Queste note sono state scritte parecchi anni fa. Ho deciso di preservare l'incipit polemico perché testimonia la situazione del tempo, che oggi è cambiata. Anche questo è un indicatore delle "mode" che spesso afferrano l'attività dei ricercatori e che giudichiamo, ex post, averci fatto sprecare grandi energie su problemi privi di effettiva rilevanza pratica e teorica. Ma le mode ci sono ed è meglio averlo in mente quando si cerca di valutare quanto "rilevante" sia una ricerca o meno. Ok, let's go.
Il teorizzare esternalità ad ogni pié sospinto è diventata un'abitudine dannosa ed infettiva che è oramai ovunque. Le esternalità spiegano tutto: dalla mancanza di crescita alla crescita, dalle politiche economiche (sono tutte praticamente ottime perché per ognuna c'è l'esternalità giusta) alla dipendenza dalle condizioni iniziali, gli equilibri multipli e quello che volete voi. Per carità, a volte (lo vedremo in seguito) l'uso delle "esternalità" per spiegare un certo fenomeno sembra legittimo e financo utile. Ho anche io la mia lista di pubblicazioni in cui "gioco" con le esternalità anche se, praticamente sempre, per provare che o ben portano ad una notte in cui tutte le vacche sono grigie o ben portano alle stesse conclusioni a cui si arriva con modelli ed argomenti più semplici e trasparenti. Ma di questo in futuro.
Che le esternalità siano il famoso can opener che apre tutte le porte, lo dubito assai. E non per pregiudizio (a suo tempo ne fui brevemente fascinato pure io) ma a ragion veduta: nell'ambito della teoria della crescita, e della macroeconomia più in generale, pur essendo state usate per teorizzare praticamente quasi tutto non hanno "spiegato" nulla. Qui la parola "spiegato" (sulla quale tornerò nelle prossime puntate) vuol dire in breve: prodotto delle previsioni che siano empiricamente testabili e che, quando testate, non vengano grossolanamente rigettate dall'evidenza empirica. Dopo trent'anni e centinaia di modelli dinamici con esternalità siamo, praticamente, al punto di partenza. Poiché le esternalità han giocato un ruolo cruciale negli studi teorici sulla crescita economica a partire dalla metà degli anni '80 - sino a circa un lustro, forse un decennio, fa - mi è sembrato utile illustrare cosa siano e come si manipolino teoricamente prima di discutere i problemi specifici della growth theory.
Definiamo anzitutto la parola esternalità per i non economisti. Il classico esempio (dovuto a James Meade) è il seguente. Il frutticoltore A possiede un frutteto che coltiva al fine di raccogliere mele che porta al mercato e vende. L'apicoltore B alleva api per fare il miele, che pure vende. I due vivono contigui, non si conoscono, né si parlano, odiano o amano, insomma: sono indifferenti l'uno all'altro. Come conseguenza indiretta ed involontaria del fatto che A possiede un frutteto, quando gli alberi fioriscono le api che B alleva hanno libero accesso al polline e questo facilita la produzione di miele. Quindi B riceve un vantaggio economico da ciò che fa A, non paga per esso, né A lo fa intenzionalmente per fargli un favore. Quindi non ci guadagna nulla. Poiché il vantaggio che B riceve dai fiori di A non viene pagato da B ad A, A produce involontariamente qualcosa che ha valore sociale (B fa parte della società, dopo tutto) ma per la quale non viene compensato. Quindi ne produce troppo poco rispetto a quanto sarebbe socialmente desiderabile: se egli ricevesse, in una qualche maniera, una compensazione per l'extra miele che B ottiene dai suoi fiori, forse pianterebbe più alberi. Diciamo quindi che vi è un'inefficienza, perché la quantità di alberi coltivati è inferiore alla quantità socialmente ottima che tiene conto sia delle mele di A che dell'extra miele di B. Un ragionamento analogo vale per le api di B: poiché la loro attività favorisce l'impollinazione, A vorrebbe ve ne fossero di più ma, di nuovo, poiché A non ha maniera di pagare B per questo lavoro, B alleva meno api di quanto sarebbe socialmente desiderabile. Questo è un esempio di esternalità positiva.
