La notizia è quella di un "indulto", che poi dal punto di vista tecnico-giuridico non è nemmeno tale, che consentirebbe a quanti scontano una condanna definitiva (con l'esclusione di quanti abbiano riportato una condanna per mafia, omicidio o terrorismo) di trascorrere l'ultimo anno di detenzione agli arresti domiciliari.
Io purtroppo (dico purtroppo tanto per dire, che non me ne frega nulla di guardare il Tg1 o il Tg3) non ho accesso ai telegiornali italiani e non so quanto peso sia stato dato alla notizia, ma presumo che l'interesse sia davvero minimo se, come vedo dai giornali on-line, solo Il Fatto Quotidiano ne parla con la dovuta attenzione.
Dinnanzi a questa ennesima misura che rende l'erogazione delle pena definitiva assai più blanda di quanto inizialmente disposto da un giudice, non sono possibili reazioni di sorpresa perché, come tutti noi sappiamo, in Italia è assai frequente assistere a indulti, amnistie e leggi di riduzione della pena o della sua espiazione in forme alternative al carcere.
Sul'efficacia di simili misure, rimando ad un post di qualche mese fa di Giulio, che sostanzialmente mostrava come lo svuotamento delle carceri a seguito di indulti e amnistie, sia solo temporaneo, e che quindi l'adozione di forme di restrizione della libertà alternative al carcere non costituiscano una soluzione ai problemi del sovraffollamento delle carceri.
Rimane però da capire perché l'adozione di decisioni come quella oggi in discussione siano così frequenti, oltre che trasversali a schieramenti politici opposti, che proprio sul tema della giustizia dovrebbero (così ci dicono, almeno) mostrarsi particolarmente combattivi. Inoltre, almeno per la misura della quale si discute, colpisce la sostanziale acquiescenza, o vero e proprio silenzio, con la quale si accolgono simili decisioni.
Secondo me ci sono essenzialmente due aspetti collegati all'adozione di misure del genere, uno a monte, direi culturale, e uno a valle, negli effetti educativi che simili conseguenze producono.
L'aspetto "culturale" è presto detto. Le misure di alleggerimento della pena sono così frequenti e ricorrenti che esse non possono che segnalare un atteggiamento tipico del nostro, dico di noi italiani, modo di vedere la colpa e l'espiazione di quella. Se così non fosse, se cioé queste misure fossero soltanto l'accorgimento tecnico con il quale la classe dirigente italiana cerca di ritagliarsi spazi di impunità dovendo poi estendere quei benefici anche a quanti non erano inizialmente oggetto di impunità, allora si dovrebbe assistere a una punizione elettorale per chi si faccia carico di quelle scelte, oppure a una diffusa e persistente contrarietà da parte di ampi settori della società civile. Ma questo, a parte gli elettori di alcuni partiti come Lega Nord e IDV, non accade.
Questo giusto per sottolineare che io non credo che gli italiani siano sempre ostaggio di una elite politica che non meritano e rispetto alla quale sarebbero moralmente migliori. Penso invece che vi sia piuttosto un atteggiamento, "culturale" appunto, dove si incrociano tanto la mentalità cattolica dell'aiuto e del perdono ad ogni costo, quanto un atteggiamento di socializzazione della devianza tipico della cultura della sinistra, che imputa a cause genericamente sociali i comportamenti anti-sociali degli individui. Ovviamente questo retroterra culturale,sia esso religioso o secolare, vacilla per lasciare il posto ad atteggiamenti di reazione incontrollata alla criminalità quando dalla cronaca emergano episodi di particolare violenza o gravità o magari solo capaci di catalizzare un'attenzione più morbosa di quella mediamente prestata dal pubblico a simili fatti. Sono proprio queste reazioni, che esprimono una "fame e sete di giustizia", che dovrebbero convincere chi condivida quelle matrici culturali perdoniste a comprendere che in un ottica consequenzialista provvedere ad una giusta riparazione dei torti è un elemento di civiltà giuridica al pari del garantismo, della funzione ri-educativa della pena e così via, appunto perché dovrebbe regolare in forme civili l'espiazione della pena.
E invece in tanti si concentrano su una nozione di civiltà giuridica emendata dal suo aspetto riparatore. Pensare il contrario, pensare cioé che gli uomini possano vivere gli uni con gli altri privi del giusto sentimento di vendetta o riparazione per un torto subito significa sperare l'impossibile, o rimandare il ristabilimento della giustizia al momento in cui saremo tutti in Dio o a quando la società sarà completamente trasformata ed avremo creato l'uomo nuovo, puro ed incontaminato.
Come ho detto vi è poi l'aspetto educativo. Anche qui sinistra e cattolicesimo farebbero bene a pensare di più e meglio. Ogni tanto, davanti alle retribuzioni ritenute esorbitanti di un calciatore, di una velina, o anche solo alla diffusione delle lotterie come i Gratta e Vinci, ci tocca sorbirci i lamenti di qualche prete televisivo che, nel protestare contro l'oscenità di certi stipendi, fa pubblicità per la sua associazione religiosa e assistenziale ... per non parlare poi dei tanti Vendola in giro per l'Italia che criticano i modelli culturali della velina, che in una sera guadagna 5000 euro, mentre chessò, un ricercatore universitario li guadagna, se va bene, in tre mesi. Ecco, io non capisco perché costoro, che in genere sostengono posizioni perdoniste pro indulto e pro amnistia, non estendano i loro furori pedagogici anche alle amnistie e agli indulti.
Infatti, a livello educativo, che cosa mai può insegnare il fatto che se commetti un reato poi vieni rispedito a casa e non sconti nessun tipo di pena, oppure la sconti dimezzata? Che messaggio potrà mai veicolare verso i giovani questo perdonismo? Che delinquere paga ed espone a conseguenze tutto sommato tollerabili? E un simile atteggiamento di continua attenuazione delle responsabilità accertate in un condannato, che pensieri induce in un carabiniere che si espone a rischi per arrestarlo o per indagare sulle sue responsabilità? E un poliziotto che, trovato un ladro, deve prolungare l'orario di servizio, non retribuito, per riempiere scartoffie su di un individuo che, se incensurato, non metterà magari mai piede in un carcere, ecco anche questo poliziotto che cosa farà/penserà la prossima volta che vedrà un ladro? Insomma, non sarà che forse, al solito, quelli che più di tutti sembrano ansiosi del bene comune, dei poveri e dei deboli, alla fine sono quelli che più di tutti fanno danno sia a quanti vorrebbero proteggere che al resto della società?
P.S.: Nell'articolo di Marco Travaglio che ho linkato, l'autore non chiarisce bene quanti potranno essere i beneficiari dell'indultino mascherato. Qualcuno mi sa dire come sia possibile una cosa del genere? Se parliamo di una misura che si applica a condanne definitive, almeno si dovrebbe sapere quanti saranno gli individui coinvolti ORA, poi certo si potranno aggiungere anno per anno quanti si aggiungeranno in futuro a scontare l'ultimo anno di detenzione nel loro domicilio...sempre che ne abbiano uno...ma non essere in grado di dare misure certe che cosa significa? Che chi ha preso questa decisioni non ha dati per prendere decisioni informate? Che quei dati non esistono? E come sarebbe possibile una cosa del genere?
Queste operazioni in sede poilitica emanano sempre fetori di auto-assoluzioni o favori per la casta o suoi compagnucci.