La BCE per statuto non può intervenire sui rendimenti dei titoli dei paesi membri operando direttamente sul mercato primario [Correzione; 11 Agosto 2012: avevo scritto secondario; ringrazio Andrea Negro e Massimo Sbracia per avermelo fatto notare e per averlo fatto con gentilezza]. Ma è da tempo ormai in Italia che su questo punto la BCE è sottoposta a intense sollecitazioni da parte di governo, opinione pubblica e giornali. Gli argomenti addotti a favore di un intervento della BCE sugli spread (cioè sui rendimenti relativi tra paesi) sono sostanzialmente due, di carattere sia formale che sostanziale. Fossero solo esercizi retorici, componenti del dibattito sulla politica monetaria in Europa, non vi sarebbe molto da rimarcare. Ci tocca ascoltare molto di peggio, purtroppo nel dibattito, roba neo-marxista e/o vetero-keynesiana senza senso alcuno. Ma pochi giorni addietro addirittura il governatore della Banca d’Italia, in una intervista a Massimo Giannini di Repubblica, ha dato supporto a queste argomentazioni, con la cautela che naturalmente è richiesta ad ogni esternazione del governatore ma anche con grande chiarezza. Vale la pena allora di analizzarle in un certo dettaglio queste due argomentazioni.
1. I rendimenti sui titoli sovrani oggi inceppano il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, e su questo lo statuto non impedisce di intervenire. Nelle parole del governatore:
La mia idea è che se compri titoli di Stato per finanziare il debito sovrano di un Paese, allora ha ragione la Bundesbank, sei fuori dai Trattati. Ma se lo fai per ripristinare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, allora sei pienamente dentro il perimetro dei Trattati.
Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria si riferisce, ad esempio, a come riduzioni dei tassi o iniezioni di liquidità abbiano gli effetti desiderati sull'offerta di credito e quindi (a breve) su consumi e investimenti. Questo meccanismo opera attraverso il sistema bancario e più in generale attraverso quello finanziario, specie attraverso il mercato interbancario. Se il meccanismo si inceppa son problemi, non solo perché la politica monetaria fatica ad aver effetti, ma soprattutto perché se si inceppa il sistema bancario, se il mercato inter-bancario si congela, si finisce in un credit crunch, una situazione in cui le banche riducono i prestiti a famiglie e imprese e pertanto l’economia tende a bloccarsi.
2. I rendimenti sui titoli sovrani oggi non sono i "veri" rendimenti di mercato. I rendimenti sui titoli (ad esempio italiani) non rappresentano (solamente) la loro probabilità di default ma (includono anche) il rischio che crolli l'intero sistema monetario Euro. Il governatore chiarisce bene questo punto: il rischio che l'Euro crolli, egli sostiene,
e' qualcosa di "esogeno" rispetto ai fondamentali dell'economia degli stessi paesi.
L’aspetto formale della prima argomentazione ricorda un po’ l’operazione logica di un azzeccagarbugli: lo statuto non permette l'operazione X, ma se noi diciamo che non facciamo X ma che facciamo X solo come mezzo per ovviare a Y, allora tutto si risolve. Ma al di là degli aspetti formali, il dramma sostanziale è che Y, cioè l'inceppamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria e del sistema bancario, va affrontato davvero al più presto. Non vi è dubbio che il paese si trovi in un credit crunch, che l’attività produttiva sia in parte bloccata dalla mancanza di credito a famiglie e imprese. Ma allora non sarebbe meglio agire direttamente sul sistema bancario, cosa che la BCE può fare senza massaggiare il suo statuto? Il credit crunch in Italia è dovuto in buona sostanza al fatto che le banche hanno utilizzato una larga parte delle proprie risorse per acquistare titoli sovrani invece che per concedere credito (tra l’altro proprio a questo si deve il fallimento delle LTRO, le iniezioni di liquidità con cui la BCE ha cercato la scorsa primavera di ravvivare il mercato del credito bancario). Non v’è dubbio che la situazione sui mercati dei titoli danneggi le banche in questo momento, ma intervenire sui rendimenti dei titoli senza intervenire più efficacemente sul sistema bancario sembra una strategia atta a nascondere il vero obiettivo di tali interventi: finanziare anche solo a breve il debito dei paesi messi sotto tensione dai mercati, monetizzarlo. Non mi nascondo che intervenire sul mercato bancario è complesso, ma vorrei vedere la BCE dannarsi a farlo prima di giocare verbalmente col voglio-ma-non-posso-ma-forse-farò sul mercato dei titoli. La Fed nel 2008 si è essenzialmente fatta mercato interbancario (quando quello vero si è congelato) - sarebbe utile che la BCE facesse altrettanto? Perché no? Questa discussione vorrei vedere, non quella sul mercato [Correzione; 11 Agosto 2012: vedi sopra] dei titoli. Le banche non prestano perché piene di debito sovrano? Possiamo costringerle a ricapitalizzarsi? È necessario uno stress test per sapere quali e quanto? Poiché anche i parametri Basilea II (che consideravano i titoli sovrani - tutti - a minimo rischio) hanno incentivato questa strategia di portafoglio delle banche, cosa possiamo fare per ovviare a questo meccanismo? Oggi le banche devono liberarsi di buona parte dei titoli sovrani che detengono, e/o ricapitalizzare in modo da diluirne le perdite, per tornare a prestare a famiglie e imprese - di come far questo bisogna discutere, non di come abbassare gli spread monetizzando il debito.