L'esempio di esternalità negativa è più facile e più frequente, in quanto i fenomeni di congestione ed inquinamento sono quotidiani. Ogni volta che guido la macchina contribuisco all'intasamento del traffico e faccio danni agli altri, involontariamente, senza compensarli e senza che mi venga fatto pagare alcunché per questo danno. Il che giustifica le tasse d'accesso ai centri delle grandi città. Notate subito un particolare che, nel caso delle esternalità negative, si vede ad occhio nudo mentre, con quelle positive, si nasconde. È sempre vero, in principio, che l'esternalità si produce perché qualcosa di utile e scarso (l'aria, in questo caso, o lo spazio in centro città) non risulta proprietà di alcuna persona. Sia l'aria che lo spazio in centro città sono di tutti, quindi di nessuno. Per questo ognuno ne "abusa" fregandosene delle conseguenze che il suo atto può avere sul prossimo. Molti sostengono che qui sta la chiave di tutto, ossia nella "tragedy of the commons", altrimenti dovuta a diritti di proprietà non ben definiti o assenti. Questo è, senz'altro, il punto di vista di Ronald Coase e, con piccole qualificazioni a mio avviso scarsamente rilevanti (qui rischio di sollevare un vespaio), del mio collega Douglass North. Il loro punto di vista sembra potersi riassumere così: se (1) qualsiasi cosa utile è assegnata in proprietà a qualcuno, (2) tale diritto di proprietà è certo e ben definito, (3) gli agenti economici sono liberi di fare accordi d'ogni tipo che siano compatibili con tali diritti di proprietà, allora non vi possono essere (in equilibrio) inefficienze dovute a esternalità.
Visti gli esempi, veniamo all'astrazione. C'è un'esternalità ogni volta che un'azione compiuta dal soggetto economico X, per fini propri, influenza, negativamente o positivamente, il benessere del soggetto Y senza che (i) X intenzionalmente persegua tale fine; (ii) non esista un "mercato" (nel senso lato) in cui X ed Y possono accordarsi per compensare quest'effetto. La mancanza di volizione è necessaria per l'esternalità, altrimenti tutti gli atti di generosità o di scorno sarebbero esternalità: la carità fatta intenzionalmente non è esternalità, né lo è tenere il volume della radio altissimo al fine di molestare il vicino antipatico. Fare danni o favori a terzi perché tali danni o favori provocano a noi del piacere non può essere un'esternalità: fare meno danno al vicino riduce la mia allegria, quindi non vi è nessun guadagno di efficienza. Solo nel caso in cui, per danneggiare intenzionalmente il vicino A, si molesta anche il vicino B (in relazione al quale siamo indifferenti) si crea l'esternalità. Nel caso della guerra, un'esternalità si chiama anche "collateral damage", che è differente dai damages inflitti all'opponente.
Come si apprende a scuola, un'esternalità richiede due condizioni: "produzione congiunta" e la mancanza di un mercato. Quando queste condizioni sono verificate vi è un'inefficienza che potrebbe giustificare - non implicare, giustificare: avrò occasione di tornare sulla sottile differenza - un intervento correttivo dello stato via tasse/sussidi. Nel caso del frutteto e del miele, lo stato dovrebbe tassare/sovvenzionare (a seconda che il supremo programmatore decidesse che ve ne sono troppe/i o troppo poche/i) le api di B e gli alberi di A sino a raggiungere l'efficienza desiderata. Fin qui la teoria piguouviana, che troviamo anche alla voce Externality su Wikipedia.
Le cose, però, non sono così semplici nemmeno in teoria. Anzitutto: siccome sia api che frutteto favoriscono l'altro agricoltore non è impossibile che le due esternalità si compensino (qui andiamo nel complicato: magari no, perché magari la simmetria non è perfetta, ma chi lo sa?). Inoltre, se i due agricoltori si parlassero, potrebbero trovare vantaggio reciproco a collaborare, eliminando le esternalità. Questo è l'argomento che Coase ha usato per sostenere che, in moltissime situazioni, le cosidette esternalità non sono rilevanti se i diritti di proprietà son ben definiti: le api son di B, gli alberi di A ed i due si parlano e trovano un accordo perché i costi di transazione sono bassi in relazione ai guadagni attesi. Tutte le volte in cui questo è possibile (il caso è rilevante per le cosidette esternalità di rete) l'esternalità viene a mancare e, con essa, il presupposto teorico d'inefficienza e la giustificazione teorica per l'intervento statale. Non sono esperto abbastanza delle riflessioni teoriche recenti su quanto l'approccio di Coase possa risolvere il problema, quindi lascio ad altri, più esperti di me, dirimerlo magari con un articolo ad hoc. Per quanto mi riguarda albergo la convinzione che m'istillò un vecchio lavoro di due amici, Chari e Larry, svariati decenni fa: no, non funziona neanche in teoria.
