Craxi non ereditò una situazione spaventosa
Nel 1980, quando Craxi diventa indiscusso mattatore della scena politica, il rapporto debito PIL era pari al 56,9%. Nel 1983, quando Craxi divenne primo ministro, era già pari al 68,9%. Livelli alti, ma per nulla insostenibili. Stabilizzare il rapporto debito/PIL nel 1980, o anche solo nel 1983 era perfettamente possibile. Non solo era possibile, in nessuna delle principali economie europee si verificò un'esplosione del debito comparabile.
Alla metà anni '80 l'economia italiana stava esibendo bassi tassi di crescita da più di un decennio, ossia dalla prima crisi petrolifera. Era ovvio a tutti che un periodo in cui l'economia cresce al 3% fosse il meglio che ci si potesse attendere, ed era quindi altrettanto ovvio che quello era il momento di iniziare a stabilizzare, e possibilmente ridurre, il rapporto debito/PIL. La letteratura sul tema, in quegli anni, è letteralmente smisurata. Entrambi ricordiamo un giovane Giavazzi che ci scrive sopra quasi maniacalmente, assieme alla grande maggioranza degli economisti europei ed americani. Murray Weidenbaum abbandonò la presidenza del Council di Reagan proprio perché il Presidente rifiutava di tagliare abbastanza le spese e faceva crescere il debito!
Certo, la disoccupazione era alta e rimase alta per tutto il periodo, in verità non solo in Italia. E allora? Ripetiamo, anche quelli che credevano nelle ricette keynesiane comunque consigliavano spesa per investimenti. L'idea che la disoccupazione si curi creando un gap permanente tra spesa corrente ed entrate correnti e facendo crescere il rapporto debito/PIL anche nei periodi di espansione è totalmente estranea a qualunque teoria economica. Peraltro, l'espansione della spesa pubblica del periodo non conseguì certo gli effetti sperati. La disoccupazione restò alta per tutta l'era Craxi e salì dal 7,4% nel 1983 fino al 9,6% del 1987.
No, Craxi non ereditò una situazione difficile. Fu lui, assieme ai suoi sodali, a rendere la situazione difficile accrescendo il debito, accrescendo la spesa e non affrontando alcuno dei nodi strutturali che bloccavano la crescita del paese. Il fatto che negli anni in cui fu primo ministro la pressione fiscale non aumentò è un ben scarso merito. Il nodo era la spesa. Se non si bloccava quella la pressione fiscale era destinata a crescere prima o poi, e infatti crebbe. Visto lo spaventoso deficit di bilancio degli anni di Craxi, nettamente più alto del resto della decade, la posticipazione dell'aumento della pressione fiscale può solo essere classificato come l'ennesima meschina furberia. Che il paese pagò a caro prezzo, dato l'elevato livello dei tassi reali.
E, parlando di tassi reali, ci preme sottolineare questo pezzo di Luciano con il quale siamo completamente d'accordo.
Ma qual era esattamente la situazione del monetario ? L'Italia era entrata nel G-7 nell'ottantacinque, quindi alcuni aspetti delle sue politiche erano sicuramente coordinate con gli altri paesi industrializzati e pertanto finivano per sfuggire al controllo del governo. A metà degli anni ottanta, c'è da aggiungere, che il dollaro si deprezzò e fu più difficile esportare. L'Italia complessivamente beneficiò di una riduzione dell'inflazione, di una discesa dei tassi nominali, ma, e qui è il punto, a differenza della Germania, non di un calo del livello di quelli reali, ovviamente con riferimento al debito pubblico. I tassi reali da noi resteranno il doppio del tasso di crescita dell'economia.
Ecco, appunto. A parte l'errore di prospettiva sul dollaro (che si era apprezzato follemente dal 1982 al 1985 e semplicemente tornò a valori ragionevoli dopo di allora) i tassi d'interesse restarono alti esattamente perché l'Italia si stava indebitando alla grandee i prestatori pretendavano un premio al rischio. Anche questa non era una novità, era anzi un fatto molto ben compreso in quel periodo. Quindi la crescita del debito aveva chiari effetti restrittivi perché aumentava i tassi d'interesse reali. Si scelse, volontariamente e consapevolmente, di continuare su quella strada, creando danni enormi per l'economia sia allora sia per decenni a venire.
