I lavoratori del settore commerciale
Cominciamo dunque dall'affrontare i problemi dei lavoratori del settore che si sono trovati, nel giro di pochi mesi, di fronte ad un drastico cambiamento di condizioni lavorative. Molti sono stati costretti ad accettare la turnazione domenicale e festiva in cambio di una piccola o spesso nulla compensazione monetaria. In questo periodo di crisi prolungata, senza alternative accettabili.
Non credo sia in discussione la moralità del lavoro domenicale: esistono eserciti di persone che hanno sempre lavorato nei giorni di festa per il beneficio di chi riposa: operatori del turismo, conduttori di treni e autobus, pasticcieri, baristi, preti, dottori ed infermiere ... Il problema non è il lavoro domenicale in sé, ma la transizione per chi si trova in un settore soggetto a cambiamento. La situazione di questi lavoratori non è dissimile da quella sperimentata continuamente da chi lavora in industrie soggette ad innovazione. L'innovazione, in questo caso è l'apertura domenicale; poco importa che l'idea fosse pre-esistente: aprire di domenica era vietato da leggi e/o regolamenti in precedenza, ma ora non lo è più. Eliminare questo divieto corrisponde ad una innovazione che cambia le condizioni lavorative, o perché le condizioni lavorative peggiorano, come nel caso delle aperture domenicali, o perché la domanda del prodotto scompare del tutto, come in molte altre industrie soggette a processi innovativi. Gli esempi sono innumerevoli. Peggio si sono trovati gli stampatori di dischi in vinile all'introduzione del compact disk. Peggio i programmatori del motore di ricerca Altavista (e chi se lo ricorda?) quando Google diventò il motore dominante. Peggio i lavoratori di Myspace dopo l'avvento di Facebook. Nessuno si sognerebbe in questi casi di pretendere di mantenere tecnologie o processi obsoleti. Rimangono però i problemi per chi subisce l'innovazione. Sorgono spontanee alcune domande.
Ma l'innovazione non dovrebbe farci stare tutti meglio? L'innovazione fa stare meglio quasi tutta la popolazione tranne i lavoratori delle industrie diventate obsolete, che devono reinventarsi un lavoro o accettare condizioni lavorative o salariali peggiori. Le aperture domenicali degli esercizi commerciali sono una comodità per chi non riesce a fare la spesa durante la settimana, ma un peso, spesso insopportabile, per le cassiere e commesse abituate ad avere le domeniche libere. Come confrontare i vantaggi degli uni con il peso degli altri? Qualcuno risolve la questione sostenendo che esistono altri vantaggi, collettivi, oltre a quelli personali.
Le aperture domenicali non sono un modo per sollecitare i consumi e per rilanciare l'economia? Domanda difficile; nessun economista crede che basti "consumare" per rilanciare l'economia, ma qualcuno pensa che la crescita derivi da maggiori consumi. Nel caso dei supermercati, è ragionevole pensare che la domanda di cibo e beni di consumo domestico sia abbastanza fissa; chi compra la frutta di domenica finirà per comprarne meno di Martedì. Questo è vero, ma non vanno sottovalutati guadagni di efficienza in senso lato: se so che posso fare la spesa di Domenica, al Martedì posso fare cose che non avrei fatto altrimenti: posso stare più a lungo al lavoro, posso portare i bambini a scuola di pianoforte, il che beneficia sia i bambini, sia gli insegnanti di musica, sia i produttori di pianoforti. Insomma si creano opportunità che non sarebbero state possibili nel regime precedente.
Ma non si tratta di vantaggi minuscoli rispetto al peso sopportato dalle commesse? Quando troveranno il tempo di dedicarsi alla loro famiglia? Domande difficili, perché chiedono di comparare vantaggi e svantaggi di persone diverse. A naso, uno potrebbe dire che nel lungo periodo si specializzeranno in queste professioni persone che non hanno figli da accudire la Domenica, o comunque persone che non hanno particolarmente a cuore riposare di Domenica piuttosto che di Martedì. Oppure persone con figli che preferiscono avere un giorno infrasettimanale libero per accompagnarli alla lezione di musica. Nessuno si è mai preoccupato dei figli dei pasticcieri, anche perché questi ultimi sapevano fin dall'inizio, quando hanno scelto la loro professione, che i pasticcini la gente li compra la domenica dopo la messa. I commessi dei supermercati invece devono gestirsi una transizione difficile.
