Antefatto: 7/10/2001-13/11/2001
Il 13 Novembre 2001 John Simpson, corrispondente per gli affari esteri della BBC, faceva il suo trionfale ingresso a Kabul liberandola dai Talebani ancor prima dell'ingresso delle forze alleate. Evento emblematico di una guerra lampo vinta in sole 6 settimane e senza mai essere realmente combattuta. Dopo i primi bombardamenti, infatti, molti Talebani decisero di rifugiarsi in Pakistan, mentre il Mullah Omar ed i suoi fedelissimi sceglievano di nascondersi fra le montagne aspettando tempi migliori per una rivalsa.
La commozione post 9-11 e le inimicizie coltivate nel tempo dal regime talebano resero possibile un sostegno molto diffuso all’occupazione alleata: molti paesi occidentali si impegnarono militarmente subito dopo il conflitto mentre anche la Cina, l'Iran e la Russia davano il loro placet alla presenza delle truppe alleate nel paese dei papaveri. Col passare del tempo poi, l'Afghanistan è diventato quasi una cassa di compensazione per i dissapori in Irak: da Zapatero in giù, molti fra quelli che hanno scelto la via del disimpegno a Baghdad hanno finito per rafforzare la propria presenza militare qualche kilometro più ad est.
Condizioni ideali dunque per presagire (per lo meno) un rapido recupero dell'ordine pubblico ai livelli pre-conflitto, insieme a qualche progresso in termini di diritti civili e libertàpolitiche rispetto al decennio precedente.
Ecco i dati
Cinque anni dopo, stando all'ultimo rapporto tenuto dal segretario generale delle Nazioni Unite al Consiglio di Sicurezza, la violenza è in marcato aumento. Le vittime totali nel 2007 sono state 8000 (1500 i civili). Il numero di violent incidents (categoria che include sia gli scontri a fuoco che gli attentati) è di 566 al mese, rispetto ai 425 del 2006, mentre i suicide attacks sono aumentati da 123 a 160. A poco dunque sembrerebbe essere servito il costante aumento della presenza militare sul terittorio, dovuto sia alla maggior numero di truppe NATO che alla parallela crescita dell’Afghanistan National Army (vedi figura).
La drammaticità della situazione trova riscontro anche guardando agli indicatori socio-economici. Secondo l'ultimo Human Development Report il paese resta il più povero in Asia con un PIL per capita al di sotto dei 1000$, mentre la speranza di vita è più bassa di 9 anni rispetto alla media degli altri Least Developed Countries ed è diminuita da 44.5 anni (2003) fino a 43 anni (2005). Anche il literacy rate per gli adulti al di sopra dei 15 anni di età si è abbassato, passando dal 28.7% (2003) al 23.5% (2005). Sono sopratutto le donne a soffrire di un ridottissimo accesso all’istruzione a tutti i livelli: secondo il rapporto infatti, i valori dei tassi di iscrizione per le donne risultano essere la metà rispetto a quegli degli uomini. Infine, circa il 30% della popolazione non ha accesso ad acqua sicura.
I dati riportati in figura, e raccolti dal Direttorato per la Cooperazione allo Sviluppo dell’OCSE (OECD/DAC), mostrano come i fondi destinati annualmente all'assistenza allo sviluppo in Afghanistan siano circa raddoppiati fra il 2002 ed il 2006. Ma così come per la sicurezza, il costante aumento negli sforzi economici dei paesi coinvolti non sembra aver sortito particolari effetti positivi sul processo di ricostruzione.
L'inefficacia degli aiuti è in parte legata alla natura bilaterale della grande maggioranza dei fondi destinati allo sviluppo dell'Afghanistan. Come già discusso qui su nFA infatti, gli aiuti bilaterali tendono ad essere più vincolati agli interessi strategico-economici dei donors che a quelli del recipient. Ma ciò che davvero rallenta il processo di state-building e non permette ai fondi destinati alla cooperazione di far da volano per lo sviluppo nel paese è lo scarsissimo controllo che il governo di Kabul ha sul territorio nazionale.
Secondo la Defence Intelligence Agency, il controllo del governo federale si limita al 30% del territorio, mentre diverse autorità tribali esercitano il potere sulla vasta maggioranza del paese. La parte settentrionale, relativamente ricca ed industrializzata, è in mano ad Uzbeki (nord-ovest) e Tajiki (nord-est), abbastanza graditi all'amministrazione americana. Quella occidentale, confinante con l'Iran, è sede dei signori della guerra Sciiti tornati ad Herat dopo il 2001. Il sud infine è più o meno autogestito da diverse tribù Pashtun ed alcune enclaves sono di recente tornate in mano ai redivivi Talebani. Come documentato anche dall'Alto Commisariato ONU per i Diritti Umani, proprio il sud rappresenta la parte del paese più instabile e pericolosa: nella più classica delle conflict-trap, in un contesto di povertà diffusa ed inadeguatezza istituzionale i diversi signori della guerra difendono i loro feudi e finanziano le loro azioni militari grazie allo sfruttamente delle abbondanti risorse naturali (nello specifico la coltivazione del papavero volto alla produzione di oppiacei), finendo con l'indebolire ulteriorermente il governo centrale. Facendo uso dei dati UNODC e di quelli dell’Afghanistan Human Development Report, la figura qui sotto illustra la specificità della province meridionali.
