Gli antefatti.
La campagna contro il costo di ricarica iniziò, da quel che ho potuto ricostruire, per opera di un singolo cittadino nella primavera del 2006. A un certo punto ne parlò anche il nostro Andrea, quando il sito era agli albori. Ci furono denunce alla Unione Europea, la quale chiese lumi alle autorità italiane. Partì quindi un'inchiesta conoscitiva della nostra autorità antitrust, che produsse nel novembre 2006 un rapporto di 91 pagine che potete trovare sul sito dell'autorità stessa (cliccate su 'pubblicazioni' e poi su '2006').
Il rapporto me lo sono letto (yes, I have troubles sleeping); l'analisi economica non è particolarmente approfondita, ma probabilmente non è questo lo scopo delle indagini conoscitive. C'è però una notevole ricchezza di dati. Si apprendono quindi le cose seguenti. Primo, i soldi che l'industria otteneva dalle ricariche erano parecchi. Nel 2005 sono risultati pari a 1.7 miliardi di euro, pari al 12% dei ricavi. Secondo, l'Italia è l'unico paese in cui tali costi venivano applicati, oltre a essere il paese in cui la modalità del servizio prepagato è più diffusa (in Italia le prepagate sono circa il 90% delle linee mobili, contro una media europea del 58%). Terzo, la stragrande maggioranza delle operazioni di ricarica avvengono per tagli bassi. Nel 2005 il 48.3% dei ricavi sono risultati da ricariche dal valore inferiore a 20 euro, il 45.4 da tagli tra 20 e 50 euro, e solo il 6.3% da ricariche per tagli superiori a 50 euro. Nel 2003 le percentuali erano rispettivamente 33.5%, 54.7% e 11.8%. Quindi il comportamento apparentemente irrazionale dei consumatori, che scelgono importi bassi di ricarica nonostante il costo fisso, è andato fortemente aumentando, probabilmente come conseguenza dell'espansione della telefonia mobile tra le fasce meno abbienti della popolazione. Quarto, l'uniformità di pratica e di prezzo è stata raggiunta solo con il tempo dalle compagnie telefoniche operanti in Italia. L'azienda pioniera che introdusse il costo di ricarica fu l'ex-monopolista Tim (ora Telecom Italia) e Omnitel si adeguò. Wind aveva iniziato offrendo il servizio prepagato senza costo di ricarica, ma si è poi adeguata pure lei. Al novembre 2006, data dell'indagine, Wind non faceva pagare il costo di ricarica per importi superiori a 50 euro, mentre non competeva sui tagli bassi (la parte più importante della torta), mantenendo un costo di ricarica uguale a quello di Telecom Italia. Quinto, i costi non sembrano giustificare la commissione di ricarica. La parte principale dei costi è rappresentata dalle provvigioni pagate a tabaccai, poste e altri esercenti, oltre che in misura assai minore alle banche. In ogni caso, secondo le stime dell'AGCM it totale dei costi delle operazioni di ricarica fu nel 2005 pari a 770 milioni di euro. Dato che i ricavi furono 1700 milioni, è evidente che i costi da soli non giustificano la commissione di ricarica ai livelli che oggi vediamo.
Il rapporto venne criticato quasi subito in un articolo apparso su la voce.info. In verità si trattava di una critica abbastanza leggera, si diceva semplicemente che altre spiegazioni alternative alla collusione sono possibili per la comparsa di strutture di prezzo come quelle praticate dai nostri operatori telefonici, senza chiarire quali fossero tali spiegazioni (o almeno io non l'ho capito). In ogni caso il compito del rapporto conoscitivo era solo quello di elencare fatti, piuttosto che di suggerire spiegazioni (anche se a volte il tono del rapporto lascia trasparire che gli estensori propendono per l'ipotesi collusiva). Il governo non prestò attenzione alle critiche, prese per buona l'ipotesi di collusione, e si mosse decisamente per abolire le ricariche a mezzo decreto. Voci di un intervento legislativo sulle ricariche iniziarono a circolare a metà gennaio e il decreto venne approvato al consiglio dei ministri del 31 gennaio (e poi convertito in legge il 2 aprile). Le ricariche vennero 'volontariamente' eliminate dalle compagnie telefoniche con un piccolo anticipo rispetto a quanto previsto dal decreto.
Le reazioni al decreto.
