Un breve scatto d'ira sulla Questione Meridionale

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La mia reazione alle parole del presidente Napolitano, sulla Questione Meridionale.

Il presidente Napolitano, in questi giorni in visita a Napoli, ha esortato la politica ad una maggiore «attenzione al problema del Mezzogiorno e al rapporto tra Mezzogiorno e sviluppo nazionale» (tutte le virgolette riferiscono alle parole del presidente, così come riportate dalla stampa di ieri e l'altro ieri). Esortazioni alla politica da parte di alte cariche istituzionali sono quasi per necessità esercizi di retorica, appelli ai buoni sentimenti. Questa non fa eccezione. Ma vale la pena di discuterla in qualche dettaglio, per l'idea implicita della Questione Meridionale che ne traspare.

Innanzitutto, il presidente teme gli effetti della congiuntura sul Sud, i «fenomeni di recessione [...] che incombono sui già precari equilibri economici e sociali [...] nelle regioni meridionali». È difficile vedere in queste parole altro che la riproposizione della politica dell’emergenza. Nessuno dei «precari equilibri» nelle regioni meridionali ha in realtà a che fare con la crisi. Il problema dell’economia del Sud, la Questione Merdionale, è questione strutturale. Una effettiva convergenza tra le regioni italiane in termini di prodotto interno lordo pro-capite si è avuta solo fino agli anni 60. La crescita del Pil per lavoratore dal 1980 al 2000 al Sud è stata dell’ordine del 40-45% mentre è stata del 240% in Irlanda, partendo da livelli comparabili (da un paper di M. Maffezzoli per il Sud e dati Penn World Table per l'Irlanda). Davanti a dati di questo tipo, ogni preoccupazione congiunturale scompare nella sua irrilevanza.

Il secondo elemento degno di nota nelle considerazioni del presidente Napolitano riguarda la spesa pubblica. Lamentare i tagli al fondo per le aree sottoutilizzate (10 miliardi per il periodo 2007-2013 al Sud), richiedere che ilfederalismo fiscale debba comunque «garantire i necessari trasferimenti da Nord a Sud», propone logiche di spesa non condizionate ai risultati. Emergenza dopo emergenza, trasferimenti incondizionati dopo trasferimenti incondizionati, l’economia del Sud è ormai dipendente da quella del Nord. In solo nove regioni in Italiai trasferimenti fiscali sono positivi (i tributi raccolti sono superiori alla spesa pubblica - dati Ministero delle Finanze, 2005) [ho corretto un errore, grazie Marco e Alberto]: Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia. Il trasferimento fiscale pro-capite di un cittadino lombardo è di oltre 5.200 Euro; quello di un piemontese di 2.300 Euro (dati da LiberoMercato, riportati nell'articolo di Alberto Lusiani). Questa situazione si ripete dal dopoguerra (come documentano Michele e Aldo). A mancare non è affatto «attenzione verso il Sud»; piuttosto mancano i risultati di tanta attenzione. La spesa per trasferimenti al Sud è un investimento per il paese. Senza un ritorno, in termini di crescita del Sud, l’investimento è fallimentare. Bisogna avere il coraggio di condizionare quindi l’investimento al ritorno, di rompere la dipendenza economica del Sud dai trasferimenti, anche a costo di una difficile transizione.

Ma perché i trasferimenti di oltre 50 anni non hanno avuto effetto? La risposta è nel ruolo del settore pubblico e della grande impresa (finanziata dal settore pubblico) nello sviluppo economico. La crescitanon si ha distribuendo spesa pubblica, costruendo cattedrali nel deserto, sussidiando imprese pubbliche e private improduttive, sostenendo salari indipendenti dalla produttività. La crescita si ha attraverso attività imprenditoriali produttive e profittevoli, cui siano garantite istituzioni e amministrazioni pubbliche efficienti, bassi livelli impositivi, e flessibilità nel mercato del lavoro. Il caso dell’Irlanda è a questo proposito sintomatico.

Purtroppo anche nella parte più costruttiva del discorso del presidente, laddove si richiede una «autocritica e un'autoriflessione», a ben vedere ci si rivolge agli amministratori della cosa pubblica piuttosto che non alla società civile. È indubbio che una amministrazione pubblica più efficiente sia importante per il Sud. La spesa pro-capite per la scuola e per la sanità è simile al Nord come al Sud, ma gli studenti del Sud fanno peggio nei test Pisa e la qualità delle cure mediche al Sud è inferiore (come evidenziato dalla elevata migrazione verso la sanità del Nord; grazie ad Alberto Lusiani per il riferimento ai dati). È indubbio anche che la classe politica dirigente al Sud sia responsabile di inefficienza e talvolta di corruzione. Ma la classe politica è espressione della società civile. Quando una economia è dipendente da trasferimenti fiscali, la società civile tenderà ad esprimere una classe politica in grado di massimizzare tali trasferimenti, anche a costo di enormi inefficienze. In questo contesto, richiedere una «autocritica e un'autoriflessione» alla politicaè un inutile appello ai buoni sentimenti.

E il cerchio dell’analisi si chiude. Il Sud ha bisogno di crescita e di efficienza. La ricetta offerta è ancora una volta il ricorso alla spesa pubblica incondizionata, motivata dall’emergenza. La stessa ricetta utilizzata dal dopoguerra in poi. Ma la spesa pubblica incondizionata induce dipendenza economica, distrugge la crescita, e favorisce lo sviluppo di una classe politica inefficiente. È davvero questo il meglio che possiamo offrire al Sud del paese?

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Commenti

Ci sono 183 commenti

Non capisco una cosa - Alberto scrive:

 

 

In solo otto regioni in Italiai trasferimenti fiscali sono positivi (i tributi raccolti sono superiori alla spesa pubblica - dati Ministero delle Finanze, 2005): Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia.

 

Ma nei dati riportati nell'articolo citato le regioni a bilancio positivo sono:

Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia.

Nella tabella saldo della Toscana e' assai piu` significativo di quello del Friuli Venezia Giulia, e sostanzialmente identico a quello della Liguria.

Mi sono perso qualcosa io?

 

Ma nei dati riportati nell'articolo citato le regioni a bilancio positivo sono:

Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia.

 

Hai ragione, a questo punto non torna il titolo di Libero Mercato che parla di 8 Regioni, perche' le Regioni in attivo in attivo sono 9 e non 8.  Probabilmente questo ha contribuito a trarre in inganno anche Alberto Bisin. Propongo di accordarci su 8 Regioni in attivo, Toscana inclusa, posizionando il Lazio tra le Regioni assistite, considerato che l'attivo laziale nei dati statistici deriva come gia' osservato dalle commesse pubbliche romane e dagli alti ed eccessivi stipendi dei politici e alti dirigenti statal-ministeriali residenti nell'Urbe, pagati con le tasse di tutta Italia in misura assolutamente spoporzionata al pudore e alla produttivita'.

 

 

ho corretto. grazie.

da meridionale, non posso che essere d'accordo: la spesa pubblica in questi anni non fatto altro che alimentare un'imprenditoria dalla scarsa capacità d'innovazione ed una classe politica maneggiona. è una generalizzazione, ovviamente, ma, insomma, nemmeno poi tanto.

 

Ma il nuovo corso è già iniziato.... che problema c'è ?

www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200812articoli/38805girata.asp

Scatto d'ira? E' poco. Non se ne può più di sentir parlare di "questione meridionale".

Neanche ho letto l'articolo tanto l'argomento mi fa sentire mortificata per lo spreco di risorse di cui è capace il sud. Abito in Campania e da qui in giù si riesce solo a sopravvivere tra disservizi, maleducazione, evasione e assuafazione a un sistema marcio e radicato di malgoverno e ruberie. E tra le solite facce di politici incollati alle poltrone con i loro seguiti di nullafacenti a fare da contorno. (Mi perdoni De Luca, sindaco di Salerno, che sembra l'uomo del "fare" e non del "dire". Sembra...).

Teresa.

Alberto, forse non servirebbe dire che la tua analisi è incontrovertibile - e del resto dico le stesse cose da anni - sebbene sia sempre bene proporre periodiche ripetizioni di concetti che non tutti accettano - spesso per motivi elettorali o semplicemente campanilistici - o che alcuni dicono di condividere ma non ne traggono ovvie conseguenze operative.

Ciò detto, vorrei aggiungere una riflessione.

Ho spesso occasioni di confronto, nel sistema delle piccole aziende confindustriali, con opinioni espresse da colleghi meridionali, per lo più con caratteristiche intellettuali e capacità imprenditoriali superiori alla media delle zone di provenienza, com'è abbastanza ovvio se si considera la maggiore sensibilità alla cultura d'impresa che caratterizza chi s'impegna in attività associative.

Mi colpisce sempre - negativamente, ça va sans dire – una caratteristica troppo spesso evidente nell'approccio ai problemi, peraltro in genere sviscerati con valide analisi: una propensione al vittimismo che, sebbene anche comprensibile perché correlata alle maggiori difficoltà di quei territori, non mi pare sia il modo migliore di affrontare il mondo.

Non tutti, intendiamoci, si comportano allo stesso modo (e da taluni io stesso ritengo di aver molto da imparare), ma l'impressione è che si tratti di un – per me davvero fastidioso - retaggio culturale duro a morire, lo stesso del quale è vittima l'ottuagenario inquilino del Quirinale, le cui parole ne sono ampiamente influenzate.

Magari se lo stato inviasse in ciascuna delle regioni che ricevono dei trasferimenti netti dalle altre nonché nelle città con più di 100 mila abitanti, un commissario con l'incarico di gestire tali risorse gentilmente "donate" dalle regioni più ricche, qualcosa potrebbe cambiare.  I commissari, che risponderebbero direttamente al Ministero del Tesoro, dovrebbero essere completamente svincolati dalla classe politica locale che avrebbe l'incarico di gestire solo le risorse prodotte in loco (l'invio dei commissari è di fatto un atto di sfiducia nei confronti della classe politica che avrebbe comunque la possibilità di riabilitarsi gestendo in modo efficiente il "gioco a somma zero" che le rimane). Il personale (poco) necessario ai commissariati dovrebbe essere preso tra quello già esistente (niente nuove assunzioni per evitare costi e carrozzoni aggiuntivi), tranne quello delle scorte di cui, temo, i commissari avrebbero bisogno. Magari si potrebbero tosare le scorte degli uomini politici. Chissà cosa direbbe il presidente Napolitano, che peraltro mi sembra che abbia attribuito qualche responsabilità anche ai politici meridionali. Un conto sono le chiacchiere, un altro i fatti. Naturalmente si può cominciare con una quota (almeno il 20/30%) delle risorse in questione.

Il principio è sempre quello (no taxation without representation) e poichè si tratta di risorse messe a disposizione da altri anche questi hanno il diritto di chiedere conto del modo in cui vengono gestite. Non solo gli elettori locali che pagano solo una parte del conto.

N.B. Ovviamente le province andrebbero abolite. Ovunque e comunque. Chissà come faceva l'Italia ad andare avanti prima che le inventassero. I comuni più piccoli possono tranquillamente consorziarsi per gestire quelle attività che generano economie di scala.

a me pare che la confusione regni sovrana in questo dibattito. premetto che anche io credo nella necessità di aumentare la produttività e la crescita al sud: chi non lo vorrebbe? ma quello che è fuorviante nel dibattito è questo presunto "appropriamento indebito di risorse del nord da parte del sud". ovvero ciò che viene definito "trasferimenti" nel post, termine che più confusionario non può essere.

vorrei dei chiarimenti per favore. ma di quali trasferimenti stiamo parlando?

1) se guardo al conto delle amministrazioni locali, vedo che i trasferimenti da tutti gli enti pubblici a tutte le Amministrazioni locali (tutte! nord e sud) sono circa 100 miliardi. Ora di questi, poco meno di 50 miliardi sono trasferimenti per finanziare la sanità a carico delle Regioni (si tratta di compartecipazioni all'IVA). La quota di questi 50 miliardi che va a ciascuna Regione dipende dal gap tra la spesa complessiva (pro-capite tutte le Regioni hanno più o meno la stessa spesa) e le risorse proprie (leggi: tasse che riescono a riscuotere). Bene, di questi 50 miliardi, circa 40 sono ripartiti in base ai consumi regionali; solo meno di 9 miliardi hanno finalità perequativa (e tra le Regioni che la ricevono ci sono quelle del Sud ma anche, attenzione, la Liguria!). Quindi di questi famosi trasferimenti dal nord al sud ne abbiamo trovati finora solo 9 miliardi (circa lo 0,6 per cento del PIL, niente!!). Degli altri 50 miliardi della categoria "trasferimenti" so poco, ma riflettiamo: se per la sanità che è la principale funzione decentrata la perequazione vale così poco, voi credete che la quota perequativa degli altri 50 miliardi possa essere grande? Ecco. Diciamo che ad esagerare i "trasferimenti" dal nord al sud - se ci basiamo sulla voce ufficiale trasferimenti del conto della PA - sarà intorno a 0,8 punti di PIL all'anno. Ci vogliamo scandalizzare? Forse si, perché a me sembrano perfino pochi. Ma lasciamo stare.

2) Bisin parla di "trasferimento fiscale pro-capite". In pratica stiamo parlando di "residui fiscali" immagino, no? Ma qui la confusione aumenta. Ricordo che il nostro sistema di tassazione è progressivo sul reddito. Se guardo il reddito medio al nord mi accorgo che è molto più alto di quello al sud. Visto che le tasse si pagano sul reddito (e non sulla residenza), e che per di più sono progressive, mi pare ovvio che il lombardo medio paghi più tasse del siciliano medio. Qualcuno è contrario a questo? Teniamo presente che non ci sono dati dettagliati sulla spesa pro-capite, ma si può tranquillamente affermare che questa sia molto (molto) simile tra nord e sud. In conclusione stiamo dicendo che a parità di trasferimento pubblico dallo Stato ai cittadini, quello medio del nord paga di più di quello del sud perché più ricco. Si può non condividere, ma per piacere chiamatela col nome giusto: REDISTRIBUZIONE DAI RICCHI AI POVERI. Ricordo, che se abito a Calascibetta (Enna) e guadagno 500.000 euro l'anno il mio "trasferimento fiscale" (per chiamarla a la Bisin) sarà superiore di quello del Sig. Brambilla che vive a Milano e guadagna 12.000 euro l'anno. Tutti d'accordo immagino, no? Siamo economisti...

Il punto è che le funzioni di spesa a carico delle amministrazioni locali sono molto limitate (sanità è il grosso). Il resto lo decide lo Stato: ne fissa i criteri, gli standard, stabilisce quanto si può spendere e come. Esempio: lo stipendio degli insegnanti e il numero (approssimativo) di studenti per insegnante lo fissa (lo contratta?) lo Stato. La spesa per istruzione non è a carico dei comuni malfattori e delle Regioni ladre del sud, signori.

In conclusione, possiamo anche "commissariare" i comuni e le regioni del sud (ma il Commissario può essere Montalbano? e poi, perché non un dittatore al comando di Formigoni?), ma non è che questo riduce il "trasferimento fiscale pro-capite" di Bisin.

ahimé...

Caro Pietro,

non e' corretto ridurre i trasferimenti da Nord a Sud ad un semplice trasferimento da ricchi a poveri, perche' le tasse riscosse a Sud non sono inferiori a quelle del Nord solo per la minore ricchezza ma anche per la molto maggiore evasione fiscale, stimata al 65% di tutta l'economia privata, rispetto al 13% della Lombardia, al ~25% delle altre Regioni padane, e al 35-40% delle Regioni rosse dell'Italia centrale. Come spero converrai il trasferimento surrettizio di risorse effettuato consentendo evasione fiscale a go-go a Sud e facendo le campagne anti-evasione quasi solo al Nord e' un trasferimento indebito e per nulla dovuto, e non si tratta dell'unico trasferimento indebito.

