I dati sul mercato del lavoro provengono da rilevazioni periodiche (trimestrali, normalmente, ma a volte anche mensili) fatte dagli uffici statistici nazionali su campioni rappresentativi della popolazione. In Italia se ne occupa l'Istat mediante l'indagine trimestrale sulle forze lavoro. Cominciamo con le definizioni delle variabili rilevanti, che è il miglior posto da cui partire per sgombrare il campo dagli equivoci. Le definizioni sono ormai pressoché le stesse in tutti i paesi OCSE. Quelle utilizzate in Italia le trovate a pagina 13 di questo documento. Le riassumo brevemente a beneficio del lettore non specialista.
Chi sono i disoccupati? I disoccupati (D) non sono semplicemente coloro che non lavorano: sono coloro che non lavorano e che inoltre stanno cercando attivamente un lavoro. Se sommiamo i disoccupati agli occupati (O), cioé coloro che hanno lavorato o normalmente lavorano almeno un'ora a settimana, otteniamo una quantità che si chiama forza lavoro (F), cioé F = O + D. Il tasso di disoccupazione (d) è la frazione delle forza lavoro che è disoccupata, ovvero d = D/F. Se non lavori ma non cerchi un lavoro (per qualunque ragione) non sei disoccupato, sei fuori dalla forza lavoro e quindi non contribuisci al calcolo del tasso di disoccupazione, né al numeratore né al denominatore della frazione. Inizio con questa pedanteria perché un primo equivoco quando si parla di disoccupazione giovanile, cioé nella fascia di età 15-24 anni (15 anni è l'età minima per lavorare secondo l'ILO, International Labour Organization), deriva da obiezioni simili a quella di un lettore del Corriere della Sera online che così commenta un articolo sul tema di Alesina e Giavazzi:
E poi a 16 anni si va ancora a scuola, non siamo mica nell'ottocento. Ma per favore!
Secondo questo lettore non avrebbe senso guardare alla fascia 15-24 anni. In realtà gli studenti a tempo pieno (quelli cioé che studiano e che non dichiarano di fare qualche lavoro o lavoretto allo stesso tempo) non fanno parte della forza lavoro, quindi è questa obiezione a non aver senso: il tasso di disoccupazione riflette solo il comportamento delle persone attive (cioé che hanno un lavoro o ne stanno cercando uno, ovvero la forza lavoro definita sopra). Un indicatore che riflette il comportamento dell'intera popolazione in età lavorativa è il tasso di occupazione (o), cioé la frazione della popolazione in età lavorativa (N) che lavora: o = O/N. Per questo motivo il tasso di occupazione è spesso un indicatore preferibile (o almeno complementare) al tasso di disoccupazione. Alcune delle ragioni che rendono il tasso di disoccupazione un indicatore fuorviante se considerato in isolamento le abbiamo discusse in quest'altro post.
Chiarite le definizioni, passiamo ai dati. Per rendersi conto se e in che senso l'elevato tasso di disoccupazione giovanile in Italia sia anomalo mettiamolo a confronto con quello di un gruppo di paesi OCSE. I dati provengono dal database Eurostat sul mercato del lavoro. La tabella 1 qui sotto riporta (esprimendoli in punti percentuali) i tassi disoccupazione totale (15-74 anni), giovanile (15-24), non giovanile (25-74) e il rapporto tra disoccupazione giovanile e non giovanile nel quarto trimestre del 2010 (ultimo dato disponibile, non destagionalizzato). L'ordine dei paesi è decrescente nella seconda colonna, cioé nella disoccupazione giovanile.
Tabella 1. Tassi di disoccupazione giovanile, non giovanile, e rapporto.
15-74 anni | 15-24 anni | 25-74 anni | 15-24/25-74 | |
---|---|---|---|---|
Spagna | 20.3 | 42.8 | 18.2 | 2.35 |
Grecia | 14.2 | 36.9 | 12.6 | 2.93 |
Italia | 8.7 | 29.8 | 7.1 | 4.20 |
Irlanda | 14.1 | 28.8 | 12.4 | 2.32 |
Francia | 9.9 | 23.5 | 8.3 | 2.83 |
UE (27 paesi) | 9.5 | 20.7 | 8.2 | 2.52 |
UK | 7.7 | 19.9 | 5.5 | 3.62 |
USA | 9.2 | 17.4 | 7.9 | 2.20 |
Danimarca | 7.3 | 13.3 | 6.2 | 2.15 |
Germania | 6.5 | 8.4 | 6.3 | 1.33 |
Giappone | 4.8 | 8.3 | 4.5 | 1.84 |
Olanda | 4.2 | 8.1 | 3.5 | 2.31 |
Questi dati mostrano tre cose degne di nota.
