Un appello si aggira per il web. La versione ufficiale si può trovare qui, mentre una versione più o meno arrabbiata dello stesso si può leggere qui.
Alcuni docenti, come scritto nell’appello, protestano vibratamente contro la cosiddetta riforma Gelmini. Le vibrazioni sono prodotte da quanto è incorporato nel D.L. 112/08, convertito nella legge 133/08, e che, a loro dire, produrrebbe effetti drammatici sull’Università Italiana. Affermano infatti gli illustri firmatari:
“Come già hanno denunciato molti Dipartimenti, Facoltà, gruppi di docenti, si tratta di misure che sottraggono risorse alla ricerca, riducono il personale docente e amministrativo, restringono lo spazio vitale dell'Università sancendone l'emarginazione irreversibile nella vita del Paese.”
Insomma, la fine della civiltà occidentale, molto ma molto peggio dello tsunami MBS questa MSG.
Per chi conosce i riti dell'università italiana, però, l'incipit parrebbe in realtà annunciare qualcosa di già visto: infatti ogni anno assistiamo agli allarmi della classe docente che minaccia di sospendere la didattica o di interrompere la ricerca. Da questo punto di vista dunque, niente di nuovo sul fronte universitario.
Ma i rettori e i professori continuano:
“La riduzione al 20% del turnover delle unità del personale non significa soltanto uno sfoltimento senza precedenti di tante discipline specialistiche in cui la cultura italiana primeggia nel mondo. È tutto il processo di rinnovamento del corpo docente italiano - gravato da una anzianità elevata - ad essere compromesso per i decenni a venire. A tanti nostri valentissimi giovani l'avvenire nella ricerca e nell'insegnamento viene definitivamente precluso.”
Le prime scontate reazioni alla lettura del brano citato sono: ma chi ha prodotto l’invecchiamento della classe docente italiana? Chi ha consentito che nei concorsi si producessero quei baronati che hanno portato la situazione al livello attuale? Perché i nostri professori e rettori parlano come se loro fossero all’università come semplici spettatori e non come parti che hanno, in diversa misura e certamente con responsabilità diverse, preso parte a configurarla quale essa è oggi? Ma davvero una riforma o una circolare ministeriale possono avere avuto la colpa di produrre lo sfascio che è sotto gli occhi di tutti? Se l’età media è cresciuta nelle università lo si deve non al taglio dei fondi ma, credo, a quell’idea per cui, per avere il "tuo" posto, ti devi mettere in fila, e aspettare che il concorso ti venga assegnato solo dopo che quelli che sono in fila davanti a te (per anzianità o per portaborsismo o per una combinazione delle due cose) sono stati già sistemati. Altrimenti, cosa nell’attuale legislazione impedirebbe di assumere giovanissimi ricercatori?
I firmatari scrivono, inoltre:
“Il principio della convertibilità della Università in fondazioni private - sancito dall'art. 16 della Legge - costituisce senza dubbio il più grave attacco mai condotto contro l'autonomia e il futuro stesso dell'Università italiana. Non viene soltanto auspicata la ritirata dello Stato dalle sue funzioni storiche nel garantire la formazione superiore e la riproduzione delle sue classi dirigenti. È un progetto velleitario, imitazione tardiva di una stagione ideologica oggi in rovina nel Paese stesso in cui essa è nata. Trasporre l'esperienza delle Università private americane in Italia significa in realtà condannare tanto le Università pubbliche che private a un sicuro destino di irrilevanza.”
Insomma leggiamo che la riforma Gelmini non sarebbe una riforma da discutere in accordo o disaccordo. No, tale riforma sembrerebbe essere il male assoluto. Essa fa parte di un progetto neoliberista che ormai, si sa, è fallito ovunque, anche nel paese guida. Peccato che, nel paese dove è fallito, abbiano le migliori università del mondo nelle quali lavora una percentuale sostanziale dei migliori scienziati del mondo! Se quella è rovina, voglio anch'io andare in rovina (e magari sottolineare che se Wall Street cade, piazza Affari e paraggi non stanno certo solidamente in piedi ...)
Quest riforma, comunque, implica che lo stato abdicherebbe alla sua funzione di formazione delle classi dirigenti non investendo in prima persona su di esse e lasciando che siano le fondazioni o soggetti non statali a gestire le università. Mi chiedo: anche se fosse vero (purtroppo non sembra esserlo) cosa ci sarebbe di male? Perché le "classi dirigenti" le deve formare "lo stato"? Siamo nella Russia di Lenin, o forse i firmatari hanno letto troppo, ed a rovescio, Althusser?