Tu hai cercato di fare una stima dei trasferimenti di ricchezza: ti ricordo che avevo gia' riportato in un passato commento il consuntivo che ne fa Mario Draghi, governatore della banca d'Italia nelle considerazioni finali del 2008. Riporto i brani rilevanti nel seguito. Il trasferimento ammonta al 3% del PIL di tutto lo Stato, e MD lo definisce "ammontare imponente". A spanne stimo sia il 3.8% del PIL del centro-nord, e il 5.37% del PIL del Nord (che e' la sola parte del Paese, piu' con moderazione Toscana e Marche, a contribuire).  Se contiamo che la pressione fiscale media corrispondente a tasse realmente pagate e' 43% del PIL, che presumo possa arrivare verso il 50% al Nord, risulta che oltre il 10% di tutte le tasse riscosse al Nord va a finanziare il Sud.  Se il Nord fosse indipendente, potrebbe raddoppiare la spesa pubblica per scuola, universita' e ricerca, con quei soldi, piu' o meno, oppure potrebbe ridurre tutte le tasse dall'IRPEF all'IVA all'IRAP, all'ICI di oltre il 10%.

Il trasferimento e' scandaloso non tanto e non solo per la sua grandezza, ma perche' non produce risultati.  Con investimenti infinitamente inferiori (i contributi UE) aree un tempo povere come il Sud Italia, e cioe' Spagna, Grecia e Irlanda si sono sviluppate fino a raggiungere e superare il PIL pro-capite medio italiano.

L'investimento nel Sud Italia non produce risultati anche perche' una parte significativa di esso e' "indebito" nel senso di non dovuto, oppure di stupido, oppure corrispondente a sprechi funzionali al solo acquisto di consenso clientelare.

Non e' dovuto ad esempio pagare i dipendenti statali meridionali come quelli del centro-nord, in presenza di un costo della vita inferiore.  Non avviene cosi' per esempio in Germania, dove i dipendenti dell'Est sono pagati meno riconoscendo l'esistenza di documentabili differenze nel costo della vita.  Oltre che non dovuto, e' anche stupido pagare i dipendenti pubblici in misura uguale, perche' corrisponde a drogare e distorcere l'economia meridionale, dove diviene piu' conveniente ai singoli investire ogni sforzo per arrivare all'impiego pubblico che viene pagato significativamente piu' del corrispondente impiego privato.  Non e' certo con queste misure che Spagna, Irlanda e Grecia si sono sviluppate, nessuno in Europa ha pensato di finanziare in questi tre paesi dipendenti pubblici pagati come in Francia e Germania.

Non e' dovuto assumere e stipendiare nel Sud Italia un numero di impiegati pubblici in rapporto alla popolazione significativamente superiore al resto del Paese (esempio limite: gli operai forestali calabresi), per gli stessi motivi appena elencati.  Non e' dovuto assumere numeri uguali o superiori di dipendenti nel settore sanitario meridionale, se poi si osservano massicci esodi sanitari mono-direzionali in altre Regioni.

Non e' dovuto riconoscere un numero doppio di pensioni di invalidita' in rapporto alla popolazione nelle Regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali. Non e' dovuto corrispondere le stesse pensioni minime al Sud rispetto al Nord, in presenza di documentabili differenze del costo della vita.

Per finire, riporto cosa ha scritto Mario Draghi:

 

La spesa pubblica è tendenzialmente proporzionale alla popolazione, mentre le entrate riflettono redditi e basi imponibili pro capite che nel Meridione sono di gran lunga inferiori. Si stima che il conseguente afflusso netto verso il Sud di risorse intermediate dall'operatore pubblico, escludendo gli interessi sul debito, sia dell'ordine del 13 per cento del prodotto del Mezzogiorno, il 3 per cento di quello nazionale. È un ammontare imponente; per il Sud, è anche il segno di una dipendenza economica ininterrotta. La sua incidenza non è uguale dappertutto: varia dal 5 per cento del prodotto regionale in Abruzzo al 20 per cento in Calabria.  Nonostante un tale impegno finanziario, resta forte la differenza tra Mezzogiorno e Centro Nord nella qualità dei servizi pubblici prestati, a parità di spesa. Divari si trovano in tutti i settori: dalla sanità all'istruzione, dall'amministrazione della giustizia a quella del territorio, dalla tutela della sicurezza personale alle politiche sociali, alla stessa realizzazione di infrastrutture.

 

Aggiungo un po' di quello che segue, sante parole da uno dei pochi uomini di vertice in Italia che sia competente e onesto:

 

L'accento deve spostarsi dalla quantità delle risorse alla qualità dei risultati.  Le stesse politiche nazionali devono tener conto, nel disegno e nelle modalità operative, della diversa efficacia applicativa che le medesime norme hanno in differenti aree del Paese. Che si scelgano, a seconda dei casi, sistemi basati sull'accentramento o sul decentramento decisionale e amministrativo, se si vuole innalzare la qualità dell'azione pubblica al Sud un punto resta fermo: l'azione pubblica degenera senza un sistema di valutazioni indipendente e trasparente, che dia ai cittadini informazioni chiare e confrontabili sulla qualità dei servizi. Livello di apprendimento degli studenti, migrazioni verso gli ospedali pubblici di altre regioni, tempi di degenza e percentuali di guarigione, durata dei processi civili: questi sono esempi tratti dai campi in cui più si sente il bisogno di rilevazioni obiettive, sistematiche, frequenti, su cui misurare i progressi delle singole amministrazioni, stabilire un corretto sistema di incentivi, indirizzare le risorse pubbliche.

Il federalismo fiscale avrà tanto più generale consenso nel Paese quanto più accrescerà l'efficacia dell'azione pubblica. Regioni ed enti locali, cui la Costituzione e le leggi affidano un ruolo crescente, hanno particolari responsabilità.  È importante che il sistema dell'imposizione e della spesa a livello decentrato sia tale da premiare l'efficienza, indirizzare le risorse verso gli usi più produttivi e le priorità più urgenti. La misura della redistribuzione regionale di reddito che si realizza attraverso flussi perequativi tra Stato ed enti decentrati è scelta politica; ma è necessario che le regole per determinare tali flussi siano semplici e trasparenti; che chi riceve fondi dia ampiamente conto del loro utilizzo. Il sistema dei trasferimenti agli enti decentrati deve abbandonare il criterio della spesa storica, che premia l'inefficienza. Cardine di una sana autonomia fiscale è la stretta corrispondenza tra esborsi e tassazione: ogni onere aggiuntivo dovrebbe idealmente trovare finanziamento a carico dei cittadini cui l'amministrazione risponde. Ne sono condizioni la disponibilità di basi imponibili ampie e stabili, vincoli severi all'assunzione di debito, regole predefinite per i trasferimenti dal centro.

 

 

 

La soluzione sarebbe molto semplice/ trasferire le risorse non alle amministrazioni pubbliche, ma direttamente ai cittadini con reddito basso.

Questi trasferimenti (chiamateli "imposta negativa sul reddito" se volete) potrebbero essere imponibili al pari degli altri redditi da parte della fiscalità locale, in modo da permettere alle suddette amministrazoni di procacciarsi il necessario, ma rispondendone politicamente agli elettori=contribuenti.

 

Ciao Alberto.

La maggior parte degli economisti italiani di scuola quantitativa applica a tutto, ma non alla storia ed economia del Mezzogiorno, i propri tenets:

1. Tutto è endogeno (e, aggiungo, quindi anche le culture);

2. La gente risponde agli incentivi. 

Tu hai il merito di reintrodurli nel dibattito sul Mezzogiorno quando esponi un concetto con cui concordo, e che spiega ampiamente il secondo dopoguerra dei De Mita e Mastella. “Ma la classe politica è espressione della società civile. Quando una economia è dipendente da trasferimenti fiscali, la società civile tenderà ad esprimere una classe politica in grado di massimizzare tali trasferimenti, anche a costo di enormi inefficienze.” Ma perché l’economia del Sud è dipendente da trasferimenti fiscali? Come si è giunti a quel nodo? E come è da leggere la storia dei trasferimenti nell’Italia Unita? Dobbiamo guardare un po’ più indietro.

 

Nel 1860 l’emergente borghesia del Nord della penisola italica condusse la conquista del Sud, traendone gran profitto grazie all’”Obbedisco” garibaldino. La sua alleanza con gli altrimenti pericolanti latifondisti di giù tagliò le gambe all’imprenditoria meridionale, ben attiva agli albori della rivoluzione industriale a dispetto della vulgata di regime. All’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 le Due Sicilie furono premiate come terzo paese industriale al mondo (dopo Inghilterra e Francia; oltre a prime ferrovie, prime treni e navi a vapore della penisola, altri primati economici, scientifici, culturali su http://it.wikipedia.org/wiki/Primati_del_Regno_delle_Due_Sicilie). Nell’anno 1900 Nitti, garibaldino della prima ora, documentò nelle “Prime linee di un’inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello Stato in Italia” che in tutti i 4 decenni dopo l’Unità i residui fiscali, la differenza tra entrate e spese pubbliche procapite, erano stati ampiamente positivi nelle regioni del Sud, a tutto vantaggio del Nord. Per il periodo ancora a cavallo fra ‘800 e ‘900, Fenoaltea documenta l’asse verticale Est-Ovest, piuttosto che quello Nord-Sud, quale linea di demarcazione dello sviluppo economico nella penisola. E ciò nonostante il fatto che il Nord si fece con tutto nell’Italia unita, potere politico, economico e culturale, nonostante il crollo del prodotto nell’ex-Stato delle Due Sicilie conseguente al cambio traumatico di regime, nonostante l’enorme job destruction intervenuta con la demolizione dell’organizzazione amministrativa e produttiva, con l’assegnazione di ogni commessa a produttori del Nord, con leggi quale quella che per una ventina d’anni dopo l’unificazione affermava che tutta la cancelleria del Regno d’Italia dovesse provenire dai territori dell’originario Regno di Sardegna (oggi lo chiamerebbero “mastellismo”, all’epoca era per Decreto…;cfr. i 5 studi di settore al Sud immediatamente pre e post Unità in “Noi della Meridionale Italia” di L.De Matteo, ediz. ESI). Nessuna meraviglia: il primo re d’Italia si chiamava Vittorio Emanuele II. La biforcazione Nord-Sud, inesistente prima, iniziò nel 1860, con lo scippo della rivoluzione industriale. Le prime emigrazioni dal Sud si registrarono intorno al 1875 e fino al secondo dopoguerra si diressero esclusivamente verso il Nuovo Mondo.

 

Citando S. Settis, rettore della Normale, lo Stato delle Due Sicilie fu il primo nella penisola ad emettere nel ‘700 una legislazione di tutela del patrimonio artistico, architettonico e ambientale (a Napoli a inizio ‘800 si faceva la raccolta differenziata). Fu anche il primo ad istituire un sistema pensionistico, nonché a creare un gigantesco Albergo dei Poveri nella capitale, dove ospitare i meno fortunati dello Stato avviandoli a una professione, esempio ante litteram di welfare state, testimonianza insieme di opulenza e di progresso civico. La verità è che dalla sedimentazione dell’emancipazione dal bisogno nasce il senso civico, l’arte, la bellezza. Una volta reimmiseriti, resta solo l’avanzare di più miseria, e il mordersi fra cani di strada, messi in strada. Ci sarebbe a lungo da parlare, anche dati alla mano (c’è bisogno di quelli del 1859 per credere a quelli del 1861). Dobbiamo invece ascoltare liturgie dominanti di surrettizia genetica o genetica culturale, come la plenary lecture di Tabellini a Budapest EEA-ESEM ’07, cui assistetti scoprendo di  essere un bad type!

[Tabellini 2007, The scope of cooperation, è uno sforzo di spiegare l'attuale stato delle cose, ma come al solito solo spalmando l'oggi sullo ieri, ipotizzando l’esistenza in origine di good e bad types, distinti nella rapidità (maggiore nei bad) con la quale smaltiscono il costo psicologico di cattive azioni verso il prossimo. E' ovvio che, nella sua presentazione, i good abitavano al nord e i bad al sud... Ma questo è spalmare l'oggi sullo ieri, e di nuovo trascurare a pié pari l'endogeneità delle culture, che dipende dall'endogeneità dello sviluppo economico (su cui qualche fattore esogeno influirà...) (L'ipotesi cui mi riferisco sta all'inizio del par.2.3, la conserva anche introducendo poi endogenous policies). Alla fine, in equilibrio, la cultura dei feroci e senza scrupoli sarà peggiore inducendo minore sviluppo economico, quella dei good types, che sono più felici di unirsi e costruire insieme, sarà invece prospera... Un Putnam rinnovato e modernizzato con complicato modello economico. Ma, come per Putnam, una persona del Sud e una del Nord Italia erano diversi già a Neanderthal... All'EEA applausi scroscianti: la norma culturale degli economisti è sicuramente coesa (oltre che anglocentrica).]

 

La surrettizia conquista cui è stato sottoposto il Sud è invece alla base di tutto.

A meno di credere che Bush sia andato davvero a “liberare” l’Iraq e che la Rubattino abbia dato la nave ai Mille perché il sig. Rubattino era un altro amante della libertà - salvo divenire esclusivista della navigazione nel Tirreno a conquista avvenuta, a scapito della Soc.di Navigazione Meridionale, di Napoli, nel mondo seconda solo agli inglesi (con il Regno del Primo Re d’Italia, la Rubattino si trasformerà in Tirrenia…).

 

 

Io sono un completo ignorante, ma tutto quanto dici suona molto interessante... sarebbe interessante avere qualche riferimento sulle tue fonti (sia in termini di dati che di pubblicazioni).

Mi pare però che l'analisi di Alberto resti comunque in piedi, data la situazione attuale, nonostante la prospettiva storica che suggerisci abbia potenzialmente forte rilevanza in termini culturali - e anche politici... ricordate l'amena polemica su Garibaldi?

Comunque, a onor del vero, al di là di tutto, forse sarebbe il caso di citare anche qualche altro passo del discorso di Napolitano... che certo che è retorica, ma almeno un poco meno sprovveduto di come è stato presentato magari lo sarà pure... spero...

 

 

“… E i fondi destinati al Mezzogiorno sono stati negli ultimi anni una riserva cospicua. Ma ritardi nell'utilizzazione, scelte dispersive, insufficienze progettuali e ripiegamenti fuorvianti su cosiddetti progetti sponda, hanno condotto al rischio di perdere una grande occasione.
E' dunque assolutamente indispensabile che cambino i comportamenti di tutti i soggetti, pubblici e privati, che condizionano negativamente il miglior uso, secondo l'interesse generale, delle risorse disponibili per il Mezzogiorno.
Valgono a questo proposito le osservazioni mosse dal professor Barucci, oggi e già in una precedente occasione sempre a Napoli, sulla debolezza delle logiche di mercato, sul peso gravissimo di quelle che egli chiama "intermediazioni improprie", che possono ricondursi a molteplici forme di corruzione e clientelismo, di interferenza e manipolazione rispetto a un lineare e corretto impiego delle risorse pubbliche, e che si traducono in crescita dell'economia illegale.
Bisogna riconoscere che accanto al potenziamento dell'azione già notevole dello Stato contro la criminalità organizzata specie nella sua dimensione di potenza economica, occorre mettere in discussione la qualità della politica, l'efficienza delle amministrazioni pubbliche, e anche l'impegno ad elevare il grado complessivo di coscienza civica, la cui insufficienza moltiplica le difficoltà e favorisce le degenerazioni. …”.

 

 

Luca, grazie per il contributo ma devo ammettere che la mia curiosità, più che alle origine storiche dell'arretratezza, è indirizzata alle scelte politiche future e a come uscire dalla situazione attuale.

Io non so esattamente come si è arrivati alla situazione corrente di dualismo, ma prendiamo pure per buona la tesi che la dicotomia sia il risultato di una losca manovra piemontese, aiutata da Garibaldi. La domanda è: cosa ne consegue in termini di scelte politiche da attuare ora?

