Ho aderito al “fermare il declino” come risultato di una catena di delusioni che provengono dal PD. Ho preso la tessera del partito fin dai primi momenti, quando la gran parte degli attuali dirigenti nazionali e della mia regione ancora non l’avevano perché diffidenti nei confronti di questa creatura che poteva risultare profondamente diversa dai partiti di origine (la lunga catena che da PCI e DC si è snodata per DS, PPI, PDS, Margherita). La mia convinzione si è rafforzata con il programma di Veltroni del Lingotto ed è perciò poi sprofondata con l’inspiegabile rinuncia alla battaglia da parte dello stesso Veltroni e quindi con le sue dimissioni. Nel PD tutti, in quanto progressisti riformisti, dichiarano di tendere ai seguenti obiettivi. Una maggiore equità sociale, da raggiungersi con la riduzione delle disuguaglianze verticali e con l’accesso universale ai servizi pubblici fondamentali. La stabilità economica e un livello di occupazione prossimo al pieno impiego. Un elevato livello di partecipazione al lavoro femminile, sostenuta con servizi adeguati. Un livello di investimenti in capitale umano (istruzione, ricerca e innovazione) e in tutela ambientale sostenibile, cioè sensibile al benessere delle generazioni future, cui non scaricare quote crescenti di debito pubblico.
Nel PD esistono però due vie diverse per tentare di raggiungere questi risultati. Una via diciamo più tradizionale della sinistra, in cui la produzione pubblica e la fornitura pubblica dei servizi e delle prestazione coincidono su livelli elevati. Questo modello si accompagna necessariamente ad un alto livello della pressione fiscale, destinata a finanziare un alto livello della spesa pubblica e una macchina amministrativa corrispondente. Questa via attribuisce un ampio credito alla politica e ai politici, immaginando siano capaci di sostituire perfettamente (non integrare) le forze di mercato. L’aggettivo pubblico associato a qualunque attività è sinonimo di conseguimento dell’interesse collettivo. L’impresa è uno strumento “tollerato” di generazione di benessere collettivo e il profitto è una categoria verso la quale manifestare una certa diffidenza. Infine, il sindacato, anche se massimalista o corporativo, ha sempre ragione. Occorre dire che questo modello, oltre a non essere molto diffuso, dato che nemmeno le democrazie scandinave funzionano più così, è risultato fallimentare tutte le volte che le forze politiche al governo in Italia hanno cercato di riprodurlo.
Un’altra via ritiene di poter raggiungere questi risultati in altro modo. Per esempio, separando per molti servizi la produzione dalla fornitura, per cui mentre la seconda rimane pubblica, la prima può non esserlo. In altre parole, il finanziamento pubblico, tramite la fiscalità generale, può ammettere che la prestazione di servizi sia effettuata da istituzioni fuori dalla pubblica amministrazione, nel terzo settore e anche nel settore privato. Un diffuso processo di esternalizzazione riduce l’ampiezza della macchina amministrativa e il partenariato pubblico-privato negli investimenti possono consentire una pressione fiscale più ridotta. Per questa via l’impresa è l’istituzione fondamentale per produrre ricchezza e generare benessere e il profitto è un veicolo necessario per l’accumulazione del capitale e quindi la crescita Questa seconda via non condivide la stessa fiducia della prima nei politici e nella concertazione sindacale e ritiene che una sana concorrenza, nel senso di contendibilità delle posizioni economiche e sociali, e un riconoscimento del merito, possano meglio favorire il conseguimento degli obiettivi sociali. Questa via è di conseguenza più articolata e meno immediata della prima e richiede fantasia e innovazione nella politica.
È naturale che io, un economista pubblico formato alla scuola anglosassone della moderna public economics dei Diamond, Mirrlees, Sato, Dixit, Besley, Boadway non potessi che aderire alla seconda via, vedendovi tra l’altro i successi di alcune riforme nord-europee del welfare. Al riguardo i “dieci interventi per la crescita” forniscono ad un progressista con questa basi culturali un formidabile pacchetto di proposte per vedere tradotte le sue aspirazioni.
L’attuale dirigenza del PD persegue invece ostinatamente la prima via, di fatto puntando ad una specie di partito laburista, coeso e identitario, che, in uno scacchiere proporzionalista, si attesti su poco più del 20% di consensi, parandosi il più possibile a sinistra e rinunciando per sempre all’idea di partito a vocazione maggioritaria. Anch’io ho pensato che la seconda più ragionevole via potesse divenire alla lunga maggioritaria nel partito, ora temo che non potrà essere neppure minoranza. Molti amici di partito, pensando alle mie idee, si domandano come possano conciliarsi con quelle, non proprie isolate, espresse da Fassina, Damiano o Camusso. E quando propongo programmi di liberalizzazione dei servizi pubblici locali o l’introduzione di meccanismi competitivi nella fornitura di servizi sociali mi guardano con sospetto e dicono che sono imbevuto di una “cultura sconfitta dalla storia” e sbugiardata dalla crisi economica. Evitano scomuniche solo perché sono un vecchio professore con una certa reputazione.
Devo dire che la lettura dei 10 interventi per la crescita, oltre ad affascinarmi per la loro chiarezza ed efficacia, hanno sollevato in me qualche dubbio di natura pragmatica. Ho lavorato per troppi anni (tra l’altro quelli del glorioso riformismo Amato-Prodi-Ciampi) al Ministero del Tesoro per non trasalire davanti ad indicazioni così nette, senza compromessi e forme di gradualismo. E come assessore al bilancio in un comune come Firenze riesco ad ottenere successi per le mie idee solo accontentandomi dei second e third best. Ma poi ho pensato che per questi equilibrismi c’è ahimè sempre tempo! Per cui al momento valeva meglio l’effetto dello schiaffo.
Che farò della mia tessera del PD, appena rinnovata? In effetti nei prossimi mesi avrò diversi passaggi per decidere se e quando cestinarla: riforma elettorale, alleanze, primarie, indicazioni sul programma di politica economica per le elezioni, indicazioni sul tasso di rinnovamento delle candidature, ecc. Se l’approdo sarà un arnese simile ai DS con qualche ex popolare di lungo corso, con la riproduzione della stessa classe dirigente, la decisione sarà facile.
grazie, professore, per avere descritto in modo chiaro e pacato quello che io non sono stato capace di indicare, se non in modo impulsivo e diretto. Confermo che il profitto e' considerato il male e che di fronte all'inevitabile richiesta di servizi da parte dei privati, se i servizi non sono forniti da imprese collaterali, si fanno referendum pee mantenere pubblico tutto, a costo di spendere di piu' e du non riuscire a firnire servizi a tutti.