Veniamo ora al caso delle reti. L'esempio che a molti piace fare è quello del telefono: il mio telefono a nulla serve se nessuno ce l'ha. Quindi, se tu t'installi il telefono mi fai un favore, perché mi permetti di comunicare con te. Quindi c'è un'esternalità. Sbagliato, per due ragioni. Se t'installi il telefono sarà presumibilmente per parlare con me che ce l'ho, quindi l'effetto positivo va in entrambe le direzioni e, perdippiù, è volontario e calcolato. Se tu sapessi che non ho il telefono, probabilmente non ti compreresti il tuo, o tarderesti a comprarlo, o vorresti pagare meno perché, in quel caso, il telefono lo useresti solo per parlare con Tonetta, che non ti piace molto. Entrambi, nella decisione di acquistare il telefono, calcoliamo il favore reciproco e, poiché tu compensi me ed io compenso te, la mancanza di compensazione ovviamente sparisce. Ovviamente la cosa è più complessa di quanto io qui la stia facendo. Per esempio: chi compra il telefono per primo, io o te? Se dobbiamo farlo simultaneamente quasi tutto dipenderà dalle aspettative e, banalmente, potremmo finire in un equilibrio di Nash "inferiore" se avessimo aspettative "negative" sul comportamento uno dell'altro. O viceversa. Alternativamente, potrebbe esserci un "mezzano" che ci coordina, magari un'impresa che ci offre il telefono promettendo che N altre persone lo acquisteranno e offrendo prezzi in funzione del numero di altri che fanno la scelta di acquistare. E via discorrendo. Il punto, sempliciotto, che voglio portare a casa è il seguente: l'esistenza di una "rete", di per se, implica poco o nulla per quanto riguarda la rilevanza delle esternalità visto che queste possono essere internalizzate o ben via aspettative e coordinazione di belief o ben attraverso la creazione di market makers. Per riuscire a dare un giudizio occorre andare oltre la semplice "rete" e guardare alla market "micro structure" e le opzioni di coordinazione che questa offre.
Seconda ragione, collegata alla precedente. Le esternalità di rete sono analoghe a quelle di "ricerca" (search, nel senso di "cercare", tipo cercare un paio di scarpe al mercato o un amico al bar del dopo cena): se tanta gente va al mercato per scambiare i propri prodotti agricoli allora c'è più varietà e cresce la probabilità che ognuno dei partecipanti incontri ciò che desidera e dal cui possessore il proprio prodotto sia desiderato. Infatti, per questa ragione ci sono i mercati organizzati nei giorni prefissati. E ci sono le imprese che tali mercati di scambio organizzano, tipo e-Bay. E ci sono le imprese che i servizi telefonici vendono: se nessuno avesse il telefono, quanto sareste disposti a pagare per il collegamento? E se ce l'avessero solo trenta persone? Forse che le aziende telefoniche non interiorizzano tali effetti (pseudo) "esterni"? Certo che lo fanno, quindi la contrattazone indiretta fra utilizzatori di telefono avviene attraverso le imprese che vendono i servizi, ed il loro competere. Se v'è un problema non è tanto di esternalità ma, nel caso del telefono, di scarsa concorrenza fra imprese, barriere all'entrata, rete fissa satura o monopolizzata, eccetera. Anche qui il punto di fondo è che la "search" non avviene nel vacuo né si fonda solamente su aspettative "arbitrarie" degli agenti. Vi sono market-makers, vi sono aziende che costruiscono reti e che offrono servizi a dei prezzi che interiorizzano il numero di partecipanti alla rete e sono funzione dei medesimi. I mercati non esistono da soli, vengono "prodotti" ed "organizzati" da agenti quando sono profittevoli. Questo vale non solo per le reti ma anche, altrettanto rilevante, per i mercati finanziari. Su questo tema ha lavorato fra i primi proprio Alberto Bisin nella sua tesi di PhD, forse lui vuole provare ad approfondire, sul piano teorico, la questione della creazione di mercati/reti per far comprendere come l'automatismo rete=>esternalità sia tutt'altro che ovvio.