Il punto sollevato da Alberto Bisin è che al momento l'equilibrio politico-economico che sembra essersi instaurato è tale per cui una ristretta cerchia di società meridionale, quella che più facilmente ha accesso al potere politico, riesce ad appropriarsi di una quota di risorse mediante trasferimenti dal Nord. Tale situazione genera ovvio scontento al Nord ma al tempo stesso non sembra generare molto sviluppo al Sud, dato che il divario tra le due macroaree non accenna a diminuire. Ad Alberto (e a me) sembra ragionevole che si provi a fare qualcosa di diverso. In particolare, essendo noi economisti ed essendo convinti che la gente risponde agli incentivi (su questo hai perfettamente ragione) ci pare ragionevole porre l'accento sull'inaccettabilità degli aiuti incondizionali.

Questo punto è forse scontato nel dibattito economico, ma dal quel che vedo è completamente assente dal dibattito politico, direi in tutti gli schieramenti. Il dibattito viene quasi sempre posto in termini di soldi in più/soldi in meno, mai in termini di soldi per quali risultati e in base a quali meccanismi. L'irritazione di Alberto verso Napolitano, che condivido totalmente, viene da lì: possibile che ancora una volta si ripeta la trita storia del ''dobbiamo aiutare il meridione perché questa è una emergenza economica/civile/politica (scegliere il più conveniente al momento)''? Non abbiamo bisogno di questo, abbiamo bisogno di ragionamenti un pelino più articolati e lungimiranti.

E, per rispondere a marcospx, non basta dire ''E' dunque assolutamente indispensabile che cambino i comportamenti di tutti i soggetti, pubblici e privati, che condizionano negativamente il miglior uso, secondo l'interesse generale, delle risorse disponibili per il Mezzogiorno.'' Queste sono le solite frasette di circostanze, dobbiamo essere tutti un po' più buoni, un po' meno corrotti, un po' meno assetati di potere etc. etc. Non è assolutamente questo il punto. La natura umana è quella che è, e i regimi che hanno tentato di cambiarla hanno fatto danni spaventosi. Prendiamola quindi come data e ragioniamo sugli incentivi. In particolare, ragioniamo su come far sì che i trasferimenti vengano erogati solo a fronte di obiettivi concreti e misurabili, e vengano poi confermati solo quando i risultati vengono ottenuti. E l'unico modo per convincere tutti che si fa sul serio è iniziare a tagliare i fondi dove nel passato sono stati spesi male. È anche l'unico modo per rompere l'equilibrio in cui una grossa fetta della classe dirigente meridionale trae la sua legittimazione e la sua forza dalla capacità di attirare risorse dal resto del paese. Lo so che questo rischia anche di generare situazioni di sofferenza sociale, ma non vedo altra alternativa. O meglio, l'alternativa è la continuazione all'infinito della situazione attuale, con il meridione condannato al mancato sviluppo.

Queste, Luca, sono le cose di cui vorrei si discutesse. L'analisi storica delle cause del sottosviluppo è importante, sia in sé sia per comprendere meglio le ragioni dell'attuale stato di cose. Ma faccio fatica a credere che sia impossibile trovare alcuni principi elementari base (come ''la gente risponde agli incentivi'') che possono essere usati in modo abbastanza generale.

 

Tralasciamo le affermazioni improbabili su Putnam, Tabellini e quant'altro. Non mi sembrano nessuno dei due particolarmente originali nelle loro teorizzazioni ma, almeno, le supportano con dati, fatti, analisi storiche ed economiche. Prima di buttare alle ortiche tanto facilmente non solo il loro lavoro, ma quello di decine di altri occorrerebbe avere dati, fatti, analisi storiche ed economiche che li contraddicano.

Temo non sia sufficiente, all'uopo, una rapida visita ad un paio di pagine (orribilmente fatte) di Wikipedia, ossia questa e quest'altra.

Mi chiedo, quindi, se hai qualche altro dato alla mano che possa convincermi che tutto quanto ho letto sino ad ora sulla situazione economica, sociale e culturale del Regno delle due Sicilie era completamente falso e che, come dici tu

 

La biforcazione Nord-Sud, inesistente prima, iniziò nel 1860, con lo scippo della rivoluzione industriale.

 

Insomma, nel 1859 non v'era differenza alcuna fra Firenze e Cosenza o fra Reggio e Milano: i piemontesi arrivarono con le armi degli inglesi, rubarono tutto quanto c'era e da lì inizio il disastro. Capisco bene? Le masse di contadini analfabeti del latifondo meridionale furono una creazione di Garibaldi e Cavour. Capisco bene? Tutto iniziò con una spoliazione militare durante i primi 40 anni (per una buona parte dei quali governò Crispi, se non erro siciliano doc ...) ed il secolo di "risarcimenti" seguenti non ha potuto fare alcuna differenza a tale scempio. Ho capito giusto?

Vorrei dei ragguagli, possibilmente con dati, fatti, tachi dadi e datteri. Perché nella testa continua a girarmi la strofa che dice "eran 300, eran giovani e forti, e son morti ..."

 

 tanto per non far perdere ulteriore tempo ai lettori, annuncio che il post di Luca Sessa sulle origini storiche della questione meridionale è una massa di sciocchezze.Per avere un'idea rapida dello stato del dibattito fra gli storici economici, consiglio il libro di E.Felice Divari regionali ed intervento pubblico Mulino Bologna 2007.  

Sembrava a me ... ma la parola dell'esperto tranquillizza. Case closed.

Ora leggiamoci il libro, che raccomando vivamente anche alla biblioteca del centro studi della Banca d'Italia. Magari qualcuno dei ricercatori della medesima potrebbe provvedere inviando una richiesta d'acquisto ai 9 funzionari di prima classe preposti a tale funzione ...

Io mi stavo rileggendo con attenzione le parti di The force of destiny: A History of Italy since 1976 di C. Duggan sulla questione. Il libro lo aveva consigliato Michele tempo fa e io me lo sto leggendo lentamente e attentamente. Mi sono andato a guardare i riferimenti bibliografici etc. Non sono un esperto e per questo volevo trovare dati sulla questione posta da Luca Sessa, prima di rispondere. Il libro certamente considera l'interpretazione storiografica di Luca Sessa (che e' quella Marxista classica, mi ricorda Michele) assolutamente superata, una serie di argomenti ideologici senza basi fattuali. Adesso mi andro' a leggere quello che Giovanni Federico e Marco Boleo suggeriscono. I love this blog! non si finisce mai di imparare.

Senza voler far arrabbiare Luca Sessa ne' nessun altro, vorrei citare un brano di una lettera di Nino Bixio a sua moglie, 1863 (rendendomi conto che il brano puo' essere letto come evidenza dell'arretratezza del sud nel 1860 o come esempio del "colonialismo" del nord - era di Genova): 

[ce l'ho solo in Inglese, dal libro di cui sopra, non l'ho trovata nell'originale: 

 We have visited a number of towns in the province of Molise.....Towns! More like proper pigsties! ... It will take many, many years to bring these places up to the level of civilization that we are familiar with. There are no roads, no hotels, no hospitals - in fact none of the things that you would find today even in the most backward parts of Europe! ...What kind of government has God willed upon the people here? ....

 

Quattro giorni per lavoro in Germania, chiusura mentale totale su little italy, nonostante un eccellente wi-fi, e al ritorno trovo un post di AB su di noi, niente male.

Sulla questione posta da Luca Sessa non voglio aggiungere niente, già da anni c'è una grande bibliografia sul trasferimento di risorse dal sud al nord in epoca post-unitaria, ci sono fior di studi completi, che i redattori di Nfa conosceranno sicuramente, per gli altri si trova qui .

A Michele ricordo che non erano sole le plebi contadine meridionali a soffrire la fame, ma anche i contadini della Val Padana (in cui era diffusissima la pellagra, malattia da malnutrizione), oltre che il mitico Nord-est, tanto che i veneti erano considerati i terroni del nord. Quindi, mal comune, mezzo gaudio.

Ma entrare nella polemica "è colpa tua, no tua" non ci fa capire niente, anzi. La verità, scomoda, è che i trasferimenti di denaro, oggi, 6 Dicembre 2008, sono alti, imponenti,e io non so, e non voglio sapere, se la causa è l'evasione fiscale, se è un trasferimento tout-court dai ricchi (presenti in massima parte al nord) ai poveri (presenti in massima parte al Sud), perchè oltre che essere una discussione "accademica", potrebbe essere la faccia diversa della stessa medaglia, le due cose non sono inconciliabili, anche se, ripeto un concetto già espresso, io non credo che l'operaio che lavora in nero nei cantieri abusivi campi da nababbo, anzi, per cui togliergli pure quel poco non mi sembra la soluzione.

Ero stato invitato al discorso che Napolitano ha tenuto all'Elasis, ma avevo altri impegni e non ci sono andato, sapevo che sarebbero state parole di circostanza, l'autocritica è sconosciuta alle classi politiche meridionali sono sempre più convinto che solo il taglio deciso, netto, di tutti i trasferimenti potrebbe portare ad una diversa presa di coscienza, oltre ad una differenzazione salariale e contributiva fra le varie Regioni, che solo così, forse, comincerebbero a cercare di risolversi i problemi da sole, senza chiedere elemosine.

A Doktor Franz, che un giorno vorrei avere il piacere di conoscere, rispondo solo che non conosco imprenditori meridionali che fanno "vittimismo", qui è dura, durissima, per cui quelli che vanno avanti sono solo quelli con una marcia in più. Oppure con una pistola in più.

Mi spiace averti rovinato il ritorno dalla Germania. :) Ma e' colpa di Napolitano. Mi ha fatto davvero arrabbiare. Sulla storia: Luca Sessa non argomenta solo che ci siano stati trasferimenti dal sud al nord dopo l'unificazione (per quanto ne so, questo e' vero), ma che questa sia stata la causa di una divergenza di crescita e livelli di reddito tra nord e sud che non esisteva nel 1860. 

Pero' una bella discussione tipo: "e' peggio la pellagra o il colera?" sarebbe divertente :)

Marco, io intendevo dire che se anche tra persone di valore, che lottano in un mondo difficile e sono attrezzate per farlo (molti dei piccoli imprenditori meridionali che io conosco, quelli dai quali ho affermato di aver certamente da imparare) affiorano tendenze al vittimismo (e conseguenti richieste di “un occhio di riguardo”), che ho potuto constatare di persona, allora non ci si deve stupire che la massa abbia un simile approccio culturale.

Alla massa, appunto, si rivolgono i politici per riceverne il consenso e, sebbene chi occupa le stanze del Quirinale non ne abbia più elettoralmente bisogno (politicamente, però, ne trae un vantaggio), è ovvio che le dichiarazioni di Napolitano siano influenzate dall'abitudine di decenni in politica e dalla contiguità con chi ancora sgomita per raggiungere o conservare il potere.


che un giorno vorrei avere il piacere di conoscere

 

Senza piaggeria, ritengo che le convinzioni che esprimi debbano essere maggioritarie all'interno del moloch. Se, come ho già scritto in un recente passato, vuoi condividere la mia battaglia contro i mulini a vento, sei il benvenuto …... :-)

 

 

 

Dato che la discussione spazia tra uno sguardo al passato e uno al futuro, provo a inquadrare la mia domanda nella stessa duplice prospettiva.

Quanto ha inciso in passato - immagino ci saranno analisi a riguardo - sullo sviluppo del nord lo sfruttamento del lavoro a basso costo del sud?

Se in futuro si andasse nella direzione di tagliare i trasferimenti, differenziare i salari ecc., non si rafforzerebbe (almeno nel breve termine) l'incentivo per le migliori risorse del meridione a scappare? O come si potrebbe traformare un simile fenomeno in meccanismo "virtuoso"?

E perchè io imprenditore dovrei scappare, se ho la possibilità di pagare salari più bassi ? Anzi, investirei, perchè poi mi ritroverei con una produttività più alta, a fronte di salari inferiori, e così si creeerebbe un ciclo virtuoso. Le "gabbie salariali" furono fatte cancellare dai sindacati, oggi ne paghiamo le conseguenze, dire che fu un errore non sarebbe un dramma, il dramma è non prenderne atto.

 

Ciao Marco,

non ho capito una cosa della tua domanda. Mi sorprende un po' che ci sia stato "lavoro a basso costo" al sud che il nord ha sfruttato. Intendi basso costo, diciamo, orario (relativamente al Nord)? Perche' in quel caso, non so se ci sarebbe lavoro da sfruttare, basso salario rifletterebbe bassa produttivita'. Quindi, l'effetto sullo sviluppo del Nord non ci sarebbe.

Se invece per basso costo intendi "conveniente", allora credo tu stia parlando, ad esempio, di salari bassi e produttivita' uguale (sempre in riferimento al Nord). Allora sarebbe un po' sorprendente che non sia successo al Sud come e' successo alla Cina di questi anni, e che non si sia sviluppato magari fino a colmare i divari.

Scusa, ma pensavo che la domanda dovesse essere precisata, altrimenti non sappiamo di cosa stiamo parlando. Se qualcuno ne sa di piu', leggo volentieri.

Ciao

 

 

Visto che la storia sembra interessare (e Michele è così gentile), aggiungo un paio di precisazioni.  i)La tesi dei trasferimenti netti dal Sud al Nord negli anni Sessanta e Settanta fu avanzata da Nitti nel 1900 [Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1896...] per giustificare il programma di intervento a favore del Sud (che poi sarebbe iniziato con la legge speciale per Napoli nel 1904). La sua analisi quantitativa del bilancio dello stato fu confutata con efficacia da Gini nel 1914 [L'ammontare a la composizione della ricchezza delle nazioni] anche se poi l'idea ricompare periodicamente fra gli storici poco informati.  ii) Parecchi politici meridionali si lamentarono allora dell'estensione della politica doganale piemontese, molto liberale, all'intera Italia nel 1859 (seguita da un'ulteriore liberalizzazione nel 1863). I bassi dazi avrebbero spazzato via l'industria meridionale, abituata ad un elevato livello di protezione. Questa tesi è sicuramente plausibile. Probabilmente la maggioranza dei lettori di questo blog non è disposta a piangere troppo sulle sorti dell'industria meridionale protetta  

E io che pensavo che almeno la tesi dei trasferimenti dopo l'unita' fosse vera! 

Il federalismo si avvicina e riemergono questioni mai totalmente metabolizzate (che ne dica La Russa). Capita allora che il comune di Gaeta chieda 220 milioni di danni (ai Savoia, ovviamente, non alla stato unitario).

 

E' fuorviante vedere il problema per regioni o macrozone. Concentriamoci piuttosto sulle persone. In Italia ci sono ricchi e poveri. Per vari motivi che non é rilevante analizzare la loro distribuzione non é omogenea sul territorio. Il punto é quindi trasferire delle risorse dai più ricchi ai più poveri, a prescindere dalla località di residenza. Per evitare i molti inconvenienti evidenziati da alcuni interventi sarebbe più efficace trasferire le risorse non alle amministrazioni pubbliche, ma direttamente ai cittadini con reddito basso.

Questi trasferimenti (chiamateli "imposta negativa sul reddito" se volete) potrebbero essere imponibili al pari degli altri redditi da parte della fiscalità locale, in modo da permettere alle suddette amministrazioni di procacciarsi il necessario, ma rispondendone politicamente agli elettori=contribuenti.

 

Il punto é quindi trasferire delle risorse dai più ricchi ai più poveri, a prescindere dalla località di residenza.

 

E perché mai? Io conosco centinaia di "poveri" che sono fannulloni, scemotti o comunque incompetenti. Per quale misteriosa ragione è "il punto" trasferire a loro le risorse che io produco facendomi il culo da mane a sera? Dico sul serio: perché?

P.S. On top of that, la cosa che dici nulla ha a che vedere con i trasferimenti di cui si discute. Perché qui si discute di trasferimenti basati sulla territorialità. What's the logic?