Un cambiamento sostanziale delle condizioni contrattuali non è del tutto diverso da un licenziamento e andrebbe trattato in modo simile, facendo attenzione a possibili abusi. In un sistema ideale, come quello proposto da chi ha in mente sistemi di flexsecurity, la transizione dovrebbe essere coperta da una assicurazione sulla disoccupazione che protegga i consumi di chi si trova in condizioni simili e finanzi, per chi lo voglia, un apprendistato per chi è disposto a cambiare professione. Tutto questo, lo ammetto, non è senza costi, perché la gente è legata al proprio lavoro. Esistono, ovviamente, persone che non possono essere protette da questi meccanismi, come i piccoli esercenti travolti dall'impossibilità di tenere sempre aperti i loro piccoli negozi. La situazione di queste persone è più difficile anche perché si tratta di persone che conducono un'attività imprenditoriale che è per sua natura rischiosa. A queste persone non resta che reinventare il proprio lavoro e trovare una nicchia in cui specializzarsi per mantenere la propria attività. Anche qui negli Stati Uniti, dominati dai centri commerciali e dai supermercati aperti 24 ore, esistono piccoli negozi che riescono a sopravvivere grazie al supporto al cliente e alla specializzazione.
I ritmi regolari della vita di un tempo
Non so se ho convinto gli scettici, ma passiamo alla seconda fonte di disagio: la perdita del mondo romantico in cui la Domenica deve (semplificando) essere dedicata al riposo. L'apertura domenicale è frutto del consumismo e della frenesia moderna che ci porta a spendere e consumare, ogni giorno. È progresso questo?. Di primo acchito questa è una posizione anti-libertaria. L'obiezione immediata facebook-style sarebbe: "chi ti obbliga a fare la spesa di domenica? Lasciala fare a chi vuole farlo e vai a farti la scampagnata". Ma c'è un problema più serio. La scampagnata io me la godo se la faccio con i miei amici. Se i miei amici e i miei vicini fanno lo shopping di domenica o peggio se devono lavorare (quelli che fanno lo shopping di domenica non sono miei amici), non c'è nessuno che venga a fare il pic-nic in collina con me. Questa è una obiezione più seria, trattata nella ricerca di alcuni economisti. Per semplicità considero qui risolto il problema (descritto nella sezione precedente) della "transizione" per i lavoratori correntemente impiegati nel settore.
Un'idea, presentata per esempio in un paper di Glaeser, Scheinkman e Sacerdote (Journal of the European Economic Association, 2003 - in inglese come tutti gli articoli che linkerò in seguito) è che in presenza di interazioni sociali esistono "complementarietà" fra le scelte delle persone. In parole povere, se io scelgo di prendermi una giornata libera al Martedì per andare a fare una passeggiata in montagna, lo stesso cerca di fare il mio amico perché è più bello passeggiare assieme che da soli. Il problema è come coordinarsi. Come facciamo se uno dei nostri capi ci concede la giornata libera il Martedì e l'altro la Domenica? Se queste "complementarietà" sono sufficientemente forti, allora può avere senso per un governo benevolente obbligare i suoi cittadini a prendere tutti il giorno di riposo lo stesso giorno (per esempio la Domenica), perché le perdite di efficienza che derivano dall'obbligare a non lavorare chi vuole farlo sono più che compensate dal guadagno di "benessere" derivante dal fare la gita tutti assieme. La regolamentazione governativa risolve il problema di coordinamento e tutti sono felici (tranne qualche raro a-sociale che si ostina a pretendere di lavorare la Domenica).
