Questo è un concetto che continua a sfuggire a molti, soprattutto ai politici. Allora, abbiamo da qualche settimana una "derivata seconda" che è positiva, cioè la velocità di caduta rallenta. Quindi abbiamo un punto di flesso. Il punto di svolta, però, è altra cosa, è la "derivata prima" che diventa positiva. Ciò passa preliminarmente per la stabilizzazione, cioè per la variazione nulla rispetto ad un determinato periodo precedente. Da quel momento in avanti, si potrà valutare se la ripresa è a forma di V (forte e rapida), W (prima ripresa abortita, nuova contrazione, seconda ripresa a buon fine), U (crescita stagnante su livelli assoluti di attività anche molto inferiori rispetto al ciclo precedente, prima della ripresa), o la temuta L (stagnazione protratta su livelli di attività depressi).
Tremonti ritiene che i governi siano stati decisivi: vero, ma forse non quelli europei, vista l'assenza di coordinamento che ha fortemente depotenziato il già esiguo stimolo espansivo, al netto degli stabilizzatori automatici. L'Italia non ha attuato stimoli (0,2 per cento del Pil), né soprattutto riforme strutturali. La Germania ha adottato soprattutto dei pork barrels pre-elettorali, e infatti i risultati si vedono nei dati macroeconomici. La Francia è stata più spregiudicata, al limite degli aiuti di stato conclamati, ma si è fermata un passo prima. Si perché, checché ne pensi Tremonti, gli aiuti di stato non sono affatto stati sdoganati dalla Ue.
Una sana arrampicata sugli specchi, nell'intervista al Corriere, è poi questo passaggio:
«Il nostro debito pubblico sommato a quello privato, e abbiamo visto che c’è osmosi tra i due, è pari a quello francese e tedesco. Forse per qualcuno è una sorpresa, ma da noi per la prima volta il deficit e il debito corrono meno rispetto all’Europa, la Borsa recupera più delle altre, il differenziale con i titoli di Stato tedeschi si riduce. L’impressione in giro è che che ci sia una tendenza al 'buy Italy'»
Del debito pubblico sommato a quello privato, si è detto: noi poi abbiamo un debito pensionistico che fa drizzare i capelli in testa. Anche senza questa spada di Damocle, tuttavia, Tremonti continua ad ignorare che il debito senza crescita è una corda al collo del paese: dovremo crescere, al momento della ripresa, ad almeno il 2 per cento reale annuo, o rischiamo di pagarne carissime conseguenze. Sulla frase "la Borsa recupera più di altre", l'arcano è presto svelato: sulla borsa italiana le banche hanno un peso assai rilevante, ed il settore nelle ultime settimane si è prodotto in un rally folle, al traino degli Stati Uniti. Non a caso, durante l'agonia del credito, la nostra borsa era quella che faceva peggio. Riguardo "il differenziale coi titoli di stato tedeschi che si riduce", questo evento non è specifico al nostro paese, ma è solo la conseguenza della riduzione dell'avversione al rischio, come ben evidenziato anche dall'andamento dei credit default swap sovrani. Hanno stretto tutti, persino Spagna, Grecia e Irlanda. Persino gli inguaiati paesi dell'Est Europa, senza motivi fondamentali, e senza che qualcuno abbia ipotizzato di urlare "Buy Latvia". Quando c'è alta marea, anche i relitti galleggiano.
Tutto ciò per dire che non è finita, non sappiamo quando finirà, anche nel momento in cui finirà dovremo correre per non finire sotto il treno. Non si tratta di fare catastrofismo, ma solo di evitare di fare trionfalismo del tutto fuori luogo. E magari di cominciare a fare riforme pro-crescita.
Non solo la crisi non è finita - a dispetto delle professioni di ottimismo berluscon-tremontiane - ma lo spasmodico desiderio che sia così, fonte del riavvio di un minimo d'interesse agli investimenti nelle imprese che si annusa nell'aria, si scontra con un drammatico timore per ciò che potrebbe accadere nel secondo semestre.
