Scrive Harry Frankfurt:
Bullshit is unavoidable whenever circumstances require someone to talk without knowing what he is talking about. Thus the production of bullshit is stimulated whenever a person's obligations or opportunities to speak about some topic are more excessive than his knowledge of the facts that are relevant to that topic. This discrepancy is common in public life, where people are frequently impelled -- whether by their own propensities or by the demands of others -- to speak extensively about matters of which they are to some degree ignorant.
In italiano tradurrei così:
Le stronzate sono inevitabili ogniqualvolta le circostanze impongano a qualcuno di parlare senza sapere di cosa stia parlando. Quindi la produzione di stronzate è stimolata ogniqualvolta gli obblighi o le opportunità che una persona ha rispetto al parlare su un certo argomento eccedano la sua conoscenza dei fatti rilevanti. Questa discrepanza è comune nella vita pubblica, dove le persone sono frequentemente costrette -- per loro propensione o perche' richieste da altri -- a parlare in maniera estesa su questioni sulle quali sono in tutto o in parte ignoranti.
Questa implicazione del concetto di bullshit è ben esemplificata dalla lettera (editoriale?) di Tremonti, che vado a spezzettare nella sua interezza e commentare brevemente. Le questioni sollevate nella lettera sono certamente rilevanti, è il modo in cui vengono trattate che disarma chi confida nella ragione e nella ragionevolezza. In particolare, ben poche delle tesi sostenute sono supportate da fatti noti. E allora: bullshit! Il re è nudo!
Caro direttore,
1) Eravamo nel mondo circa 1 miliardo di persone, all'inizio del '900. Eravamo circa 2,5 miliardi, a metà del '900. Siamo circa 6,5 miliardi, all'inizio di questo secolo. Saremo in previsione più di 9 miliardi, prima della fine di questo secolo. Contrariamente a un'impressione che si sta ormai diffondendo, le previsioni economiche sono ancora affidabili, ma solo se basate sui grandi numeri e proiettate sulla dimensione temporale della lunga durata, da un decennio all'altro. Dati questi dati: cosa dire sull'oggi? Cosa prevedere per domani? Cosa fare?
Bene, le previsioni economiche sono ancora affidabili, possiamo ragionare sul futuro e agire di conseguenza. Bando a chi diffonde l'impressione contraria. Ehi, un momento... ma non era lui? Ma non è lo stesso della scomunica "silete economisti"? Vabbé...
Quindici, ancora dieci anni fa, poco più di 1 miliardo di persone aveva più dell'80% della ricchezza prodotta nel mondo. Oggi, tra quel poco più di 1 miliardo ed i restanti più di 5 miliardi, la ricchezza che si produce nel mondo è divisa a metà: 50%; 50%. Non è solo un differenziale demografico, economico, quantitativo. È un differenziale politico. Un differenziale ad alta intensità politica.
Dunque, se 15 anni fa la popolazione mondiale era di 5.5 miliardi e il 18% (un miliardo di persone) deteneva più dell'80% della "ricchezza prodotta", reddito quindi, e oggi la popolazione mondiale è di 6.5 miliardi e il 15% (il solito miliardo di persone) detiene il 50% del reddito, a occhio a croce la disuguaglianza si è ridotta (mi pare implausibile che il 3% della popolazione che detenga più del 30% del reddito).
Ma se stiamo diventiando più uguali perché dare importanza epocale alla disuguaglianza? Perché evocare una "alta intensità politica", espressione che peraltro non so cosa voglia dire né è spiegata nella lettera? E infatti si salta di palo in frasca, perché nel resto della lettera la distribuzione del reddito diventa irrilevante.
Quindici, ancora dieci anni fa, la parte ricca del mondo era unificata da un proprio e dominante codice di potere: un unico codice economico e monetario, linguistico e politico, fatto dall'ideologia del mercato e del dollaro, dalla lingua inglese e dal G7. Questo ordine si è rotto, nel corso dell'ultimo decennio. Il vecchio codice di dominio è entrato in crisi, tanto al suo interno quanto al suo esterno, a fronte del nuovo mondo che è emerso un po' dappertutto fuori dal vecchio perimetro del G7. Un mondo caotico e anarchico nella sua espressione d'insieme, fatta da sistemi e sottosistemi sociali ed economici, ideologici e politici, tra di loro fortemente differenziati: democrazie emergenti, che replicano alternativamente gli elementi migliori o peggiori dell'Occidente; Stati che ibridano insieme comunismo e mercato; Stati che esprimono e proiettano insieme neo-imperialismo e paleo-mercantilismo; Stati che sono ancora più feudali che sovrani. L'effetto di insieme,
l'effetto complessivo è quello di una forte instabilità. Instabilità già in atto; e soprattutto instabilità in potenza. L'arte di «prevedere il futuro», l'arte di fare la «storia del futuro» è un'arte ricorrente. L'offerta di catastrofismo è una costante storica, ma nella sua intensità conosce cicli alterni di alto, medio, basso. Un'arte che in specie si intensifica nelle fasi di crisi, fino agli scenari catastrofici dell'iperconflitto, del nomadismo, del cannibalismo. Qui cerchiamo di essere più costruttivi.