Questo in teoria. Empiricamente, gli economisti cercano di studiare queste domande analizzando per esempio le differenze fra le attitudini al lavoro fra Stati Uniti ed Europa. Negli Stati Uniti si lavora di più (e non solo di Domenica), ma non è sempre stato così: all'inizio del XX secolo e fino alla prima guerra mondiale si lavorava di più in Europa. Le ore medie annuali lavorate dagli anni Sessanta e fino all'inizio dei Settanta erano più o meno le stesse in Italia, Stati Uniti, Francia, Germania, ma il divario è poi aumentato (vedi figura). Difficile pensare dunque che si tratti di differenze culturali.
Secondo alcuni (Ed Prescott, per esempio, in questo articolo del 2004, anch'esso in inglese), il divario attuale è quasi interamente spiegato dalle differenza fra i tassi marginali sulle imposte sui redditi. Se gli europei pagassero le tasse degli americani, lavorebbero di più. Alesina, Glaeser e Sacerdote in un articolo del 2006, sostengono che le stime di Prescott, basate sulla calibrazione di un modello "macro" economico richiedono una "reattività" (noi la chiamiamo elasticità) dell'offerta di lavoro ai cambiamenti di tasse e salari che non trova riscontro nella maggioranza degli studi microeconomici (cioé che si basano su dati individuali), con qualche eccezione a noi vicina. In sostanza, secondo i tre economisti, quando si guarda ai dati di come gli individui reagiscono ad un aumento delle imposte, non si riscontrano cambiamenti nell'offerta di lavoro così grandi come quelli che riscontra Prescott.
Alesina, Glaeser e Sacerdote suggeriscono che le differenze inter-continentali sono in realtà spiegate principalmente dalla maggiore forza dei sindacati nel vecchio continente e da maggiore regolamentazione del lavoro, che impone chiusure domenicali e feste comandate più che negli Stati Uniti. Come riconciliare le due visioni? Una possibilità è l'esistenza di un "moltiplicatore sociale" come suggerito dalla teoria descritta sopra. Individualmente un lavoratore può reagire poco ad un aumento di imposte - e questo è quello che risulta dagli studi microeconomici , ma collettivamente (a livello "macro"), siccome troviamo beneficio dal lavorare meno - ma assieme - l'effetto è grande.
Come spiegato sopra, la regolamentazione del riposo e delle vacanze non è necessariamente un male, perché ci piace andare al cinema e a mangiare la pizza con gli amici, non da soli. Le regolamentazioni servono ad aiutare a coordinarci ad andarci i Sabati e le Domeniche piuttosto che i Martedì. Se così fosse, potrebbe essere vero che gli europei lavorano meno perché sono tassati di più come sostiene Prescott, ma è soprattutto vero, sostengono Alesina & Co., che gli americani lavorano di più perché, in assenza di regolamentazione sul vacanze e riposo settimanale, non riescono a coordinarsi per andare in vacanza assieme. Vorrebbero lavorare meno e sarebbero più felici facendolo assieme, ma non sanno cosa fare a casa da soli, quindi meglio lavorare.
A mio parere personale, questo ragionamento è limitato ed insoddisfacente. È sicuramente meglio mangiare la pizza con gli amici che da soli, ma per farlo non devo necessariamente obbligare tutto il resto del pianeta a prendere il giorno di vacanza lo stesso giorno in cui lo facciamo io e la mia cerchia di compari. Anche la scelta degli amici è "endogena": se condividono i miei valori, avranno già scelto lavori con riposo domenicale, dei quali esiste abbondante domanda (questo è un ulteriore costo nella transizione, perché gli amici me li sono già scelti, eravamo abituati ad andare al cinema di domenica, ora loro non possono più). Il mondo non vive in un'anarchia totale riguardo quale giorno della settimana sia dedicato al riposo. Anche negli Stati Uniti, le scuole, molti uffici e negozi sono chiusi il Sabato e soprattutto la Domenica, ed esiste, entro certi limiti, la possibilità di scegliere il lavoro anche secondo queste dimensioni. Ora che non si fanno più le vacanze solo in Agosto nemmeno in Italia, numerose famiglie riescono a coordinarsi per fare le vacanze assieme, risparmiando, in altri periodi dell'estate e delll'anno.