Primo, non ci sono differenze nel ranking tra giovani e non giovani: la disoccupazione giovanile è sistematicamente più elevata di quella del resto della popolazione attiva. I motivi sono tanti e complicati e l'obiettivo di questo post non è quello di descriverli a fondo. Mi limito a citare i due fattori più rilevanti, secondo me. In breve, i lavoratori giovani sono i primi ad essere licenziati quando hanno un lavoro e sono gli ultimi ad accettarne uno quando lo stanno cercando. Ovvero, sono lavoratori che gli economisti chiamano "marginali". Facciamo un esempio. Se le cose vanno male e un'impresa che ha due lavoratori, uno di 20 anni e uno di 40, deve licenziarne uno, licenzierà molto probabilmente quello di 20 perché è meno costoso da licenziare. I motivi del minor costo sono svariati: potrebbe essere che il ventenne ha un contratto temporaneo (è un "precario", come in Italia e in Spagna) e quindi si può licenziare at will, oppure il ventenne ha meno esperienza e meno capitale umano specifico alla propria impresa e quindi il costo opportunità di licenziarlo è più basso. Per questi e altri motivi il ventenne perde più facilmente in lavoro. Ora consideriamo due persone, sempre di 20 e 40 anni, entrambe disoccupate. Chi dei due troverà e accetterà per primo un'offerta di lavoro? Per il quarantenne la faccenda è piuttosto urgente: magari ha figli e un affitto da pagare. Cercherà un lavoro piuttosto intensamente e non volterà le spalle a un'offerta di lavoro anche se questa gli facesse storcere un po' la bocca. Meglio un lavoro che piace poco piuttosto che la disoccupazione: a fine mese c'è da pagare l'affitto e ci sono i figli da vestire e sfamare. Il ventenne, invece, quando ha perso il lavoro e ha dovuto lasciare l'attico che affittava insieme a due amici è tornato a vivere coi genitori. Non che trovare un nuovo lavoro non sia faccenda urgente (per lui che non è un bamboccione) ma lo è certamente meno che per il quarantenne. Magari il lavoro inizia a cercarlo solo alle 11 di mattina, magari solo 2 giorni alla settimana. E se gli offrono un lavoro che non gli piace o che è in un'altra città magari dice "no grazie" e aspetta un'offerta migliore dal suo punto di vista. Per questi e altri motivi il ventenne impiega più tempo a trovare un nuovo lavoro. Il risultato di questi due processi, nel semplice esempio che sto utilizzando, è che il tasso di disoccupazione giovanile sarà più elevato.
Secondo, ci sono importanti differenze nei livelli (dei tassi) di disoccupazione giovanile tra i paesi considerati. Nel trimestre rappresentato (ultimo del 2010) si va dal 43% in Spagna all'8% in Olanda.
Terzo, queste differenze tra i tassi di disoccupazione giovanile tendono a corrispondere a differenze tra i tassi di disoccupazione non giovanile, ma anche il rapporto tra queste due misure (l'ultima colonna nella tabella 1) mostra una notevole variabilità. Il tasso di disoccupazione giovanile è solo 1,3 volte quello dei non giovani in Germania ma ben 4,2 volte in Italia -- un evidente outlier che ci ricorda che l'Italia non è un paese per giovani.
Questo rapido confronto internazionale porta a una prima conclusione: sebbene la disoccupazione giovanile in Italia sia in questo momento a un livello simile a quello di altri paesi disgraziati come Grecia, Irlanda, Spagna e altri più piccoli che potete facilmente immaginare, se guardiamo al fenomeno relativamente a quello della disoccupazione non giovanile (l'ultima colonna della tabella 1, cioé) l'Italia si distingue nettamente all'interno del gruppo considerato. Non mi avventuro in spiegazioni, che anche in questo caso sono molteplici e che richiederebbero un'analisi più approfondita di quella che si può fare su un blog. Mi pare un fatto rilevante, però: le istituzioni di protezione dell'occupazione in Italia sembrano distorte a favore dei lavoratori più anziani in un modo che non sembra avere eguali tra i maggiori paesi OCSE.
