Il caso del senatore Di Girolamo ha riaperto il dibattito sul voto per corrispondenza degli italiani all'estero.
Ho sempre pensato che permettere di votare per corrispondenza agli italiani residenti all'estero fosse una grande sciocchezza. Per diverse ragioni. Innanzitutto, perché la stragrande maggioranza di tali italiani non segue da vicino le vicende della politica che si sviluppa (o, meglio, si arrotola) in patria. In secondo luogo perché le dimensioni delle circoscrizioni elettorali impediscono la conoscenza dei candidati e il dibattito pre-elettorale delle loro posizioni politiche (non dico programmi). In terzo luogo, per l'ovvia difficoltà di organizzare le votazioni e garantirne la segretezza. In quarto luogo, per lo stato di "elettore dimezzato" definito dal rapporto (elettori/eletti).
Non avrei mai immaginato che nel 2001 il Parlamento italiano, composto da persone che la sanno lunga in fatto di brogli, avrebbe approvato il voto per corrispondenza per gli italiani residenti all'estero. Devo confessare che, nel 2006, quando mi sono visto recapitare a casa le quattro buste (bustoni) del Consolato Italiano contenenti le schede elettorali dei miei famigliari, mi è venuto un attimo di frenesia elettorale e avrei voluto compilare le schede di votazione io stesso interpretando, naturalmente, i desideri dei miei figli...
In quell'occasione mi sono trattenuto - ma, come verifica della stupidità della procedura - ho pensato: e, allora, perché il Parlamento italiano non ha approvato il voto per corrispondenza anche per gli italiani residenti in Italia, come avviene in alcuni stati relativamente civili? Ovvia la risposta.
La cosa curiosa è che la prima volta in cui, nel 2006, si votò con la legge 459 del 2001 (seconda era berlusconiana), il voto degli italiani residenti all'estero diede la "vittoria" al centro sinistra (Ulivo) e a Prodi - si ricordi il senatore Pallaro - con una maggioranza così precaria da permettere all'on.le Mastella di fare il brutto e il cattivo tempo. Anche nella legislatura iniziata nel 2008, il PD ha fatto la parte del leoncino con tre senatori su sei (due PDL e uno MAIE) e sei onorevoli su dodici (quattro PDL, uno IdV, uno MAIE).
Per farsi un'idea della stonatura politica rappresentata dal voto degli italiani residenti all'estero, condotto secondo la legge 459/2001, sono sufficienti alcune cifre riguardanti le elezioni politiche del 2008. I dati sono presi da qui e qui (A tutt'oggi, il Ministero dell'Interno non riporta i dati definitivi !)
Il totale degli italiani aventi diritto di voto per la Camera dei Deputati fu di 47.295.978 suddiviso (all'incirca) in 44,5 milioni residenti in Italia e 2,7 milioni residenti all'estero. I deputati eletti in Italia furono 618, con un rapporto elettore/eletto di 72 mila persone per deputato. I deputati eletti all'estero furono 12 con un rapporto elettore/eletto di 225 mila persone per deputato. Quindi, il voto di un italiano residente all'estero vale meno di un terzo di quello di un italiano residente in Italia. I votanti in Italia furono 36,5 milioni con un'affluenza del 80.5 percento, mentre i votanti all'estero furono 1,013 milioni con un'affluenza del 39,5 percento.
Dopo l'annunciato e ovvio scandalo che coinvolge il senatore Nicola Di Girolamo, eletto per la circoscrizione Europa (ma lo scandalo riguarda anche le circoscrizioni dell'America Meridionale e dell'Africa, Oceania e Antartide), Berlusconi e Schifani si battono il petto annunciando il cambiamento della legge 459/2001. Schifani avrebbe affermato (La Repubblica, 26 Febbraio 2010) che la legge
va immediatamente cambiata perché il voto per corrispondenza è uno scandalo e consente tipologie di attività illecite come l'acquisizione del voto addirittura pagandolo: dobbiamo immediatamente procedere a una rivisitazione.
A quale procedura di votazione stanno pensando? A quella telematica oppure alla solita passeggiata al seggio elettorale, come fanno gli italiani residenti in Italia? Nel primo caso, l'Italia si porrebbe all'avanguardia di tutti i paesi, inclusi gli Stati Uniti. Chissà se si affiderà ai servizi di Google. Nel secondo caso, sarà ancora più facile per le cosche organizzare gite in pullman nelle città dove saranno stabiliti i seggi elettorali, per quei pochi italiani che se le potranno permettere.
La conclusione, a me, sembra ovvia. Occorre abrogare la legge 459/2001 che permette il voto per corrispondenza agli italiani residenti all'estero. In altre parole, occorre ritornare alla situazione precedente tale legge, quando gli italiani interessati alle vicende politiche del paese facevano un viaggio in patria e ponevano un voto intero (non un terzo) nelle urne elettorali. Naturalmente, c'è di mezzo anche la Costituzione dal momento che gli articoli 56 e 57 (modificati con consenso bipartisan) hanno introdotto la circoscrizione Estero. Ma, visto che si parla tanto di riforme della carta costituzionale, non dovrebbe essere impossibile ricostituire il consenso bipartisan. Dopotutto, i seggi che vengono dall'Estero sono briciole nello schacchiere del Parlamento; briciole che costano in maniera spropositata su un bilancio già devastato.
Però è già così, ora, per chi, italiano residente in Italia, è fuori sede rispetto alla propria residenza e per svariati motivi di tempo e/o denaro non può rientrare per le elezioni. Allora perché non far votare per posta anche costoro?