In primo luogo è necessario definire “barone”. Nella vulgata, è divenuto sinonimo di professore ordinario (o di I fascia), ma non è esatto. I “baroni” sono un sottoinsieme, seppur ampiamente maggioritario, dei professori ordinari. Più esattamente definirei “barone” chiunque si dia da fare, con un minimo di successo, per facilitare la carriera accademica di una o più persone. Con la normativa vigente solo un professore ordinario può essere “barone”, in quanto solo i professori di I fascia possono essere commissari ai concorsi. Fino a due-tre anni fa, i professori associati ed i ricercatori erano membri di commissione e quindi in teoria potevano tentare di promuovere i loro protetti. Qualcuno ci provava, in genere con poco successo. D’altra parte non tutti gli ordinari sono “baroni”. Alcuni (pochi) si rifiutano di partecipare al gioco per scelta ideologica. Altri (pochi) per mancanza di allievi da promuovere. Un numero consistente di professori ordinari vorrebbe essere “barone” ma non ci riesce, per incapacità personale nel tessere la rete di relazioni, a livello locale o nazionale, indispensabile a tal fine.
In questa definizione, un “barone” deve fare due cose, logicamente distinte.
i) Scegliersi uno (o più) protetti. Tale decisione è assolutamente arbitraria, a patto che il prescelto abbia la laurea e, ora, anche un dottorato nella disciplina di appartenenza, o in disciplina affine (il rettore Frati ha risolto brillantemente il problema di come assumere una moglie laureata in Lettere alla facoltà di Medicina istituendo una cattedra di Storia della Medicina). A parte questo, tutto va bene. A un estremo, i “baroni” più spudorati scelgono figli, mogli e amanti (la famosa Parentopoli che tanto scandalizza i giornalisti ingenui). All’altro ci sono casi di “baroni” altruisti, che si danno da fare per candidati non allievi diretti o addirittura sconosciuti, o per meriti scientifici. La maggioranza dei “baroni” sceglie semplicemente il proprio allievo, bravo o pessimo che sia.
ii) Adoperarsi per la carriera del prescelto. In genere si inizia con dargli posti da precario (assegni, borse contratti etc.). poi si crea un posto da ricercatore, e poi si spinge perché sia bandito un concorso da associato etc. fino alla cattedra. Inoltre, il “barone” deve darsi da fare perché il suo allievo vinca i concorsi. Le strategie possibili sono molte, e non posso dilungarmi, anche se magari potrebbe essere divertente e istruttivo. Il punto essenziale da ricordare è che tutti i “baroni” di un Dipartimento vogliono far promuovere i propri allievi. Quindi la concorrenza, soprattutto in tempi di vacche magre come quelli attuali, è spietata, e si è spostata soprattutto a livello locale. E’ diventato più difficile creare un posto per il proprio allievo che fargli vincere il concorso. Nei mitici anni Ottanta e Novanta, un “barone” poteva sperare di portare in cattedra tre o quattro allievi. Ora la mediana è uno, e molti non riescono neppure ad averne uno.
Tutto questo è ABC per gli universitari italiani – ma prego i lettori non universitari (o universitari AmeriKani) di meditare un attimo prima di continuare. Ripeto: il “barone” è colui che fa far carriera ai suoi “protetti”, o almeno ci prova seriamente.
Cosa dice di NUOVO la legge? E’ importante sottolineare NUOVO. La legge NON aumenta il potere concorsuale dei professori di prima fascia – per la semplice ragione che era GIA’ assoluto. Come detto, solo gli ordinari possono essere membri di commissione di concorso. La legge, contrariamente a quanto detto, NON aumenta neppure il loro potere accademico, almeno direttamente. Infatti, demanda alle università, nei loro statuti, la scelta delle procedure di elezione del rettore (l’elettorato attivo) e delle altre cariche accademiche. Queste ultime, salvo casi eccezionali, sono GIA’ riservate ai professori di prima fascia. La legge aumenta il potere dei Dipartimenti e abolisce le Facoltà (in pratica), ma non limita la partecipazione di associati e ricercatori ai consigli di Dipartimento. In sostanza, non aumenta il potere dei “baroni” perché era già molto forte. D’altra parte non intacca le prerogative personali di associati e ricercatori, tutti di ruolo. Quindi gli oppositori della legge, formalmente, hanno torto. La legge non è a favore dei baroni.
La novità della legge in questo argomento è “nascosta” nell’Articolo 6 comma 7 e 8:
- nel comma 7 l’ANVUR stabilisce criteri oggettivi di verifica dei risultati dell’attività di ricerca ai fini del comma 8.
- il comma 8 prevede che in caso di valutazione negativa ai sensi del comma 7, i professori e i ricercatori sono esclusi dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale accademico, nonché dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca.
Dal punto di vista dei “baroni”, questi due commi sono potenzialmente devastanti. Infatti l’esclusione dalle commissioni toglie loro la fonte primigenia del loro potere. Se non possono essere in commissione, non possono aiutare direttamente i propri protetti e non possono neppure scambiare promesse con i commissari (se ora tu mi fai vincere X, appoggio il tuo allievo Y al prossimo concorso). Si prefigura, per la prima volta nella storia dell’università italiana, una distinzione esplicita fra professori ordinari di serie A e di serie B o, se vi vuole fra (potenziali) “baroni”, e zombie accademici.
