È possibile ridurre la spesa pubblica mediante una strategia di riduzione delle tasse e crescita del deficit? La tesi è stata proposta, con il suggestivo nome di 'starving the beast', da parecchi economisti e politici conservatori americani. Se ne è iniziato a parlare di sbieco anche in Italia, come ha segnalato Alberto .
Devo confessare il mio scetticismo. A mio avviso la strategia non funziona, ed è solo la copertura che adottano politici codardi per non affrontare il toro per le corna. Se vuoi ridurre la spesa pubblica la strategia da usare è ridurre la spesa pubblica ora, non aspettare che lo faccia eventualmente qualcun altro, forse, nel futuro, quando c'è l'occasione (e potrei continuare con le clausole ipotetiche).
Qual è la teoria che sta dietro alla strategia? Gli ingredienti essenziali sembrano essere i seguenti. Primo, in situazioni di bilancio in pareggio o lieve disavanzo è politicamente troppo costoso ridurre contemporaneamente la spesa e le tasse. Presumibilmente questo è dovuto alla contrarietà della maggioranza degli elettori, o di minoranze rumorose e pivotali, in quanto detti elettori ricevono più danni dalla riduzione di spesa che benefici dalla riduzione delle tasse. Secondo, gli elettori sembrano invece accettare di buon grado una riduzione delle tasse immediata che causa un deficit e conduce a una riduzione della spesa in futuro. Forse gli elettori sono miopi, o forse sperano che le riduzioni future della spesa vengano pagate da qualcun altro (si pensi per esempio alla riforma del sistema pensionistico, che i più anziani hanno chiaramente interesse a ritardare il più possibile). Terzo, quando nel futuro il deficit di bilancio diventa insostenibile gli elettori sono più disponibile ad accettare riduzioni della spesa, in questo caso senza contropartita di tagli delle tasse. I tagli diventano quindi meno politicamente costosi, e i politici sono in grado di implementarli senza troppe preoccupazioni.
Anche se funzionasse ci sarebbe da discutere parecchio sulla desiderabilità politica di una simile strategia, vista la notevole componente di redistribuzione intergenerazionale che comporta. Per esempio, l'idea di far pagare oggi ai giovani dei salati contributi sociali per garantire le pensioni dei vecchi, e poi far loro marameo quando arriva il loro turno mi sembra una gran porcheria. Ma non è di questo che voglio discutere. Quello che mi interessa invece è la validità della teoria che sta dietro la strategia.
Concediamo pure la validità del primo e del secondo punto, anche se ci sono ragioni per dubitarne. L'idea che un politico raccolga più consenso riducendo le tasse senza toccare le spese (o aumentando la spesa senza aumentare le tasse) piuttosto che riducendo contemporaneamente tasse e spese sembra avere una certa validità. Ci sono ovviamente controesempi. Per esempio, dopo il periodo 1980-1992 in cui le amministrazioni repubblicane negli USA avevano aumentato enormemente il deficit, molti elettori erano chiaramente preoccupati per l'esplosione del debito, e la crescita del movimento di Ross Perot ne fu una chiara manifestazione. Ma direi che, almeno nel breve periodo, possiamo accettare che i governanti non sopportano grossi costi politici immediati se fanno crescere il deficit.
Il vero punto debole dell'argomentazione è il terzo. Come si fa a garantire che il debito futuro venga eliminato mediante riduzione della spesa? Le resistenze politiche che esistono oggi alla riduzione della spesa presumibilmente ci saranno anche in futuro, e rischiano di essere addirittura più forti. Prendiamo un lavoratore che ora è venticinquenne e viene costretto a finanziare le pensioni correnti con contributi sociali esorbitanti. La promessa è che riceverà lo stesso trattamento. Se tra vent'anni qualcuno prova a spiegargli che è stato tutto uno scherzo, e che di tutti i contributi pagati gli resta poco o nulla, immagino reagirà con una furia maggiore o uguale di quella con cui minacciano di reagire i quarantacinquenni attuali, deficit o non deficit. Il fatto è che la riduzione della spesa non è affatto l'unico modo di eliminare un deficit. Un governo ha sempre la possibilità di accrescere le tasse o, come ultima opzione, dichiarare bancarotta, come è avvenuto in Russia e Argentina. Se la riduzione delle tasse attuali viene finanziato con un aumento delle tasse futuro allora il guadagno in termine di efficienza è nullo, e l'effetto è puramente redistributivo. Se invece la soluzione è la bancarotta i costi in termini di efficienza sono enormi, come si è osservato nelle esperienze recenti appena citate.
Indubbiamente, alcune volte la strategia funziona. La riforma pensionistica del 92 di Amato non ci sarebbe stata senza l'ampio debito accumulato negli anni Ottanta da Spadolini, Craxi, De Mita e combriccola varia (in quel caso mediante l'aumento della spesa anziché la riduzione delle imposte). Forse sono troppo avverso al rischio, ma a mio parere il gioco non vale la candela. Abbiamo rischiato la liquefazione finanziaria stile Argentina per permettere al governo di mettere un toppa momentanea al torrente di spesa, e una volta passata l'emergenza il problema si è riproposto negli stessi termini.