La paura è palpabile e riguarda l'accelerazione del default dei pagamenti. Infatti, la carenza di liquidità non può che farsi più grave a causa del progressivo peggioramento della situazione - sempre di peggioramento si tratta, pur se la caduta rallenta la corsa - e moltissimi imprenditori ritengono che la cosa possa superare il limite del non-ritorno per una parte significativa del sistema produttivo.
Anche perché, fino ad ora, quel poco che il governo ha messo in campo è servito al sostegno delle persone in difficoltà - con la cassa integrazione "in deroga", cioè allargata ai lavoratori impiegati in imprese non obbligate al versamento dei contributi destinati ad istituire il fondo che paga tale istituto, tradizionalmente in attivo - mentre, per il resto, si è rimasti agli annunci o poco più.
Certo, c'è il tamponamento costituito dal fondo di garanzia di 1,615 miliardi per supportare la concessione di prestiti alle piccole imprese da parte del sistema creditizio (sui quali, ovviamente, le aziende pagano fior d'interessi, con spreads che stanno diventando quasi usurari), però manca completamente il pagamento dei debiti della PA che - come si legge anche nell'intervista di Julius XVII al Corriere - sono continuamente oggetto del tentativo di sminuirne la portata: si sostiene, quasi con fastidio, che l'ammontare sia inferiore a quanto si pensi e se ne dilaziona sine die la soluzione, sorvolando sull'ineticità di un simile comportamento (che va considerato a carico anche di tutti i precedenti governi, ci mancherebbe ....) e, per un esecutivo disposto a stracciarsi le vesti in nome di un'improbabile etica assoluta nel caso Englaro, la contraddizione è palese.
Ben sappiamo - tutti - che la situazione della finanza pubblica italiota sia tale da non potersi permettere interventi incisivi, ma siamo anche consci - tutti - che il problema risiede nell'eccesso di spesa, non certo di entrate tributarie, con i livelli di tassazione che le indagini internazionali certificano. Del resto, se - in presenza dell'abnorme debito previdenziale che tutti conosciamo e che tu, Mario, metti correttamente in risalto - l'ex-socialista Sacconi sostiene che in tempi di crisi non bisogna intervenire sulle pensioni per non generare insicurezza (scordandosi di aggiungere "nell'elettorato che potrebbe cambiare intenzione di voto" ....), è evidente la decisione di non procedere a quelle riforme strutturali che sono drammaticamente indispensabili per agganciarsi al treno della ripresa, quando partirà.
A parte che sottoscrivo in pieno il tuo intervento, soprattutto sui "soldi veri" che oramai aleggiano come un mito, tanto che, non so da voi, ma da noi quando due imprenditori parlano tra loro di affari concludono sempre con la frase "e ci metto soldi veri".
Sulle riforme vere di cui abbiamo bisogno, e su cui Mario Seminerio sorvola, forse perchè aveva deciso di aderire al PDL, c'è senz'altro quella della spesa pubblica, senza ciance del tipo "occorre qualificare" , lo Stato Italiano deve dimagrire, punto e basta. Dimagrire soprattutto nei ruoli dirigenziali e politici, che costano tantissimo e rendono 0, tre dirigenti costano quanto un apparecchio TAC, ma rendono decisamente meno.
Comunque non sono pessimista sul secondo semestre, sono pessimista sul lungo termine, ci manca (e il governo PDL è l'ennesima occasione mancata) una classe dirigente che sfidando l'impopolarità cambi la rotta, e per classe dirigente intendo anche l'opposizione, giusto per non fare sconti. Anche se chi governa ha molte più colpe.
Da questo punto di vista consiglio l'ottimo libro-intervista di Masullo (un filosofo) e Scamardella (un giornalista) "Napoli seppur immobile". La tesi è che l'immobilismo che caratterizza la mia città si sia trasferito all'Italia intera, i cui governanti rimangono immobili per non perdere il favore popolare.
Tanto loro hanno di che spartirsi.