Succederà? Tutto dipende dall’ANVUR, che deve stabilire i “criteri oggettivi”. E’ in corso la procedura di selezione dei sette commissari. Entro il 20 settembre, gli aspiranti dovevano candidarsi, ed una commissione di cinque saggi deve presentare al ministro una lista di 10-15 nomi. Il ministro dovrà poi scegliere (tutti i dettagli in http://anvur.miur.it/). La previsione implicita è che vengano scelti commissari inoffensivi, vecchi “baroni” al finire della carriera e che questi stabiliranno criteri molto permissivi. In tal caso, tutti (o quasi) i professori ordinari passeranno la verifica e tutto rimarrà come prima. Ma esiste uno scenario alternativo.
Mettiamo che si siano presentati alcuni modernizzatori AmeriKani e che la commissione li abbia inseriti nella lista. Mettiamo che il Ministro li scelga – in parte per odio nei confronti dei professori in parte per risparmiare (i professori che non passano la valutazione non hanno diritto agli scatti di stipendio dopo il 2013). Il Comitato Direttivo ANVUR si trova con una maggioranza di AmeriKani, che impone una visione molto rigorosa dei criteri minimi per una valutazione positiva dell’attività di ricerca. Io mi intendo di pubblicazioni in Economia , e quindi faccio un esempio del settore. L’ANVUR potrebbe stabilire che il minimo di attività è la pubblicazione di un articolo in una delle 219 riviste citate nella lista di Kalaitzidakis-Mamuneas-Stengos (An Updated Ranking of Academic Journals in Economics, Rimini Centre for Economic Analysis WP 10-15, 2010). Un articolo in tre anni su un totale di 219 riviste e diciamo circa 15000 articoli non è certo un ritmo di pubblicazione da Assistant professor in tenure track ad Harvard. Per fare un esempio, Boldrin ne ha sei dal 2008 al 2010. Eppure, secondo il Bollettino dei Concorsi di Perotti, circa la metà dei commissari ai concorsi a cattedra 2000-2004 non aveva nessun articolo in una lista di 169 riviste (una versione anteriore) nell’intera loro carriera. E comunque l’ANVUR, nella sua versione AmeriKana, potrebbe essere anche più dura, chiedendo 3 articoli invece di uno, o magari un articolo nelle 100 riviste più importanti o uno nelle 50 più importanti e così via. Tanto più i criteri sono stringenti, tanto meno sarebbero i professori ammessi al sorteggio per partecipare alle commissioni. Il metodo è applicabile, più o meno facilmente, a tutte le discipline (per Lettere bisogna lavorare un po’, ma si può fare)*.
Quali sarebbero i vantaggi?
a) solo i professori in grado di pubblicare su riviste di livello internazionale potrebbero essere in commissione. Questo sarebbe già un vantaggio. In teoria, questi potrebbero avere (e scegliere) allievi incapaci, ma è poco probabile. Inoltre i bravi avrebbero ben pochi incentivi a far passare allievi di zombie accademici, che, essendo esclusi dalle commissioni, non avrebbero possibilità di vendetta;
b) gli zombie accademici si troverebbero in una situazione molto difficile, con poche o nulle possibilità di esercitare potere “baronale”. Scommetto che molti, soprattutto anziani, sceglierebbero il prepensionamento, come exit strategy dignitosa. Questo sarebbe di per sè positivo. Ridurrebbe i costi del personale, e quindi aprirebbe spazi per nuove assunzioni;
c) tutti i professori ordinari sarebbero stimolati a pubblicare nelle riviste internazionali. Per i migliori, non sarebbe un problema. Dovrebbero solo continuare a fare quello che hanno già fatto. Per gli zombie ed i professori marginali (quelli che hanno passato la selezione per il rotto della cuffia) sarebbe invece difficile. Pubblicare sulle riviste internazionali richiede conoscenze ed abilità che non si improvvisano in pochi mesi. La soluzione più semplice sarebbe quella di trovare co-autori in grado di farlo. In altre parole, firmare i lavori dei propri allievi e protetti, con il giusto mix di lusinghe e minacce;
d) i “baroni” non potrebbero più scegliere ad libitum i loro protetti. Dovrebbero preoccuparsi della capacità dei prescelti di scrivere articoli pubblicabili, e non solo per il bene dell’allievo stesso, ma anche per il proprio. Paradossalmente, questa esigenza sarebbe tanto più sentita quanto meno bravo è il “barone”. Uno veramente bravo non ha bisogno di farsi scrivere gli articoli dagli allievi. Al limite, potrebbe scrivere lui gli articoli e farli firmare agli allievi (magari giovani e belle/i). Inoltre, gli allievi bravi dei “baroni” mediocri avrebbero comunque un minimo di potere contrattuale. In caso di difficoltà col proprio “barone” potrebbero sempre offrire la propria penna a qualche altro “barone” (altrettanto scarso ma più amichevole) alla ricerca di pubblicazioni.
In questo scenario, la legge potrebbe cambiare alla radice i meccanismi e gli equilibri di potere nell’università, riducendo il numero dei potenziali “baroni” e costringendoli ad un comportamento virtuoso per non diventare zombie. In questo caso, la Gelmini avrebbe ragione: è una legge contro i “baroni”
Purtroppo, come la maggioranza dei miei colleghi, anch’io ritengo lo scenario virtuoso poco probabile (il 5%? Il 10%?). Ma, data la posta in gioco, forse varrebbe la pena di fare qualcosa per promuoverlo.
*PS pregasi astenersi da commenti sui criteri oggettivi. Tipo: ma un articolo fondamentale può anche uscire su una rivista sconosciuta e simili. Lo so, anche se è statisticamente improbabile. E’ la legge che parla di criteri oggettivi. L’ha scritta sicuramente un economista.
Ma, data la posta in gioco, forse varrebbe la pena di fare qualcosa per promuoverlo.
cosa? no, davvero, diteci cosa, e noi partiamo.