Intermezzo: visto l'uso ripetuto dell'espressione temporale, potete continuate a leggere con in sottofondo Quindici anni fa, che in qualche modo calza a pennello!
Bene, dopo averci offerto lui stesso una bella dose di catastrofismo con venature di delirio (un mondo caotico e anarchico?!? Paleo-mercantilismo?!? Instabilità in potenza?!? Iperconflitto?!? Nomadismo?!? Cannibalismo?!?) passa alla fase costruttiva. L'inizio è però pessimo:
L'accaduto non può essere evitato. È l'inevitabile che può essere evitato.
Capisco il desiderio di suggestionare e il fatto che in Italia e altrove la politica si fa anche così ("ecco, ho evitato l'inevitabile ma non posso certo prevedere l'imprevedibile") ma, suvvia, manteniamo la decenza...
In questa prospettiva, cibo e acqua sono elementi essenziali e strategici. Rappresentiamoli in negativo, per capire più a fondo quanto contano: non cibo, uguale fame; non acqua, uguale sete.
Bè, non c'è bisogno di andare "più a fondo" per capire questo.
2) Non cibo alias fame. Entro il 2030 la domanda alimentare crescerà del 50%.
E allora? Tremonti sopra ci ricordava indirettamente che le bocche da sfamare sono aumentate del 550% dall'inizio del 900 a oggi, eppure oggi la popolazione mondiale è meglio nutrita di un secolo fa.
In particolare, negli ultimi tre anni, i prezzi alimentari sono globalmente cresciuti dell'83%. Solo nel 2007 il prezzo del pane è aumentato del 77%, quello del riso del 16%. Nel 2008 la tendenza non si è invertita. È solo un po' rallentata. Alla base di questi movimenti e dei loro scarti improvvisi ci sono solo i fondamentali della domanda e dell'offerta o c'è anche la speculazione, la peste del XXI secolo? Per me (non solo per me) c'è anche e forte la speculazione.
Indubbiamente c'è anche la speculazione ma finché non se ne quantificano gli effetti restiamo nell'ambito delle opinioni. Paradossalmente, come spiega bene questo istruttivo articolo dell'Economist, la speculazione incide in maniera inversamente proporzionale alla quantità di prodotti agricoli che passa dai mercati delle merci. Quindi l'effetto della speculazione sui prezzi alimentari può essere attenuato e forse neutralizzato ampliando il mercato, non certo restringendolo. In ogni caso, lo stesso articolo dell'Economist elenca un numero di "fondamentali" (impennata della domanda, riduzione delle scorte al minimo storico, condizioni metereologiche sfavorevoli) che possono spiegare l'aumento dei prezzi negli ultimi 18 mesi senza scomodare la speculazione.
Ma comunque, anche ragionando solo in termini convenzionali di domanda e di offerta, c'è qualcosa di più. È questione di equilibri e di velocità sostenibile. La globalizzazione, fatta di colpo e a debito, è stata come aprire un vaso di Pandora, liberando forze che ora non sono facili da controllare.
Ma la globalizzazione di cui si sta parlando qui non significa apertura dei mercati? E allora quali sono queste misteriose forze difficili da controllare? Se di mercati parliamo le forze sono quelle, domanda e offerta, e allora non c'è "qualcosa di più." Cosa vuole dire che è "questione di equilibri e di velocità sostenibile?" Che domanda e offerta possono non aggiustarsi istantaneamente? Ok, mettiamoci dentro frizioni e quant'altro, ma alla fine non c'è nulla di misterioso, mi pare.
In ogni caso, sul cibo si è creata un'enorme asimmetria, tra l'Occidente e il resto del mondo. Un'asimmetria che è insieme culturale ed esistenziale. A) In Occidente, sul cibo si ragiona in termini lievi, postmoderni. Corriere della Sera del 24 settembre 2008: «Industria del benessere: è record!». Sole 24 Ore del 21 settembre 2008: «Magrezza di Stato» (su: Beker e Posner, Should the State regulate the fast food industry?). In Occidente la questione del cibo viene in specie vissuta e
presentata come un misto tra buone pratiche di igiene sanitaria (è così un po' il verificarsi della profezia di G.B. Shaw: l'igiene diventerà la religione del mondo contemporaneo), pose radical-chic, idee psudoscientifiche, furbizie commerciali, prospettive di risparmi pubblici nella spesa per il welfare.