Tutto il tuo discorso puo' aver senso quando gli standard dello Stato nella determinazione del reddito imponibile e nell'assegnazione dei sussidi e delle pensioni di invalidita' fossero equi sul territorio nazionale, e quando si tenesse conto della diversita' del costo della vita nel calcolo delle imposte inclusa quella negativa. A questo punto l'instaurazione di un sistema di welfare generalista e non particolarista avrebbe l'enorme vantaggio di non essere piu' discrezionale e quindi di togliere il potere politico a quelle classi politiche clientelari che ora prosperano proprio elargendo privilegi illegali e/o non meritati in luogo di sussidi a disoccupati e indigenti reali dovuti universalmente.

 

Questa discussione è interessante perchè nei commenti, o in un alcuni di essi, ricorrono  alcuni atteggiamenti abbastanza riconoscibili nel dibattito sulla "questione meridionale". Intanto già è triste che si usi una espressione del 1800 per riferirci ad un problema del 2008, perchè vuol dire che non abbiamo risolto molto in tutti questi anni.

In effetti quando si pone il problema dell'arretratezza del sud Italia si risponde richiamando tutti le circostanze storiche vere o presunte che avrebbero concorso a determinare la situazione attuale; in genere tali ricostruzioni storiche si affiancano ad una sorta di criminalizzazione dell'unità nazionale perseguita dai piemontesi e dall'altra si sottolinea il livello di sviluppo al quale il sud sarebbe stato destinato se non "dirottato" dal processo di unificazione nazionale a guida piemontese (di quest'ultimo atteggiamento sono tipici i richiami alla cultura napoletana dei secoli scorsi e poi, ovviamente la Napoli-Portici, la prima ferrovia bla bla....). In genere, il concorso combinato di questi due fattori finisce, piaccia o non piaccia, per deresponsabilizzare gli abitanti del sud Italia ed esonerarli dalle loro colpe, inoltre tale vittimismo diventa assai teatrale quando siamo intervistati alla TV e spieghiamo i drammi del sud Italia. Per questo motivo sottoscrivo pienamente Sandro Brusco quando dice che lui vorrebbe trovare soluzioni per i problemi di oggi, non interpretazioni più o meno fondate di quanto successe ieri, anche perchè, posto che si arrivi ad una ricostruzione affidabile del sottosviluppo del meridione d'Italia, non vedo come potrebbe tale ricostruzione garantirci la soluzione dei problemi attuali...il problema, a mio modesto avviso, nasce dal fatto che tutti in Italia pensiamo davvero che Historia Magistra Vitae est, per cui se non sappiamo la storia, come diceva il meridionale Benedetto Croce, siamo costretti a ripeterla: e invece, benchè la storia d'Italia e del sud sia studiatissima, i problemi sono ancora lì, magari attenuati un poco da quel senso d'ineluttabile che giustamente ci stringe il collo quando gli storici ci dicono da quale lunghissima sequela di tragedia il sud Italia è passato; un altro problema è poi il fatto che le elites sono tutte di formazione storico-umanistica e quindi guardano con molto sospetto l'idea che siano gli incentivi a dover rappresentare la via d'uscita ai problemi del meridione. Gli incentivi appaiono sospetti perchè sembrano merce di scambio fra parti interessati e dunque si preferisce praticare la più aulica affermazione di ideali che poi nessuno è in grado di praticare: da qui credo quell'uso di frasi fritte sul bisogno di rimboccarsi le maniche, della moralità della vita pubblica e tutto quel campionario di frasi stinte e sciupate in cui Napolitano eccelle. Questo si è un problema culturale pesante: pensare che la vita pubblica possa essere regolata facendo ricorso alla riscoperta delle vite di personaggi dell'eta dell'unificazione d'Italia e dallo studio dell'esemplarità della loro condotta; e sia chiaro che non sto parlando di cose atruse: è stato Ciampi il primo presidente della repubblica che ha messo in atto questo approccio, quando ha voluto che si riaprisse, a Roma, l'altare della patria, e ha pensato che i problemi del meridione potessero essere risolti facendo ricorso ad un florilegio delle vite dei meridionali illustri(questa idea della esemplarità delle vite dei personaggi illustri è una vecchia fissazione del pensiero repubblicano, oggi addirittura esiste un movimento neo repubblicano che ha fra i suoi esponenti anche un italiano che insegna a Princeton, Maurizio Viroli, che riprende la tradizione machiavelliana:

Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare. Machiavelli si basa su una concezione ciclica della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica della storia è l'importanza che egli attribuisce alla "virtù", ovvero alla capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente l'esperienze degli errori compiuti nel passato.

Ecco, per quanto l'approccio storico che alcuni hanno qui introdotto per studiare i problemi del meridione, abbia dei padri nobili, esso è fallimentare non come metodo storico, per quello va benissimo, cioè che non può fare è risolvere i problemi attuali che non sono storici ma politici ed economici. Ce la farà Napolitano a capirlo, o continuerà a parlare forbito col pilota automatico mentre scopre targhe nelle piazze, commemora, auspica, invoca e così via?

In più farei alcune considerazione ulteriori:

1) L'idea dello sviluppo del Sud bloccato dai piemontesi è particolarmente gradito ai cattolici, che coltivano tutto un filone storiografico in cui il sotto-sviluppo meridionale altro non sarebbe che una leggenda nera messa in giro dai piemontesi che, inebriati di laicità massone e repubblicana di stampo illuministico, volevano screditare i borbonici del sud-italia.

2) Napolitano ha risorse e fondi per centri studi che non stanno facendo quello che dovrebbero se il presidente se ne esce sempre con questi luoghi comuni che non dispiacciono nessuno (a parte Alberto e NFA :-) ), per cui se volesse potrebbe anche essere assai più incisivo nel dibattito politico nazionale. Lo dico perchè non condivido l'idea che il presidente della repubblica sia un rimbambito che gioca con i soldatini a San Rossore o al Quirinale...del resto abbiamo avuto Cossiga che ha bloccato, rispendendola alle camere per ben 2 volte, la legge sull'obiezione di coscienza e poi penso che lui disponga di attribuzioni non formali che, se volesse, potrebbe usare in maniera più utile.

 

 

Eliminare la storia ? E perchè ? Perchè Massimo Ranieri cantava:

basta ca c'e' sta'o sole,

ca c'e' rimasto omare,

na'nenna core a core,

'na canzone pe' canta',

chi avuto, avuto, avuto,

chi ha rato, ha rato, ha rato,

scurdammece'o passato

simm'e napule paisa. ? Per questo ?

Il post di sopra è anche sul presidente della Repubblica, Napolitano.

Ecco, siccome si dice sempre che il presidente della Repubblica ha soltanto poteri formali, e che in definitiva non può fare altro che produrre lamentazioni più o meno forbite sul fatto che mundus senescit e mala tempora current; ecco dicevo, abbiamo proprio in corso una vicenda dove l'arzillo nonno di tutti gli italiani smette i panni dell'osservatore e si fa parte in causa. Mi riferisco alla vicenda del cosiddetto scontro di procure fra Salerno e Catanzaro, salita agli orrori della cronaca negli ultimi giorni.  (Si tenga presente che il Consiglio Superiore della Magistratura ha preso la decisione di cui al link, in 24 ore all'unanimità, decidendo sugli atti del magistrato di Salerno contenuti in un ordinanza di 1600 pagine, disponibile sul sito internet del giornalista del Corriere della Sera, Carlo Vulpio...come abbia potuto questa accolita geriatrica fare tutto così in fretta e con tale urgenza, rimarrà sempre chiaro)

Ebbene, la procura di Salerno non solo archivia le inchieste contro il giudice De Magistris, nel frattempo trasferito da Catanzaro e privato di tutte e tre le inchieste che portava avanti, ma addirittura apre inchieste contro i colleghi di De Magistris per tutta una serie di irregolarità, deontologiche e non solo, commesse dai magistrati di Catanzaro (fra le altre cose, i magistrati di Salerno hanno dovuto sequestrare atti che anadavno chiedendo da un anno alla procura di Catanzaro, che inspiegabilmente non li spediva ai colleghi che hanno la competenza per i reati commessi dalla procura di Catanzaro).

In tutta questa situazione, Napolitano il mimetico, Napolitano il bonario, il punto di riferimento di tutti gli italiani chiede gli atti al magistrato di Salerno (non capisco a che titolo lui possa fare una cosa del genere) e poi da presidente del CSM avvalla la decisione di trasferire sia il procuratore di Salerno che quello di Catanzaro. Naturalmente, lo stesso Napolitano aveva anche avvallato la decisione di trasferire De Magistris, che indagava sui legami tra toghe della Basilicata e faccendieri locali; sulla malagestione dei fondi europei per la costruzione dei depuratori...insomma tutte le cose che rendono il Sud Italia quella formidabile fogna di corruzione, inefficienze e mafie dalle cui schiume, come una venere orrida, è uscita fuori lquella classe politica meridionale di cui Napolitano è esimio esponente.

Io mi incazzo perchè dico: la corruzione la percepiamo tutti, e la tocchiamo con mano oltre a leggerne nei rapporti di Trasparency, per cui se una volta tanto c'è un inchiesta che cerca di mettere mano alla cosa, dico cerca anche senza sapere come andrà a finire perchè tutti sono innocenti fino a prova contraria, ecco perchè questo pavido babbo natale senza slitta, trainato solo dagli asini di cui si circonda nei centri studi costosissimi, non fa davvero da garante degli italiani? Perchè si trincera, quando vuole e gli fa comodo, dietro il formalismo leguleio più triste e farisaico, e invece prende un attivismo che non gli compete quando deve difendere la casta a cui appartiene? Napolitano non solo non capisce un mondo che gli è anagraficamente ostile; non solo ha una storia politica vergognosa di sostegno alle brutali dittature sovietiche; no, è anche uno che a 80 anni suonati non ha nemmeno il coraggio di fare quello per cui è stato eletto, garantire l'indipendenza della magistratura.

 

Anche il csm si sta rivelando scandoloso, attento all'equilibrio dei poteri ed al quieto vivere.
Diciamo che in italia c'è una questione morale che riguarda tutti. Dal grande ladro e corruttore che inneggia alla mafia e all'evasione e siede dove tutti sanno all'opposizione. In particolare tra questi sono oggi ancor più evidenti le responsabilità degli ex ds, di Bertinotti e di Prodi. All'epoca appoggiarono tutti Mastella ("solidarietà") e fecero manovre scandalose per fermare la Forleo.

www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200801articoli/29317girata.asp
www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/09_Settembre/26/mastella_ballaro_prodi.shtml

Napolitano è stato scelto e votato da loro. Quindi Amen.

Tra parentesi in italia il delirio continua senza sosta e per l'ennesima volta mi sento di dare ragione al "becero" Travaglio.

 

 

I qualificati autori di Nfa, quando parlano di Mezzogiorno, si fanno un po’ prendere la mano e non sempre riescono a motivare i loro a priori ideologici con evidenze empiriche robuste o quanto meno coerenti rispetto a ciò che hanno la pretesa di dimostrare. Niente di male ad avere idee e pregiudizi, purché siano presentati come tali.

 

Nel suo articolo Bisin parla di:1) “federalismo fiscale”, 2) “trasferimenti fiscali” dal Nord a Sud, 3) necessità che tali trasferimenti siano condizionati rispetto ai risultati realizzati. La mia sensazione è che questo impasto cerca di amalgamare ingredienti troppo diversi fra loro.

1)      il federalismo fiscale riguarda la dimensione della finanza pubblica che si decide di decentrare, ossia la quota di spese e di entrate che viene direttamente affidata ai  governi locali. Si va da 0 (massimo accentramento) a 100 (secessione): alcuni paesi funzionano bene da accentrati (la Francia ad esempio), altri funzionano bene da decentrati (la Svizzera ad esempio), altri ancora funzionano male sia in un caso che nell’altro (in Italia non mi sembra che il governo della cosa pubblica sia molto migliorato negli ultimi 20 anni di decentramento, ma questa è una mia opinione).

2)      i “trasferimenti fiscali” da Nord a Sud di cui parla Bisin evocano la nozione di residuo fiscale, coniata da Buchanan per giustificare sul piano equitativo la redistribuzione fra individui ricchi e individui poveri (1950, Federalism and Fiscal equity, American Economic Review n. 40). Sull’uso del residuo fiscale a proposito del caso italiano ci sono due obiezioni: una di principio, l’altra di metodo.

Riguardo al concetto di residuo fiscale occorre essere chiari. Esso coinvolge tutto il settore pubblico: è il saldo fra quanto ciascuno di noi paga in termini di tasse (di tutte le tasse pagate, sia quelle locali sia quelle erariali) e quanto riceve in termini di servizi pubblici utilizzati (tutti i servizi, sia quelli di responsabilità locale sia quelli di responsabilità statale). Nei sistemi di welfare state il residuo fiscale è correlato positivamente alla capacità contributiva individuale, poiché le tasse sono progressive rispetto al reddito mentre i servizi pubblici (primo fra tutti quello sanitario) sono garantiti a tutti. Quindi la dimensione del residuo fiscale dipende dalla progressività del sistema tributario e dall’ampiezza dei servizi pubblici che vengono offerti ai cittadini, ma ha poco a che fare con la ripartizione territoriale delle entrate e delle spese. In altre parole, il residuo fiscale misura l’entità della redistribuzione individuale fra ricchi e poveri e non quella fra territori di uno stesso paese. La confusione nasce perché nel caso italiano il residuo fiscale si presta a una forzatura evidente: essendo ricchezza e basi imponibili molto concentrate in alcune regioni del paese, la capacità contributiva assume una precisa gradazione territoriale ossia cresce dal Sud al Nord. Di conseguenza se del residuo fiscale (individuale) si fanno delle medie regionali queste risultano inevitabilmente negative al Sud e positive al Nord (dove risiedono individui e imprese a maggiore capacità contributiva). Ma il residuo fiscale-territoriale è una forzatura, perché la funzione redistributiva è appannaggio dello Stato centrale (secondo la nota tripartizione delle funzioni pubbliche elaborata da Musgrave nel 1959) ed opera allo stesso modo nei confronti di tutti gli individui di una stessa nazione. La caratterizzazione territoriale della redistribuzione individuale è una peculiarità del caso italiano, che dipende dagli squilibri di base dei livelli di sviluppo fra le aree del paese (sulle cui origini siamo stati illuminati da Luca Sessa). Nulla vieta che potremmo avere lo stesso ammontare di redistribuzione individuale anche in presenza di una distribuzione omogenea della ricchezza e delle basi imponibili, perché, come già detto, la redistribuzione dipende dalla progressività del sistema tributario (e dal grado di copertura del servizio pubblico).

Fatta questa lunga premessa, se l’obiettivo politico è quello di pervenire a una riduzione della redistribuzione individuale, che in Italia assume una valenza fittiziamente territoriale, allora bisogna individuare gli strumenti appropriati per conseguire questo risultato. Se si vuole pervenire a una riduzione significativa dei residui fiscali delle regioni del Nord allora occorre rimettere mano all’intero sistema di finanza pubblica, ripensando alle caratteristiche di progressività del sistema tributario e alle condizioni di accesso ai servizi pubblici. Oppure bisogna intervenire sulle cause che generano una distribuzione così asimmetrica del gettito tributario sul territorio, che è all’origine di residui fiscali così ampi. Difficilmente questo obiettivo può essere realizzato attraverso il federalismo fiscale, per una questione di dimensioni (la finanza decentrata è solo un segmento di quella pubblica complessiva). A meno che la quota di entrate e spese decentrate non si avvicini a 100 (ipotesi di secessione), nel qual caso la redistribuzione avverrebbe interamente fra i ricchi e i poveri di una stessa regione. Ma attenzione: quest’ultima ipotesi richiederebbe che venissero ripartiti fra le regioni anche gli oneri della spesa per interessi e quelli della spesa previdenziale; si tratta di voci spesso trascurate dai cultori del residuo fiscale territoriale perché la loro ripartizione non farebbe fare una bella figura alle regioni del Nord (Adriano Giannola e Domenico Scalera hanno provato a incorporare nel residuo fiscale gli oneri relativi al servizio del debito in un articolo molto interessante e quanto mai attuale “Finanza pubblica e autonomia regionale: riflessioni sulle politiche di riequilibrio e sulle prospettive di federalismo fiscale”, in Istituzioni e sviluppo economico del Mezzogiorno, Il Mulino, 1996).

