È già stato detto molto della ultima manovra di Tremonti. Ci sentiamo di confermare tutto quello che abbiamo detto alcuni giorni fa quando, insieme a tanti altri, abbiamo notato la scarsa credibilità di una manovra tutta spostata su un futuro post-elettorale e abbiamo espresso il nostro timore che Tremonti avesse in mente una qualche sorta di patrimoniale. Da allora sono successe tre cose. Primo, i nostri governanti hanno offerto uno spettacolo sempre più vile e miserabile, dimostrando una cialtroneria, una ignoranza, e una mancanza di responsabilità che neppure noi, non certo generosi con questo governo, ci saremmo aspettati. Da rabbrividire, onestamente. Secondo, sono diventati più chiari i dettagli dei provvedimenti intrapresi e parallelamente è diventata più chiara l'assenza di una qualunque strategia organica del governo in tema di tassazione e spesa pubblica. Terzo, come al solito vari commentatori hanno levato i propri (intelletualmente deboli) scudi in difesa della manovra e del governo dagli attacchi "esterni". Roba da farci rimpiangere gli intellettuali organici degli anni '70, esempi di indipendenza e intelligenza al confronto.
Riguardo il primo punto, ha brillato l'allucinante tentativo di Berlusconi di usare di soppiatto la manovra per far passare una norma spudoratamente e palesemente disegnata per evitare le previste conseguenze della sentenza d'appello Cir-Mondadori sulle finanze di Fininvest. Questo ha per l'ennesima volta fornito la misura esatta di quali siano le reali priorità del Presidente del Consiglio. In un momento in cui la repubblica dibatte temi cruciali per la sua stabilità economica e sociale il Presidente usa trucchetti da magliaro di periferia per assicurarsi di non dover rispondere delle conseguenze delle sue attività illecite. Tutto ciò dà la misura esatta del marciume in cui sta nuotando il governo, e del suo sempre più marcato distacco con il resto del paese.
Ma veniamo al secondo punto, quello dei dettagli della manovra. Anche su questo molto è già stato detto, quindi limitiamo le nostre osservazioni ad alcuni dettagli che ci pare siano sfuggiti ai più.
1. Quanto sia incoerente la decisione di aumentare il bollo sul deposito titoli con la conclamata intenzione di spostare la tassazione dai redditi (imposte dirette) ai consumi (imposte indirette), o dalle ''persone'' alle ''cose'', come ama dire, incoerentemente, Tremonti. Se aumentare le imposte indirette e ridurre le imposte dirette ha un qualche senso, esso consiste nel tentativo di aumentare la propensione al risparmio. Ma se al tempo stesso si tassa il deposito titoli, cioè si aumenta la tassazione sul risparmio, è chiaro che non resta alcun progetto. Resta solo la manifesta incapacità di pensare al sistema fiscale in modo organico, per cui alla fine quando mancano i soldi si finisce al ''piglio dove mi riesce'': bollo sul deposito titoli, aumento dell'accisa sulla benzina e altre piacevolezze del genere.
2. Quanto l'estemporaneo provvedimento di eliminazione della indicizzazione delle pensioni oltre i 2300 euro renda più tenue il legame, sia effettivo sia atteso per il futuro, tra contributi versati e la pensione percepita. Si tratta effettivamente, almeno se l'inflazione resta agli attuali livelli, di poca cosa ma il principio è importante. Per decenni gli italiani sono stati educati all'idea che il livello della loro pensione non dipendesse in modo sostanziale dal valore capitalizzato dei contributi versati ma da altre variabili. In principio, una volta finito il lunghissimo perido di transizione della riforma Dini il legame tra contributi e pensione dovrebbe essere stretto ed evidente al lavoratore. Ma questo ovviamente non vale se i governi ritengono di poter arbitrariamente intervenire sui livelli delle pensioni in un senso o nell'altro. Quando i cittadini osservano che i contributi versati non generano obbligazioni inviolabili da parte della controparte (lo Stato, in questo caso), ma semplicemente generano promesse che possono essere disattese a ogni consiglio dei ministri, allora è più probabile che i contributi sociali vengano considerati come una forma pura di tassazione, con i conseguenti effetti negativi sull'offerta di lavoro. Ripetiamo, il provvedimento in sé non è particolarmente importante dal punto di vista quantitativo. Ma è importante che ancora una volta gli italiani percepiscano che le loro pensioni sono il frutto di decisioni politiche contingenti piuttosto che il risultato di un patto ben pensato e inviolabile di solidarietà intergenerazionale.