Sinteticamente: in occidente abbiamo la pancia piena e il cibo non è un problema primario. Che bisogno c'è di scomodare la postmodernità, l'igiene sanitaria, le pose radical-chic, la pseudoscienza, la furbizia commerciale, il welfare? Mah!
Ancora ieri si auspicava in Europa un aumento dei prezzi per incentivare gli agricoltori a produrre minori quantità, ma di migliore qualità, etc... E via via con scemenze simili.
Concordo, si tratta di una scemenza. Ed è anche uno dei pilastri di quella Politica Agricola Comune (PAC) che Tremonti altrove afferma di voler difendere e sviluppare.
Soprattutto c'è il dilemma, l'enigma tragico dei biocarburanti: sono un target europeo positivo e progressivo o sono un crimine contro l'umanità?
Eh, che paroloni. Scopro poi che si tratta di una citazione. La questione dei biocarburanti è interessante e meriterebbe una discussione a parte. Tuttavia, trattasi di tragedia (di enigmi invece non ne vedo, perché ne sappiamo abbastanza) solo all'interno del modello superfisso, dove con una data tecnologia se x ettari di terra producono cibo sufficiente a sfamare una persona e gli stessi x ettari possono alternativamente produrre z litri di biocarburanti, allora prudurre n*z litri vuol dire far morire di fame n persone. A prezzi di carburante e cibo rigorosamente fissi, naturalmente, insieme a tecnologia agricola e terra arabile tra le altre cose.
B) Nel resto del mondo non è esattamente così. La fame ha fenomenologia e geografia nuove, diverse da quelle tradizionali. La fame non riguarda più solo le aree da sempre povere, o le aree colpite periodicamente da siccità o da eventi bellici. La fame è insieme più estesa e più discontinua di prima. Ed essa stessa può essere, si avvia a essere, non solo l'effetto ma anche la causa di guerre. È anche questo un lato oscuro della globalizzazione. Per fare un bilancio consolidato della globalizzazione è ancora troppo presto. Nella parte del mondo non «beneficata» dalla globalizzazione non tutti vivono comunque meglio, molti vivono ancora peggio di prima; perché, con i nuovi prezzi, non basta più neanche quel mezzo dollaro che prima «bastava».
Sarebbe interessante capire qual è questa nuova geografia della fame e in che senso questa sia più estesa e più discontinua di prima. Combinando i dati dello UN World Food Program con quelli sulla popolazione mondiale l'incidenza della fame raggiungeva un impressionante 26% nel 1970, era quasi dimezzata, 14%, nel 1997, e nel 2003 era ancora al livello del 1997 (interpolando rozzamente i dati della popolazione mondiale per il 1997 e 2003). Gran parte di questa, il 96% secondo gli stessi dati UNWFP, è concentrata nei paesi in via di sviluppo mentre ad esempio prima si moriva di fame spesso e (poco) volentieri anche in Europa. Insomma, visto che i ministri sembrano avere sempre più informazioni di noi, se ci forniscono tutti i dati che hanno a disposizione, e in base ai quali affermano quello che affermano, possiamo capire meglio e discutere alla pari.
3) Non acqua, alias sete. La domanda globale di acqua è triplicata negli ultimi 50 anni e si prevede che crescerà di un ulteriore 25% nel 2030.
Idem come sopra per la crescita della domanda di cibo. Ma non tutto quadra: GT affermava sopra che la domanda di cibo aumenterà da qui al 2030 del 50% mentre ora dice che la domanda di acqua aumenterà solo del 25%. Strano, perché se il problema è la popolazione, i nuovi arrivati devono mangiare e bere e usare acqua per produrre cibo, quindi vuol dire che da qualche parte si sta risparmiando acqua, il che va in direzione opposta all'annunciata catastrofe di cui sotto.
Almeno 500 milioni di persone vivono in aree che strutturalmente e permanentemente mancano di acqua. Per il 2050 è previsto che salgano a 4 miliardi. Da sempre acqua significa vita e salute. Lo sapevano bene gli antichi romani, con il loro motto Salus per acquas, con i loro acquedotti e le loro terme.