A proposito di rete fissa: ci si scorda spesso che questa è un finto bene pubblico, in quanto soggetta a congestione (se c'è congestione la rete non è più "non-rivalrous" quindi non è più un bene pubblico): ogni nuovo abbonato offre certamente la possibilità di chiamare una persona in più, ma è anche una persona in più che chiama, quindi genera un'esternalità negativa. Il prezzo del servizio interiorizza anche questa seconda, e negativa, esternalità la quale quindi potrebbe compensare la prima, che era positiva. In presenza di congestione (e di investimenti costosi per ridurla e mantenere il servizio ad un certo livello per ogni nuovo utente) le esternalità possono esserci solo se assumiamo che il market (o network) maker non reagisca al numero di partecipanti e non cambi offerta e prezzo di conseguenza.
Altro tema che non ho tempo di trattare ma che molti hanno da tempo chiarito anche se tanti continuano a fare confusione: molti dei teorizzatori d'esternalità confondono le cosidette esternalità pecuniarie, che non fanno danno a nessuno, con quelle reali. Volete un esempio famoso? Posner.
Pensiamo ad altri esempi, per esempio la televisione o la radio. Forse che non è vero che il mio acquistare una TV o radio favorisce il produttore di spettacoli radiofonici e televisivi? Che non sia per questo che ai nuovi arrivati si offrono contratti vantaggiosi? Molte persone passano dall'asserita "esternalità di rete" ai "rendimenti crescenti" in una frazione di secondo, usando argomenti del tipo: più persone hanno la televisione più è conveniente fare programmi televisivi, quindi ci sono le esternalità di rete ed i rendimenti di scala che dipendono dalla dimensione del mercato. Non ci avevo pensato: più persone hanno la macchina più è conveniente raffinare petrolio, che ci sia un'esternalità anche lì? Oppure, più gente va al mare più è conveniente fare il "vù cumpra" nella vita: sono le esternalità che causano l'immigrazione illegale! Forse conviene studiare come funzionano gli equilibri competitivi in presenza di beni complementari, ma lasciamo stare: questo è solo un post, non un manuale. Spero gli esempi facciano capire il punto: non dovunque vi è una rete vi è un'esternalità ed è ancor meno vero che le complementarietà, di consumo o di produzione, implicano esternalità.
Per riassumere, ripetendomi, le esternalità di rete, per esistere, richiedono che le reti siano spontanee (ovvero non organizzate/prodotte da imprese che internalizzano gli effetti del tipo io faccio un favore a te e tu fai un favore a me) e la generazione dell'effetto esterno non intenzionale. Richiedono inoltre che i benefici non siano interiorizzati da nessuno, che la trasmissione (o la ricezione, o entrambe) di informazioni sia anch'essa il prodotto congiunto di qualcos'altro e che non fornisca all'utente o all'emissore una compensazione monetaria o di utilità. Questo non implica che non esistano mai delle esternalità di rete, ma che le persone che ci hanno pensato ben si guardano dal farle apparire ad ogni pié sospinto. Ci sono, ma non si riducono a banalità tipo "Ho comprato il PC e quindi ho generato un'esternalità'', queste sono cose che solo Brian Arthur era capace di dire. Ma almeno di questo non si parla più, almeno mi sembra.