Craxi e l'inflazione
Ci sembra noioso ritornare su questo punto, perché a noi sembra ovvio, ma alcuni dei commenti all'articolo precedente di Sandro nonché vari commenti apparsi sulla stampa suggeriscono sia necessario farlo. Sentiamo ripetere a destra e a manca che Craxi sconfisse l'inflazione. Un esempio è dato da questo articolo del Sole 24 Ore a firma di Carabini che si apre con questa stupefacente affermazione:
Un obiettivo centrato in pieno: la disinflazione. Un altro mancato ma non trascurato: l'aggiustamento dei conti pubblici. È questo il bilancio dei due governi guidati da Bettino Craxi tra il 1983 e il 1987 per la politica economica. La battaglia contro l'inflazione fu vinta per meriti propri (il decreto di San Valentino e il successo nel referendum sulla scala mobile) e grazie alla caduta del prezzo del petrolio.
Chi ha letto il post precedente sa quanto sia grottesca e surreale la tesi di un Craxi che ''non trascura'' l'aggiustamento dei conti pubblici. Ma anche sulla disinflazione, sembra che sia proprio necessario partire dagli elementi di base. Ricordando, ad esempio, che la correlazione è cosa diversa dalla causalità, e che il fatto che l'inflazione sia scesa in quegli anni non implica che sia scesa per atti specifici del governo. Anche perché l'inflazione italiana cominciò a decrescere nel 1980-81, ossia svariati anni prima dell'accordo sui punti di scala mobile!
Cominciamo con il ricordare un paio di fatti. Il primo, che speriamo non sia particolarmente controverso, è che l'inflazione persistente nel tempo è sempre e comunque un fenomeno monetario. Il secondo è che l'espansione del debito pubblico, anche se non immediatamente finanziato con moneta, può produrre effetti inflazionistici (questo è lungo da spiegare in un post, quindi rimandiamo a Sargent and Wallace, Some Unpleasant Monetarist Arithmetic, per la teoria e all'America Latina per una molteplicità di esempi). Curiosamente, invece, Carabini e quelli che con lui cantano le lodi di Craxi disinflazionista dimenticano completamente sia il ruolo svolto dalla politica monetaria sia le implicazioni dell'alto debito pubblico che si andava allora creando.
Negli anni Ottanta l'inflazione scese più o meno dappertutto. Qui potete vedere l'andamento dell'inflazione nei G7. L'Italia partiva da un livello più alto degli altri e ci mise di più, ma essenzialmente seguì con un po' di ritardo il trend generale. Il motivo della discesa dell'inflazione a livello internazionale non è particolarmente controverso; fu la conseguenza di una forte restrizione monetaria da parte delle banche centrali, partendo dalla Fed di Volcker fino ad arrivare alla Banca d'Italia di Ciampi, che negli anni Ottanta acquisì maggiore indipendenza e smise di finanzare massicciamente il debito pubblico con emissione di moneta.
L'inflazione italiana, che partiva da valori superiori alla media, scese meno che negli altri paesi. A nostro, neanche tanto umile, avviso una delle ragioni fondamentali per cui questo successe è proprio il debito pubblico che Craxi&Co. stavano facendo montare. Poiché gli operatori privati, in classica monetarist arithmetic, si aspettano monetizzazione di tanto ed insostenibile debito, i tassi nominali rimasero particolarmente alti e i prezzi non rallentarono tanto quanto ci si sarebbe potuto attendere guardando unicamente alla politica monetaria. La convergenza nei tassi d'inflazione si completò solo quando il processo di adesione all'euro iniziò in modo convincente e le aspettative di monetizzazione del debito si affievolirono (sino a svanire con l'entrata nell'area euro). Tutto questo, fra chi si occupa di politica economica italiana dell'ultimo trentennio, è piuttosto noto e banale. Ma, temiamo, i giornalisti economici i papers degli economisti o non li leggono o non li capiscono ... ed allora dagli con le fregnacce.