Appare e suona meglio Salus per AQUAM, ministro, Salus per AQUAM. O AQUAS, al limite. Parola di ragioniere che il latinorum non l'ha mai potuto studiare. Comunque, ecco qui un altro articolo istruttivo.
Prima dei romani, vi era la Bibbia.
Anche dopo, in effetti :-)
L'acqua nella Bibbia non è solo una presenza fisica, sospirata e preziosa, ma è soprattutto e non per caso un simbolo spirituale. Sono almeno 1.500 i passi biblici «bagnati» dalle acque. Passi nei quali ci si imbatte in sorgenti, fiumi, mari, laghi, ma anche in piogge, nevi, rugiade, pozzi, cisterne, acquedotti, piscine, bagni, torrenti, imbarcazioni, pesci, pescatori. L'acqua racchiude valori simbolici fondamentali al punto da trasformarsi in un segno stesso di Dio e della sua parola. L'acqua rivela anche un profilo terribile, di giudizio e di distruzione: pensiamo solo al diluvio o, più semplicemente, al mare che nella Bibbia è visto come un simbolo del nulla, del caos, della morte. È scritto nell'Apocalisse: «Il mare non c'era più [...]. Un fiume d'acqua viva, limpida come cristallo, scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello [...]. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita» (21,1.6; 22,1). Quel Dio, che aveva dissetato il suo popolo nel deserto, offrirà allora una «sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14).
Capisco che la lettera è comparsa di domenica e che il suo autore di questi tempi ha attitudini e forse ambizioni messianiche, ma che c'azzecca?
Da sempre la civiltà dipende dalla disponibilità di acqua.
Ma guarda un po'... Mi ricorda quando alle elementari iniziavo solennemente il tema con "Fin dai tempi più antichi..."
È stato detto, correttamente, che l'acqua è più importante del petrolio. In un prossimo futuro sarà possibile sostituire il petrolio con altre fonti di energia, come quella nucleare o quella solare. Ma non sarà mai possibile sostituire l'acqua. La disponibilità di acqua, va da sé, è essenziale per aumentare la produzione agricola in modo da corrispondere all'incremento della popolazione mondiale. A differenza del cibo, l'acqua sta diventando una risorsa scarsa, anche nei Paesi sviluppati. Vi sono innumerevoli segnali. Ad esempio, quest'anno per la prima volta 18 milioni di californiani hanno dovuto subire un forte razionamento delle forniture idriche. Stiamo parlando della parte del mondo più ricca e più innovativa dal punto di vista tecnologico. Ma tutto ciò evidentemente non è bastato. Il progresso tecnologico potrà indubbiamente aiutare nel trovare nuove risorse idriche e, soprattutto, nell'usare più efficientemente quelle esistenti. Ma il problema non è soltanto tecnologico o risolvibile solo con la scienza. È un problema anche politico, ed anche morale.
Se la scienza e la tecnologia risolvessero il problema della fornitura d'acqua, quali problemi politici e morali potrebbero esserci? Non capisco.
Più in generale, in che senso c'è scarsità d'acqua e cibo? La scarsità può essere fisica (non c'è acqua) o economica (l'acqua c'è ma è mal gestita: ad esempio mancano adeguate infrastrutture per la distribuzione). Come si vede dalla mappa riprodotta qui la scarsità fisica riguarda -- a tecnologia costante -- una parte non indifferente ma neppure drammatica della popolazione mondiale (una mappa della densità della popolazione è disponibile qui)
Quello che possiamo aspettarci -- e che già osserviamo -- sono movimenti migratori da dove l'acqua è scarsa a dove l'acqua è abbondante. Raccomando in proposito l'interessante racconto del National Geographic per il Southwest USA.
4) Cibo e acqua non sono una merce qualsiasi, una commodity qualsiasi da lasciare al mercato secondo la logica del profitto. La logica del profitto può senz'altro favorire un'allocazione efficiente delle risorse. Ma l'efficienza economica ha poco o nulla a che fare con il soddisfacimento dei bisogni primari di chi — regione geografica o classi di cittadini — non dispone delle risorse economiche necessarie per pagare prezzi di mercato.La logica del mercato va correttamente applicata per rendere cibo e acqua più disponibile per tutti, in modo efficiente e senza sprechi. Ma non deve essere applicata per rendere il cibo e l'acqua un nuovo e formidabile strumento per conseguire profitti privati di monopolio o rendite di posizione. Come per il cibo, anche per l'acqua sta finendo l'illusione pluridecennale di una crescente disponibilità a prezzi sempre più bassi. I governi hanno il dovere di adottare le misure necessarie affinché l'acqua non diventi una ragione di separazione sociale tra ricchi e poveri, che si tratti collettivamente di interi Paesi o individualmente di cittadini, all'interno dei vari Paesi. Serve per questo il principio di una nuova governance del mondo.