La seconda obiezione riguarda il metodo statistico su cui si basano i residui fiscali. Ogni ricostruzione risente di ipotesi arbitrarie sulla ripartizione di spese ed entrate. Ci sono molti casi controversi: ad esempio, come occorre ripartire la spesa per la difesa (in proporzione alla popolazione o seguendo la dislocazione delle caserme sul territorio)? Come occorre ripartire il gettito dell’Iva (in base al luogo di fatturazione o sulla base dei consumi)? Se poi si guarda alla ricostruzione fatta da LiberoMercato (molto cara ad Alberto Lusiani), si nota qualche difetto in più. L’articolo in oggetto calcola un residuo fiscale molto bizzarro: dal lato delle entrate, si considera il gettito solo di tre tributi (Irpef, Ires e addizionale regionale all’Irpef, guarda caso proprio i tributi il cui gettito è più sperequato sul territorio); dal lato delle spese si ripartisce l’intero aggregato della spesa pubblica, con alcune vistose eccezioni indicate in una nota che specifica che la spesa statale è “al netto della spesa per debito pubblico e per trasferimenti ad altre amministrazioni pubbliche”. Come era prevedibile, si tratta della spesa per interessi e di quella previdenziale che, ove venissero incluse, farebbero sfigurare anche le regioni del Nord. Dovrei forse credere che la ricostruzione di LiberoMercato sia più rigorosa di quella effettuata da Nitti nel 1900, di cui sarebbe stata messa in discussione la credibilità (solo perché i residui delle regioni italiane avevano segni invertiti; lo studio è stato citato da Luca Sessa, Nord e Sud. Prime linee di un’inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello Stato in Italia. E’ una lettura consigliabile a tutte le persone dotate di una sana dose di curiosità intellettuale).

3) Infine, sul punto che riguarda la necessità di condizionare i trasferimenti ai risultati prodotti la mia domanda è la stessa che vi ha posto Pietro x. Di che trasferimenti stiamo parlando? Non dei trasferimenti fiscali da Nord a Sud di cui al punto 2 (essendo impossibile distinguere quelli che dai ricchi del Nord vanno ai poveri del Sud da quelli che viceversa vanno dai ricchi del Sud ai poveri del Nord). Allora forse si fa riferimento alla perequazione fiscale, ossia ai trasferimenti che riguardano lo specifico segmento della finanza pubblica che è la finanza decentrata? Solo questi trasferimenti possono esser ancorati ai risultati prodotti, perché solo essi hanno una effettiva valenza territoriale, essendo destinati e gestiti direttamente dagli amministratori locali. Ma di che ordine di grandezza stiamo parlando? Il fondo perequativo destinato alla sanità mobilita risorse dell’ordine di 0,6 punti percentuali di PIL (per verificarlo basta consultare i DPCM con cui sono ripartite annualmente fra le regioni le risorse della compartecipazione all’IVA), un ordine di grandezza ben diverso da quello dei famosi residui fiscali citati nella relazione del governatore Draghi (quindi è ovvio che non stiamo parlando della stessa cosa). E le risorse che in Italia sono attualmente destinate alla perequazione sono spropositate? Per avere un’idea del confronto internazionale basta guardare uno studio dell’Ocse (Fiscal equalisation in OECD countries, 2007), da cui risulta che in media la perequazione assorbe risorse per circa 2,3 punti percentuali di PIL. Dunque il sistema italiano non è più generoso di altri, soprattutto se consideriamo che le disparità fiscali fra le nostre regioni sono fra le più elevate nel confronto internazionale. E a proposito di disparità fiscali, mi sembra piuttosto ingenuo pensare che esse siano in larga parte spiegate dall’evasione fiscale. Per dimostrarlo basta guardare i dati sul pil pro capite regionale, una misura non distorta perché include una stima dell’economia sommersa: secondo gli ultimi dati dell’Istat (conti economici regionali del 6 ottobre 2008) il pil pro capite di un abitante nelle regioni del Nord è di oltre 31.000 euro, circa il doppio di quello di un cittadino del Sud [un’ulteriore precisazione sull’evasione fiscale: mi sembra che spesso si confonda l’incidenza dell’evasione, più elevata nelle regioni meridionali, con il livello delle basi imponibili evase, per il quale le regioni settentrionali svettano in cima alle classifiche. Quindi io non mi meraviglierei del fatto che lo Stato cerchi di recuperare basi imponibili evase nei luoghi in cui il fenomeno è quantitativamente più rilevante, fermo restando che la lotta all’evasione fiscale va incoraggiata sempre e ovunque]. Per quanto riguarda poi l’affermazione che le risorse dirette al Sud (e più in generale a tutte le regioni che ne beneficiano: come ha ricordato Pietro x anche la Liguria percepisce trasferimenti perequativi in campo sanitario, pur generando disavanzi) debbano essere ancorate ai risultati prodotti, si tratta di una ricetta scontata che non può che essere condivisa da tutti. In primo luogo dai cittadini del Sud, che sono i veri penalizzati dalla cattiva qualità della spesa, sia  locale sia statale (soprattutto in materia di ordine pubblico, ma qui si aprirebbe un altro lungo capitolo), come anche dai tanti luoghi comuni messi in campo da chi del Sud sa ben poco.

 

 

 

Mettiamola cosi', in modo semplice pero' spero comprensibile.

Da una recente pubblicazione dell'ISTAT, intitolata 100 statistiche per il paese. Indicatori per conoscere e valutare ricavo (Sezione 2, pagina 7 del file PDF) i seguenti dati:

 

Componenti della domanda aggregata in percentuale al Pil per regione

                        Consumi                 Investimenti
                        2003 2004 2005       2003 2004 2005

Nord-ovest         70,5 70,8 71,7         19,3 19,7 20,1
Nord-est            74,9 74,6 75,3         22,0 22,2 22,5
Centro               78,0 77,0 77,6         19,0 18,4 18,3
Centro-Nord        73,9 73,7 74,4         20,0 20,1 20,3
Mezzogiorno        98,7 98,8 99,8         21,5 22,0 21,5
Italia                  79,8 79,6 80,5         20,4 20,5 20,6

Per alcune regioni del Sud (esempio, Campania 100, Calabria 104,7, Sicilia 105,7) i consumi da soli sono pari o maggiori all'intero PIL.

Ora, secondo te, da dove vengono gli investimenti del Mezzogiorno (pari a circa il 22% del PIL e superiori alla media nazionale) visto che i consumi sono da soli pari a praticamente il 100% del reddito? Oppure, detto meglio, da dove vengono quei 20-25 punti percentuali di consumi in piu', rispetto al Nord e al Centro? Il vincolo di bilancio, suppongo, dovrebbe valere, anche per il Mezzogiorno, o no? Quindi se NON vi sono trasferimenti provenienti da un'altra parte del paese (o del resto del mondo), come spieghi questi numeri?

E' proprio vero che

 

Niente di male ad avere idee e pregiudizi, purché siano presentati come tali.

 

Bisognerebbe fare un po' di attenzione, e studiare un pelino, prima di spiegare allegramente agli altri che

 

del Sud sa[nno]  ben poco.

 

 

Mi sembra che, se ogni volta che si parla di questi argomenti, gli avvocati del Sud concentrano le loro forze sulla contestazione delle premesse e non sulle proposte per uscire dall'attuale situazione, non si andrà mai da nessuna parte.

La riflessione finale di Bisin è piuttosto chiara: perchè molte regioni europee che partivano da una situazione svantaggiata (in termini relativi ovviamente) sono riuscite in tempi brevi a raggiungere le aree più sviluppate - anche grazie ai trasferimenti strutturali dell'UE - mentre il meridione d'Italia dopo decenni di sovvenzioni (dirette e in c/capitale) non riesce ad ottenere risultati apprezzabili ?

Nel frattempo la classe politica meridionale viene selezionata non sulla base delle capacità amministrative ma in base all'attitudine a ottenere o a mantenere e a distribuire in modo clientelare i trasferimenti pubblici.

Il fatto che le norme fiscali siano pressochè uniformi  tra le diverse regioni (ovviamente perchè sono decise a livello centrale) è indubbio. Altrettanto indubbio è che riaggregando i dati a livello geografico è evidente che le regioni del nord trasferiscono parte delle loro risorse. Coloro che subiscono questo prelievo (ma probabilmente sarebbe lo stesso anche se il trasferimento fosse volontario) vorrebbero che tali risorse fossero impiegate in modo più produttivo e trasparente. Se la classe politica locale non è in grado di assicurare questo risultato sarebbe opportuno che le risorse siano gestite da qualcun altro. Non ridotte, semplicemente amministrate meglio.

Per quanto riguarda la Germania è vero che l'Ovest sovvenziona l'Est. Tuttavia, a) l'unificazione è piuttosto recente e non pluridecennale b) anche in Germania l'umore dell'Ovest nei confronti dell'Est comincia a deteriorarsi per gli stessi motivi già noti al Nord Italia.

 

mi sembra che spesso si confonda l’incidenza dell’evasione, più elevata nelle regioni meridionali, con il livello delle basi imponibili evase, per il quale le regioni settentrionali svettano in cima alle classifiche

 

Potresti spiegare da quali dati arrivi a questa affermazione, che ritengo errata?

Come ho scritto in un altro intervento, citando uno studio statale compiuto sotto il primo governo Prodi e descritto da Repubblica Affari e Finanza, non solo l'incidenza dell'evasione fiscale del Sud (~65% dell'economia privata) e' piu' molto piu' elevata di quella del Nord (13-26% dell'economia privata) ma anche le cifre assolute dell'evasione fiscale stimata sono superiori a Sud rispetto al Nord. Come ho scritto, per esempio, la Campania (5.6M di abitanti) evade piu' della ricca Lombardia (9M di abitanti). E come documentato anche su grafico, i soldi sottratti al fisco sono superiori al il Sud (36.5% della popolazione italiana) rispetto al Nord (44.5% della popolazione). Stesso discorso per l'evasione stimata pro-capite: e' maggiore al Sud, conviene far lavorare la Finanza a Sud se si vogliono recuperare i soldi sottratti al fisco, anche perche' l'incidenza dell' evasione settentrionale e' quella fisiologica che si osserva anche nei paesi piu' civili e progrediti d'Europa con pressione fiscale comparabile.

Quindi, per le stesse stime statali l'evasione a Sud e' maggiore sia come incidenza che come livello assoluto, nonostante i redditi siano inferiori e quindi meno colpiti dalla tassazione progressiva. Le Regioni del Nord svettano solo nelle classifiche dei pagamenti.  In particolare, la Lombardia svetta perfino nella classifica europea delle Regioni con minore evasione fiscale.

E va sottolineato che il divario nell'onesta' fiscale e' cosi' massiccio che aumenta indebitamente e significativamente il livello dei trasferimenti da Nord a Sud, che in questo caso letteralmente premiano e incentivano evasione fiscale e illegalita'.

 

 

Concordo con Michele Boldrin - con le polemiche retrospettive non si combina niente. Comunque, visto che di mestiere faccio lo storico economico, RIPETO che la tesi di Nitti sullo sfruttamento fiscale del Sud è stata già distrutta da Gini (L'ammontare e la composizione della ricchezza delle nazioni, Torino 1914 pp.257-271). Per non parlare delle altre tesi di Luca Sessa..

Perché dovremmo, la storia le appartiene forse? La disturba così tanto che si abbiano in materia opinioni poco convenzionali, fuori dall'egemonia intellettuale nella quale lei si riconosce? Del resto se è opinabile la ricostruzione fatta da Nitti (frutto di un'inchiesta parlamentare, un documento di oltre 200 pagine) lo sono ancora di più le stime approssimative di LiberoMercato propagandate con tanta superficialità da NfA come verità rivelata. Di vicende storiche come quelle descritte da Luca Sessa se ne potrebbero citare migliaia: basta pensare al modo in cui è nata la Banca d'Italia, dettagliatamente descritto da Luigi De Rosa, come esempio emblematico del modo in cui l'economia del Sud è stata smantellata nell'Italia postunitaria. Lei ha studiato la storia dei vincitori, quella che fa recitare al Sud la parte che si è convenuto di fargli recitare.

Dissento sulla ricostruzione storica, anche con chi di mestiere fa lo storico economico, lo Svimez, che è tutto fuorchè una banda di comunisti, sostanzialmente aderisce alla tesi di Nitti,per cui io, che non faccio lo storico economico, non saprei a chi dare ragione, e comunque non cambia la sostanza delle cose: oggi esiste una questione meridionale e fiscale in generale.

AB ha scritto un post disssentendo con GN sulla solita impostazione: soldi al Sud, please. Io ho detto la mia, la signora/ina Giovanna, come Luca Sessa, hanno dato una visione della storia, a me piacerebbe che il loro furore si trasformi in sana indignazione per delle elites politiche che al Meridione fanno schifo, contagiando anche altri, per ritrovare quel minimo di dignità e orgoglio che ci possa far correre.

Per il resto mi congratulo con NFA per l'alto livello della discussione (as usual).

Alberto,

 

ho scritto sul blog per cercare di aggiungere al dibattito lanciato qualche elemento che io ritengo chiave per la lettura complessiva della vicenda, non per la sua soluzione né per vittimismo che non pratico (mi indigno con i Mastella di oggi ma anche con quelli che per esserlo stato nel 1860, e magari per Decreto, oggi sono invece Signori). Sono consapevole dei miei limiti, in quanto non sono uno storico ma soltanto un economista che ogni tanto legge di storia economica, e usa per shortcut citazioni sloppy per definizione come quelle in wikipedia: non si ripeterà più! Speravo di aprire la riflessione a un angolatura più ampia.

 

Tuttavia, constato che qui c’è già chi è che sa quando si apre la storia, e quando la si chiude; constato che qui le statue di Garibaldi sono già tutte installate, e conclamato che la nave dei Rubattino fu il primo generoso trasferimento di quei fools generosoni del Nord (stile Bush in Iraq) agli inefficienti poveracci del Sud, protetti Neanderthaliani ma in battello e treno a vapore in galleria ferroviaria. Si stigmatizza il buonismo di Napolitano, ma non si offre una ragione comprensibilmente diversa dall’altruistico amore per la libertà e il benessere del prossimo per spiegare la decisione dei Mille di andare al Sud (né del regalo da parte del sig.Rubattino). Eppure la gente, abbiamo detto, risponde agli incentivi, specie economici, no?

 

Concordo con Sandro Brusco sul fatto che, pensando al fatto che la gente risponde agli incentivi e all’altro fatto che culture e comportamenti sono endogeni, un compito impellente è pensare a ricette che curino il malato: gli incentivi guardano verso il futuro e così dovremmo principalmente fare noi. Ma ogni medico concorderebbe che senza capire le cause ogni ricetta medica risulterebbe male impostata. Per questo mi prendo del tempo per tornare sull’argomento.

 

È umanamente comprensibile che l’autorevole prof.G.Federico tiri verso il proprio lato e con autoritarismo conclusivo le somme del pluridecennale dibattito sulle origini del dualismo economico italiano. Nel numero speciale sull’argomento della Rivista di Politica Economica, cui pure Federico ha contribuito e il cui riferimento (mar-apr ’07) è stato riportato da un altro commentatore del blog, Stefano Fenoaltea sostiene però nel suo articolo che “la ricostruzione dello sviluppo regionale post-unitario è tuttora agli esordi”: il parere ci sembra autorevole, ad analisi di questo tipo Fenoaltea ha dedicato la professione (http://www.fenoaltea.altervista.org/SFCV.doc), al pari di quanto ha fatto il prof.Federico, per cui anche questa volta non abbiamo messo un punto finale alla Storia (per fortuna).