Queste osservazioni, a metà fra il senso comune e la teoria elementare, implicano che l'onnipresenza di esternalità è molto meno ovvia di quanto una mole enorme di letteratura, a partire dalla seconda metà degli anni '80 e sino a qualche anno fa, implicava. Temo infatti che molti di coloro che, negli anni '80 e '90, scoprirono le esternalità decidendo di farne la soluzione (matematica) di tutti i problemi della teoria della crescita - il 90% dei quali era dovuto solo alla scarsa conoscenza della teoria precedente, ma su questo torno nei post seguenti - abbiano fatto molta confusione con pochi risultati utili. Mi domando spesso, infatti, che cosa abbiamo capito negli ultimi 30 anni dalle migliaia di modelli aggregati con esternalità che sono stati prodotti. Esiste una qualche proposizione corroborata solidamente dai dati? Un contributo teorico originale che spiegasse qualcosa che non potevamo spiegare, in modo molto più lineare, senza esternalità? Una qualche indicazione solida di politica economica che si possa utilizzare? Un fatto robusto (storicamente e statisticamente) che si possa spiegare usando le esternalità e non avesse una precedente spiegazione? Negli articoli che seguono, dedicati più strettamente alla teoria della crescita vera e propria, argomenterò che no: abbiamo appreso poco, quasi nulla, da questo enorme sforzo quasi trentennale. Ed è un peccato.
Continuiamo perché qualcuno dirà: "No, con l'internet è diverso. Con la televisione puoi solo ricevere informazione, mentre con l'internet puoi sia ricevere che trasmettere." Tralasciamo "l'irrilevante" fatto che il 99% degli utilizzatori internet lo fa o per ricevere informazioni o per comprare beni/servizi, mentre solo una sparuta minoranza produce informazione. Nel secondo caso, uso internet per acquisti, il consumatore paga un prezzo che ovviamente include il valore del servizio di transazione effettuato via rete, quindi spero che qualche anima bella non voglia insistere che lì c'è un'esternalità, altrimenti anche nelle malls, nei supermercati e nelle edicole c'è l'esternalità, passiamo da economics 101 a economics 1 e non finiamo più.
Consideriamo quindi se il seguente fatto "con il mio PC posso anche produrre informazioni oltre che riceverle" genera un'esternalità positiva che invece non riconosciamo alla povera TV. C'è, questo sì, lo spillover di congestione: uno in più occupa bandwith. Ma la congestione c'è anche in libreria o in edicola: più libri e giornali ci sono meno spazio c'è per ognuno di loro. Nulla di nuovo, insomma. Inoltre ci sono anche quelli che vendono i servizi di connessione e che, in teoria, ampliano la banda a disposizione, quindi questo spillover non diventa un'esternalità, comunque negativa, ma entra nel prezzo. Ora, dov'è la positiva? Per ciò che ha a che fare con l'allargamento del mercato per Google, acquistare un PC è uguale all'acquisto della televisione per CBS: niente esternalità. Per ciò che deriva dal fatto che ora anche tu puoi mandare email a me, presumibilmente questa è una delle ragioni per cui ho acquistato il PC, esattamente come acquistai a suo tempo il telefono. Il service provider, inoltre, ci fa pagare una tariffa che dipende, fra le altre cose, da quante persone possiamo raggiungere. Niente esternalità neanche qui. Rimane quindi il fatto che ora faccio dei posts e partecipo ad un gruppo di discussione. In che senso, dunque, il mio inserire informazione sulla rete è l'involontaria e non compensata produzione congiunta di qualcos'altro? Quando, come? La mia pagina web è lì intenzionalmente, perché la gente legga e diffonda la mia ricerca. Le amene belinate che scrivo su nFA sono intenzionalmente scritte, non sono l'effetto esterno ed involontario di nulla. Lo faccio perché ci ricevo utilità e mi diverto, nel secondo caso, e nel primo perché fa parte del mio lavoro diffondere la mia ricerca. Ho la pagina web, in via di aggiornamento, con i miei papers per la medesima ragione che mercoledì prendo l'aereo e vado all'IMF per una conferenza. Nessuna esternalità: mi pagano per il mio lavoro, sia direttamente che indirettamente!
Ah, l'esempio IMF calza molto bene perché così facendo viaggio e consumo le suole delle scarpe. Tal calzare spiega il mio frequente riferimento alle scarpe come fonte di esternalità da socializzazione, riferimento forse troppo ambiguo. Il PC collegato all'internet, se serve a qualcosa è per comunicare con il resto del mondo, intenzionalmente e consapevolmente. Andare in "piazza" o al "bar" o in "biblioteca" o allo "IMF" serve la stessa funzione: comunicare con il resto del mondo usando tecnologie meno rapide. Per fare la seconda cosa si usano, fra gli altri inputs, scarpe e calzini. Per fare la prima si usano, fra gli altri inputs, il PC, l'energia elettrica e la rete. Se è teoricamente giustificato sovvenzionare il PC, lo DEVE essere anche sovvenzionare le scarpe, i calzini e l'energia elettrica. Dove cavolo sta l'esternalità positiva che il sedicenne italiano genera comprandosi il PC ed andando in rete? E a chi arriva tale esternalità?