Oh, ecco dove si voleva arrivare. Si poteva anche arrivarci prima. Dunque, è vero: l'efficienza economica per definizione è questione separata dall'equità, in questo caso il diritto di tutti a non essere affamati e assetati in un mondo dove abbondano le risorse. Tuttavia, quello che essenzialmente il mercato fa è inviare i segnali giusti (i prezzi) su quanto siano scarse le risorse. Questa è una funzione fondamentale per beni importanti come il cibo e l'acqua. Se l'intervento dei governi significa distorcere questi segnali -- ad esempio dando acqua gratis quando invece si deve economizzare sull'acqua -- il rimedio è chiaramente un peggioramento del male e va nella direzione opposta a quella auspicata, cioè far finire l'illusione che risorse scarse siano infinitamente abbondanti. Sui monopoli, come non essere d'accordo: il mercato crea inefficienza e scarsità solo quando non è concorrenziale (as esempio i mercati agricoli mondiali non sono concorrenziali proprio a causa delle misure che molti governi, inclusi quelli europei e americano che sussidiano pesantemente gli agricoltori, si sentono in dovere di adottare.) Insomma, qui c'è un cortocircuito: da un lato Tremonti diffida dei mercati in favore della mano pubblica, dall'altro invoca i mercati nella loro fondamentale funzione. Come ne usciamo?
È per questo che, nel suo grande respiro, si condivide pienamente il discorso fatto il 23 settembre 2008 per l'Europa, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite dal presidente della Repubblica francese: «La comunità internazionale ha una responsabilità politica e morale che noi dobbiamo assumere... non possiamo governare il mondo di oggi, quello del XXI secolo, con le istituzioni del XX secolo... Abbiamo un secolo di ritardo... Non possiamo più aspettare... a trasformare il G8 in G14, per farvi entrare la Cina, per farvi entrare l'India, per farvi entrare l'Africa del Sud, il Messico, il Brasile. L'Italia propone un grande passo in questa direzione fin dal prossimo vertice che ospiterà. L'Italia ha ragione!». Nel 2008 il suo anno di Presidenza del G8, l'Italia intende proprio andare avanti invitando tutti gli altri Paesi a compiere insieme un passo avanti verso il futuro. Un futuro che può e deve essere migliore del presente.
Oh, i Francesi sono così pienamente condivisibili quando ci danno ragione... mica quando vogliono comprarsi l'Alitalia... :-)
La soluzione finale sarebbe quindi il passaggio da G8 a G14. Ma in che modo questo migliorerebbe la governance mondiale rispetto ai problemi del cibo e dell'acqua? Non lo sappiamo, la lettera finisce qui. Peccato, ce la siamo sorbita tutta e manco ci è dato di conoscere la risposta alle domande che vorrebbe affrontare!
Ciao Giulio, (non Tremonti)
E' un pezzo ormai che tutti seguiamo le apparizioni del nostro ministro...a questo punto credo che si possa ragionevomente pensare che Tremonti, quando parla, parli per finalità di posizionamento politico intrno al suo schieramento e allo scopo di emergere non solo come un tecnico che gestisce un ministero che parla solo di tagli alle spese e razionalizzazioni (ammesso che lo faccia davvero).
Con la fusione AN FI, i due gruppi politici diveranno una sola cosa, e probabilmente Tremonti sta già pensando a come piacere anche agli elettori di AN, al fine di trovare posto nella futura burocrazia di partito unico AN-FI, ovviamente in una posizione preminemte.
Dico questo perchè mi sembra l'unico modo di giustificare non solo la parzialità e la confusione dei ragionamenti, ma anche la retorica suggestiva e tutto l'uso di un frasario accattivante, che mi ricorda davvero il parolaio rosso (Bertinotti).
Per il resto mi piacerebbe sapere se i rimanenti liberali di FI hanno qualcosa da dire...oh mai che a un intervento di Tremonti segua, che so, una lettera di un liberale di FI, tipo Della Vedova, che ci spieghi perchè lui non è d'accordo.
Ciao.
Concordo: le sue ambizioni di leader sono piuttosto evidenti e assolutamente legittime. Alla sua homepage personale infatti e' in bella evidenza il titolo di Vicepresidente di Forza Italia. Ossia, dopo Berlusconi tocca a lui.
Quello che veramente mi stupisce e' come possa il Corriere della sera pubblicare una lettera del genere, e pubblicarla in prima pagina di domenica...