Vari commentatori (si veda ad esempio qui), anche sul nostro sito, hanno dichiarato il proprio scetticismo riguardo al provvedimento. L'argomento, più o meno, è che un intervento dirigista sulle modalità tariffarie non può che avere il respiro corto e verrà neutralizzato dalle compagnie telefoniche mediante interventi su altre componenti tariffarie. Solo interventi che facilitino l'entrata possono condurre a stabili riduzioni dei prezzi. Michele ha sintetizzato bene l'argomento in una 'avvelenata' di inizio aprile:
Da un po' di giorni, vari quotidiani riportano la notizia che Wind prima e poi le altre compagnie telefoniche stanno cercando di alzare le tariffe al minuto per i telefoni cellulari con scheda ricaricabile. Il governo e le varie autorità che controllano le telecomunicazioni cercano di impedire tale mossa a botte di altri interventi tanto intricati quanto insensati perchè fondati sull'errore fatale: che, a colpi di leggi, decreti, e circolari, si possa far fare alle aziende ciò che il politico desidera, fregandosene degli incentivi e dell'organizzazione del mercato sottostante.
Sono ovviamente d'accordo sull'opportunità di eliminare le barriere all'entrata in questa e in tante altre industrie, ma ho molti dubbi sulla non-efficacia di provvedimenti che modificano le strutture tariffarie permesse alle imprese, e mi ha un po' sorpreso la sicurezza con cui sono state fatte queste affermazioni. Il resto del post sarà in buona misura dedicato a spiegare le ragioni dei miei dubbi. Per esser brevi il mio argomento è: il modo in cui le imprese possono competere sui prezzi fa in effetti parte della 'organizzazione del mercato sottostante'. L'impatto della misura di divieto dei costi di ricarica può quindi essere strutturale, e condurre a un aumento del benessere dei consumatori. La teoria ci dice ben poco al riguardo, e la poca evidenza disponibile suggerisce che la collusione c'era e l'intervento è stato efficace.
La reazione dei consumatori è stata, credo di poter dire, molto favorevole al provvedimento. Mi baso qui non solo sull'evidenza anedottica di amici e conoscenti italiani ma anche su un sondaggio apparso su Repubblica. I sondaggi di questo tipo van sempre presi con le molle, ma i numeri sono tali (92% favorevoli) da lasciare pochi dubbi. Non mi risulta inoltre ci siano stati sondaggi con risultati opposti.
Le reazioni dei mercati e degli analisti finanziari danno anch'esse scarso credito all'idea che il provvedimento non influisca sui livelli di profitto. Ovviamente non possiamo fare un event study serio, ma possiamo osservare che il titolo di Telecom Italia è rimasto sostanzialmente invariato nel mese a cavallo del decreto, scendendo di qualche punto intorno alla data di presentazione del decreto stesso. Questo è avvenuto durante un periodo rialzista, nello stesso periodo l'indice Mibtel è cresciuto del 2.1%, mentre l'indice Standard & Poor MIB è cresciuto del 1.35%. L'impatto negativo sui profitti attesi pertanto sembra esserci stato.
Ulteriore parziale evidenza è data da una notizia Reuters del 25 gennaio (sorry, no link) dal titolo 'Telecom Italia, Deutsche Bank taglia target price da 2.40 a 2.25'. Nel testo della notizia si legge
La banca motiva la revisione del prezzo obiettivo con la decisione dell'Authority di tagliare i costi di ricarica delle carte prepagate, il calo delle tariffe di roaming, la maggior competizione di Wind e Fastweb, l'aumento degli investimenti in Brasile e in Italia.
Anche gli analisti di Deutsche Bank sono quindi poco convinti che il costo di ricarica verrà comunque recuperato. Ultimo pezzo di evidenza è la notizia che Wind prevede una diminuzione dei profitti di 300 milioni di euro a seguito del provvedimento. I managers hanno incentivo a lamentarsi ed esagerare, ma dubito che possano mentire così spudoratamente quando forniscono questo tipo di numeri.
Per riassumere, mi pare che la poca evidenza che abbiamo indichi che finora il provvedimento ha avuto gli effetti sperati. La collusione probabilmente c'era, e l'intervento governativo ha ridotto dei profitti di monopolio e favorito i consumatori. Ci sono state voci di tentativi aumento delle tariffe (quelle a cui si riferiva Michele nel pezzo citato prima) ma finora io non ho visto evidenza che le compagnie telefoniche ci siano effettivamente riuscite. La stampa e i poteri pubblici sembrano aver operato bene come cani da guardia.
Roba noiosa per economisti
Il resto del post sarà un po' noioso, leggetelo solo se vi interessa la teoria economica dell'oligopolio e sopportate il gergo degli economisti. Allora, è il mio turno di spiegare perché non mi convince la tesi secondo cui l'intervento sulle ricariche è irrilevante.
In sostanza la domanda è: qual è l'equilibrio in una industria in cui le imprese possono competere usando funzioni di prezzo non-lineari? Cosa succede quando, in tale industria, il regolatore restringe le funzioni di prezzo che le imprese possono utilizzare?
