Una università più meritocratica
La recente approvazione dellalegge n.133, 6 Agosto 2008, ha riportato l'attenzione del Paese sullo stato dell'Università. Da molti anni esiste un consenso internazionale sul fatto che l'Università italiana soffra di vari e gravi mali che ne impediscono un corretto funzionamento. Le insufficienze sono forse più platealmente evidenti nel campo della ricerca, ma anche sul versante della didattica vi sono evidenti problemi riguardo al numero di fuoricorso, al ridotto numero di laureati rispetto agli iscritti, all'inadeguatezza della formazione universitaria per il mercato del lavoro. In ambito internazionale esiste anche un diffuso consenso secondo cui gran parte di questi mali troverebbe soluzione se si adottasse un sistema di merito che premi le università virtuose ed emargini quelle mediocri. Qualifichiamo come "internazionale" la natura del consenso perché fuori d'Italia nessuno dubita che tale sia il problema, mentre all'interno del Paese, ed all'interno del mondo universitario italiano, ancora poche sono le voci francamente critiche, mentre ancora troppi sono coloro che sostengono che tutto va bene o che i pochi problemi derivano soltanto da scarsità di risorse. Negli ultimi quattro mesi ci hanno rinfrancato le frequenti dichiarazioni in cui il ministro Gelmini affermava di essere consapevole dell'importanza di una riforma meritocratica del settore.
Il contenuto effettivo della legge 133, per la parte che attiene al settore universitario, ci ha purtroppo delusi. Nonostante le buone intenzioni, trattasi di un'occasione perduta che, di fatto, potrebbe danneggiare ulteriormente il sistema universitario. Nella parte che qui interessa, la legge 133 prevede: (1) la limitazione del turnover al 20% dei pensionamenti, con proporzionale riduzione del finanziamento ordinario; (2) la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni senza scopo di lucro per raccogliere finanziamenti e donazioni dei privati.
Non discutiamo qui se sia appropriato, da un punto di vista macroeconomico e di politica di bilancio, ridurre i fondi destinati all'università e alla ricerca per sé, ma dubitiamo fortemente che si tratti di una buona idea. Assumiamo, quindi, la necessità di tagliare i fondi universitari purché questo sia fatto razionalmente, nell'interesse del Paese. La creazione di fondazioni è invece un'operazione che trova il nostro consenso in quanto permetterebbe alle università italiane di raggiungere quell'autonomia patrimoniale, operativa e didattica che tanto loro manca e che è il presupposto necessario alla valutazione dei risultati in sede di assegnazione di risorse pubbliche. Ma queste riforme vanno fatte bene, la qual cosa questa legge non fa.
Non lo fa perché il potenziale meritocratico insito nella trasformazione in fondazioni viene fortemente ridotto, se non totalmente eliminato, laddove la legge 133 (art. 16, comma 9) indica che i fondi pubblici verranno utilizzati per "perequare" (ossia, bilanciare) i fondi privati: ai più meritevoli, in grado di raccogliere finanziamenti privati, arriveranno meno finanziamenti pubblici che fluiranno quindi, in maggiore quantità, ai meno meritevoli. Questo è l'opposto della meritocrazia tante volte invocata: in molti Paesi vige il principio esattamente opposto al comma 9, in base al quale lo Stato premia le università in proporzione ai fondi privati da esse raccolti, anziché punirle, fornendo oltre al finanziamento ordinario specifici fondi aggiuntivi (matching grants, con espressione inglese). In questo modo lo Stato concorrerebbe a premiare i meritevoli e punire i fannulloni, come contiamo il ministro Gelmini e l'intero Governo intendano fare. Consigliamo pertanto di eliminare l'anti-meritocratico criterio "perequativo" dal testo di legge e dalle finalità del finanziamento pubblico per l'università e di adottare il sistema dei matching grants.
Ulteriori passi avanti si potrebbero compiere ampliando sia l'autonomia gestionale che le responsabilità degli atenei, una volta costituiti in fondazioni: (1) commisurando i finanziamenti statali alla produzione scientifica e ai risultati didattici in termini di numero e qualità dei laureati; (2) consentendo agli atenei maggiore autonomia contrattuale in materia di reclutamento dei docenti in modo tale da accedere al mercato del lavoro accademico internazionale mediante rapporti di tipo privatistico; (3) concedendo l'opportunità di fissare le tasse di iscrizione anche oltre l'attuale limite del 20% sul totale dei fondi spesi.
I tagli al finanziamento dell'Università potrebbero diventare, nonostante la scarsa lungimiranza che li sottende, uno strumento per introdurre la meritocrazia: basta farli adeguatamente. Chiediamo, dunque, che i tagli di spesa siano accompagnati ora e subito da una seria riforma meritocratica. Chiediamo che le università italiane, i dipartimenti, i docenti e i ricercatori possano ricevere fondi dallo Stato solo a fronte di una periodica, imparziale e trasparente valutazione effettuata dalla comunità scientifica internazionale, come già accade nel resto delle istituzioni accademiche del mondo avanzato. In Italia, è necessario compiere tale esame in maniera generalizzata. Sulla base dei risultati si potranno poi allocare in modo equamente meritocratico i tagli desiderati, oltre che i premi di ricerca.
In particolare, è opinione comune tra politici e commentatori che in mezzo ad un malcostume dilagante di nepotismi ed incompetenze, l'università italiana conosca ancora alcuni focolai di eccellenza che ne tengono alto il nome nel mondo con ricerche all'avanguardia ed altrettanto notevole insegnamento. Tali focolai d'eccellenza vanno alimentati e premiati. Chiediamo quindi che queste realtà vengano chiaramente identificate dalla comunità scientifica internazionale con i criteri obiettivi e trasparenti del peer reviewing condotto da scienziati esterni al sistema italiano.
L'attuale riforma punisce senza distinzioni tutto il mondo accademico italiano e questo non è né utile né saggio, aggravando situazioni già compromessei ricercatori seriamente motivati. Nessun criterio meritocratico viene introdotto, nessun trasferimento di risorse da chi non fa a chi fa viene attuato o anche solo incentivato. La legge 133 prescrive di qui al 2013 una riduzione del 13% del finanziamento ordinario all'università senza però intervenire al suo interno e prefigurando quindi un sistema identico al precedente, con tutti i suoi difetti e le sue distorsioni, solo rimpicciolito. Dubitiamo che questo possa essere utile al Paese. Anche se fosse vero che l'unico obiettivo consiste nel risparmiare (e ci auguriamo che non lo sia, perché ne va del futuro del Paese), allora si risparmi tagliando impietosamente laddove non si insegna, non si fa ricerca, non si produce cultura, innovazione ed educazione di qualità, lasciando che le risorse fluiscano laddove si fa l'opposto. Anzi, si creino le condizioni legislative e gli incentivi materiali perché le risorse, siano esse private o pubbliche, se ne vadano da laddove sono male utilizzate e si dirigano laddove possono essere meglio utilizzate. Questa è la meritocrazia, quando funziona e quando la si vuol fare funzionare. Chiediamo al ministro Gelmini di far seguire i fatti alle dichiarazioni in favore della meritocrazia da ella frequentemente rilasciate. Ora è il momento, ora si può fare, basta averne la volontà politica.
L'elenco dei firmatari, aggiornato periodicamente, si trova all'indirizzo http://www.meritonella133.tk/
OTTIMO. Se non ricordo male, l'idea era partita da Giorgio Gilestro, che quindi ringrazio particolarmente per l'iniziativa. Sono curisoso di vedere chi lo firma (in italia) :)