Altre cose degne di nota nel confronto internazionale sono quelle che emergono dalla tabella 2 qui sotto, che è riferita alla media nell'anno 2009 (la fonte dei dati è la stessa di quella della tabella 1). Le prime tre colonne riportano, rispettivamente, il numero di persone tra 15 e 24 anni che risultano essere studenti, occupati e disoccupati, relativamente al totale, espresse in punti percentuali della popolazione di riferimento (notate che quindi la colonna "disoccupati" non corrisponde al tasso di disoccupazione, che è definito non rispetto all'intera popolazione tra 15 e 24 anni ma rispetto alla forza lavoro in questa fascia di età). L'ultima colonna riporta il tasso di attività, ed è semplicemente la somma della seconda e della terza colonna.
Tabella 2. Tassi di frequenza scolastica e di attività nel 2009, 15-24 anni.
A scuola | Occupati | Disoccupati | Attivi | |
---|---|---|---|---|
Spagna | 56.3 | 28.0 | 17.1 | 45.1 |
Grecia | - | 22.9 | 8.0 | 30.9 |
Italia | 57.3 | 21.7 | 7.4 | 29.1 |
Irlanda | 61.7 | 35.4 | 11.3 | 46.7 |
Francia | 57.8 | 31.2 | 9.2 | 40.4 |
UE (27 paesi) | - | 35.1 | 8.7 | 43.8 |
UK | 48.4 | 48.4 | 11.4 | 59.8 |
Danimarca | 66.1 | 63.6 | 8.0 | 71.6 |
Germania | 65.1 | 46.2 | 5.8 | 52.0 |
Olanda | 68.0 | 68.0 | 4.8 | 72.8 |
Le cose da notare qui sono due.
Primo, se uno si aspetta che le prime tre colonne debbano sommare a un numero non superiore a 100 penserà che c'è qualcosa che non va in queste statistiche. In realtà non c'è nulla di sbagliato: il fatto che per molti paesi la somma delle percentuali di "studenti" e "attivi sul mercato del lavoro" sia superiore a 100 riflette il modo in cui definiamo occupazione e disoccupazione. Se uno studente riporta di aver lavorato almeno un'ora nella settimana di riferimento (che so, portando birra ai tavoli del pub vicino all'università nel weekend dalle 10 a mezzanotte) allora viene classificato come occupato. È possibile cioé essere allo stesso tempo studente e occupato anche se si hanno 19 anni e l'attività principale è ancora lo studio. Molti vengono quindi contati due volte (come studenti e come parte della forza lavoro) e dalla tabella 2 è evidente che, in Europa, questo succede con maggiore intensità nei paesi nordici. In Olanda, per esempio, una cifra compresa tra il 40% circa (68.0+72.8-100) e il 68% dei giovani 15-24 vengono contati due volte. Questo fatto è potenzialmente importante per l'interpretazione dei dati sulla disoccupazione giovanile, perché introduce un indesiderabile elemento di soggettività nella definizione della forza lavoro, come osservo sotto riassumendo la prossima conclusione.
Secondo, l'elevato tasso di disoccupazione giovanile in Italia va di pari passo con un tasso di partecipazione al mercato del lavoro (il tasso di attività) oltremodo depresso: 29,1% nel 2009 per il gruppo 15-24 anni, peggio persino della Grecia! Questo dato è preoccupante, soprattutto perché se letto insieme a quello sullo status di studente all'interno dello stesso gruppo rivela la presenza di molti giovani completamente "inoccupati". Se il 57.3% dei giovani italiani nel 2009 era a scuola, il 21.7% lavorava e il 7.4% era disoccupato, cosa faceva il restante 13.6% (cioé circa 827mila persone)? La risposta è: niente, assolutamente niente. Non studiano, non lavorano, non cercano lavoro. E, per favore, non diciamo che queste sono tutte casalinghe di 23-24 anni. Al Sud, in particolare, questa è manovalanza facile da attrarre per la criminalità organizzata. Da questo punto di vista l'inoccupazione è peggio della disoccupazione. Il lettore attento potrebbe sollevare due obiezioni. Uno, ma se c'è il problema del doppio conteggio di studenti e forza lavoro osservato sopra, come facciamo a escludere che il numero sui completamente inoccupati sia migliore per l'Italia che per gli altri paesi? In principio non possiamo escluderlo: se il 68% di studenti e il 68% di occupati in Olanda fossero esattamente le stesse persone, chiaramente la frazione di giovani che non fa niente sarebbe qui ben maggiore di quella italiana. Sebbene possibile, questo è piuttosto improbabile. il 13.6% calcolato sopra è quello che noi chiamiamo un lower bound di giovani che non fa assolutamente niente. Cioé potrebbero essere anche di più (e certamente sono di più perché anche in Italia una minoranza di studenti viene classificata come forza lavoro per le ragioni dette sopra) ma di certo non possono essere meno. Questo lower bound è negativo per molti dei paesi riportati sopra, e quindi da un lato è poco informativo e dall'altro è improbabile che il double counting sia così intenso da generare una frazione di giovani del tutto inoccupata superiore a quella italiana. Due, si potrebbe obiettare che "questo è lavoro nero". In realtà gran parte del lavoro nero è già considerato in queste statistiche: quando l'Istat chiede "hai svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura oppure lavoro non retribuito nella ditta di un familiare?" nulla chiede, qui, sulla regolarità o meno del lavoro svolto. Gran parte del lavoro nero è già qui dentro, quindi. Inoltre, anche se non ci fosse, il lavoro irregolare non può essere considerato equivalente a quello regolare, né da un punto di vista economico né da uno più sociale.
