A parte l'annuncio per la cena in onore di David Cass, ieri abbiamo messo due posts sul sito.
Uno di Giorgio che commentava esterrefatto la decisione del (vice) ministro delle finanze uscente di rendere pubbliche ed accessibili in modo anonimo, via web, tutte le dichiarazioni dei redditi degli italiani. Uno mio che voleva (e tuttora intende, la voglia non m'è passata) iniziare una riflessione sui miti che rendono oggi gli italiani e la loro classe dirigente incapace di intendere cosa gli sta succedendo, e cosa dovrebbero fare.
In entrambi i casi la discussione è degenerata, non tanto per qualche scambio di insulti ma per il contenuto e la natura dei commenti. Allo scambio di insulti, soprattutto in coda al post mio, ho contributo pure io e me ne pento solo parzialmente: ho già spiegato perché al lettore in questione, e non mi dilungo ulteriormente. La regola secondo cui prima di parlare bisogna documentarsi e prima di criticare occorre motivare, vale ancora e sempre varrà. Il punto non sono le parole "offensive" e i sintomi d'irritazione reciproca, il punto sono i contenuti dei commenti e la loro (quasi totale) biforcazione: Guelfi da un lato, Ghibellini dall'altro.
Partiamo dal post di Giorgio il quale, vivendo negli USA da un pezzo, si è abituato ad una certa nozione della privacy diffusa in molti posti del mondo (sembra che in Finlandia ed in Svezia non lo sia) a fronte della quale la decisione di VV sembra semplicemente folle. Dopo aver esposto la sua sorpresa, Giorgio concludeva il suo post dicendo:
La cosa è al di là del bene e del male, questo è chiaro, ma la domanda interessante è: perché l'ha fatto?
Esatto, perché l'ha fatto? A che serve che, una settimana prima di passare la mano, un ministro praticamente senza più alcun potere compia un atto del genere? Cosa cerca? Cui prodest?
Il dibattito che ne è seguito ha, con pochissimissime eccezioni, ignorato allegramente la questione posta da Giorgio concentrandosi su di un punto secondario: ha ragione (perché la legge glielo permette) vs ha torto (perché incita all'odio contro i ricchi/poveri/evasori). L'asse di divisione è banale, anche se a volte occultato da paludazioni ideologiche o pseudo tecniche. Se sei di "sinistra" vuoi che lo stato controlli tutto, VV ha fatto benissimo, i redditi di chiunque vanno resi pubblicissimi, lo stato ha il diritto e il potere di farlo, chi protesta è fondamentalmente un evasore fiscale. Se sei di "destra" vuoi che si condanni VV, che si riconosca in egli il vampiro che tutti sappiamo essere, eccetera. Insomma: reazioni, fatte poche eccezioni, pavloviane. Il dibattito continua ancora ma il contenuto analitico del medesimo è zero: ognuno difende la posizione della propria parte politica.
Il mio post ha avuto un destino persino peggiore: il primo commento (classificabile, forse arbitrariamente ma non credo, come di "destra") m'ha rimproverato di non aver messo all'indice il mito preferito (della parte avversa): la resistenza antifascista e la costituzione che questa ha generato. Lasciamo stare il lato ironico (la costituzione italiana io la gradisco poco, ed era uno dei miti pronti in lista; la resistenza, invece, la trovo un'ottima idea anche se di minoranza) e concentriamoci sulla reazione: pavloviana. A questa prima reazione pavloviana di "destra" segue subito una legittima difesa (di "sinistra") della resistenza che però immediatamente richiede io metta all'indice un altro mito, questa volta preferito dalla parte avversa a quella avversa: il mercato e la concorrenza. Lasciamo stare l'ovvio fatto secondo cui mercato e concorrenza sono oggi in Italia un "mito" nel senso che per vederli occorre sognarseli, e concentriamoci sulla richiesta: pavloviana. Poi è arrivato un altro, anche questo classificabile (forse arbitrariamente ma non irragionevolmente) come di "sinistra" ad incazzarsi perché ... non ho capito perché, ma credo fosse perché avevo detto "male" del sindacato. Non credo abbia capito l'argomento, né abbia un'idea precisa di come funziona la concertazione, né tantomeno di chi era Bruno Trentin (che invoca per ragioni oscure), ma tutto questo è secondario visto che ciò che conta è la reazione: pavloviana
Giorgio aveva suggerito un tema interessante: perché VV ha commesso una tale provocazione una settimana prima di dimettersi? Io avevo suggerito due temi (forse non interessanti): il mito del primato della politica e quello della centralità del sindacato e della concertazione sindacale. Avremmo potuto discutere di ognuno di questi tre temi. Invece cos'è successo? Si è riprodotta la follia della sinistra contro la destra, con noi in mezzo.
Io ho preso sberle (niente di cui preoccuparsi, le ho restituite con gli interessi) sia da destra che da sinistra mentre la domanda di Giorgio è stata ignorata allegramente mentre lui cercava con i suoi interventi, molto più pacati e accomodanti dei miei, di riportare il dibattito ad una dimensone minimamente razionale. A rileggere molti commenti (ripeto, non tutti: alcuni sono deliziosi ed insightful) uno ha la sensazione di essere alla guerra civile: la destra odia la sinistra e la sinistra disprezza la destra. Non c'è terreno di discussione, non c'è valore condiviso, non c'è rispetto. Soprattutto: non ci sono argomenti logici, fatti, dati, argomentazioni magari retoriche ma convincenti. C'è solo l'asserzione cieca dell'errore dell'altro e della giustezza della propria posizione e della propria parte. Non c'è mai, assolutamente mai, la minima probabilità che l'altro abbia ragione qualche volta ed io torto qualche volta, che alcune cose siano giuste da una parte ed altre giuste dall'altra. C'è una divisione netta, che suggerisce un odio profondo.
Sarà che la storia dell'Argentina mi ossessiona, ma quest'atmosfera non mi piace. Forse ieri è stato un giorno particolarmente sfigato ed anomalo, questo è senz'altro possibile. Ma se, ora che nFA è cresciuta, la natura dei commenti dice qualcosa sulla situazione italiana, io non la vedo per niente bene.
Argentina? Interessante paragone. Sto partecipando ad un convegno a Buenos Aires, e mi pare che la nostra situazone attuale abbia almeno altri due elementi in comune con la storia di questo paese: la disoccupazone intellettuale (misurata con il numero di laureati senza lavoro o sotto occupati), e la tentazione di peronismo economico (a proposito, è una distorsione dovuta al fatto che sono all'estero oppure c'è stata una assordante mancanza di pernacchie alla proposta di Fini e Berlusconi di cedere la proprietà di Alitalia tenedone la gestione?).
Entrambe sono il sintomo di un paese in crisi economica e pieno di paure.
L'odio di parte invece, secondo me, è un tratto storico che ci viene da un paese diviso in due blocchi ed è cresciuto dal 94 in poi per lo stile della competizione tra Berlusconi e Prodi. Ed ora è particolarmente alto a causa della campagna elettorale appena finita.
ROTFL! Questa mi era sfuggita. Almeno avessimo il Tango Nuevo. Invece, Jovanotti.
Sono appena tornato da una decina di giorni in Italia e la mia impressione e' proprio questa. Un paese invecchiato, confuso e insicuro, diviso sulla base delle differenti irrazionali paure: Rumeni e concorrenza dalla Cina da una parte, precarieta' e disoccupazione dall'altra. No Country for Young Men, e te lo dice uno che ha gia' 54 anni e la barba (quasi) bianca.