Indicazioni di policy a margine
Il raggiungimento di una pax-afghana e la definitava cacciata dei Talebani non può non passare per il riconoscimento esplicito della frammentazione presente all'interno del paese e del ruolo centrale della coltivazione del papavero nell'economia locale. Nel concreto, seguendo l'esempio britannico la nuova amministrazione americana dovrebbe riconoscere le autorità Pashtun delle diverse province come interlocutori privilegiati, garantendo loro (relativa) autonomia e finanziamenti in cambio di un effettivo isolamento dei Talebani. Al contempo, dovrebbe essere agevolata la produzione di oppio a fini medicinali (morfina ed antidolorifici di vario tipo).
L'ennesimo aumento di truppe (un nuovo surge in stile iracheno), di cui parlano sia Obama che MacCain, rappresenterebbe invece una soluzione semplicistica che rischierebbe di aggravare ulteriormente i problemi, sopratutto quelli delle province meridionali. La rinnovata simpatia da parte dei Pashtun per i Talebani è infatti in buona parte dovuta al prolungarsi della presenza militare alleata percepita ormai come una vera e propria forza di occupazione e non più semplicemente come un contingente di polizia internazionle.
Una domanda: secondo te a cosa è dovuta l'inefficacia delle spese per lo sviluppo, se di questo stiamo parlando? Capisco che i paesi donor abbiano come scopo prioritario l'allargamento della propria influenza e preferiscono usare i fondi per commesse alle proprie imprese, ma questo è vero più o meno in tutti i paesi in via di sviluppo. Quindi, in realtà le domande sono due. La spesa in Afghanistan è più o meno efficace che altrove? Se è meno efficace è solo colpa dell'ordine pubblico o c'è qualche altro fattore?
Infine, giusto per curiosità, quanto sta spendendo e cosa sta facendo l'Italia?
Sandro, la domanda è complessa e richiederebbe probabilmente un altro post. Cercando di sintetizzare as much as I can, sottolinerei altri 2 aspetti che, oltre all'ordine publico, contribuiscono a spiegare il fallimento degli aiuti allo sviluppo in Afghanistan.
Project Financing Aid. La gran parte degli aiuti allo sviluppo afghano non fluisce nelle casse del governo ma è destinata al finanziamento di specifici progetti, gestiti direttamente dai donors o da ONG collegate. In questo modo si da de facto origine ad un settore pubblico “duale”: uno interno gestito e finanziato localmente ed uno totalmente esterno. Nel caso dell'Afghanistan il settore pubblico esterno e’ estremamente piu’ ricco di quello interno. Questa struttura maractamente duale (comune ad altri post-conflict countries ma non alla maggioranza degli LDC che usufruiscono di aiuti internazionali) crea non pochi ostacoli:
(i) Non ci sono sistemi che rendano i responsabili delle diverse agenzie accountable alle popolazioni locali;
(ii) La gestione del “settore pubblico esterno” affidata ad innumerevoli agenzie ingigantisce i problemi di coordinamento con le autorita' locali che si trovano a dover dividere lo scarso personale fra diversi sistemi di reporting e funding;
(iii) I salari estremamente più alti pagati dal “settore pubblico esterno” agevola un crowding out dei funzionari pubblici più qualificati che tendono ad abbandonare gli uffici del governo.
Corruption.Come documentato recentemente dall’ODI e nell’ultimo rapporto sulla governance della World Bank, il problema della corruzione in Afghnanistan è molto più grave che in altri paesi a livelli comparabili di sviluppo. Molte delle recenti nomine di Karzai risultano quantomeno dubbie: basti pensare ad Ahmad Wali Karzai, fratello piccolo di Hamid e rappresentante del governo centrale nelle province meridionali, sotto accusa per essersi arricchito grazie al narcotraffico. In questo contesto, ingenti somme finisco in mano a dubbi contractors locali seguendo logiche che poco hanno a che fare con l'efficienza e l’equita'.
Per quanto concerne l'Italia, insieme all'Australia siamo stati fra i maggiori donatori nel 2007. Purtroppo pero' (e not surprisingly direi dato il donor ed il recipient in questione) l'utilizzo dei fondi non sembrerebbe impeccabile. Secondo Kabul press, ad esempio, dei 2.2 milioni di dollari recentemente stanziati dal nostro governo per finanziare la ricostrizione di un ospedale a Kabul solo la meta' sarebbe stata effettivamente spesa nel progetto. Istruttiva la serie di passaggi che avrebbe portato alla dissoluzione di oltre 1 milione di dollari: il governo italiano assegna i fondi alla UNFPA (UN Population Fund) che a sua volta gli gira all'UNOPS (UN Office for Project Services), il quale passa l'appalto ad un'organizzazione non-profit italiana (l'INTERSOS) che infine contratta una compagnia di costruzione afghana....