C'è poi un'ultimo aspetto, quello della libertà personale e d'impresa. Davvero crediamo che sia opportuno che il governo o il parlamento decidano chi possa e cosa si possa fare un certo giorno della settimana? Se un commerciante vuole lavorare, ed un consumatore acquistare, o fare qualsiasi attività durante un particolare giorno della settimana, perché lo stato dovrebbe avere la capacità di impedirglielo? A me sembra assurdo e pericoloso, perché lascerebbe spazio a limitazioni molto più gravi. Questo aspetto mi sembra dominante rispetto ai deboli vantaggi derivanti dal coordinamento.
Lo stesso ragionamento dovrebbe valere per chi si sente a disagio di fronte all'esigenza consumistica di avere tutto, subito, a disposizione. Alla fine, ogni argomento contrario all'apertura sbatte contro la libertà personale, che non impedisce a chi lo vuole di vivere liberamente, riunendosi con chi la pensa allo stesso modo.
Tornando alle preoccupazioni per i lavoratori costretti alle domeniche in negozio. Se avessi amiche/amici nel settore, darei loro un avvertimento ed un consiglio. L'avvertimento è che nonostante le proteste e un inizio forse dal successo limitato, non torneremo al regime precedente. Fare la spesa quando si vuole (magari la Domenica sera, di ritorno dal pic-nic in montagna) è una comodità cui diventa difficile rinunciare dopo averla sperimentata per un po'. Lo stesso vale, ovviamente, per i servizi pubblici, le banche, etc... (che oramai, dove internet funziona, non necessitano nemmeno di strutture fisiche "aperte" durante la settimana e di impiegati allo sportello). Il consiglio è che se davvero il riposo domenicale è irrinunciabile, forse occorre cominciare a cercare un lavoro diverso. Un consiglio triste, penoso, irriverente, ma davvero non c'è alternativa. L'innovazione è anche distruttiva e la state subendo come molti altri.
Un grazie a Cinzia e Valeria per aver sollecitato questo post. Un pensiero speciale a Marina, che ha venduto la sua pasticceria anche per avere la domenica libera e ora fa la vicedirettrice di un piccolo supermercato con turni domenicali; e ad Alberto, proprietario di un negozio di giocattoli e prodotti per bambini, fra l'incudine dell'offerta di qualità che solo un piccolo commerciante può dare, ed il martello della grande distribuzione standardizzata, aperta tutti i giorni e tutte le ore. Ha scelto di ingrandirsi ed aprire un negozio di medie dimensioni. Non so se sia aperto di Domenica.
L'articolo è molto carino. un pò tecnico, ma così ci piace.
Sul punto della specializzione del lavoratore a seguito dell'innovazione. Io riporto la mia esperienza. Durante l'università ho lavorato con un contratto (regolare) da week-endista presso una nota catena commerciale. Eravamo in tantissimi universitari. Qualcuno aveva addirittura un contratto indeterminato da week-endista. ed il salario era buono. 16 ore tra sabato e domenica. I commessi strutturati invece ruotavano nei week-end e lavoravano regolarmente durante la settimana. La cosa funziona alquanto bene. Ed era tutto fatto con le norme attuali del mercato del lavoro. quindi l'intuzione dell'autore "a naso" è giustissima.
la tragedia italiana è che molte aziende forse non fanno ruotare i proprio dipendenti. lavorare 6/7 ore al giorno per 6 giorni (inclusi i week end) non è la stessa cosa di 8 ore per 5. soprattutto non dovrebbe essere retribuito in maniera uguale. L'innovazione quind in questo caso sembra essere dal lato domanda (per servizi la domenica), mentre l'offerta stenta ad adeguarsi. o meglio, le imprese reagiscono, ma non adeguatamente. e scaricano l'onere sui lavoratori.
La situazione che descrivi non sembra sostenibile. Se tutti gli imprenditori del settore sono cosi' poco lungimiranti e tutti i lavoratori hanno a cuore la turnazione, dovrebbero col tempo emergere e fare piu' profitti imprenditori che ruotano i loro impiegati a 8 ore su 5 giorni. Fare piu' profitti significa anche potersi permettere di abbassare i prezzi, rendendo la vita piu' difficile agli imprenditori poco lungimiranti.