La storiella di Craxi che sconfigge l'inflazione deriva dall'alta visibilità politica del decreto di San Valentino 1984 e dalla furibonda lotta politica che a seguito del decreto esplose tra PCI e CGIL da una parte e Craxi, spalleggiato da CISL e UIL, dall'altra. L'alta intensità politica dello scontro sembra aver fatto dimenticare a tutti quanto limitato sia stato l'intervento di quel decreto e quanto improbabile sia la tesi che grazie ad esso venne ''sconfitta l'inflazione''. Il decreto del 1984 eliminò una tantum 4 punti di scala mobile. Speriamo di non dover spiegare perché una eliminazione una tantum può solo agire sul livello a un dato periodo e non sul tasso di crescita dei prezzi nei periodi futuri. Per il resto ci furono vari interventi successivi di indebolimento del meccanismo (per esempio il pagamento dei punti di contingenza passò da trimestrale a semestrale) ma la scala mobile rimase nella sua struttura essenziale e venne abolita solo nel 1992.
Quindi i fatti sono questi. La restrizione monetaria stava facendo decrescere l'inflazione in tutti i paesi industrializzati. Il governo italiano intervenne in modo abbastanza marginale sul meccanismo di scala mobile; anche assumendo che l'indicizzazione dei salari possa avere effetti di breve periodo sull'inflazione, la dimensione dell'intervento non fu certamente tale da generare la discesa dell'inflazione osservata, discesa che era comunque iniziata da ben 4 anni! L'intervento della scala mobile ebbe probabilmente un impatto di breve periodo sulla ripartizione del reddito tra lavoro e capitale, ma anche in tal caso non fu gran cosa. E, alla fine della fiera, anche la momentanea vittoria di Craxi sul PCI, che era la vera posta in gioco, non generò gli effetti di lungo periodo desiderati.
Non vi è alcuna ragione, né teorica né empirica, per sostenere, come abbiamo visto fare, che in assenza di quel taglio, avremmo avuto un maggior aumento della disoccupazione e/o una (ancor maggiore!) crescita del debito pubblico. Per quanto riguarda quest'ultimo, in particolare, essendo la spesa pubblica endogena e decisa sulla base di considerazioni di political economy, si potrebbe tranquillamente sostenere che aumentò di più proprio a causa del taglio dei quattro punti di contingenza. Il meccanismo potrebbe essere stato (sottolineiamo il "potrebbe": il ragionamento è ipotetico ma, almeno, basato su ipotesi di political-economy semplici e chiare) il seguente: per compensare il lavoro dipendente della perdita secca di reddito reale che il taglio induceva, il governo potrebbe avere aumentato la spesa pubblica a favore dei lavoratori dipendenti più di quanto avrebbe fatto altrimenti! Ma queste sono speculazioni a margine di un intervento che comunque non fu certo di grandi dimensioni.
Craxi non aveva alcun progetto riformista
A conclusione di questa disanima della politica economica consentiteci di ammettere il nostro stupore di fronte al fenomeno dei ''nostalgici di Craxi''. Non stiamo parlando dei politicastri che usano la riabilitazione di Craxi per rifarsi una verginità, alla Cicchitto o De Michelis per intenderci. Nemmeno stiamo parlando dei servi nei media alla Minzolini. Le motivazioni di questi signori sono trasparenti, per quanto rivoltanti.
No, stiamo parlando di quelle persone che si ostinano a credere in buona fede che Craxi, tutto sommato, fece parecchie cose buone. Questa è una posizione che riteniamo veramente sorprendente. Craxi non aveva nessun grande progetto riformista in mente. Non solo non lo attuò mai, nemmeno mai lo articolò. A giudicare dalle sue azioni e dai suoi discorsi, lo si potrebbe qualificare, con il senno di poi, come il tentativo d'instaurare un regime semi-presidenziale e peronista antelitteram, dove lui faceva il presidente-peron (con ville nel mondo e troiette alloggiate in esse ed altri hotel romani) non perché raccogliesse la maggioranza dei voti ma perché era l'ago della bilancia. Altra evidenza, non v'è se non nelle fantasie auto-compiacenti degli adepti a lui sopravissuti.
Vi posso dare un'ulteriore traccia per un terzo capitolo da approfondire riguardo la politica culturale di Craxi?
Legge Mammì e revisione dei patti lateranensi con il Concordato del febbraio 1984...secondo me questi due fatti hanno trasformato in peggio il tessuto culturale italiano, portando da un lato all'attuale monopolio televisivo (con le conseguenze politiche che conosciamo), dall'altro lato all'abbraccio mortale con la Chiesa Cattolica Romana...due cosucce da niente!!!
Anyway, complimenti per le puntuali argomentazioni.
Marco