Non posso negare l'estremo fastidio che provo quando il demagogo di turno, e ce ne sono tanti, salta fuori ripetendo in modo ossessivo che le tasse vanno tagliate e si dimentica puntualmente di menzionare tagli alla spesa. La mia proposta è che questi personaggi vengano riconosciuti ed etichettati per quello che sono. Non astuti combattenti contro l'invadenza dello stato, ma codardi da un centesimo alla dozzina.
Starve the beast e' fondato su time inconsistency specie in un contesto di political economy in cui l'esecutivo controlla piu' direttamente le tasse mentre la spesa e' piu' sotto controllo legislativo. (Naturalmente "piu'" in controllo e' relativo e un po' vago). Nessuno pensa a redistribuzioni intertemporali, si ha in mente un rapido uno-due tasse-spesa nel giro di pochi anni. La base teorica e' che ridurre le tasse sia cosa piu' facile da farsi (rapidamente) che non ridurre la spesa e che (ri)-alzare le tasse e' politicamente molto costoso (questo e' il vero fondamentale forndamento di starve the beast; si puo' discutere, naturalmente se sia davvero cosi' costoso). Naturalmente tutto ha senso in un contesto in cui la riduzione della spesa e' obiettivo ex ante ma troppo costosa ex post, cosi' che il costo di alzare le tasse riallinei gli obiettivi. L'argomentazione ha senso inoltre qualora il debito sia utilizzabile poco e male (o per ragioni di costi di indebitamento, che quasi mai succede, o per vincoli costituzionali o super-governativi come nel caso dell'Italia in Europa).
Starve the beast evita quello che e' successo con il governo Berlusconi: il presidente del consiglio si presenta al paese e dice, nei prossimi quattro anni se eletto abbasso le tasse e riduco la spesa, e poi di fronte alle difficolta' di riduzione della spesa nel dettaglio, dice, oh mi dispiace ma c'e' stato l'11 settembre (o il 14 novembre, o qualunque cosa) e non posso mantenere la promessa. Se Berlusconi, da Vespa, avesse detto "dal primo giorno tutte le aliquote scendono di 5 punti e poi troveremo tagli di spesa, io credo che a quest'ora avremo i tagli di spesa". Fare i tagli simultaneamente alla riduzione delle tasse e' difficile perche' i tagli prendono tempo e la gente scende in strada e poi un 11 settembre si trova sempre.
Se veramente si ha in mente una cosa di pochi anni allora 'starve the beast' è ancora più insensato di quello che pensavo. Supponiamo che sia il 2001, sei il presidente degli USA, e vuoi tagliare i sussidi agricoli ma hai paura che i senatori del Nord Dakota, Montana e via succhiando sangue ai taxpayer di NY si oppongano ferocemente. Il tuo rapporto debito/PIL è 60%, non abbastanza per far avvertire al senatore del Wyoming l'urgenza finanziaria dei tagli. Cosa fai? Ovvio, tagli le tasse, aspetti 3 anni e a quel punto agiti il rapporto debito/PIL che oramai ha raggiunto un whopping 63,5% come una clava per ridurre i recalcitranti senatori alla sottomissione. Somehow, ho il sospetto che non funzioni. Il mio punto è che la situazione debitoria può veramente essere usata come leva per superare le resistenze alla riduzione della spesa solo in situazioni disperate. In tutti gli altri casi, ci possiamo attendere identica difficoltà con un rapporto debito/PIL al 60%, al 90% o al 110%. C'è voluta una generazione di deficit negli anni 70 e 80 in Italia per arrivare al rischio di crisi finanziaria del 1992. Negli USA non ho visto significative riduzioni di lungo periodo nella spesa indotte dai deficit di Reagan; gli anni 90 sono stati fortunati per lo shock esogeno della riduzione delle spese militari dovuto alla guerra fredda e per la riduzione degli interessi (va beh, questo potrebbe essere parzialmente endogeno). Per il resto, direi che dopo 20 anni 'starve the beast' non ha niente da mostrare, a parte aver definitivamente convinto i repubblicani che l'irresponsabilità fiscale è una virtù.
Su Berlusconi, mi sembra un pessimo esempio: non si è mai sognato di dire che la spesa andava ridotta, almeno in questo è stato coerente. Il pezzo forte della campagna elettorale del 2001 fu la promessa di aumentare tutte le pensioni almeno a un milione di lire, e da Vespa il nostro andó a illustrare tutte le opere pubbliche che voleva fare, senza sognarsi di menzionare il finanziamento. Non riuscí a tagliare le tasse perché tutti, lui incluso, sapevano come avrebbero reagito i mercati finanziari all'ennesimo aumento del deficit, e se non fosse stato per l'11 settembre avrebbe cercato qualche altra scusa (tipo affermare che i tassi salgono per colpa della finanza ebraica internazionale che odia il centrodestra, come disse Mastella, allora ministro di Berlusconi, nell'estate del 94).
Poteva ovviamente cercare di giungere rapidamente alla crisi finanziaria, adesso che il debito è alto è più facile, ma probabilmente ha avuto troppa paura.