I teorici delle esternalità di rete sembrano aver mancato un punto ovvio: gli esseri umani da sempre hanno costruito reti per comunicare/commerciare/socializzare. Oggi usiamo l'internet, ieri usavano la fiera di Champagne o Marco Polo si metteva in marcia sulla Via della Seta. Entrambe erano reti organizzate ed intenzionalmente tali, con costi, prezzi, accessi, strumenti, fattori di produzione, fattori fissi, tariffe, guadagni, contrattazioni e contratti d'ogni tipo e sorta. Dove sono le esternalità? Da nessuna parte, a meno che non si decida che sono ovunque: da tempo spiego ai miei studenti del primo anno di PhD (introducendo il modello walrasiano di equilibrio generale ed il suo uso come "unità di misura astratta") che se il puro vivere in società implica esternalità, allora qualsiasi interazione è fonte di esternalità perché gli essere umani imitano l'un l'altro ed, in particolare, imitano i comportamenti che hanno successo. Ma questo che c'entra con il personal computer? Nulla, ed in questo caso la parola esternalità perde completamente tutto il suo significato (i significati, si sa, si costruiscono per differance) e non vuol dire più nulla di specifico. Tassiamo e sussidiamo tutto? Ogni azione imitabile o ogni atto d'imitazione? È lo stesso, ma peggio, di tassare e sussidiare nulla, o no?
Notate che questo argomento, rovesciato, spiega anche perché sostengo che Coase & Co, o ben dicono cose vacue o ben hanno torto. Perché, se qualsiasi fenomeno imitativo genera esternalità, come sembra essere il caso, allora la soluzione che essi propongono è che si assegnino diritti di proprietà sopra il "guardarsi" ed il "vivere in societa'". In altre parole, poiché vi sono effetti esterni dovuti al puro vivere uno accanto all'altro ed entrare in contatto, per eliminare tali esternalità occorre assegnare a qualcuno (Il re? Il dittatore?) il diritto di decidere se e quando X può osservare Y, ed a qual prezzo. Poi basta contrattare con il "re" tale diritto, pagare e l'esternalità è eliminata. Peccato che questa distribuzione dei diritti di proprietà richieda una specie di "dio" che tutto sa e tutto vede. Insomma, la soluzione Coasiana è tanto vacua quanto quella che presuppone mercati walrasiani completi o il programmatore benevolente. D'altra parte, se invece si evita la vacuità, allora la soluzione Coasiana non funziona: poiché posso sempre imitare la strategia vincente, il vincente produce un'esternalità positiva non contrattabile. Il classico paper di Chari e Jones in Economic Theory (2000) mostra che, quando vi sono N oggetti, ognuno posseduto da un individuo distinto, ed occorrono tutti gli N oggetti per produrre qualcosa di socialmente utile, allora il potere di monopolio di (ognuno dei) N soggetti porta ad equilibri inefficienti. Lo stesso argomento, rivoltato come un calzino, porta alla "tragedy of the anticommons", come abbiamo provato David Levine ed io in un articolo nei Proceedings della NAS (2005).
Conclusione, temporaneissima: le esternalità esistono, eccome che esistono. Ma è ancora lontana la prova, sia essa empirica o teorica, che infilarle ad ogni pié sospinto nei modelli di equilibrio generale che vogliono cercare di capire problemi macroeconomici (e la crescita in particolare) sia una strategia teoricamente o empiricamente utile. Ma, su questo tema, ovviamente tornerò con molto maggior dettaglio nei post delle prossime settimane. Questo lungo aperitivo finisce qui.
Complimenti è scritto benissimo e credo anche di avere capito tant'è che mi metto subito alla prova: Non ho potuto fare a meno di pensare alla Net Neutrality sostanzialmente impedirebbe che siano interiorizzate le eventuali esternalità è corretto ? Se io impedisco che gli intermediari si coordino con gli utenti della rete sostanzialmente permetto alle eventuali esternalità di creare inefficienza ?