Come è ragionevole attendersi il tema si presta a suscitare discussioni particolarmente accese, motivate dalla delicatezza oggettiva dei temi trattati ma anche dall'atteggiamento ideologico con il quale da più parti ci si accosta alla riflessione sui temi della bioetica.
Per quanto si identifichi il provvedimento in esame con il cosiddetto “testamento biologico” si dovrebbe precisare che la legge in realtà copre alcuni problemi di bioetica che sopravanzano il tema specifico del testamento biologico in senso stretto: infatti la legge si occupa anche del ruolo del medico e del paziente in tutto il processo terapeutico e regolamenta il cosiddetto consenso informato.
Almeno per ora vorrei evitare la discussione bioetica/filosofica. Vorrei solo evidenziare quegli aspetti della norma che a molti, e anche a me, paiono controversi. La mia speranza è che nella discussione successiva siano avanzate, qualora ci siano, le motivazioni che hanno condotto all’estensione della legge nella sua forma attuale.
I preliminari
Il cappello introduttivo della legge si avvale di una terminologia che appare da subito interna alla controversia che intende dirimere con l’introduzione della norma.
Art. 1. (Tutela della vita e della salute)
1. La presente legge, tenendo conto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione:
a) riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge;
b) riconosce e garantisce la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza;
c) riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato nei termini di cui all’articolo 2, fermo il principio per cui la salute deve essere tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
d) impone l'obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 4, riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, che acquista peculiare valore proprio nella fase di fine vita;
e) vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l’attività medica nonché di assistenza alle persone esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute nonchè all’alleviamento della sofferenza;
f) garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura.
2. La presente legge garantisce politiche sociali ed economiche volte alla presa in carico del paziente, in particolare dei soggetti incapaci di intendere e di volere e della loro famiglia.
E’ sufficiente scorrere le parole evidenziate per comprendere come la legge sottoscriva una impostazione di fondo dove la vita è “inviolabile e indisponibile”. I termini di tale inviolabilità e indisponibilità sono poi considerati prioritari al pur dichiarato diritto riconosciuto in capo ai pazienti a non essere sottoposti a trattamenti sanitari forzosi, o almeno questo si desume nel passo in cui si scrive nel comma “c”: “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Nel comma “d” si riconosce poi priorità a quella che è definita “alleanza terapeutica tra medico e paziente” che parrebbe implicare la subordinazione all’assenso del medico dell’autonomia decisionale del paziente in merito alle terapie alle quali sottoporsi volontariamente. Per questa legge il processo di scelta e discernimento dei mezzi di cura più idonei (che riguardano il paziente) sembra porre sullo stesso piano il paziente e il medico.
Il comma “e” ribadisce poi ancora una volta il valore prioritario che la legge assegna alla tutela della dignità della vita; questa volta però essa implica non una precisazione dei limiti entro i quali può svolgersi l’attività di giudizio autonomo del paziente, piuttosto la riaffermazione del principio della indisponibilità della vita definisce i contorni deontologici e addirittura ii contenuto della pratica medica: sembra si voglia definire per legge cosa deve fare un medico e come lo deve fare.
La legge è stata concepita nel clamore conseguente ad un caso di cronaca assurto a modello aneddottico dei problemi derivanti dalla manifestazione delle volontà del paziente, dal loro pieno accertamento e dalla loro eventuale esecuzione. Era troppo chiedere che in condizioni di disaccordo morale e politico così accese si impostasse la legge in maniera più imparziale e consapevole delle condizioni di disaccordo esistenti fra i cittadini?
La Legge
Art. 3. (Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento)
1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere. Nel caso in cui il paziente abbia sottoscritto una dichiarazione anticipata di trattamento, è esclusa la possibilità per qualsiasi persona terza, ad esclusione dell’eventuale fiduciario, di provvedere alle funzioni di cui all’articolo 6.
2. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, purchè in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal codice di deontologia medica.
3. soppresso.
4. Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato, o sperimentale.
5. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice penale.
6. Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.
7. La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui è accertato che il soggetto in stato vegetativo non è più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze e per questo motivo non può assumere decisioni che lo riguardano. La valutazione dello stato clinico è formulata da un collegio medico formato da un medico legale un anestesista-rianimatore ed un neurologo, sentiti il medico curante e il medico specialista della patologia.Tali medici, ad eccezione del medico curante, sono designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria locale di competenza.
Anche a questo proposito sorgono alcune domande. Il comma “1” dell’art. 3 chiarisce che un congiunto (sposa, marito, genitore) non può intervenire a modificare gli effetti della dichiarazione anticipata di trattamento. Non sembra essere prevista nessuna eccezione. Infatti il quadro clinico di un parente può compromettersi fino a condizioni neanche immaginate dall’estensore della originaria dichiarazione di trattamento e ciononostante i parenti più prossimi non possono modificare quella scelta. Perché lo stato decide di intromettersi così pesantemente nel nucleo di rapporti definiti in altre circostanze “naturali” e considerati alla base della società come la famiglia? Era necessario prevedere una limitazione tanto drastica?