Anche la seconda argomentazione non sta in piedi. Non v’è alcun dubbio che gli spread oggi contengano una componente dovuta al rischio che l'Euro crolli. Ma questo rischio è determinato dal fatto che le prospettive di crescita delle economie del Sud dell’Eurozona sono alquanto misere (gli interventi di politica fiscale, nella mancanza di tagli strutturali alla spesa, rischiano di condurre queste economie all'asfissia da carico fiscale). I mercati quindi scontano l’eventualità che la Germania (ma anche Olanda, Finlandia, etc.), posta davanti al fatidico “lascia o raddoppia”, decida di lasciare, uscendo dall’Euro invece di accollarsene i debiti. Chiamare “esogeno” questo rischio non è affatto ovvio: esso rappresenta invece la conseguenza delle scelte di politica economica di alcuni paesi dell’Eurozona, Italia inclusa, che stanno (purtroppo) coerentemente minimizzando gli interventi atti a riaggiustare la propria posizione fiscale e competitiva (“noi abbiamo fatto i nostri compiti a casa”) e allo stesso tempo stanno perseguendo azioni politiche e diplomatiche tese a gettare sulla Germania il maggior peso possibile della crisi. Ma facciamo finta di nulla e accettiamo la logica del discorso: lo spread sconta il crollo dell'Euro. Ma allora rendimenti zero (o anche negativi) sui titoli tedeschi devono voler dire che i mercati si aspettano che, al crollo dell'Euro, le posizioni in Bund non ingenereranno perdite, avere titoli italiani e spagnoli invece sì. Ma allora lo spread non rappresenta il rischio che crolli l'Euro, ma piuttosto il rischio che, al crollo dell'Euro, l'Italia faccia default o svaluti o entrambi. Se anche accettiamo quindi la tesi che il crollo dell'Euro sia "esogeno", lo spread non sarebbe esogeno comunque. Prova ulteriore che la Francia non paga spread da crollo Euro (perché starebbe coi tedeschi e non svaluterebbe).
Gli argomenti logici bisogna saperli seguire, altrimenti è meglio non farli (mi rivolgo soprattutto agli osservatori esperti che in questi giorni ripetono questi argomenti come altoparlanti rotti; le parole del governatore e dei responsabili di politica monetaria sono il risultato di complessi compromessi tra economia e politica, me ne rendo conto). Lo statuto della BCE include il divieto di intervenire sul mercato dei titoli sovrani non per capriccio, ma per solide ragioni economiche. In un contesto istituzionale come quello dell’Unione Europea in cui le decisioni di spesa sono decentrate ai singoli stati, sono necessari vincoli e incentivi che garantiscano una sostanziale convergenza delle politiche fiscali dei paesi membri. I parametri del Trattato di Maastricht avevano questa funzione, quella di opporre una prima diga a politiche fiscali irresponsabili. Una seconda diga è rappresentata proprio dai vincoli all’azione della BCE, atti a garantire che i costi di eventuali politiche fiscali poco responsabili di alcuni non possano essere divisi tra tutti i paesi membri. Come ben sappiamo i parametri di Maastricht sono stati disattesi (Francia e Germania sono responsabili di uno spiraglio che altri, tra cui il nostro paese, hanno poi spalancato). Molta più cautela, a dir poco, è necessaria prima di far saltare la seconda diga. E soprattutto argomenti che stiano in piedi.
Più in generale, tutta l’attenzione e la speranza riposta da governo, opinione pubblica, e giornali sulle doti vaticinatorie e taumaturgiche delle istituzioni di politica monetaria è a mio papere mal riposta. Le banche centrali questo lavoro non lo possono fare: tra regole e discrezionalità, sono le regole a funzionare - ci sono 30 anni di teoria economica (per chi volesse approfondire: cercare "time-inconsistency of monetary policy" su google, leggere le motivazioni del Nobel a Finn Kydland ed Ed Prescott, leggersi l'unpleasant monetarist arithmetic di Tom Sargent e Neil Wallace,...) e di pratica (leggersi qualunque storia monetaria degli anni 70 e 80, scritti vari di Volker dei tempi andati, cercare Taylor rules su google) a dimostrarlo. Quando un banchiere centrale comunica di saper lui quali sono i "veri" valori di mercato, "i fondamentali", è il momento di preoccuparsi, perché questo è il loro modo di convincerci/convincersi che solo loro possono salvare il mondo; in quel momento è bene farli parlare con Ed Prescott che ama ripetere che l'economia monetaria ha la stessa rilevanza dell'economia dei servizi postali. Nella situazione del paese oggi non vi sono sostituti monetari indolori ai necessari interventi di politica fiscale, inutile cullarsi in fantasie pericolose. È una dura realtà che dobbiamo riconoscere al più presto, senza perdere altro tempo prezioso.
ci sarebbero molte domande e considerazioni da fare sull'argomento, ma non voglio tediare. mi limito a chiedere semplicemente se una rottura dell'euro sia probabile e se sia o meno un grosso danno per la Germania. Se non lo è e se la rottura è improbabile, la germania fa benissimo a seguire la politica attuale. La rapidità con cui sono esplosi i tassi italiani e spagnoli in autunno e poche settimane fa, l'interconnessione delle nostre economie e delle esposizioni debitorie, mi fa propendere per l'alto rischio di break up, evento che sarebbe una catastrofe per tutti. Se ho ragione, la BCE non solo fa bene, ma ha il dovere di agire.
Alla fine credo che il meccanismo che Draghi ha fatto trapelare, sia un buon compromesso: agisce solo sul tratto breve della curva dei rendimenti per evitare collassi improvvisi, lascia la pressione sul tratto lungo , e soprattutto, non s'interviene se non si chiede aiuto e non ci si assoggetta a certe condizioni.insomma il sostegno non è gratis.