3. Quanto laida e disgustosa sia la patrimoniale, non solo nella sostanza ma anche e soprattutto nella forma: una imposta di bollo, tendenzialmente regressiva, nascosta tra le pieghe della manovra. Nemmeno il coraggio di dire apertamente al paese che si riteneva necessario ricorrere alla sua ricchezza privata. Nemmeno il coraggio di chiedere esplicitamente al paese un sacrificio. Una furbata, seconda solo a quella della norma spudorata per salvare Fininvest. Una imposizione patrimoniale, nell'immaginario collettivo di una economia di mercato, non è una tassa come un'altra. È l'ultima spiaggia di un paese che, sull'orlo del baratro, si aggrappa ai risparmi dei cittadini. Richiede una certa gravitas, una contrita argomentazione della sua necessità. E invece, altro che gravitas, la patrimoniale è arrivata come una mano veloce di poker di un governo intento a feste, festini, veleni, e ogni altra diavoleria da corte rinascimentale - a spese del paese. Chiaro come tutto ciò induca (ristabilizzi, nel nostro caso) una mancanza totale di fiducia del contribuente e del cittadino riguardo allo stato avido e invadente.
Il terzo punto riguarda la reazione dei mercati e la controreazione dei poltici e degli economisti di riferimento. Per i politici, cercare di mettere una toppa retorica ai propri misfatti è parte del lavoro. Non è quindi sorprendente che dopo una manovra come questa e una reazione dei mercati alla stessa di totale discredito - che ha portato lo spread rispetto ai titoli tedeschi a 240 punti base - i politici urlino ad un qualche complotto "esterno". In questo senso va intesa la vicenda della conferenza stampa in cui Tremonti ha dato del cretino a Brunetta. Le ragioni dello sprezzante giudizio del ministro dell'economia, a quanto racconta lo stesso Brunetta, stanno nel fatto che Brunetta stava spiegando quanto poco incidesse la manovra sul pubblico impiego. Questo ha indispettito Tremonti, che invece vorrebbe far credere ai mercati che la manovra sta facendo tantissimo. Cialtroni entrambi. Brunetta che non comprende che sedere in silenzio in Consiglio dei Ministri quando la manovra è approvata priva del diritto intellettuale di provare a infoiare i mercati il giorno dopo; Tremonti che crede che i mercati si facciamo infinocchiare dalle sue affabulazioni, o da quelle di Brunetta.
Ben più grave è invece a questo proposito l'articolo sul Corriere di Alberto Quadrio Curzio che, con tono ingiustificatamente professorale, suggerisce (senza nemmeno il coraggio di dire esplicitamente) che le società di rating stiano sobillando l'attacco di questi giorni ai titoli di debito pubblico italiano, nonostante la ''rigorosa manovra'' del governo. Siamo stanchi di ripeterlo ma non è così. Non sono le società di rating, non sono gli speculatori cattivi, non sono nemmeno i pirati della Malesia. Il paese ha un enorme debito, ha un deficit pesante, e ha una classe dirigente che in queste settimane ha dimostrato, più di quanto non avesse già fatto, di essere completamente inadeguata rispetto ai compiti che ha di fronte - con una manovra che procrastina i tagli necessari al 2013 e al 2014 e con un atteggiamento di totale irresponsabilità (per non parlare delle vertenze aperte di corruzione rampante - morale e finanziaria). È così difficile da comprendere che in questa situazione chi presta soldi al Tesoro lo fa sempre meno facilmente, cioè richiede tassi più elevati? Come vi sentireste se incontraste un imprenditore, a cui avete prestato denaro, ubriaco in un bar a fare a cazzotti col suo socio? Non abbiamo certo voglia di metterci a difendere le società di rating, che indubbiamente non sempre fanno bene il loro lavoro. Nel migliore dei casi sono inutili e nel peggiore corrotte, ma non c'entrano nulla in questo caso - al massimo vanno cercando facile pubblicità cavalcando a lato dello scontento degli investotori in titoli (tra parentesi, la proposta di Quadrio Curzio - società di rating dipendenti dalla politica europea - è molto peggio della situazione corrente). Ma indicare come colpevoli dell'aumento dello spread tali società è veramente concentrare l'attenzione sul dito e ignorare la luna.
E poi altro che fermare le vendite allo scoperto. Ciarlatani. Ciarlatani e cialtroni sono, tutti quanti.
Secondo Superbonus, domani a Tremonti (che sarà qui a BXL per un Eurogruppo) chiederanno di anticipare al 2012-13 il saldo della manovra. E' una previsione sensata, e consistente con la linea d'azione delle autorità Europee. Quindi in ogni caso si balla.
RR