Le conclusioni qui sono due, che si sommano alla prima conclusione sopra.
La seconda conclusione è che il trattamento degli studenti nelle rilevazioni sulla forza lavoro introduce un errore di misura nel tasso di disoccupazione giovanile che è difficile quantificare. Se gli studenti inglesi, olandesi, tedeschi trovano del tutto normale fare lavoretti per finanziare gli studi e anzi vedono questi lavori come connaturati alla loro carriera di studenti e quindi riportano sistematicamente all'intervistatore di aver lavorato, mentre in Italia gli studenti si sentono studenti e basta e quindi dimenticano o volutamente omettono di riportare quelle ore di lavoro in birreria nel weekend, la disoccupazione giovanile italiana risulterebbe sovrastimata. Facciamo un esempio. Quel 57.3% di italiani tra 15-24 anni che risultano "a scuola" sono circa 3 milioni e mezzo di persone. Se un decimo di queste facesse lavoretti che per le ragioni appena dette non riporta, allora il vero tasso di disoccupazione giovanile in Italia nel 2009 non sarebbe stato del 25.4% ma del 21.3%. Una bella differenza, dovuta al fatto che dovremmo aumentare il denominatore (gli occupati, in particolare) nel calcolo del tasso di disoccupazione. Non sto dicendo che allora il dato Istat è completamente inaffidabile o insensato. Sto solo facendo notare cose che possono succedere quando c'è un elemento di soggettività da parte di uno studente nel riportare o meno eventuali lavoretti che gli studenti fanno.
La terza conclusione è che l'elevata "inoccupazione" giovanile in Italia (quel 13.6% o più che non fa niente) dovrebbe preoccupare molto più dell'elevata disoccupazione nella fascia 15-24 anni, cosa che i giornalisti economici in Italia non sembrano notare quando commentano il dato sulla disoccupazione giovanile record. In Spagna, dove la disoccupazione giovanile è oltre 10 punti superiore a quella italiana, il tasso di attività del gruppo 15-24 anni è di oltre 15 punti superiore a quello nostrano. È meglio essere in cerca di un lavoro piuttosto che del tutto inoccupati (né a scuola né sul mercato del lavoro).
Termino qui il confronto internazionale e passo a un'analisi più dettagliata del dato italiano. L'Istat ha finalmente introdotto un sistema di estrazione dati degno di un paese avanzato. La nuova interfaccia è identica a quella delle statistiche OCSE e molto facile da usare. Ne approfitto subito, considerando la dinamica della disoccupazione giovanile dal 2007 (anno in cui si è raggiunto un minimo) al 2010 in diversi sottogruppi di interesse. La tabella 3 qui sotto riporta i dati che mi sembravano più interessanti
Tabella 3. Tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) per sottogruppi.
2007 | 2008 | 2009 | 2010 | |
---|---|---|---|---|
Italia | 20.3 | 21.3 | 25.4 | 27.8 |
Nord-ovest | 13.9 | 13.9 | 20.1 | 21.7 |
Nord-est | 9.6 | 10.7 | 15.7 | 19.1 |
Centro | 17.9 | 19.6 | 24.8 | 25.9 |
Sud e Isole | 32.3 | 33.6 | 36.0 | 38.8 |
Maschi | 18.2 | 18.9 | 23.3 | 26.8 |
Femmine | 23.3 | 24.7 | 28.7 | 29.4 |
Da 12 mesi o piu' | 8.1 | 7.9 | 10.0 | 12.1 |
Diploma | 18.9 | 19.9 | 24.0 | 26.4 |
Laurea | 19.3 | 23.8 | 29.6 | 23.1 |
Questa decomposizione rivela interessanti informazioni.