 

Con buona pace di chi ritiene la Storia chiusa, per es. con Eckaus o Cafagna, esistono ancora molti fatti data-based da spiegare, che puntano a qualche motivo di break strutturale ancora "non rintracciato". Dopo aver mostrato i dati computati sul valore aggiunto per Regione nel settore tessile a partire dal 1861, Fenoaltea (2004) dice testualmente “An enduring strain in the literature traces the North’s relative success to its initial advantages. The changing regional patterns illustrated by the preliminary estimates for industry as a whole tended to undermined this appeal to path-dependence; and from this perspective too the textile industry appears generally representative, even though the North’s large initial share might suggest the very opposite. One reason is of corse the relative failure of one of the early leaders, as Campania dropped from a strong third position to comparative insignificance. Another is that the relative success of the other leaders did not in fact build on their early strengths”.

 

Nel J.of Econ.History, 63 (4), 2003, Fenoaltea mostra che il “triangolo industriale” non era ancora presente nel 1871, ma emerge netto nel 1911 (bad luck o bad policy o bad types per il sud?), che l’indice di industrializzazione relativa delineava un vantaggio dell’ovest della penisola (incluso Campania e Sicilia) rispetto all’est, piuttosto che del nord rispetto al sud, e che la performance economica complessiva di Puglia e Sicilia non era affatto male.

 

Ogni struttura di dazi e tariffe è tailored sulla struttura produttiva da proteggere. Con l’Unità, viene estesa a tutto il neo Regno la tariffa doganale sabauda, che non aveva certo ad oggetto l’economia dei territori annessi. Per gli anni immediatamente successivi, analizzando la dinamica delle quote di valore aggiunto regionali che ricostruisce, Fenoaltea ("La crescita industriale delle regioni d'Italia dall'Unità alla Grande Guerra: una prima stima per gli anni censuari", 2001) nota un’accelerazione della redistribuzione nel 1881 e conclude che questa “confermerebbe che il protezionismo ha giovato in particolare all’industria settentrionale”.

 

Tutto sommato, così come a Fenoaltea vs. Federico, qualche chance ai dati di Nitti vs. i dati di Gini ancora gliela darei…

 

Per comprendere fino in fondo come stavano le cose, in termini relativi, all’epoca dell’Unità d’Italia, e cosa determinò gli sviluppi successivi, sarebbe bello comparare quantitativamente pre-1860 e post-1860. Sarebbe bello avere dati anteriori al 1860 e fare un paper su se l’evoluzione economica successiva, avversa al Sud, fu bad luck o bad policy oppure bad culture o genetics. Sarebbe bello incrociare l’evidenza con altra coeva su investimenti in infrastrutture. Purtroppo, da Fenoaltea traggo che, procedendo a ritroso, è difficile spingere anche solo all’Unità d’Italia l’affidabilità dei dati, figuriamoci pre-1860. Lui usa 1871 come limite. Undici anni di un nuovo regime che vede una parte (dominare o) aver cooptato al dominio l’altra possono marcare una bella differenza per le condizioni iniziali dell’epoca della rivoluzione industriale. Molte analisi che si trovano partono dal 1861. Non so cosa pensi lui, ma per credere ai dati del 1861 come fotografia della vera condizione iniziale fra Regioni si deve tenere conto di fatti che caratterizzano qualsiasi paese conquistato o sottoposto a cambio di regime, quali le conseguenze economiche di un simile evento traumatico (leggasi crollo del PIL, in tutte le sue componenti) o il cambio deprezzatissimo cui risultavano valutati i dati in valore del Sud. La fotografia iniziale potrebbe non essere affidabile, e potrebbe non coincidere con quella finale comparativa degli ex-Stati. Evidenza più pregnante sulle conseguenze economiche dello stop all’incipiente rivoluzione industriale del Sud suona quindi a me quella rintracciabile in studi di settore puntuali quali altri di Fenoaltea (che documenta come gli armatori napoletani, eredi di grande tradizione, furono estromessi dalla gara di appalto per le prime navi a vapore della Marina del Regno) o quali quelli di De Matteo citati nel mio primo post. È lui che, ad es., documenta le sorti delle concessioni per la navigazione a scopo commerciale nel Tirreno, oppure quelle di molti imprenditori della fiorente industria editoriale napoletana, figlia dell’Illuminismo napoletano di così vasta e protratta influenza in Europa, ridotti al fallimento per dover mandare al macero (non poter vendere) finanche i testi di matematica in loro possesso in quanto privi dell’imprimatur del nuovo regime (che del resto aveva i suoi scribani). Sembra apparentemente fuori luogo, ma già che parliamo di Illuminismo: così come accaduto in Francia, lo sviluppo di una classe media era stato (quasi tautologicamente) alla base del nascere e fiorire del pensiero illuminista napoletano, sosteneva il gran numero di testate di quotidiani e spiegava al 1859 l’estensione della città pre-unitaria a Napoli, con massimo numero nella penisola di condomini. Gli elevati numeri sulla popolazione si accompagnavano a quelli sulla popolazione urbanizzata.

 

Spero non si vorrà anche dubitare che il tesoro di cassa del Banco di Napoli servì a coprire il buco delle casse del Nord.

 

Una storiella che gira è quella secondo la quale Garibaldi, al Banco di Napoli che gli reclamava (invano) la restituzione solidale del prestito dell’equivalente di 1.000.000 di euro fatto al figlio di cui si era fatto garante, rispose: “V’ho dato la libertà, e ora voi volete i soldi?”.

 

C’è chi dice la storiella vera e chi falsa, ma comunque sia andata: Grazie Garibaldi.

 

 

 Mi fa piacere che Luca Sessa legga qualche libro ed articolo di storia economica, oltre che Wikipedia. Sarebbe opportuno che leggesse anche i miei commenti con attenzione. Io non ho mai preteso di chiudere il dibattito sulle origini del divario Nord-Sud. Ho "solo" detto che Gini ha distrutto le stime di Nitti sui trasferimenti. Quindi, Luca Sessa dovrebbe citarmi un paper dove si dimostra che Nitti aveva ragione e Gini torto - o magari scriverlo lui stesso. Fenoaltea che io sappia non si è mai espresso in proposito (e non credo che abbia scritto lavori sulle concessioni delle linee di navigazione). Le opinioni di Fenoaltea sulla datazione del divario e sugli effetti della tariffa del 1887 sono interessanti (e discutibili), ma non c'entrano con la pretesa colonizzazione. Infatti la tariffa (a differenza dell'estensione della tariffa piemontese del 1859) fu approvata da un parlamento italiano, in cui le regioni del Sud erano rappresentate proporzionalmente alla popolazione. I deputati meridionali approvarono entusiasticamente perchè la tariffa stessa era abbinata al dazio sul grano, che favoriva i proprietari delle terre a coltura estensiva (latifondisti per farci capire) a danno dei consumatori urbani in tutta la penisola e dei contadini meridionali esportatori. 

 Una domanda: crede veramente Sessa che il Sud si sarebbe sviluppato se una ditta meridionale avesse vinto l'appalto per una linea di navigazione sussidiata in concessione o se un editore meridionale avesse venduto qualche migliaia di copie di un libro di matematica?

Ultimo punto: coerentemente col titolo del mio post precedente, ripeto il mio invito. Lasciamo in pace la storia e pensiamo al presente. Per aiutare, dichiaro solennemente che questo sarà il mio ultimo intervento sul tema (salvo risposte ad isulti personali) 

 

Ultimo punto: coerentemente col titolo del mio post precedente, ripeto il mio invito. Lasciamo in pace la storia e pensiamo al presente. Per aiutare, dichiaro solennemente che questo sarà il mio ultimo intervento sul tema (salvo risposte ad isulti personali)

 

Pur concordando con l'esortazione a guardare al presente ed al futuro, penso che questo dibattito contenga molti spunti interessanti. Penserei a continuarlo ed approfondirlo, piuttosto che liquidarlo come una perdita di tempo.
Solo un suggerimento "da lettore", purtroppo: la mia capacita' di contribuire sull'argomento e' prossima allo zero.

 

Dispiace che il Prof. Federico, dimostrato scovatore di ammassi di sciocchezze non concordi al suo pensiero, si dimostri lettore disattento e centripeto.

La fine della storia l'aveva proclamata michele boldrin (pur se si dice data-based man) dopo aver sentito il pubblico ministero.

Non ho mai detto che Fenoaltea abbia studiato Nitti vs. Gini.

Ho in entrambi i miei posts detto che De Matteo è autore di un lavoro che riguarda anche le concessioni delle linee di navigazione, non ho mai detto che Fenoaltea le abbia trattate.

Ho estratto pochi dati e fatti fra i tanti disponibili per argomentare che l'alleanza scellerata di salveminiana memoria fra emergente borghesia del nord e latifondisti del sud fu fatta a scapito della nata/nascente imprenditoria del sud. Ciò fu compiuto anche con mastellismi governativi. Nel Parlamento italiano si votava per censo, e vi accedeva il 2-3% della popolazione: tagliate le gambe ai “borghesi”, al Sud a quel punto votava solo l'aristocrazia, che miopemente andò avallando sempre più la politica dell'emergente imprenditoria settentrionale di mettere sempre più al nord infrastrutture e commesse pubbliche funzionali al decollo industriale sul mercato ora più ampio, in cambio di vedere garantita la perpetuazione del proprio potere secolare al sud, fondato sul latifondo.

Ciò avvenne con tutto danno del sud, che fu pertanto condannato al perpetuarsi del latifondo, fino a quando la meccanizzazione dell'agricoltura che intanto aveva strada spianata al solo nord non uccise ovviamente anche quello. Fu su questo fronte che si disputò la vera battaglia a lungo termine per la produzione del grano, non sul fronte dei dazi. La storia dell'unità d'Italia coincide con quella della distruzione del tessuto economico del sud, nato/nascente/virgulto/in fieri. Nel Regno ampliato ad opera dell’élite settentrionale io non ho meraviglia che quei granelli di capitale fisico, infrastrutturale, umano e organizzativo che esistevano sia negli Stati del nord sia nello Stato del sud furono nel primo caso sapientemente magnificati, nel secondo dispersi.

Ci sono fatti su cui io mi interrogo forse più di ordinari di storia economica, quale quello che apprendo da Fenoaltea in base al quale nel 1861 il valore aggiunto nella (protettissima, ci dice Federico) industria tessile della Campania, valutato comunque a un cambio deprezzatissimo e successivamente a un grosso shock di domanda, ammontava al 16% del totale del nuovo Regno. Cinque anni dopo già calava in valore assoluto. Nel 1913, esso era il 3%. Gli studi di settore aiutano la comprensione che si trattava di casi non isolati. Anche ad accogliere la tesi (fondata sull’evidenza di null’altro che l’esito stesso, e non sulla dimostrazione delle cause) che fosse fino al ’60 tutta salute drogata da protezionismo duosiciliano, lo studio complessivo di questi avvenimenti a me fa pensare all’importanza che può avere giocarsi bene il decollo di una rivoluzione industriale, curare le condizioni iniziali, il coagulo iniziale di tutte le forme che può assumere il ‘capitale’, e magari anche cingere un germoglio per evitare che venga calpestato e possa invece divenire albero robusto dai tanti rami. Altro discorso sarebbe per economie avviate sulla strada dello sviluppo.

[Aggiungo fra quadre che fin dal liceo ha per me avuto sempre un cattivo odore la tesi secondo la quale i dazi dell’Italia neo-unita avvantaggiarono il sud, visto che furono per lungo tempo e comunque per gran parte l’estensione dei dazi pensati sulla struttura produttiva non del sud.]

Se l’economia si immiserisce, si immiseriscono anche la società, la vita civile, i comportamenti, e, endogenamente, le culture. Pare niente, ma il recupero della consapevolezza della propria “non inettitudine genetica”, delle proprie capacità e della propria dignità collettiva può costituire per gli abitanti del sud della penisola italica una minima dose di capitale ‘umano’ da cui ripartire per spezzare la spirale viziosa dell’immiserimento. A un messaggio solo positivo sono mosse le mie riflessioni.

Concludendo, tutto sommato, l’ostilità violenta del prof. Federico alle tesi che a fini di risveglio ho veicolato su questo blog dalla ‘nuova’ letteratura di storia economica altro non pare che la più esemplare razionalizzazione del perché alle elementari e all’università  studiamo ancora molta storia di regime, della necessaria autoregressività delle discipline storiche, ovverosia, in Italia, della ‘difficoltà’ di fare carriera universitaria per un pensatore non ortodosso (non condizionato da tabù) sebbene data-based. Tutto ciò senza necessariamente vedere malizia in alcuno. Meno male che almeno qualche PhD di Harvard ce la fa. Visto che non sono io, lascio a questi professionisti il compito di valutare con metodi e testa del 2008 e non del 1914 se i dati di Nitti fossero sciocchezze.

Ma non sono sempre gli storici dell'economia a lamentarsi che gli economisti dell'attualità non guardano mai alla storia? Per una volta che qualcuno lo fa, potreste essere contenti, anche se l'attenzione non cade proprio sulle proprie numerose e rispettabilissime pubblicazioni.

 

 

 Cito dal suo precedente intervento..

 Evidenza più pregnante sulle conseguenze economiche dello stop all’incipiente rivoluzione industriale del Sud suona quindi a me quella rintracciabile in studi di settore puntuali quali altri di Fenoaltea (che documenta come gli armatori napoletani, eredi di grande tradizione, furono estromessi dalla gara di appalto per le prime navi a vapore della Marina del Regno) o quali quelli di De Matteo citati nel mio primo post.

Nessun rapporto con l'autore del seguente blog, esperto di Marketing?

http://lucasessa.blogspot.com/

 

 

Non speravo di avere un post dedicato in vita, ma, già che provo l'ebbrezza, avrebbe potuto essere per migliori contenuti. Una cosa è la produzione di navi, altra le concessioni delle linee di navigazione (primo post, notizia tratta da De Matteo, op.cit.), altra i "sussidi postali" dell'epoca.

Cmq, un'altra citazione al riguardo:

L’industria dei trasporti marittimi in Italia

Vito Dante Flore

Parte II

Roma 1970

 

p.358

“..l’ostracismo alle compagnie napoletane, le quali, malgrado i passi svolti presso il Ministero dei Lavori Pubblici di Torino, non furono neppure invitate alle aste e quindi ricevettero dalla sistemazione del 1861-62 un colpo mortale”

 

Ma lei carica sempre così contro tutti coloro che non la pensano come lei?

W la scienza.

