che andranno d'accordo al 90% (almeno sui principi), litigano spesso ferocemente sul restante 10 :).
La prima risposta e' stata la piu' intuitiva e sottoscrivibile.
E' una questione culturale, ma quello che mi stupisce e' che i liberisti italiani non abbiano MAI - almeno, secondo la mia percezione - cercato di dialogare con gli Italiani che la pensano in modo differente. Esempio? I temi della flessibilta' nel mercato del lavoro non sono MAI stati SPIEGATI al cittadino. Come risultato, ho amici che rifiutano lavori estivi altamente professionalizzanti solo perche' sono contratti a tempo determinato di 3 mesi. Per eradicare un certo tipo di mentalita' autolesionista e' INDISPENSABILE la divulgazione - qualsiasi altra azione politica, seppur eccellente, e' destinata a fallire.
E' ovviamente anche un fatto di comunicazione. CIOE'. Se io avessi un'amica che mi fa un discorso come quello presentato nell'articolo, non starei certo a spiegarle perche', palesemente, non c'e' niente da spiegare. Alla signora bisogna semplicemente dire: "Cos'e', adesso vai a comprare nei negozi per fighetti fessi che si vantano perche' spendono di piu' facendo shopping?!?". Frasi del genere insegnano piu' di mille elucubrazioni.
Chiaro che questioni meno ovvie e piu' spinose, come la sopracitata flessibilita' del mercato del lavoro, non possono essere spiegate tramite battute a effetto... Ma comunque sia, quali sono oggi le forze politiche e sociali che intendono insegnare paradigmi nuovi al popolo?
Magari! Conosco "marxisti" che non hanno mai letto una riga di Marx e numerosissimi "cattolici" che seguono ognuno una propria religione (del tipo "Dio sì, ma la Chiesa e i sacramenti un po' meno").
E' sicuramente una questione culturale, ma, purtroppo, di altro tipo: l'Italia è di gran lunga il paese più ignorante d'Europa.
Nella fascia d'età 25-39 si contavano, nel 2006, un 16.4% di laureati (media EU-27: 27.5%) e un 46.9% di diplomati. Valori minori per i laureati solo nella Slovacchia (16%), nella Repubblica Ceca (14.9%) e in Romania (13.3%); ma i diplomati in questi tre paesi ammontavano, rispettivamente, al 77.6%, al 79.4% e al 68.2%.
Fonte: Eurostat, Cultural statistics.