E ancora. Il comma “6” assimila alimentazione e idratazione a forme di sostegno vitale e pertanto sulla loro interruzione non è possibile decidere in alcun modo. In base a quali ragioni si restringe lo spettro delle decisioni disponibili per il paziente? Specie se si considera che in merito non c’è accordo unanime fra i cittadini e i medici: per alcuni idratazione e alimentazione sono cure, per altri appunto sostegni vitali. Perché allora decidere univocamente con un atto legislativo la natura dei mezzi di intervento sui pazienti?
Infine. Perché la scelta dei medici che forniscono la valutazione dello stato clinico deve essere affidata alle direzioni sanitarie delle strutture che in genere sono di nomina politica? Perché non prevedere che il paziente indichi i medici ai quali doversi rivolgere in futuro o perché non procedere per la scelta dei terapeuti ad un sorteggio fra i medici in forza nell'organico della struttura dove il paziente è in cura? La scelta delle direzioni sanitarie, rispetto ai medici ai queli affidare la valutazione dello stato clinico, potrebbe essere oggetto di pressioni o considerazioni di natura squisitamente politica, perché non tutelare i cittadini da rischi di questo tipo?
Art. 4. (Forma e durata della dichiarazione anticipata di trattamento)
3. Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la dichiarazione anticipata di trattamento ha validità per cinque anni, che decorrono dalla redazione dell'atto ai sensi del comma 1, termine oltre il quale perde ogni efficacia La dichiarazione anticipata di trattamento può essere rinnovata più volte, con la forma e le modalità prescritte dai commi 1 e 2.
Stabilito che le dichiarazioni anticipate decadono immediatamente qualora il paziente ne esprima di nuove, così come previsto dalla stessa legge in discussione, perché il legislatore non si preoccupa di dare l’impressione di opporre vincoli di natura burocratica all’esercizio di una forma di autonomia di giudizio da parte del paziente, appunto richiedendo la presentazione delle dichiarazioni del paziente ogni cinque anni?
Art. 7. (Ruolo del medico)
2. Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i princìpi di precauzione, proporzionalità e prudenza.
5. Nel caso di controversia tra il fiduciario ed il medico curante, la questione è sottoposta alla valutazione di un collegio di medici composto da un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, sentiti il medico curante e il medico specialista della patologia. Tali medici sono designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria locale di competenza regionale.
Nell’articolo sopra riportato si afferma in maniera esplicita che ancora una volta le limitazioni all’esercizio del principio di libertà di cura da parte del paziente sono vincolate non solo alle norme giuridiche esistenti (ovviamente) ma anche alla stessa deontologia medica, evidentemente equiparata a legge dello stato. Ma anche nel caso questo primo vincolo sia del tutto rispettato, rimane che nel caso in cui sorgano delle controversie fra il fiduciario nominato dal paziente e i medici a decidere saranno comunque altri medici (anche in spregio alle volontà del paziente) nominati (ancora una volta) dalla direzione dell’ospedale, con i rischi dei quali ho parlato già sopra, ovvero decisioni volte a blandire finanziatori delle strutture private o referenti politici delle strutture pubbliche che al momento sono alla guida delle stesse. Ovviamente non credo che tutti i medici siano sensibili a tali pressioni, ma dal momento che il rischio esiste, perché correrlo? Il legislatore non ci ha pensato? Come mai?
Come detto, ho cercato di evitare valutazioni della legge, né mi sono lanciato in anatemi incendiari contro i contenuti della legge come tipicamente farebbero, secondo alcuni, i laici furiosi e in quanto tali perdenti (per la cronaca: non sono d'accordo con quella definizione di Bosetti). Ho solo letto la proposta di legge e ne ho enfatizzato gli aspetti controversi. Siccome non capisco perché gli elementi che ho evidenziato siano stati inseriti nella norma, aspetto che qualcuno mi porti argomenti o fatti che rispondano alla domanda seguente: "cosa intende tutelare una norma congegnata in questo modo?".
Caro Marco,
intervento molto articolato, il tuo, e molto complesso sia per l'argomento in sé che per il barocco testo legislativo su cui necessariamente si sviluppa. Mi riservo di leggerlo con calma e presentare delle osservazioni ponderate.
Una sola tua domanda, ovviamente retorica, si presta ad una risposta sintetica
Semplicemente la benevolenza elettorale di una certa parte in causa...
[per ironia, il Vangelo di domenica prossima (Mt 5,37) recita: Sia il vostro parlare: "Sì, si", "No,no" - esattamente come il testo della legge :-) ]