La verità è che la teoria economica dice ben poco al riguardo. Se l'industria è caratterizzata da concorrenza perfetta possiamo accettare l'idea intuitiva che gli extraprofitti delle imprese tendono comunque a zero, come nel caso di concorrenza con prezzo uniforme (con non-linear pricing ci possono problemi di esistenza dell'equilibrio, ma sorvoliamo). In tal caso restringere le strategie di prezzo che le imprese possono utilizzare non ha effetto sui profitti, dato che la concorrenza li spinge comunque al minimo. Vi possono invece essere conseguenze negative sul benessere sociale, se le restrizioni impediscono alle imprese di servire alcune nicchie di mercato. Questo, se ho capito bene, sembra essere il modello che i critici del provvedimento sembrano avere in mente.
L'ovvia obiezione è che l'industria di cui stiamo parlando non è concorrenziale, è un oligopolio. Per l'oligopolio non abbiamo risultati teorici chiari. L'effetto di una restrizione delle strategie di prezzo sul benessere dei consumatori o sui profitti può essere positivo o negativo (si vedano Thisse e Vives, American Ec. Review 1988, e Holmes, American Ec. Review 1989 per modelli che producono predizioni praticamente opposte; se proprio il tema vi interessa date un'occhiata alla survey di Lars Stole). Quello che ritengo sia però chiaro è che restrizioni del tipo 'divieto di costo di ricarica' hanno tipicamente un effetto sull'equilibrio. A meno che gli oligopolisti non riescano a riprodurre esattamente il costo di ricarica con differenti funzioni di prezzo (cosa che mi pare improbabile) non possiamo concludere che nulla cambia.
Un'altra importante considerazione è che il modello più adatto a interpretare questa industria è dinamico. In particolare si tratta di un gioco ripetuto in cui i giocatori sono le imprese e il regolatore (con il twist che le preferenze del regolatore possono cambiare quando cambia il governo). Nei giochi dinamici ovviamente c'è una molteplicità di equilibri. Mi pare però che una interpretazione sensata di quanto è accaduto durante l'ultimo anno sia la seguente. Le imprese provano a colludere, sperando nella inazione del regolatore. Il regolatore dopo un po' se ne accorge e interviene. L'intervento serve non solo a ridurre il livello di collusione rimuovendo uno strumento contrattuale specifico, ma anche a segnalare alle imprese che futuri episodi di collusione verranno sanzionati. Come conseguenza le imprese riducono permanentemente (o almeno fino al prossimo cambio di regolatore) il livello di collusione. Di nuovo, dal punto di vista teorico è perfettamente possibile che l'intervento del regolatore abbia importanti conseguenze reali.
Conclusione
La teoria economica ci dice ben poco sugli effetti di una restrizione delle strategie di prezzo usate dalle imprese in un oligopolio. La questione è quindi empirica, e sulla letteratura empirica non sono esperto. Sarei molto sorpreso però se ci fossero indicazioni chiare. Quindi, purtroppo, le decisioni vanno necessariamente prese un po' a tentoni.
Nel caso specifico a me sembra che le ragioni per l'intervento ci fossero. Le imprese imponevano i costi di ricarica solo in Italia, con prezzi identici e con grossi profitti. Forse tali comportamenti si possono giustificare all'interno di un modello concorrenziale, ma io non ho visto nessuna spiegazione del genere. La spiegazione più probabile è anche la più semplice, ossia le imprese stavano colludendo. La proibizione del costo di ricarica, per quel che sappiamo finora, ha ridotto i costi del servizio per il consumatore. Il rischio che le imprese possano cercare di rifarsi colludendo mediante altri aspetti contrattuali esiste, ma questo significa che l'autorità antitrust deve restare all'erta, continuando a controllare l'evoluzione dei prezzi e delle pratiche contrattuali dell'industria.
Non sono d'accordo.
Primo: dal lato delle aziende, cancellare di colpo una cifra consistente del proprio fatturato ne potresti minare la stabilità.
Secondo: in tutti i paesi hai delle authority che hanno la funzione di regolatore. Se il costo di ricarica viene ritenuto iniquo o è evidente la formazione di un cartello oligopolistico, l'authority commina le sanzioni. Avere delle authority che controllano il mercato e avere un governo che si sostituisce per decreto all'authority significa che qualcosa non funziona. Soprattutto che stiamo pagando un ente inutile (l'authority preposta).
Terzo: che il governo si sostituisca o scelga per le persone non ha senso. Come hai ricordato wind non aveva il costo di ricarica e tariffe decisamente più convenienti. Non ricordo migrazioni bibliche al gestore più conveniente. Poi ha introdotto il costo di ricarica per le prepagate per importi inferiori a 50€. Se le persone continuano a pagare per una cosa che ritengono iniqua è necessario l'intervento del governo? La scelta c'era. Altrimenti possiamo tornare direttamente all'imposizione delle tariffe. Lo stato, per decreto decida qual'è la tariffa più idonea e tutti paghiamo quella.
Il problema non è l'abolizione di per sè. Se mi tagli le tasse sono contento, se non pago più luce e gas ancora di più. Ma è la modalità di esecuzione che lascia fortemente perplessi.