Il dettaglio territoriale è informativo, anche se le differenze nei livelli non sono affatto sorprendenti. Confrontanto con la tabella 1, il Nord è nella media europea, il Centro è simile alla Francia, il Sud è simile alla Grecia. Le variazioni mostrano che l'aumento di 7.5 punti a livello nazionale è, punto più punto meno, uniforme tra le diverse macroregioni.
La differenza tra maschi e femmine si nota, ed è anch'essa non sorprendente. Quello che trovo sorprende è che la differenza di 5-6 punti tra ragazzi e ragazze prima del 2010 è circa il doppio di quella dell'intera forza lavoro negli stessi anni, che era mediamente di circa 3 punti.
La riga "Da 12 mesi o più" indica quanti giovani disoccupati, relativamente alla forza lavoro giovanile, sono in cerca di un'occupazione da almeno un anno -- i disoccupati di lungo periodo. Nel 2010 erano meno di un terzo del totale nazionale. Se consideriamo tutte le età, nello stesso anno i disoccupati di lungo periodo erano circa la metà del totale. Questo suggerisce che la disoccupazione giovanile è molto più frizionale, e quindi di breve periodo, di quella complessiva.
Infine, la decomposizione per titolo di studio mostra che per i laureati, almeno prima del 2010, è più difficile trovare un lavoro che per i diplomati. Questo dato è coerente con la presunzione che rispetto al passaggio dall'istruzione al lavoro l'università italiana non faccia un buon lavoro. Il vistoso calo nel 2010 è dovuto soprattutto ad una forte riduzione del tasso di disoccupazione delle laureate (10 punti dal 2009 al 2010). Il post di Paola Potestio sugli effetti della riforma del "3+2" sui tassi di occupazione e disoccupazione giovanile espande e completa in modo interessante questo punto.
A loro volta, a cosa sono dovute queste variazioni nel tempo? Per rispondere a questa domanda è necessario tornare alla pedanteria iniziale. Ricordate che il tasso di disoccupazione è definito come d = D/F, dove D è il numero di disoccupati e F la forza lavoro (la somma di disoccupati e occupati). Poiché il tasso di variazione di d è approssimativamente uguale alla differenza tra i tassi di variazione di D e F, se il tasso di disoccupazione aumenta nel tempo mentre aumenta il livello di disoccupazione (cosa che in Italia è successa per la fascia 15-24 come per le altre dal 2007 in poi) deve essere che la forza lavoro aumenta più lentamente. Se la forza lavoro si riducesse mentre la disoccupazione aumenta, come succede ad esempio quando parte di quelli che perdono il lavoro non si mettono a cercarne uno nuovo, allora il tasso di disoccupazione aumenterebbe più di quanto aumenterebbe se tutti quelli che perdono il lavoro ne cercassero da subito attivamente uno nuovo.
Ragionando in questo modo possiamo capire se e in che misura il rapido aumento della disoccupazione giovanile in Italia dal 2007 al 2010 riflette l'uscita dei giovani dalla forza lavoro -- o per tornare a studiare o per finire del tutto inoccupati. La figura 1 qui sotto mostra le variazioni % sullo stesso trimestre dell'anno precedente di disoccupati e forza lavoro.
Figura 1. Variazioni di disoccupati e forza lavoro.
La figura mostra che la forza lavoro giovanile si è ridotta costantemente dalla metà del 2008, mentre il livello di disoccupazione aumentava (con l'eccezione del terzo trimestre 2010). Questo significa appunto che in questi anni molti giovani italiani che perdono un lavoro rinunciano del tutto a cercarne un altro. E' facile calcolare che se invece lo cercassero (in questo modo la forza lavoro resterebbe costante), il tasso di disoccupazione giovanile nell'ultimo trimestre 2010 sarebbe stato di circa il 28% invece del 29.8% registrato dall'Istat. Il tasso di occupazione giovanile resterebbe esattamente lo stesso, naturalmente, che è un altro modo di rendersi conto che il tasso di disoccupazione, giovanile o meno, è un indicatore piuttosto imperfetto.
D'accordo, non lo diciamo, ma c'è qualche dato sulla distribuzione per sesso e per età, e magari anche per stato civile e figli?
Buon punto. Si, i dati ci sono ma sono grezzi. Questa distribuzione si puo' costruire direttamente dai microdati della rilevazione Istat, che ho. Appena ho tempo li elaboro, richiede un po' di lavoro. Ma hai ragione, e' importante avere indizi su chi sono questi desaparecidos dalla scuola e dal mercato del lavoro. Ottima idea per un secondo post sul tema.