Andiamo con ordine:
- Tutto il passo citato è secondo me un esempio di statalismo culturale. Quando i nostri dicono che dovrebbe essere compito dello stato creare le elites, hanno forse in mente Napoleone che nel 1810 fonda la Normale di Pisa sul modello dell’École Normale Supérieure di Parigi? E chi l’ha detto che le elites si formano esclusivamente all’università? E poi: poniamo che il modello napoleonico che loro adombrano abbia funzionato fino a pochi anni fa, quali sarebbero le elites risultato di questa programmazione? Io, piuttosto, ribalterei la cosa così. Molte delle elites che oggi abbiamo in "sella" al paese, politicamente ma non solo, vengono proprio dall’Università italiana, napoleonica o meno che sia ma certo di stato. Niente male, come risultato. Se lo Stato italiano e la sua università hanno davvero avuto una funzione storica di formazione e promozione delle elites nazionali (e, probabilmente, l'hanno avuta, assieme alla chiesa cattolica, il partito comunista, confindustria ed i sindacati) tale funzione ha avuto risultati così modesti (per essere gentili) da rendere difficilmente auspicabile che debba ancora essere la spesa pubblica statale la fonte primaria di finanziamento per la formazione delle nuove elites. Se davvero la qualità delle elites dipende dalle fonti di finanziamento (cosa che i firmatari dell'appello chiaramente assumono) allora l'esperienza storica suggerisce che è molto meglio cambiare fonte di finanziamento.
- L’anti-americanismo, neanche a dirlo, tocca un’altra vetta. Invece di accostarsi con curiosità ad esperienze economiche e culturali di gestione dell'università assai più fruttuose della nostra, i firmatari parlano come se il progetto Gelmini fosse un tentativo di americanizzare la società italiana. Insomma, invece di imparare dall’esperienza di università straniere americane e non, si lamenta la possibile esportazione di un modello che è chiaramente risultato, per molti versi, preferibile al nostro. Le università amerikane sono, dopotutto, strapiene di italiani mentre non vale lo stesso per quelle italiane! Che sia perché tutti gli italiani sono stupidi ed amano andare nei posti cattivi, mentre gli americani lo sono pure perché non vanno nei posti buoni? È questa l'ipotesi di lavoro? Son un po' tonte tutte, le masse, ma noi illuminati, noi no ...
Si potrebbe, alla luce di quanto argomentato nell'appello, fare dunque così:
- Vista la penuria di fondi e la mancanza di altre risorse (vade retro le private!) i docenti universitari potrebbero decidere di a) bloccare gli avanzamenti di stipendio automatici per un periodo indeterminato e, b) ridurre gli stipendi attualmente erogati. La misura potrebbe apparire un tantino populista, e forse nemmeno dirimente, ma sarebbe certamente un segnale chiarissimo che tutti fanno sacrifici, soprattutto coloro che più di tutti beneficiano del sistema attuale. L’abbiamo chiesto ai piloti, chiediamolo anche ai docenti ordinari in cattedra da tempo.
- Si dovrebbe inoltre incentivare chi ha più di 65 anni ad andare immediatamente in pensione. Poi, se volessero e nei casi di particolare prestigio, i docenti potrebbero anche continuare a lavorare come emeriti nelle università, ma senza oneri per lo stato.
- Bisognerebbe inoltre ammettere che alcune sedi universitarie non hanno le risorse per fare ricerca e dunque sarebbe preferibile concentrare le poche risorse disponibili su centri universitari che hanno una tradizione di ricerca solida e credibile. Sarebbe meglio, dunque, avere la laurea triennale diffusa, e la specialistica concentrata solo dove la sua frequenza possa essere significativa nella formazione dello studente.
Ovviamente questi punti finali sono idee di poco momento, da buttare via a favore di idee migliori o più dettagliate, a patto che i docenti universitari (firmatari o meno ch'essi siano dell'appello che m'ha spinto a scrivere queste note) ammettano: a) il loro sostanziale concorso di colpa nella situazione attuale; b) la necessità che anche loro facciano sacrifici; c) la possibilità che fra le misure da adottare vi sia un loro (pre)-pensionamento.
Ho molto rispetto per gli pseudonimi (visto che li uso anch'io) ma se Marcox ha una carica importante in università forse non è opportuno che abbia opinioni segrete sull'università che esprime in forma anonima. Se invece la carica è altrove, no problem.
C'è una terza ipotesi: non ha nessuna carica importante, anzi è l'ultima ruota del carro in un posto dove i baroni regnano sovrani ed il nepotismo impera ... Siccome, per ragioni sue, non può andarsene, gli abbiamo noi stessi consigliato l'uso dell'anonimato. Abbiamo provato sulla nostra pelle la pochezza dei baroni italioti. Non vedo alcuna ragione per farla provare ad altri.
L'anonimato lo abbiamo suggerito noi, e ti assicuro che e' opportuno