 

 

 

http://lucasessa.blogspot.com/

 

ah!! Geniale!! L'esimio professor Federico:

a) Esordisce sul blog liquidando un lungo post di Sessa (pieno di argomenti, condivisibili o meno importa poco in questa sede) come una cazzata. Senza un argomento, ma solo propinando all'ignara plebe la verita' rivelata; la plebe, vista la luce, ringrazia devota.

b) Al Sessa che con (per me incomprensibile) pazienza non mette in atto il pernacchio Eduardiano, ma decide di rispondere, di arricchire i suoi argomenti con fatti e citazioni, continua a non oppore ALCUN ARGUMENTO, tranne uno: Nitti e' stato demolito una volta per tutte da Gini. Come e perche' non e' dato sapere, tanto che nel filo dei post successivi si scopre che di fatto e' in corso una complessa querelle storiografica sull'utilizzo dei dati dell'epoca. Ma il prode Federico e' convinto di aver zittito il comunista Sessa, e gongolante si placa. Del resto lui e' o non e' un professorone? Che vuole il Sessa, vuole misurarsi? 

c) A quanto pare si, il Sessa insiste, e persiste. Come osa?! Ma ecco che che Federico, cala  l'asso pigliatutto. Pagine e pagine di episodi, citazioni, rendiconti di dibattiti storiografici, sono estirpati dalla faccia della terra con l'arma di fine di mondo di stranamoresca memoria: Il Sessa e' un vile esperto di marketing, un ciabattino, praticamente. Prova provata, l'esistenza di un blog di tal Luca Sessa. Ma che e' anche solo lontanamente pensabile che l'esimio Ecc. Cav. Ing. prof Federico possa discutere con un ciabattino (oops pardon, volevo dire esperto di marketing)? Nah, non bisogna sporcarsi le mani con i paria. Case closed.

d) Purtroppo il prode Federico si e' dimenticato che chi di wikipedia ferisce, di blogspot puo' perire. E si dimentica anche di cosa sia l'omonimia. Sospetto che il Sessa a questo punto inizi a divertirsi a rispondere... E pure io, se chiudendo gli occhi immagino il Federico, in panne di argomentazioni scientifiche, che googla disperatamente per cercare di screditare l'argomento screditando l'autore, trovo motivo di (ormai sempre piu' rara) ilarita'.

Diventiamo solenni: se esiste un dio, di religione rivelata o meno, monoteista o panteista, o anche solo un idoletto di qualche tribu' amazzonica, io lo prego ufficialmente, approfittando della gentile ospitalita' di NfA, di far si che qualche studente dell'esimio etc etc Federico capiti su questo blog, e ne rimiri le performances scientifiche. E magari anche qualche collega, se il dio o idoletto e' di buon umore. Magari Roberto Perotti, in occasione della redazione del suo prossimo lavoro sul recruitment nelle universita' italiane. Che dici Boldrin, glielo vogliamo segnalare a Roberto il prode Federico, dalla carriera tosco toscana e dall'armamentario logico e scientifico cosi'  inattaccabile?

Qualche volta i vecchi slogan dei nostri padri ritornano utili: Una risata vi seppellira'...

Seriamente, e impegnandomi solennemente ad ignorare il prode Federico, che tanto ci pensa da solo a ridicolizzarsi, vorrei a questo punto avere un opinione da Boldrin

Sessa dice cose che a Boldrin non piacciono (un po' sinistrorse, e troppo path dependant). Ma le dice con argomenti suffragati da documenti, citazioni, esempi particolari. Federico non argomenta, insulta, cioe' fa tutto il contrario di quello che Boldrin (BRAVO!) predica di continuo, ma da posizioni chiaramente piu' vicine a quelle di Boldrin. Che ne pensa quest'ultimo? E soprattutto, non sarebbe interessante che qualcuno contestasse Sessa nel merito, lasciando libero il Federico di dedicarsi alla coltivazione del Chianti, con beneficio per la discussione e per la storia economica?

Non mi aspetto certo che un blog su NfA dia LA risposta sulle origini del dualismo italiano; ma sicuramente potrebbe darci qualche elemento di riflessione, come ha fatto Sessa, e come spero faccia prima o poi qualcuno che con Sessa non e' d'accordo. Cosi', for the sake of discussion..


 

Scrivo, quando scrivo, sia articoli che commenti lunghetti quindi non posso certo mettermi a predicare contro coloro che fanno lo stesso. Però, però ...

... sia Lorenzi che Sessa scrivono ampi commenti che contengono tanta bella prosa ed anche qualche battuta, ma pochi fatti a sostegno della "tesi" (Sessa mi correggerà se sbaglio ad interpretarlo) secondo cui il Sud d'Italia era più o meno alla pari (economicamente, socialmente e quant'altro) con il Nord nel 1860/61 e la biforcazione avvenne in seguito e tutto (o principalmente) avvenne a causa delle politiche savoiarde (diamo ai Savoia ciò che è loro, che le politiche furono savoiarde, non del nord: il nord est al tempo era felicemente austriaco e non so quanto i lombardi o i romagnoli avessero da dire nel 1861 e paraggi sulle politiche savoiarde). Le condizioni iniziali, in altre parole, vennnero determinate dall'occupazione savoiarda (LS continua a parlare del Nord ma ovviamente si sbaglia: furono i Savoia ad occupare il Sud. Ed occuparono, allo stesso tempo e nello stesso modo, anche svariate altre regioni d'Italia, a cui per qualche ragione andò meglio. Dieci anni dopo, grazie ai tedeschi, occuparono anche il veneto e 58 anni dopo, grazie ai francesi ed agli inglesi, anche il trentino, il sud tirolo, la venezia giulia ed un pezzo di dalmazia) la quale occupazione savoiarda distrusse a mezzo di dazi ed altre politiche di espropriazione un'economia altrimenti tanto florida quanto quella del Piemonte e della Lombardia (o dell'Emilia-Romagna, Toscana ... non si capisce bene). Da questo shock iniziale che perdurò per N anni (quanti? quando finì la politica di rapina?) il Sud non ha mai più potuto riaversi per le seguenti ragioni (spiegare le ragioni, che non sono ovvie: anche il Veneto venne ugualmente "conquistato e rapinato" ma, apparentemente, è riuscito a "riaversi") ... Le politiche di trasferimenti, aiuti, interventi e quant'altro praticate da, almeno, il 1948 in poi non sono bastate e non potevano bastare. Sono insufficienti per questa e quest'altra ragione ed occorre fare di più per riparare all'esproprio originale (a dire il vero, dovrebbero essere i savoiardi e, al più, i piemontesi a fare di più, ma transeat).

È questa la tesi?

Se non è questa, quale sarebbe? Perché, se vogliamo discutere, meglio discutere di cose ben definite. Quella di Alberto Bisin, che è anche la mia, è semplice: gli aiuti ed i trasferimenti al Sud non servono a nulla di buono. Fanno male al Nord che paga cifre enormi, e fanno male al Sud che vive di sussidi i quali alimentano un'economia parassitaria. Non solo, i sussidi continui distorcono gli incentivi e hanno generato una classe dirigente del Sud fatta di funzionari pubblici e di esperti all'estrazione del sussidio, invece di generare imprenditori e cose simili. Il problema del Sud sta tutto nella sua classe dirigente (aggiungo io), che non è chiaramente capace di fare ciò che di essa ci si aspetta. Tagliare i sussidi forzerebbe il Sud, e le sue classi dirigenti, ad un'assunzione di responsabilità tanto necessaria quanto salutare.

Ora, a sostegno della propria tesi il buon Lorenzi non dice nulla, semplicemente mi tira in ballo e fa dell'ironia sull'ironia di Giovanni Federico, che evidentemente non piace a Camillo Lorenzi: va benissimo, de gustibus. Però, dato che in una pagina intera nulla dice di utile, passiamo oltre.

Mi son riletto i quattro commenti di Luca Sessa e ne ho estratto la tesi di cui sopra. È giusta la mia interpretazione?

Perché se è giusta io vedo ben pochi fatti a sostegno della medesima.

L'unico fatto, al momento, consiste nella citazione di Fenoaltea secondo cui

 

“An enduring strain in the literature traces the North’s relative success to its initial advantages. The changing regional patterns illustrated by the preliminary estimates for industry as a whole tended to undermined this appeal to path-dependence; and from this perspective too the textile industry appears generally representative, even though the North’s large initial share might suggest the very opposite. One reason is of corse the relative failure of one of the early leaders, as Campania dropped from a strong third position to comparative insignificance. Another is that the relative success of the other leaders did not in fact build on their early strengths”.

Nel J.of Econ.History, 63 (4), 2003, Fenoaltea mostra che il “triangolo industriale” non era ancora presente nel 1871, ma emerge netto nel 1911 (bad luck o bad policy o bad types per il sud?), che l’indice di industrializzazione relativa delineava un vantaggio dell’ovest della penisola (incluso Campania e Sicilia) rispetto all’est, piuttosto che del nord rispetto al sud, e che la performance economica complessiva di Puglia e Sicilia non era affatto male.

 

Il secondo paragrafo l'ho lasciato perché a Sessa sembra apparire rilevante, ma io non capisco proprio cosa c'entri! Me lo spiega?

Fatta salva la citazione di Fenoaltea (il cui articolo mi son letto, e dimostra molto poco che possa essere rilevante per la presente discussione, almeno in relazione alla tesi di cui sopra) non ho trovato altro. C'è l'insistenza sul fatto che Nitti aveva ragione e Gini torto (ok, ma visto che tutti pensano l'opposto, potremmo sapere dove sbagliò Gini?) e sul fatto che

 

De Matteo citati nel mio primo post. È lui che, ad es., documenta le sorti delle concessioni per la navigazione a scopo commerciale nel Tirreno, oppure quelle di molti imprenditori della fiorente industria editoriale napoletana, figlia dell’Illuminismo napoletano di così vasta e protratta influenza in Europa, ridotti al fallimento per dover mandare al macero (non poter vendere) finanche i testi di matematica in loro possesso in quanto privi dell’imprimatur del nuovo regime (che del resto aveva i suoi scribani).

 

Chi è De Matteo? Chiedo venia ma non sono erudito sino a questo punto ... In che senso la fiorente industria napoletana fallisce perché per un anno deve gettare al macero i libri di testo che ha? Questa storia mi sembra comica, potresti documentarla meglio?

Luca Sessa cita poi un paio di altri episodi minori in cui qualcuno del nord (sabaudia) ha rubato soldi o fatto danni economici a qualcuno del sud (Napoli, più che altro) ma non me ne vorrà se non prendo tali episodi seriamente. Per ognuno con un segno credo sia perfettamente possibile trovarne uno con segno avverso, a meno che non mi indichi che qualche serio studioso ha documentato un pattern sostenuto di porcherie ed espropriazioni che favorivano il nord a danno del sud.

Ora, tutto questo è davvero un po' pochino per sostenere la tesi di cui sopra. Chiedo quindi: ho sbagliato io ad interpretare la tesi in questione (nel qual caso: QUAL È LA TESI?) o non capisco la rilevanza/portata dell'evidenza che Luca Sessa rivela?

Attendo curioso. Poi discutiamo.

 

A me è sembrato che la discussione sia nata più per "tifo da stadio" fra Giovanni Federico, Giavanna M., Luca Sessa, Lorenzi, che per tesi sul da farsi. E quando il cuore comanda, la ragione ha poco spazio, e questo l'ho visto anche nel post su federalismo e secessione: spazio ai rancori, niente soluzioni. Per il resto concordo sulla tua analisi, ma soprattutto sulla tesi: fermiamo tutto. Se non ricordo male avete un esperto filmografo fra i redattori di NFA, sarà sicuramente capace di ritrovare il film "Sud" di Salvadores, c'è un momento fantastico: quello in cui Silvio Orlando grida la sua rabbia per i soldi "spesi" per il dopo-terremoto del 1980. Quello spezzone è il manifesto del mio pensiero, invito tutti i miei conterranei a riguardarsi quel film e ragionarci sopra.

Nota di servizio: OK per google Chrome, ma Mozilla mi funziona male da quando avete apportato modifiche all'editor, in particolare nelle repliche non mi appare l'editor di testo e mi appare una finestra piccola, piccola. E' solo perchè sono meridionale, o c'è dell'altro ?

A me pare che il dibattito sia certamente interessante, soprattutto perché istruttivo: non si finisce mai d'imparare, anche leggendo interpretazioni della realtà che soggettivamente sia legittimo considerare erronee. Servono, se non altro, a rendersi meglio conto di quali e quante siano le difficoltà da affrontare, quando si voglia proporre una soluzione ad un qualsiasi problema, anziché fermarsi ad analisi fini a se stesse.

Credo anch'io, però, che le opinioni dovrebbero essere espresse a partire dall'esposizione di dati accertati e condivisi, sulla base dei quali elaborare deduzioni logiche e conseguenze programmatiche, altrimenti le discussioni diventano quegl'inutili “muro contro muro” ai quali, ahimé, la politica italiana ci ha, ormai, abituati.

In particolare, mi pare che sarebbe opportuno evitare la logica della colpevolizzazione – a chiunque siano attribuibili le responsabilità storiche, normalmente risulta assai difficile dividere il mondo in “buoni" & “cattivi” e, quasi (?) sempre, la riga col gesso sulla lavagna si posiziona differentemente a seconda della mano che la traccia – per concentrarsi sul futuro invece che sul passato.

A meno che, naturalmente, alcune ricostruzioni storiche di parte – sia chiaro, son tutte opinabili: la verità rivelata (si rassegnino, oltretevere …..) non è accettabile per chiunque - non contengano già, implicitamente, una soluzione: la colpa è incontestabile ed il vulnus è così grave, irreparabile, immorale, che nessun risarcimento riuscirà a compensarlo. Quindi, si rifiuta sdegnosamente ogni dubbio in merito all'opportunità dei trasferimenti di risorse.

In tal modo si sottintende, altresì, irrilevante la discussione relativamente a quello che, invece, dovrebbe costituire il vero fulcro della “Questione meridionale” (termine un po' fuorviante, in realtà, ma utilizziamolo per capirci), cioè l'utilità di mantenere o cambiare il tipo di approccio sin qui utilizzato per (non) risolvere il problema e, nella seconda ipotesi (per me evidentemente valida, non sto a riportare le argomentazioni a sostegno che altri hanno, sopra, efficacemente scritto), si evita di proporre ed analizzare alternative a quanto in essere ed in discussione, valutando pregi e difetti delle singole posizioni.

Fortunatamente, però, persone concrete ed interessate a trovare soluzioni anziché ad attribuire colpe – come Marco Esposito, ad esempio – fanno sentire la propria voce, vincendo il naturale ed irrazionale appeal del campanilismo (sport nazionale, lo dice un veneto che ne constata la diffusione ogni giorno nel suo territorio …..): ecco, da tutti a me piacerebbe vedere un simile approccio, quindi chiedo, agli aficionados delle ricostruzioni storiche, di entrare nel merito delle proposte e di fare uno sforzo per guardare al futuro.

 

 

La posizione di Boldrin, da lui stesso efficacemente sintetizzata é: tagliamo i trasferimenti, e lasciamo che il Sud se la sbrighi da solo in qualche modo. Boldrin crede, e non si puo' escludere che abbia ragione, che questa iniziativa determini un mutamento profondo nella società meridionale, disarticolandone le strutture clientelari e parassitarie.

Per quanto questo tipi di azione possa essere efficace, non é detto che il risultato sia desiderabile, almeno nel periodo di transizione. Peppe Stalin (al secolo Iosif Vissarionovič Džugašvili)  esercità un'effcace azione per disarticolare le antiquate strutture post feudadi dell'Ucraina e modernizzarne il sistema economico. Gli storici sono concordi nel ritenere che la politica di Stalin (nota anche come Holodomor) reggiunse gli obiettivi che si era prefissa, tuttavia gli Ucraini non nutrono alcuna gratitudine verso Stalin.

Ora mi chiedo: é possibile concepire un'altra soluzione, possibilmente altrettanto efficace, la cui implementazione sia meno gravosa?

Bel punto Massimo. Bellissima domanda, a cui provo a darti una risposta di buon senso, ma guarda che io sono uno zero, sono uno di quelli che sfoga la propria tensione scrivendo di cose che conosce e capisce poco, ma che si batte per le sue idee. Anzi, faccio una cosa, ci provo con Facebook, voglio vedere quanti amici (?) mi creo con un gruppo dal titolo "Quelli che non vogliono più gli aiuti al Sud, visti dal Meridione".

Vedo come poco praticabili, al momento, tagli di salario ai dipendenti pubblici, differenziandoli, idem per quel che riguarda il settore privato, diciamo che si dovrebbe ragionare solo sul "secondo livello", quello legato alla produttività, visto che il Sud ha una bassa produttività/unità produttiva, questo aiuterebbe le medie imprese manifatturiere meridionali, anche se non toccherebbe immediatamente i trasferimenti (tranne quelli legati alla produttività dei dipendenti pubblici, che scenderebbero).

Eliminerei, da subito, il fondo "perequativo" nella sanità, introdurrei il concetto di budget obbligatorio per i medici di base, "privatizzerei" i grandi Ospedali Pubblici del Meridione, autentici "buchi neri", insomma, comincerei quella politica "strave the beast", visti i risultati fino ad oggi conseguiti non se ne dovrebbe accorgere nessuno.

Eliminerei anche i trasferimenti ai comuni per "progetti specifici di utilità sociale", sono somme cospicue e servono solo a fini clientelari.

Eliminerei anche tutte le varie elemosine che piovono all'improvviso, senza alcun piano decente intorno, la costruzione di un porto turistico senza strade di accesso, palestre senza spogliatoi, aereoporti a distanza di 50 km. uno dall'altro, il Ponte sullo Stretto, insomma non sono Striscia la Notizia, ma basta progetti senza niente intorno, non date soldi, please.

Insomma, comincerei un sano federalismo fiscale, con obiettivi anno per anno (niente scadenze al 2020, poi arriviamo al 2019 e cominciamo la fase "emergenza", è un film già visto) di riduzione delle spese, se non altro per la fine dei trasferimenti, allo stesso tempo introdurrei una "fiscalità di vantaggio" per le Regioni Meridionali, che unita ad un minore costo-lavoro potrebbe far sviluppare un decente manifatturiero in quelle regioni che già hanno un "tessuto produttivo", Puglia e Campania in primis.

Lo Stato Centrale dovrebbe fornire un ordine pubblico di livello decente e una "struttura giudiziaria" adeguata, per evitare l'aggravarsi del fenomeno mafie.

Non ho risposte sul pesante problema delle elites politiche meridionali, definirle "unfit" è un eufemismo, ma concordo anche io che sono il frutto delle politiche clientelari, eliminando o riducendo le clientele si dovrebbe anche ridurre l'impatto di queste elites, ma non sono in grado di dimostrarlo, anche se Soru e Vendola mi sembrano un buon punto di partenza, al di là dei partiti di appartenenza, e non mi sembrano persone interessate al clientelismo (forse è per questo che Soru lo hanno fatto fuori e Vendola lo tengono sulla graticola).

A chi è meglio di me il compito di darti una risposta migliore, io penso che fare una cosa "tout court" è meglio, ma qui si parla della vita di milioni di persone, e non mi riesco a figurare il momento in cui qualcuno viene e dice: "da domani cambia tutto, e voi non servite più".

Ecco, questo mi fa proprio passare la voglia di discutere. Specialmente dopo che vedo il commento di Marco Esposito che dice "Bel punto Massimo". Ma siamo impazziti? Stiamo discutendo seriamente o stiamo dando aria ai denti (calli alle dita, meglio)? Quale sarebbe il "bel punto", Marco?

Qual'è la logica? Che senso ha discutere con gente che invece di entrare nel merito di quanto proponi si inventa strane analogie (quale sarebbe, poi, l'analogia?) tra tagliare i trasferimenti di tasse dal Nord al Sud ed un atto di genocidio perpetrato attraverso l'affamamento forzoso di milioni di persone?

Ma di cosa dovrei discutere?

E, soprattutto, con chi dovrei continuare a discutere? Con l'ennesimo anonimo che gioca con argomenti bizantini, non dice mai nulla di preciso (perché non la fai tu una proposta migliore?) ed accusa gli altri (ovviamente poi ci spiegherà che voleva solo fare un'innocente analogia) di voler affamare qualche milione di meridionali? Penoso, davvero penoso.

 

 

La posizione di Boldrin, da lui stesso efficacemente sintetizzata é: tagliamo i trasferimenti, e lasciamo che il Sud se la sbrighi da solo in qualche modo.

[...] é possibile concepire un'altra soluzione, possibilmente altrettanto efficace, la cui implementazione sia meno gravosa?

E' possibile concepire qualcosa, ma personalmente non credo possa funzionare. I trasferimenti "drogano" tutta l'economia e la societa' del Sud, a cominciare dalle sue elites politiche: la cura deve passare per un processo di disintossicazione. D'altronde drogato come e' oggi il Sud Italia ha una societa' ed un'economia malate, e complessivamente non sta bene (a parte una ristretta minoranza di statali ai livelli piu' alti e ben pagati e di boss della malavita organizzata).

Quello che dovrebbe accadere in un mondo ideale e' una presa di coscienza delle elites politiche e culturali del Sud, che dovrebbero capire che se per assurdo il Sud fosse indipendente e non fosse mai stato legato al Nord Italia oggi come oggi sarebbe economicamente molto piu' ricco e produttivo (personalmente mi aspetto una media tra Portogallo, Spagna e Grecia: la Spagna ha superato il reddito pro-capite medio italiano nel 2006, la Grecia si stima lo superi nel 2008-2009, il Portogallo mi aspetto lo superi in pochi anni; il Sud oggi come oggi ha un reddito pro-capite pari a circa il 63% di quello medio italiano ed e' la macro-area piu' povera di tutta l'Europa occidentale).  Una volta acquisito questo, le elites del Sud dovrebbero programmare un processo di graduale disintossicazione dell'economia e societa' meridionale, che dovrebbe prevedere:

  • riduzione del costo della pubblica amministrazione in misura tale da portarla - in rapporto al PIL del Sud Italia - alla stessa percentuale del PIL esistente in Spagna, Francia e Germania; la riduzione dovra' essere sia sul numero dei dipendenti sia sui loro stipendi in rapporto al reddito pro-capite del Sud Italia. La riduzione potra' essere graduale riducendo o azzerando il turnover, e riducendo o azzerando gli aumenti di stipendio oltre l'inflazione per i redditi piu' bassi, mentre i redditi piu' alti, a partire da quelli dei livelli piu' elevati della dirigenza statale e politica possono invece essere decurtati istantaneamente ai livelli prevalenti all'estero, sempre commisurati al (minore) reddito pro-capite del Sud Italia.
  • riduzione progressiva fino all'azzeramento delle sovvenzioni pubbliche all'industria privata, e riduzione progressiva dei salari privati assisititi che siano superiori alle medie del settore privato estero, sempre riscalati al PIL pro-capite meridionale
  • contrattazione sindacale separata dal centro-nord Italia sia per l'impiego pubblico sia per quello privato: questo si puo' fare subito senza graduazione
  • graduale riduzione fino allo zero di tutta la finanza pubblica di trasferimento legata a spese correnti, che andranno calibrate sulle sole risorse locali; invece possono rimanere i trasferimenti legati a spese di investimento orientati allo sviluppo, la cui gestione pero' deve essere sottratta alla politica locale per non venire distorta per l'acquisto di consenso clientelare

Come hanno fatto l'Irlanda e diversi Stati dell'Est Europa dovrebbero essere ridotte le tasse sui profitti di impresa, in particolare sui profitti non distribuiti come dividendi, esigendo livelli normali di tasse su redditi individuali e consumi. In presenza di evasione fiscale che diminuisca eccessivamente il gettito fiscale, dovrebbe essere automaticamente diminuito il reddito di tutti gli impiegati pubblici per garantire i vincoli di bilancio in maniera virtuosa, stimolando anche la pubblica amminsitrazione an contrasto dell'evasione fiscale.

E' evidente che tutto quanto sopra elencato va direttamente contro gli interessi e la cultura stessa delle elites politiche meridionali, che basano il loro consenso proprio sul numero e sui salari percepiti dai dipendenti pubblici, e sui susssidi di Stato alle imprese private, e per questo ritengo irrealistico che succeda. Non ho molta fiducia in Soru (che appare impiegare il suo tempo a sollecitare trasferimenti di Stato secondo lui dovuti ma non erogati, e a ideare curiose forme di tassazione volte a rapinare denaro ai non Sardi esentando dalla stessa rapina sia i Sardi che i loro discendenti eventualmente migrati sul continente), non ho molta fiducia in Lombardo (che dice tante belle parole, ma poi appare ingegnarsi su come appropriarsi delle accise statali pagate da non Siciliani nel resto d'Italia e non sembra capace di fermare gli infiniti sprechi dell'Assemblea regionale siciliana e dei suoi dipendenti).

Secondo me sara' necessario prima tagliare i trasferimenti a Sud (o di colpo o gradualmente) per consentire poi che si selezionino elites politiche non basate sul consenso clientelare finanziato dalla spesa pubblica. La transizione sara' particolarmente infelice per le elites politiche che non hanno altra competenza che quella di intermediare in maniera clientalare la spesa pubblica. Se hanno un minimo di intelligenza e lungimiranza, dovrebbero essere le prime a preoccuparsi di come avviare una disintossicazione graduale del Sud Italia, imparando nel contempo anche a fare qualcosa di realmente utile, invece che avversare ogni tentativo in quella direzione, come quello la riforma veramente molto blanda di un federalismo fiscale ancora terribilmente statal-centralista.

Ho chiesto ad uno che sulle pensioni italiane sa tutto. E mi ha fatto avere i dati in cinque minuti. La fonte ufficiale è questa.

Per quanto attiene alla questione sollevata sopra (distribuzione territoriale delle pensioni d'invalidità ed assistenziali) per l'anno 2005 i numeri, per grandi ripartizioni geografiche, sono i seguenti (nel volume trovate tutti i dettagli per regione) :

 

Pensioni d'invalidita': numero (importo totale in '000 euro)

Nord: 633,467 (4,563,775); Centro: 451,144 (3,034,485); Sud: 963,500 (6,143,578).

 

Pensioni assistenziali: numero (importo totale in '000 euro)

Nord: 1,354,722 (5,930,747); Centro: 790,017 (3,436,032); Sud: 1,692,458 (7,162,306).

 

Popolazione residente: al 31/12/2006 (in '000):

Nord: 26,835; Centro: 11,540; Sud: 20,755.

Le divisioni le lascio al lettore. Ora aspetto che qualcuno mi venga a spiegare che anche questo fa parte della tassazione progressiva, o che le drammatiche condizioni di vita del Sud inducono un numero maggiore di gravi malattie ...

Grazie per i dati.

Le divisioni per i lettori interessati sono le seguenti:

(Numero pensioni di invalidita' + numero pensioni di sussistenza)/popolazione residente:

Nord:7.4%; Centro: 10.7%; Sud: 12.8%

(importo pensioni di invalidita' + import pensioni di sussistenza)/popolazione residente

Nord: 391 euro pro capite; Centro: 560 euro pro capite; Sud: 641 euro pro capite.

 

 

Allora, ecco il confronto, messo giù da bravo ingegnere .... :-)

invalidità
    

pensionipopolazione% assistiti




nord633.46726.835.0002,36%
centro451.14411.540.0003,91%
sud963.50020.755.0004,64%




assistenza





pensionipopolazione% assistiti




nord1.354.72226.835.0005,05%
centro790.01711.540.0006,85%
sud1.692.45820.755.0008,15%

Per quanto riguarda il trattamento di assistenza (concentrando l'attenzione sul confronto tra settentrione e meridione d'Italia), i dati sembrerebbero ben correlati con la differenza di reddito medio: al Nord il numero di casi – rapportati alla popolazione - è il 62% rispetto al Sud e, se è vero che il reddito medio meridionale è il 63% di quello settentrionale, è credibile un legame diretto con l'obiettivo di provvedere alle necessità di una proporzionalmente più cospicua fascia povera.

Rimangono in piedi, peraltro, due obiezioni: in primis la probabilità che la maggiore evasione fiscale – certificata nel Sud dalla stessa Agenzia delle Entrate – determini un vantaggio di erogazione all'area in cui i dati di reddito ufficiali sono meno rispondenti alla realtà e, in secondo luogo, la problematica correlazione con il costo della vita, da alcuni già dibattuto, che produce altra iniquità tra cittadini, a parità di problemi economici.

Quest'ultimo tema – ch'è poi lo stesso degli stipendi nel settore pubblico, indifferenziati per zona - non mi pare di facilissima soluzione, perchè è vero che mediamente è più costoso vivere al nord, ma pure (come qualcuno ha obiettato) che le differenze riguardano anche le dimensioni urbane, piuttosto che il dualismo città-campagna.

Sarebbe, perciò, indispensabile un indice che tenga conto anche di tali aspetti per risolvere (o, più probabilmente, attenuare) il problema, senza l'inefficienza di una eventuale differenziazione per macro-zone.

Per quanto riguarda, invece, il trattamento d'invalidità …. beh, forse nemmeno è il caso di commentare, ma mettiamola così: a dispetto dell'opinione comune relativa al clima ed al cibo, vivere al Sud non giova alla salute, dal momento che la possibilità di trovarsi in condizioni di menomazione è esattamente doppia che al Nord … :-)

 

Ho letto che i due terzi degli studenti dell'Università Bocconi proviene dal Sud. Sarebbe possibile fare un sommario controllo sulle dichiarazioni fiscali delle famiglie e, qualora queste apparissero non congrue con le spese di mantenimento di uno studente fuorisede, disporre un piccolo accertamento? In passato ho lavorato a Siena, e ricordo moltissimi studenti che richiedevano la riduzione delle tasse universitarie per bassi redditi, ma per il resto non si facevano mancare niente....

Credo che 2/3 dei bocconiani siano del Sud perche' - dichiarando redditi vicini allo zero sia per evasione sia per poverta' ma piu' probabilomente per la prima ipotesi - prendono la maggior parte delle borse di studio. Spero che qualcuno in possesso di informazioni piu' accurate mi corregga...

 

Ho bisogno di un chiarimento: in questo blog é ammesso o no postare con il solo nickname? quando mi sono iscritto mi hanno chiesto solo un indirizzo e-mail valido, e quello ho fornito. Ci sono altre regole che non conosco?

E' ammesso.

Diversi frequentatori abituali sono anonimi per il pubblico (collaboratori compresi) ma hanno dichiarato ai redattori identità e motivi dell'anonimato (per lo più timore di vendette accademiche), e nessuno li considera anonimi.

Sei liberissimo di scegliere tra queste tre opzioni, ma se scegli di restare del tutto anonimo molti agiranno come se tu non fossi disposto a firmare cio che dici perchè sai di parlare a vanvera, vero o falso che sia.Anche loro sono liberi di scegliere con chi val la pena discutere o meno.

P.S. ricordo addirittura il caso di un ricercatore che aveva espresso giudizi poco lusinghieri sul proprio barone di riferimento, ed è stato anonimizzato dall' amministratore del sito.

 

Al di là della discussione che si è sviluppata, ritengo doveroso svelare un retroscena sul discorso di Giorgio Napolitano, di cui sono venuto a conoscenza ieri.

Il discorso "incriminato" è stato tenuto all'Elasis, che è un consorzio (finto) di ricerca, il cui capofila è Fiat Automobiles, e i partecipanti sono tutti dell'orbita FIAT, il consorzio è finanziato, oltre che dalla stessa FIAT, al 60% dallo Stato tramite i fondi per la ricerca.

Sembra che nelle pieghe della finanziaria (quella dei 9 minuti) ci sia un taglio netto per l'Elasis, inoltre mamma FIAT in questo momento ha altro a cui pensare, per cui le parole di GN (pronunciate davanti a Montezemolo e Marchionne) servivano a rassicurare i presenti che lui avrebbe fatto di tutto per far arrivare i soldi all'Elasis (e quindi a FIAT), sia pur inserito nel quadro dei "doverosi trasferimenti" Nord-Sud, forse giusto per confondere le acque. Poichè su NFA servono i fatti, i fatti sono questi: Ferie di TUTTO il personale dal 22.12.2008 al 12.01.2009, niente straordinari, sospensione di tutti i progetti non strategici (compreso quella della nuova Topolino...), riduzione del 50% degli apporti esterni al personale proprio Elasis, spostamento di personale sul Centro Ricerche Fiat di Orbassano (TO).

E noi a parlare di storia della questione meridionale e soluzioni....